domenica 28 febbraio 2010

In raffinata conversazione


Colui che possiede un occhio di bassa lega non è capace neppure di riconoscere il brillare dell'oro perciò, egli potrebbe attribuire all'anima taoista, una sensualità volgare e grossolana che male si adatta all’ideale di eleganza e di signorilità del feng liù: ma è solo quell’occhio grossolano e volgare che non è adatto a contemplare un ideale supremo, in cui si trascendono “forme e fattezze“: e questa è amara riflessione di Fung Yu Lan nella sua “Storia della filosofia cinese.”

Invece un occhio molto raffinato sa avere intuizione di ciò che sta al di là del mondo, poiché vede l’ordine armonico dell’universo, e questo acuto sguardo è fondamentale per apprezzare il livello sublime del vivere secondo il concetto feng liu. Chi riesce ad avere questa elevata visione, può entrare nel vero spirito del taoismo, in cui vive la più sottile sensibilità al piacere, e in cui coabitano le necessità estetiche e spirituali più elevate e raffinate, e non semplicemente quelle sensuali.

Il “Shih-Shuo Hsin-Yu” cioè “Le relazioni contemporanee dei nuovi discorsi” è un’opera di Liu Yi Ch’ing (403-444) in cui vengono riferiti brani di “ch’ing t’an” cioè di buona e raffinata conversazione. L’arte di conversare consisteva nell’esprimere il pensiero più eletto, che in genere era taoista, nel linguaggio più raffinato e con il periodare più colto e forbito, al fine di deliziare lo spirito e l‘anima degli conversanti.

Per questa sua natura così preziosa, una tale arte non poteva essere sostenuta che tra amici giunti ad un elevato livello culturale e spirituale: perciò era considerata una delle più squisite attività intellettuali. Lo Shis-shuo è una raccolta di queste squisite e raffinate conversazioni tenute dai più famosi esperti, e ci offre lo specchio di coloro che, nel corso del 3. e 4. sec. d.C., furono seguaci delle idee di feng-liu, e amanti dell’impulso “del vento e della corrente.”

E’ in questa concezione di suprema eleganza che si sono armonicamente fuse le due anime cinesi, cioè l’incontro del “rigoroso” confuciano e del “sognante” taoista, perchè nel feng-liu è la radice comune delle due concezioni: è qui che l’anima cinese dimora nella sensibilità riunita delle sue complementarità. Se il confuciano dello stile Han si nutre di dignità e di grandezza, e lo stile dei signori Ch’in della radice taoista vive di eleganza e libertà ebbene, queste qualità si fondono e originano il feng-liu.

Poichè la mentalità cinese ama le migliori pratiche di buona vita, e non ama operare la rinuncia, privilegiando l'incremento alla perdita, è per questo motivo che riesce a concepire l'unione per reciproca ammirazione dei due modelli di anima che nutrono il suo spirito più elevato: perciò avviene una fusione dell'anima del confuciano e del taoista, in cui dimora lo Spirito delle reciproche origini.

Storicamente, tutto ciò avviene perché durante la dinastia Chiu era molto ammirata la bellezza fisica e spirituale delle grandi personalità, ad es. Chi K’ang era famoso appunto per la sua grande personalità, perciò taluno lo paragonò ad una montagna di giada, e altri ancora gli attribuirono l’eleganza del pino (Shis-shuo, cap. 14): questo è un esempio di feng-liu.

Saper trascendere la discriminazione “delle forme e delle fattezze” significa avere un sentimento di uguaglianza e di non discriminazione fra se stessi e le cose della natura: questo sentimento tanto elevato è essenziale alla comprensione del feng-liu, e alla manifestazione dello spirito artistico. Il vero artista deve saper estendere i propri sentimenti a ciò che rappresenta, e deve saper esprimere l’oggetto tramite una mediazione personale: in questo senso l'artista è un medium, cioè un ponte.

Ora possiamo capire perché nutrire l’energia, nella concezione cinese, diventa una vocazione dell’essere umano, che ha la responsabilità nella cura che prende nel mantenimento e nel dispiegamento del suo potenziale di vita: così possiamo capire meglio le espressioni taoiste come “nutrire l’essenza” o trovare la “quintessenza” o “coltivazione del soffio” o “del fiore” o “dell’energia“: tutto ciò significa preservare il “filo tagliente” dell'energia vitale.

Dalla cura che riserviamo al nostro filo energetico proviene la restaurazione delle nostre forze vitali, perciò sappiamo reintegrarle a mano a mano che si spendono, ma sappiamo anche ravvivare le nostre capacità interiori depurando il nostro essere fisico, e sappiamo aguzzare il nostro mordente e mantenerci in forma, ma una forma che non si riduce al solo corpo fisico.

Il cibo ideale per alimentare la vita è “nutrire la calma” che non significa piantarsi come un palo e rimanere senza sentimento, ma piuttosto “nutrire e recuperare le forze vitali” con la calma e nella calma; quindi significa concedersi il tempo per il recupero, e non farsi fagocitare dalla fretta. E' sempre necessario riposarsi e rasserenarsi, ed è indispensabile anche “ricrearsi” per potere uscire dagli assilli del mondo: è così che possiamo ricostruire le nostre energie vitali.

A ben vedere, queste formule taoiste non sono affatto delle concezioni astruse o delle elucubrazioni psicologiche ma sono delle rubriche preziose da cui impariamo che tutti i nostri aspetti umani sono inseparabili, e perciò la natura umana diventa preziosa in virtù di questa inseparabilità.

Ma questo è ciò che si crede in Cina, e nella pratica del taoismo mentre, nella mente occidentale tale pensiero viene ucciso da Aristotele nell’“Etica a Nichomacheo, (1,6) in cui afferma: “Il solo fatto di vivere e, con evidenza una cosa che l’uomo condivide anche con i vegetali: ora, quel che noi cerchiamo, è quel che è proprio dell’uomo. Dobbiamo dunque lasciare da parte la vita di nutrizione e di crescita.”

