giovedì 4 giugno 2009

A ciascuno secondo il grado di comprensione


“A ciascuno si parla
secondo il grado di comprensione”
Motto sufi

Secondo i sufi, qualsiasi metodo didattico deve tener conto dei fattori di tempo, luogo e persone. Si deve sempre tener conto del contesto storico, geografico e delle caratteristiche delle persone a cui ci si rivolge, per cui dei metodi molto efficaci in alcuni contesti, possono divenire inutili in una società industriale avanzata come la nostra, in cui l’individuo possiede delle caratteristiche precise e peculiari.

Sarebbe assai ridicolo suggerire la pratica dei dervisci rotanti diffusa in Anatolia, oppure un programma didattico improntato sulle storie umoristiche o sulle liriche d’amore, a delle società del tutto disinteressate a questo tipo di espressione artistica. Per questo i sufi vedono il contesto storico-culturale, come pure quello geografico, come elementi di grande rilevanza educativa. Alcuni luoghi posseggono una forte capacità magnetica ed evocativa, per questo alcuni riti riescono ad essere molto efficaci in tali contesti, ed inopportuni in altri.

Anche le disposizioni personali sono elementi essenziali da considerare, qualora si voglia tracciare un percorso educativo per l’adepto, perciò l’insegnamento è personalizzato. Ciascun adepto deve essere seguito in modo particolare per poterne rispettare le disposizioni intime e personali, così si intende perché non tutti i riti e le pratiche siano considerate adeguate indiscriminatamente. Comunque per tutti è possibile giungere l’illuminazione, infatti Rumi afferma che per l’uomo di conoscenza, ogni pietra grezza equivale ad una perla.

Non tutti siamo uguali e non tutti possiamo fare gli stessi percorsi, ma l’uomo può avvalersi di ogni espediente del mondo materiale per poter attingere al mondo dello spirito. E’ pure possibile l’uso di vari rituali, ma il loro valore è secondario: i riti sono come delle zattere che servono per fare le traversate, e che devono essere abbandonate, una volta giunti sulla terraferma.

L’assunto fondamentale sufi è che ogni cosa può divenire un espediente come veicolo dell’insegnamento, e che ogni avvenimento ha un valore pedagogico, persino quello che giunge e che non sembra affatto tale.

Secondo la didattica sufi, l’allievo non deve essere sotto tensione per potere apprendere, ed è più facile addestrarlo se l’allievo non si accorge che il maestro impartisce una dottrina. Molte persone non sono disposte ad essere addestrate, perciò il metodo suddetto è essenziale. Stupirà sapere che queste concezioni pedagogiche sono di attualità e modernità eccezionale!

Due soli requisiti sono richiesti all’allievo per essere ammessi alla Via: essere disposto a ricevere un’istruzione, ed essere disposto ad imparare non aspettandosi risultati pianificati e tangibili. Entrambi le richieste sono in contraddizione con la nostra logica lineare.

Nel primo requisito si rientra, se non siamo illusi di avere acquisito la verità e nel secondo, se non crediamo che, ad uno stato di esecuzione tecnica ideale si ottenga un contesto di manifestazioni spirituali eccezionali. Ancora sul primo requisito si agisce facendo un ampliamento percettivo, che ci pone in grado di recepire le informazioni dei maestri e sul secondo, con la ribellione alla concezione della realtà spirituale in una ottica meccanicistico-causale, di tipo utilitaristica.

“Le azioni valgono soltanto per le loro intenzioni” affermano i sufi, per cui la predisposizione all’apprendimento è un vero dono di Dio, offerto a colui che ospita un sublime amore per la sapienza. Per questo i sufi credono nel dhikr, cioè nella “riminescenza” nel “ricordo” nella “menzione” che è costituita dalla ripetizione dei Nomi di Dio, accompagnata da movimenti ritmici del corpo e da opportune forme di respirazione controllata.

Viene recitato mentalmente (Dhikr del cuore), oppure a voce alta o bassa (Dhikr della lingua), e va recitato dopo le rituali abluzioni purificatrici. Viene recitato da soli o in collettività, e può essere attuato in qualsiasi momento della giornata, sebbene la notte sia il momento migliore per applicarsi alla pratica di recitazione.