Lo sviluppo dell’uomo, per noi occidentali, è solo frutto del pensiero e della conoscenza cioè del nous e del logos, perciò nutriamo una concezione dell’essere come quella di un'entità separata, con una funzione generica e inferiore di sviluppo e di crescita. E‘ qui che nasce la concezione di supremazia gerarchica tra le forme varie vitali, con una gerarchia dell’importanza degli esseri senzienti: questa è l’origine di una concezione negativa che la Cina non ebbe mai.

Nella Cina antica, contemporaneamente ad Aristotele, vive il saggio Zhuangzi che teorizza sull’arte medica cinese affermando che il “seguire” o “perseguire” la vita non è una via senza uscita o senza fine, ma è un seguire l’arteria principale “du” che sale al centro della schiena come la nostra spina dorsale, scorrendo dal basso fino alla nuca, in cui passa in modo sottile il soffio della respirazione e che, perciò, funge da “vaso” governatore dell’energia del corpo.

Questa arteria fa comunicare l’influsso grazie al suo vuoto interno, salendo dalla base al vertice, senza deviare nell’uno e nell’altro lato; perciò essa è considerata la Linea di vita che deve essere “sposata” o armonizzata alla buona regola o buona condotta. E’ soltanto a questa condizione, dice Zhuangzi, che possiamo “conservare la nostra persona” ossia “rendere completa la nostra vitalità,” e andare felicemente a vele spiegate fino al termine dei nostri anni.

I cinesi mettono al centro della loro condotta di vita la vitalità organica, poiché non tengono in alcuna considerazione un termine di immortalità conquistata con un “Lassù” superiore a cui accedere tramite la Maestria nell’Arte della Fuga.

Gli antichi cinesi non si concedono tale via di fuga perchè nello spirito taoistico-confuciano, vi è sufficiente coraggio per affrontare la sfida di una vita in cui l’unico elemento che possiamo considerare è quello della vita individuale che si manifesta nel corpo e tramite di esso: essi mantengono sempre la loro parola.

Secondo la concezione cinese, alla morte, alcune anime salgono verso l’alto e si fondono con il soffio yang oppure, scendono nella terra, per ricongiungersi allo yin ma questa, non è una vera e propria concezione di sopravvivenza dell’anima umana perché, nella Cina antica, non si coltiva l’orgoglio personale ma si nutre solo l’orgoglio della stirpe, della famiglia e del clan. E’ per questo motivo che la “salvezza” intesa in senso occidentale, mediante la conquista della “Vita eterna” per i taoisti non può significare altro che l’ottenimento di “una lunga vita,” cioè la conquista dell’immortalità materiale del corpo fisico.

Zhuangzi ci svela un sogno taoista che consiste in un alto ideale, secondo il quale, se non siamo di questo mondo siamo comunque sempre della nostra vita, ed è questa nostra vita che abbiamo il dovere di nutrire. Zhuangzi narra di geni del monte Gushi che si nutrono di solo vento e di rugiada, o della Vegliarda che aveva la pelle splendente come neve. Egli racconta d'Immortali che conservano la freschezza e la delicatezza di una vergine con il colorito da bambino e che, al termine di mille anni, ormai stanchi di questo mondo, cavalcano le Nuvole bianche e volano fino al Palazzo del Cielo, che è il regno di ogni delizia e di ogni felicità.

Per arrivare allo stato Hsien c’è bisogno di una vita ovvero di un Tao, che viene indicato con il termine “shou” che significa “saper conservare depurando.” I taoisti credono che sia merito della placidità con cui andiamo a considerare gli elementi esterni, che è una pratica che viene conquistata con la gradualità, se noi possiamo eliminare il tumulto del cuore, e il rumore assordante del mondo esteriore: è questo il significato della longevità, che significa solo “nutrire la vita.”

Buona erranza
Sharatan

venerdì 26 febbraio 2010

Il vostro felice destino è inevitabile!


“Il più grande momento di Dio è il momento in cui ti accorgi di non aver bisogno di nessun Dio.

Lo so, lo so, non è questo che ti hanno insegnato. Eppure i tuoi insegnanti ti hanno parlato di un Dio iracondo, un Dio geloso, un Dio che ha necessità di essere necessario.

Ma un vero Maestro non è quello con il maggior numero di allievi, ma quello che crea il maggior numero di maestri.

Il vero capo non è quello che ha il più gran numero di sudditi, ma quello che guida il maggior numero di persone verso la regalità.

Il vero insegnante non è quello che possiede il più vasto sapere, ma quello che riesce a portare il maggior numero di allievi alla conoscenza.

E il vero Dio non è Quello servito dal maggior numero di fedeli servitori, ma Quello che serve di più, rendendo simili a Lui anche tutti gli altri.

Perché ciò rappresenta sia lo scopo sia la gloria di Dio: che i suoi sudditi non siano più tali e che tutti conoscano Dio non come l’essere irraggiungibile, ma come l’essere inevitabile.

Vorrei riuscire a farvi comprendere questo: il vostro felice destino è inevitabile. Voi non potete essere “salvati.” Non esiste nessun inferno tranne quello di non sapere queste cose.”


Neale Donald Walsch, Conversazioni con Dio, Sperling & Kupfer ed., 1998 (rist. 2009)


lunedì 22 febbraio 2010

Come nutrire la vita


“Quando lo spirito dimora all‘interno e irradia la sua luce all‘esterno,
e si è spontaneamente differenti dagli altri uomini,
allora si parla di “immortale nello spirito".
Ma l‘immortale nello spirito è anche un uomo.
Poiché dipende dalla coltivazione del proprio soffio vuoto,
e non si lascia sviare dalle argomentazioni,
discussioni e convenzioni mondane;
egli segue la propria spontaneità,
e non è ostacolato dalle false opinioni:
così ha terminato il suo lavoro.”

(T’ien-yin-tzu- Il trattato del Maestro Celeste)


Si osserva una cesura che separa il pensiero cinese da quello occidentale, esaminando la concezione della vita umana, perché le due modalità di pensiero sono assai distanti. Vi è una frattura che divide le due mentalità che sono radicate su opposte posizioni: è per questo che quando leggiamo che il taoismo è l’Arte di nutrire la vita come igiene e pratica della longevità, restiamo increduli e crediamo di doverne ridere.

L’espressione “nutrire la vita” è molto diffusa nella cultura cinese, e va concepita senza la supponenza dell’esistenza di una scissura tra corpo e anima, quindi dimentichiamo che questa espressione cinese possa avere valore figurato, poiché nel taoismo si praticano delle tecniche per favorire l’immortalità fisica.

Il simbolismo del “nutrire” implica l’ancoramento alla Terra perché tutti gli esseri viventi, ad iniziare dalla più umile pianta, iniziano a vivere quando vengono nutriti da una madre, perciò la Terra è la Grande Madre dell‘essere umano. Noi occidentali possiamo concepire il “nutrire” in modo figurato, perché sappiamo nutrire un desiderio, una speranza, un sogno o un’ambizione, oppure crediamo che la letteratura possa nutrire lo spirito.

Il “nutrire” occidentale è più elevato quando assume connotazioni ideali e spirituali, in cui nutriamo degli ideali per perseguire la nostra vocazione, oppure seguiamo il soffio divino per nutrire l’apparato alato della nostra anima, come voleva Platone. Questi diceva che l’anima, mentre si eleva in seguito al corteggio degli dei, trova il suo nutrimento, cioè la sua pastura, nella piana della verità dove contempla delle realtà vere e proprie: perciò l’anima è nutrita dalla musica e la musica è il suo cibo preferito quindi, per analogia, l’uomo nutre il corpo così come nutre l’anima.

Da questo pensiero separato vengono creati i piani distinti di corpo/anima, e il nostro “nutrire” subisce una scissione per la separazione tra lo spirituale e il materiale dell’uomo, che partorirà l’altro grande sdoppiamento nella scissione tra una dimensione visibile e una dimensione invisibile dell’ordine materiale. E‘ tutta questa catena di errori che ha causato la perdita della concezione olistica dell’esistenza, e della sacralità del cosmo che l‘uomo stenta a ritrovare: è così che nasce il dilemma onnipresente se sia migliore nutrire il corpo oppure nutrire la mente.

Questa sarà la frattura fondamentale a cui dovremo ritornare per rimuovere i partiti presi e le sclerosi della nostra mente, perché è così che si è costruita la schizofrenia occidentale. Ed è nata quando abbiamo avviato a credere che la sola fame che possiamo sfamare sia quella di Dio, e che dobbiamo innalzarci dai nutrimenti carnali perché sono la dannazione umana. Abbiamo costruito degli illusori mondi e delle dimensioni parallele in cui gettare ciò che ci crea troppo imbarazzo: e questa è la divisione primitiva.

La sola fame è riservata alla “Parola di Dio,“ i misteri divini diventano il “nutrimento” mentre il Signore ci offre il “grano delle Scritture” affinché Cristo offra il “pane di vita” sacrificandosi come “carne dell’Agnello,” e qui l’abbuffata sacra diventa antropofagia divina, a cui sono invitati solo pochi e selezionati Eletti. Anche quando il nostro pensiero possiede laicità, rimane in sottofondo la concezione di Origene secondo il quale, se la manna degli Eletti vuoi gustare devi uscire dal mondo, e rinunciare a tutti i piaceri della diabolica carne.

Nella concezione cinese, se penso alla “mia vita” penso al mio potenziale vitale, perché i pensatori cinesi sono dei naturalisti che non vogliono far sottostare la condizione umana a nessuna subordinazione trascendentale, religiosa o rituale. Per i pensatori cinesi, come testimoniato nel testo taoista Liet-tse, nel capitolo Il Giardino del Piacere di Yang Chu, vi è la concezione che “la natura umana è la vita,” e che questa vita si debba condurre secondo la più elevata espressione di feng liu, cioè secondo la più sublime e perfetta eleganza armoniosa.

Nel testo viene fatta una distinzione tra interno ed esterno dell’uomo, da parte del personaggio Yang Chu che è ricalcato sul personaggio reale vissuto anticamente, al quale si fa dire: “Ci sono quattro cose che non permettono alla gente di vivere in pace. La prima è una lunga vita, la seconda la reputazione, la terza il rango e la quarta la ricchezza. Quanti hanno queste cose temono gli spettri, gli uomini, i potenti, e le punizioni. Essi sono chiamati i fuggitivi … e le loro vite sono controllate dall’esterno.”

Quindi, opposti agli uomini fuggitivi che vivono di valori esterni, vi sono gli uomini che vivono in accordo con la loro natura, e che vivono regolati solo da fattori interiori. In un altro passo vi è una conversazione tra Tse-Ch’an, che è un famoso statista vissuto veramente e i suoi due fratelli, seguaci di pratiche taoiste, in cui vediamo il disagio di un rigoroso fratello confuciano davanti alle pratiche taoiste, che sono inconcepibili per il suo inflessibile pensiero.

Alle severe critiche di Tse-Ch’an per la loro vita, a suo parere licenziosa, perché trascorsa ad assecondare le loro tendenze naturali ai godimenti materiali e amorosi, i due fratelli taoisti rispondono che l’ordine del mondo esterno non sempre è assicurato e, seppure garantito, nel tempo non dura. Se l’uomo rimette a posto piuttosto “le sue faccende interne” egli si sentirà sempre libero e a suo agio, al di là delle condizioni del mondo esteriore.