Recitare il dhikr rende il cuore tranquillo, ed i 99 nomi divini islamici, sono la splendida ripetizione della gamma delle qualità divine: Il Misericordioso, Il Compassionevole, Il Fedele, Il Fiero, Colui che modella, Colui che perdona, Colui che provvede, Colui che dà potenza, Colui che tutto ascolta, Il Giusto, Il Sottile, L'Amabile, Il Paziente, L'Immenso, il Sublime, Colui che perdona, L'Altissimo, Colui che vigila, Il Maestoso, Il Forte, L'Irremovibile, Colui al quale tutto ritorna, L'Assoluto, l'Eterno, l'Impenetrabile, L'Amorevole, L'Uno e Il Testimone. Queste sono solo alcune delle divine prerogative, che vanno benissimo anche per il nostro Dio, e che si adattano ottimamente anche al Dio che tutti noi vorremmo.

Da tutte le prerogative si trae lo spunto per immedesimarsi nella relativa qualità, e tale meditazione a scopi mimetici è in grado di fornire dei determinati poteri soprannaturali, poiché nel dhikr, soprattutto le vocali lunghe vengono usate come “suoni di potere,” così come avviene nell’induismo.

Per ottenere il massimo profitto, la pratica si attua facendo la contemporanea visualizzazione dei “centri sottili” del corpo umano, cioè dei punti del corpo che sono carichi di energia. Si scandiscono i nomi, segnando il passo con lo scorrere del rosario tra le dita, mentre ci si identifica sempre più con la qualità recitata ed evocata, così si attinge in una sfera preverbale e archetipa priva di ogni concetto materiale.

Il dhikr inizia con la lingua e finisce con il cuore: questo è l’aforisma sufi, che dimostra come inutile ogni distinzione tra i due tipi di recitazione; essa recupera l’adepto alla realtà divina, perciò i sufi la ritengono una pratica essenziale, superiore alle altre orazioni quotidiane.

Altro esercizio essenziale è quello della consapevolezza, che consiste nel rendersi conto dell’ambiente e del contesto in cui siamo, il “qui ed ora” della nostra vita, perché dobbiamo sempre fare un’autocritica delle nostre azioni e compiere delle purificazioni del nostro essere. Viene praticata soprattutto la purificazione del cuore, in cui s’inspira immaginando una grande luce bianca che inonda il petto, e si espira usando la luce, per rimuovere le sporcizie ed impurità che ci offuscano, come se fossimo uno specchio ricoperto di polvere che va spolverato.

L’uomo moderno si è abituato ad usare la sua mente come un computer, afferma il filosofo Shaykh Fadhlalla Haeri, per cui è schiavo del pensiero lineare e dualistico che vede la realtà come un sistema di contrapposizioni: la mente computer va messa a tacere in favore del recupero delle facoltà intuitive umane.

Il metodo del lavoro è utile alla tacitazione della mente duale, infatti l’affaccendarsi in attività manuali, come le faccende domestiche, i lavori di giardinaggio, la passione culinaria, etc., permette di attivare nuove energie che potremo valorizzare. Mentre si attende alle faccende quotidiane si ottiene la tacitazione delle ossessioni mentali, così come ci insegna anche il buddismo zen.

Per interrompere il computer mentale, è essenziale creare dei corto circuiti con cui si sospende l’attività della mente, e tale interruzione permette l’apertura dei centri sottili, quei centri di energia del corpo insegnati dallo yoga induista, solo che nel sufismo non è importante che l’apertura avvenga come tale, ma solo se viene conseguita in seguito ad un’effettivo e parallelo sviluppo spirituale. Diversamente si dovrebbe gestire un’energia che non si sa come impiegare e che potrebbe danneggiarci: il requisito essenziale resta l’interiorità integra ed equilibrata.

Nel sufismo si discute sull’acquisizione di poteri paranormali che vengono acquisiti dall’adepto sulla via della conoscenza, tra cui la chiaroveggenza, la premonizione, la capacità di leggere il pensiero altrui anche in assenza della persona, le doti taumaturgiche, la levitazione, la facoltà di parlare con i defunti e l’invisibilità. La spiegazione che i sufi offrono di tali poteri è semplice: quando l’adepto ha raggiunto un livello di maturazione elevato, tutte le creature dell’universo gli obbediscono.

Tutto è possibile per colui che si è annullato in Dio e i poteri paranormali, come quelli normali, sono soltanto degli strumenti e mai dei fini. La capacità della “lettura dell’anima”, e la capacità di compiere dei prodigi seduce solo l’immaturo, colui che vuole far colpo sugli altri. I miracoli sono anche loro dei veli, sono delle trappole, ed un’eccessiva attenzione al sensazionale riesce a distoglierci dal Sentiero.

Buona erranza
Sharatan

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