Il loro modo di dare “ordine all‘interno” è in armonia con il cuore umano mentre, negli ordini esteriori, c’è sempre bisogno di principi e di ministri che diano regolamentazioni: è nell’ordinare l’interno che noi siamo chiamati ad accordarci con il nostro essere interiore. I taoisti affermano che per nutrire la vita, è necessario vivere secondo noi stessi e non secondo gli altri, dicono che è necessario vivere secondo la nostra ragione e i nostri impulsi, e mai secondo la regola del mondo.

La vita secondo il feng liu è regolata da “tse-jan” cioè da spontaneità e naturalezza, e non da “ming-chiao” cioè istituzione e regola imposta: tutti i taoisti saranno sempre d’accordo su questo sin dall’antichità. L’idea della vita secondo l’impulso interiore è espressa nella forma più audace nel capitolo Yang Chu, quando dialogano due famosi statisti dello stato di Ch’i dell’epoca antica. Riguardo al miglior modo di dare regola alla vita, e su “come” perseguire questa via nella pratica concreta, così si dice nel testo:

“Kuan Yi-Wu rispose: ‘Il solo modo è quello di lasciarle libero corso, né arrestarla di colpo né inibirla’. Yen P’ing-Chung chiese:’E quanto ai particolari?’ Kuan Yi-Wu rispose: ‘Consenti all’orecchio di sentire tutto ciò che all’orecchio piace, permetti agli occhi di vedere quanto desiderano vedere, lascia che il naso odori quanto gli piace odorare, concedi che la bocca dica quanto gli piace dire, permetti al corpo di godere ciò che gli piace godere, e consenti alla mente di fare quanto gli piace.

Ciò che l’orecchio desidera sentire è la musica, la proibizione di ascoltare la musica si chiama proibizione dell’orecchio. Ciò che gli occhi desiderano vedere è la bellezza, e la proibizione di guardare le cose belle si chiama proibizione della vista. Ciò che il naso desidera odorare è il profumo, e la proibizione di odorare i profumi si chiama proibizione dell’odorato.

Ciò di cui la bocca desidera parlare è il giusto e l’ingiusto, e la proibizione del giusto e dello sbagliato si chiama proibizione dell’intendimento. Ciò che da godimento al corpo è il ricco cibo e l’abito raffinato, e proibire al corpo di goderne significa inibire le sensazioni del corpo. Quanto la mente desidera è di essere libera, e vietarle questa libertà significa inibirne la natura. Tutte queste inibizioni sono la causa fondamentale di tutte le contrarietà della vita, sbarazzarsi di tutte queste cause e goderne fino alla morte, sia per un giorno, un mese, un anno o per dieci anni, ecco cosa io intendo per dare regola alla vita‘.”

Nella filosofia cinese si traccia sempre un confine tra il taoismo filosofico e quello alchemico cioè interiore, ma è una distinzione che va molto sfumata, poiché sappiamo da un loro aforisma che, per il taoista, non esistono mai scissioni dottrinali, ma solamente sette. T’ien-yin-tzu, il Maestro dei Segreti Celesti, avverte: “La Via dell’immortale nello spirito ha come fondamento l’incremento della vita. La base essenziale dell’incremento della vita ha come presupposto il nutrimento del soffio.”

Il termine “ch’i” che è reso come “soffio” equivale al “prana” sanscrito perché nel microcosmo, cioè nel corpo umano, è contenuto il macrocosmo, cioè il ch’i dell’universo: questa concezione sarà immutabile sin dai tempi antichi, infatti già Chang-Tsu accenna all’esigenza di “nutrire la vita” o “yang-sheng” e quindi parla di nutrimento del soffio vitale: è questo il nutrimento che allinea il microcosmo inferiore al macrocosmo superiore ed eterno.

Nella speculazione cinese, il Cielo e la Terra sono gli opposti per autonomasia: il principio maschile, il Cielo yang viene contrapposto alla Terra, che è il principio femminile yin. Il Cielo è ciò che sovrasta tutti gli esseri, mentre la Terra li sostiene: dall’unione delle due entità deriva il “soffio” che è naturalmente duale, perché fornito delle qualità di yin e yang che vanno ben bilanciate e strutturate, per evitare l’insorgere della malattia.

La dualità fondamentale yang e yin allude alla dualità maschile/femminile, e a ogni altro tipo di opposizione che possiamo pensare: luce/buio, attivo/passivo, forza/debolezza, etc … Con il termine “hsin” che significa “cuore e mente” si caratterizza il complesso psicosomatico dell’individuo, il centro organizzatore della sua attività nonché l’elemento affettivo-razionale, perciò l’essenza naturale dell’individuo umano è vivere equilibrato nel cuore e nella mente.

Anche il cuore e la mente sono sottoposti all’influsso dello yin e yang, che sono polarità opposte e complementari, perciò il taoismo scopre le lacerazioni del conflitto interiore ancor prima delle psicologie occidentali, così come scopre che l’equilibrio psichico dipende sempre dalle giuste proporzioni degli elementi interiori che sono in lotta tra loro, nel campo di battaglia interiore dell’animo umano.

Nella situazione ottimale, lo yang e lo yin risultano “shen” cioè spirituali” e “k‘ung” cioè vuoti, perciò sfruttano tutte le loro potenzialità ovvero le divinità e gli spiriti, che sono facoltà naturali che albergano nell’uomo. Per loro stessa natura, i due elementi non appaiono originariamente ben caratterizzati, ma si aprono ad ogni possibilità senza alcuna esclusione e alcun pregiudizio: ecco perché sono vuoti, perché ricettivi e disponibili ad accogliere tutte le potenzialità di futura manifestazione.

Nel Trattato del Maestro Celeste si usa il termine “k’ung” che è tipico anche del buddismo Mahayana, perché nell’alchimia indiana vengono insegnate delle pratiche yogiche che permettono di coltivare le potenzialità latenti dell’essere umano. Tramite queste tecniche s’insegna ad utilizzare le divinità contenute nel corpo dell’adepto, che è una concezione similare a quella della “liberazione dello shen” del taoismo alchemico.

Il pensiero cinese crede che nell’uomo vi siano due anime: p’o e hun. La prima è un’anima di origine terrena, cioè è uno spirito sottile che si esprime nei movimenti corporei e nella natura fisica dell’uomo, mentre la seconda anima ha un’origine celeste, ed è relativa all’intelligenza e alle facoltà umane superiori: P’o è l’anima vegetativa ed animale e Hun è l’anima intellegibile e celeste.

L’Uomo può diventare immortale nello spirito grazie all’azione congiunta delle sue due anime, che esistono in tutti gli uomini, e che rendono tutti passibili d’immortalità potenziale. Alla nostra morte, afferma il taoismo, le due anime si separano perché l’anima celeste deve tornare al Cielo, mentre l’anima terrena deve andare a ricongiungersi alla Terra da cui essa proviene: l’immortale riesce a conservare unite le sue due anime, perciò attinge a delle energie infinite.

“Ritornare alla radice” significa recuperare la radice primigenia della vita, cioè la nostra origine che è la spontaneità e la naturalezza, quindi recuperare il Tao che è la Via per eccellenza. La filosofia buddista lo chiama il “volto prima della nascita” perché entrambi le concezioni hanno un’esigenza comune perseguita tramite vie diverse. E‘ il “vuoto“ come forma di esistenza indifferenziata ed estranea a ogni artificiosità che i taoisti e i buddisti additano al nostro sguardo, perché la nostra origine è nel “filo conduttore della Via“ come dice Lao-Tseu.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 19 febbraio 2010

La disciplina dell’istante


“La sofferenza nasce dall’immaginare, temere o sperare in un’altra situazione rispetto alla situazione presente. Se aderissimo alle cose per ciò che sono, non ci sarebbe altro che energia.

Di solito, la mente non è in uno stato di calma che le permette di vedere la realtà per come è. E’ muta per una sorta di fretta, di urgenza, di febbre, di desiderio, di sete, di avidità, d’irritazione, che le fa perdere il suo stato naturale. E’ sempre agitata dai pensieri. Non appena siamo interamente presenti non proviamo più il bisogno di andare altrove e la mente smette di agitarsi.

Lascia che la mente si riposi nel suo stato naturale. Placa il desiderio, la fretta, la precipitazione. Vedrai le cose per come sono. Se tu non avessi né desiderio né avversione, dunque nessuna sofferenza, non vorresti mai abbandonare l’istante. Non avresti la fretta. Saresti uno. Saresti a riposo. Saresti in pace.

La disciplina dell’istante è un apprendistato della pace. Sentire le emozioni equivale a restare nel presente, a non avere fretta di sottrarvisi. Abbiamo fretta perché soffriamo. La fretta è un segno di mancanza, di dipendenza. Dimostrare nell’istante è il segno dell’indipendenza più grande.

Se tutte le avversioni e tutti i desideri (la fretta dell’avversione e del desiderio!) sono pensieri e se tutti i pensieri sono vuoti, come sogni, allora la persona che vedesse il vuoto dei pensieri e delle percezioni al momento in cui sorgono, non sarebbe mai presa dalla fretta di lasciare l’istante presente. Tutto le risulterebbe uguale.

Non confondiamo l’indifferenza con l’equanimità, né il disinteresse con il disinteressamento. Che i fenomeni si riflettano con chiarezza sulla superficie piatta della tua mente, piuttosto che lasciare che vi si sollevino le onde dell’avversione e del desiderio. Le onde dell’avversione e del desiderio sono fenomeni come altri.

L’istante è una scintillante bolla di sapone nella quale puoi infilarti non appena la tua mente non è più resa irta dalle spine dell’avversione e del desiderio. Ogni istante è sacro e richiede una lentezza sacra.”


Pierre Lévy - Il fuoco liberatore, Edizioni Luca Sassella, 2006
Il capitolo della presenza, pp. 95-97



martedì 16 febbraio 2010

La ricerca dell’Imperatore Giallo


Erano ormai 20 anni che Huang Di, l’Imperatore Giallo, regnava sulla Cina, ed era molto soddisfatto del suo operato: tutti i campi erano ben coltivati, le arti erano fiorenti, le frontiere erano pacificate, i suoi ministri erano saggi e onesti, e i suoi sudditi erano in convivenza pacifica. Malgrado tutto questo benessere, gli indovini del palazzo imperiale avevano come responso dei vaticini infausti che parlavano di guerre e di carestie, di rivolte e di disastri naturali.

L’Imperatore Giallo pensò che nulla ha persistenza, e che tutto è un alternarsi di pieno e di vuoto: nell’esistenza vi è il mutamento, nulla permane nel mondo perché la realtà è sempre fluttuante. Se questa era l’essenza della natura, lui doveva correre ai ripari e cercare un sistema per mantenere l’equilibrio, e per mettere riparo alla sventura perché governare è sempre una lotta. Huang Di si sentiva pervaso da un’enorme stanchezza, come se si fossero dissolte tutte le sue energie vitali. Pensò allora che doveva cercare il suo Tao perché il detto antico afferma che il regno rispecchia la forma del suo sovrano: era il momento di agire.

Gli dissero che tra le montagne di Xiangdong vi era un rinomato saggio, detto il Maestro nascosto, perciò l’imperatore interrogò gli agenti del suo servizio segreto chiamati “Gli occhi e le orecchie della Faccia del Drago” e gli chiese notizia del saggio, ma nessuno seppe dire nulla: l’imperatore mise alla ricerca del saggio tutto il servizio segreto, e dopo qualche mese riuscì a trovare la grotta del Maestro nascosto. Quando Huang Di fu alla caverna, il saggio lo accolse seduto su di una stuoia, con una teiera fumante e due tazze vuote: “Vi stavo aspettando per il te. Sedetevi pure e prendete la bevanda.”

Huang Di s’inchinò, prese la tazza e poi chiese al saggio: “Ditemi, qual’è il cammino del Tao?” Il Maestro nascosto finì di sorbire il suo te lentamente, poi girò la sua tazza verso l’Imperatore Giallo e gliela mostrò dicendo: “La ciotola vuota è utile perché può contenere: il Tao è ineffabile ed invisibile. Nessuno può sentirlo o vederlo ma, se farete vuoto nel vostro spirito esso vi sorgerà dal cuore, sgorgando come da una sorgente. Meditate lontano dai rumori del mondo, mettere a tacere tutti i vostri pensieri, e il soffio primordiale risorgerà in voi ridonandovi tutte le energie vitali.”

Huang Di, l’Imperatore Giallo tornò a palazzo sapendo cosa fare, perciò delegò i suoi poteri al Primo Ministro e ordinò di non essere mai disturbato, quindi si ritirò in un padiglione al centro dei giardini imperiali. Rimase in meditazione profonda per 3 mesi, ed ottenne una piena illuminazione assaporando il grande risveglio: si sentiva rigenerato dopo aver assorbito l’energia della Madre del Mondo. Uscì dal suo ritiro ritemprato ma trovò il palazzo in preda alla più grande agitazione: ormai l’impero era sull’orlo della rovina.

L’imperatore era perplesso perché aveva fatto come il saggio aveva prescritto: un’intensa meditazione e la cura del soffio, si era abbeverato alla fonte del Tao ma non era servito a nulla … il regno non ne aveva tratto vantaggio e tutto era precipitato. Che avesse fatto qualche errore che non compariva? In cosa aveva mancato? Decise di tornare dal saggio per chiedere spiegazioni e per avere nuovi consigli. Quando ebbe manifestato tutti i dubbi e avere dimostrato tutta la sua desolazione, Huang Di restò in silenzio ed aspettò il responso.

Il saggio lo guardò e gli sorrise: “Oltrepassare la soglia non equivale a raggiungerla. Se prima eravate immerso nel governo dell’impero e vi siete dimenticato di voi stesso, oggi avete fatto l’opposto e il perfetto contrario. Il Tao di un sovrano prescrive di saper vegliare su se stesso, ma anche il saper vegliare sulla cura dei propri sudditi: è la Via di Mezzo che unisce il Cielo e la Terra.” Queste furono le parole del Maestro nascosto che dicono fosse il Supremo Lao-tseu in una precedente incarnazione.

Fu così che Huang Di, l’Imperatore Giallo scoprì il sottile equilibrio che gli indicava il saggio, e la sua armonia interna vivificò il Celeste Impero. Il regno di Huang Di fu molto lungo ed operoso, l’imperatore viaggiò spesso per l’impero per considerare di persona le condizioni dei suoi sudditi, egli contemplò le meravigliose opere che furono edificate, sorvegliò affinchè tutto fosse fiorente e prosperoso: dopo molti anni decise di nominare un successore quindi radunò la sua Corte e prese commiato da loro.

Davanti a tutti Huang Di levò una coppa dove conservava la Perla del Drago, che aveva lungamente preparato nel crogiolo delle sue meditazioni, e fu così che ingoiò la pillola dell’immortalità: improvvisamente le porte del palazzo si spalancarono, e un drago dalle scaglie lucenti entrò sbuffando dalle narici fiamme e fuoco. Il Dragone Celeste s’infilò sotto il trono dell’imperatore e lo prese sul dorso, spiccando il volo con l’Imperatore Giallo e diretto al Cielo. Si narra che l’imperatrice e le concubine imperiali furono veloci ad aggrapparsi ai baffi e alla coda del dragone celeste, e così tutti raggiunsero il Palazzo di Giada, che è il soggiorno degli Immortali dove ci sono gioie e delizie infinite: si dice che Huang Di fu felice di offrire alle sue donne le Pesche Celesti capaci di donare l’eterna gioventù.

Buona erranza
Sharatan

domenica 14 febbraio 2010

Onorare le proprie radici



“L’uomo superiore rispetta tre cose:
il volere del Cielo, gli uomini grandi
e le parole del saggio”

(Aforisma confuciano)


Quando ho iniziato a studiare la mentalità cinese classica ho trovato un detto che affermava che il cinese è l’uomo delle tre filosofie: il taoismo usato per Nutrire la Vita, il confucianesimo usato per avere buoni rapporti sociali e interpersonali, e il buddismo usato per avere cura dell’anima.

K’ong-tseu (Confucio) ammise che non era pervenuto alla Conoscenza metafisica e sopra-razionale poiché non ne aveva penetrato il senso più profondo, avendo studiato solo i simboli più comuni, quelli che erano legati alle consuetudini tradizionali.

Egli dimostrò grande modestia per non avere millantato ciò che non possedeva, come però non fecero sempre i suoi discepoli e successori, attirandosi così delle frecciatine ironiche da parte dei taoisti, così che si è pensato ad una conflittualità tra le due concezioni tradizionali cinesi: attenzione a non fare questo errore, perché gli ambiti che svilupparono furono molto diversi!

Piuttosto pensiamo ad una radice comune nei due pensieri, costituita dal profondo rispetto per le tradizioni precedenti a quei modi di pensare, e infatti K’ong-tseu affermò: “Io sono un uomo che ha venerato gli antichi, e che ha compiuto ogni sforzo per acquisire le loro conoscenze,” e che anche Lao-tseu avesse onorato degnamente le sue concezioni tradizionali non si può mettere in dubbio.

La cosa che dovremmo ricordare è che la civiltà cinese ha come fondamento la famiglia e la stirpe originaria, con l'impegno di una fedeltà duratura ad essa: in Cina vi è un legame indissolubile che unisce tutti i fratelli di stirpe o di clan tra di loro.

La nostra mentalità occidentale dovrebbe ricordarlo sempre, mentre solitamente, è il confucianesimo che viene citato come esclusivo pensiero tradizionale cinese, trascurando molto l’importanza del pensiero taoista, che viene relegato in un ambito puramente storico ed antropologico, per una serie di pratiche che lo hanno condannato ad apparire come un pensiero astruso o bizzarro.

E’ vero poi che molti maestri taoisti furono sempre intolleranti alla normalizzazione forzata dei regimi governanti, soprattutto quando tali regimi assumevano caratteri molto dispotici.

Lao-tseu scrisse solo un trattato, cioè il Tao te King, in cui illustra in aforismi poetici una concezione filosofica di naturalità affascinante, ma anche molto densa e complessa. Il Tao che è la Madre universale è chiamata la Via, è il Principio supremo dal punto di vista metafisico, è nel contempo l’origine e la fine di tutti gli esseri.

Il “te” cioè la Rettitudine, è il termine di specificazione del Tao, quindi è la Direzione che l’essere umano deve seguire affinché la sua esistenza, nello stato in cui si trova, sia conforme alla Via quindi al Principio Primo.

Il Tao te King fu composto nell’Epoca delle Primavere e degli Autunni, e si sofferma anche su temi politici e di politica statale, perché i taoisti non erano affatto delle persone ai margini del mondo infatti, nell’opera, sono offerte delle soluzioni politiche sulle regole del buon governo, sulla natura della guerra, sulle virtù del buon regnante e sulle qualità di uno stato che voglia essere prosperoso.

Altro è il ruolo del Saggio rispetto a quello del Governante, poichè egli non si coinvolge negli affari di governo, mentre il migliore governante rimane sempre il Maestro taoista, cioè un Uomo superiore ed esemplare come l’Imperatore Giallo. Per il taoista è giusto che l'uomo degno sia nel posto giusto affinchè sia completato l'ordine dell'universo.

Il Saggio è l’individuo che comprende il naturale corso delle cose cioè il Tao, e che perciò vive in armonia con esso: i cambiamenti nella società avverranno solo dopo che saranno avvenuti i cambiamenti all’interno degli individui, e i cambiamenti all’interno degli individui, avverranno solo quando gli uomini si saranno adeguati ai principi del Tao.

Questa è la caratteristica che differenzia il taoismo dal confucianesimo: nel taoismo non vi è alcun ossequio a valori non introiettati intimamente e fortemente sentiti mentre, secondo K’ong-tseu e il confucianesimo, una società tranquilla ed armonica è una società in cui tutti gli uomini osservano i rituali corretti e i codici formali di relazioni interpersonali, ai confuciani non importa quale sia la natura dell’universo.

Invece il taoismo non attribuisce alcuna importanza alle azioni puramente esteriori, quindi l'azione è orientata al Non-Agire o Wu Wei, che erroneamente viene considerato come una sorta di totale inerzia o un rassegnata attesa alla fatalità esterna.

Il Wu wei andrebbe piuttosto inteso come pienezza di attività trascendente interiore, come piena Unità con il Principio Primo: per i taoisti è fondamentale conoscere l’ordine naturale delle cose poiché solo così si può vivere in armonia con esse. Il Maestro taoista pensa che non sia necessario affannarsi per avere la sua perla meravigliosa.

La leggenda narra che l’Imperatore Giallo, che sembra abbia regnato verso il 2697 a. C., viaggiando a Nord del Fiume Rosso raggiunse le vette dei monti Kunlun. Mentre tornava verso Sud perse la sua perla meravigliosa, perciò ordinò alla Ragione di trovarla, ma non ottenne nulla. Comandò alla Magia di trovarla, ma ancora invano, quindi si rivolse alla Potenza Suprema, ma senza successo. Infine intimò il suo ordine al Nulla, e il Nulla gliela rese. “Che strano - pensò l’Imperatore Giallo - il Nulla l’ha ritrovata!”

La perla meravigliosa era la sua anima, e la Scienza e la Vista, così come la Parola non possono illuminarla, infatti solo il Non-agire o Wu Wei, permise all’Imperatore Giallo di ritrovare la coscienza della sua anima. Questo viene riferito nel “Nan-hua chen-ching” da Chuang-tzu, discepolo di Lao-tseu, e se Lao-tseu fu l’uomo più puro che fosse vissuto sulla terra, Chuang-tzu è il più degno discepolo.

Tao è l’Unico, è il Principio e la Fine di tutte le cose, perciò tutte le cose devono ritornare a Tao Eterno e Immutabile. Tao è Superiorità Assoluta, è ciò che non può essere nominato quindi è il Nulla, cioè “Wu” ed ecco ciò che noi chiamiamo Dio. Tutto ciò che gli uomini sono in grado di comprendere è solo illusione, è solo apparenza, quindi ciò che noi chiamiamo Essere in realtà non lo è, e ciò che vediamo come Non-Essere, per noi è vera essenza.

Noi viviamo in una tenebra profonda in cui anche ciò che noi percepiamo come reale, sebbene non lo sia, comunque proviene da Tao. Tutte le cose percepite dai sensi, tutti i desideri sono irreali: Uno generò Due. Due generò Tre. Tre generò la Molteplicità e la Molteplicità ritorna all’Uno.

Dobbiamo sapere che Tao è l’origine di tutto, da Tao traggono origine gli alberi, i fiori e le piante, così come l’oceano, il deserto, le valli, i monti, il giorno e la notte, e la vita e la morte. Tao è in tutti questi mutamenti, è nel movimento con cui gli universi si originano, e nella decrescita degli oceani che vedono evaporare tutte le loro acque: la nostra anima, nella sua essenza è Tao.

Cerchiamo però di non cadere in errore perché Tao è in ciò che vedi, ma ciò che vedi non è Tao: non mettiamoci in mente che si possa contemplare Tao con gli occhi della carne! Tao non farà sbocciare lacrime dagli occhi o gioia dal sorriso, poiché tutte le emozioni e tutti i sentimenti sono relativi, essi non sono reali.

Nelle braccia di Tao noi saremo al sicuro come tra le braccia di una madre, perciò non avremo timore delle tribolazioni e saremo sempre fiduciosi, nel Tao saremo al riparo dal timore della morte e onorati di godere la vita.

Ecco la concezione di un Tao che dona la vita e che ci custodisce dopo la morte, perciò guardiamo a questo paesaggio dalla cima di una montagna, perciò guardiamo il mare, guardiamo l’aria e guardiamo la luce del sole, e vediamo come tutto venga mosso da una legge ineluttabile e da una ineluttabile forza.

Allora concepiamo che Wu Wei o Non-Agire è come agisce Tao, e lui agisce in questa maniera, e i contorni dell'azione si tratteggiano con maggiore precisione. Vediamo che da tutte le cose proviene una calma ascensionale, una forza di elevazione che è donata da Tao, vediamo alzarsi un fascio di luce con delle linee direzionate verso un punto di convergenza in cui si completa l’Ascesa: così siamo calamitati ed attratti fino al centro di Tao, siamo attratti da una legge eterna ed ineluttabile.

Così come il mare spinge le onde alla riva, così anche le cose scivolano verso l'infinito procedendo con tranquilla certezza. Vediamo allora l'anima come una piccola barca che è infinitamente piccola e scorre come un petalo sulla corrente, che è priva di paura, che è piena d’amore, e che si lascia portare sull’immensa distesa diretta da Tao. Il movimento avviene in assoluta purezza, in uno splendore che è inaccessibile ad ogni male: questo è il Wu Wei!

In questo Non-Agire o Wu Wei così come procede da Tao, gli uomini che sono veramente uomini dovrebbero essere orgogliosi di sapersi trasportare, poiché in ogni uomo vi è una naturale tendenza al caldo movimento che proviene da Tao. L’uomo brama la voluttà, ama la gioia, l’odio, la celebrità, la fama e la ricchezza così che i suoi atti sono violenti come la tempesta che si scatena con un ritmo di furiosa ascesa che è seguita dalla caduta precipitosa.

Come disperati ci aggrappiamo a ciò che sappiamo irreale, perché amiamo troppo la molteplicità, piuttosto che desiderare l’Uno, perciò c’è un solo Rimedio: il Ritorno alle nostre origini. Esse si possono trovare perché Tao è in noi, ma Tao è nel Riposo, perciò aboliamo il travaglio ansioso di voler conoscere velocemente Tao, è una triste fatica il voler cercare troppe parole, il volere definire e dettagliare, perchè tutto questo restringe Tao, che allora ci sfugge ancor di più.

D’altro lato cosa dire? Coloro che sanno non dicono, e coloro che dicono non sanno affatto, quindi il vero Saggio contempla una dottrina ineffabile che resterà per sempre inespressa. Bisogna lasciarsi trasportare verso Tao da un movimento lento e tranquillo, come quello dell’oceano che lambisce la riva e così, finalmente, scivoleremo dentro Tao e non sapremo più definirlo perché diventeremo Tao noi stessi.

Lao-tseu era originario della regione di Ch’u e, molto probabilmente lo erano anche gli studenti che ne seguivano gli insegnamenti, poiché era molto raro che i filosofi-insegnanti dell’Epoca delle Primavere e degli Autunni fondassero le loro scuole fuori dalle terre di origine, così come era consuetudine che la maggior parte degli allievi provenisse sempre dalle terre e regioni limitrofe.

Ciò spiega perché i seguaci di Confucio furono i “signori di Lu” proveniendo da quello stato e, in modo analogo, i seguaci di Lao-tsu provengono dallo stato di Ch’u, mentre di Chuang-Tsu sappiamo da Ssu-ma Ch'ien, il Grande storico, che egli proveniva dal distretto amministrativo di Mong, nel Sung, che era uno stato vassallo del reame di Ch'u, quindi erano della stessa patria: per questo entrambi i fondatori seppero onorare degnamente il patto delle loro radici.

Buona erranza
Sharatan


mercoledì 10 febbraio 2010

Essi vedono il cielo e le sue vie


“Essi conoscono il mondo senza uscire dalla porta.
Essi vedono il cielo e le sue vie senza guardare dalla finestra.
Più lontano si va, meno si conosce;
perciò i Saggi conoscono senza muoversi,
essi nominano senza vedere, e completano senza sforzi”

(Tao Te Ching, 47)


Intorno al 5.-4. sec. a. C., alcuni saggi cinesi esprimono delle idee e un modo di vivere che invita l’uomo alla cooperazione con il corso della natura e con il tracciato che il Cielo manifesta sulla Terra, perciò nei destini umani: questi saggi sono detti taoisti. Essi dicono: “L’uomo vive nel Tao come un pesce vive nell’acqua, se chiediamo al pesce com’è l’acqua, egli si mette a ridere: allora perché sprecare tanta retorica con chi non sa che farsene?”

Affermano che i modelli di questa cooperazione sono incisi e memorizzati nei modelli fluidi degli elementi naturali come l’acqua, l’aria, il fuoco, ecc., e che sono anche testimoniati dalle varie forme artistiche umane. Questi saggi vivevano in una società in cui le fortune erano effimere, in cui vi era una forte competizione sociale e un’angosciante clima d’incertezza che non facilitava la serenità; perciò essi diffondevano un messaggio che cercava di riconciliare gli animi.

Ogni tentativo di plasmare il mondo con la violenza e la presunzione è destinato a fallire, essi dicono, perché la realtà segue il suo corso naturale, perciò il saggio si adatta al corso delle cose, perché comprende che le azioni che forzano i dettami del cielo non vengono mai premiate dal successo, esse sono sempre destinate a fallire.

Se guardiamo il cielo e poi volgiamo gli occhi alla terra, possiamo vederne chiaramente tutte le particolarità, solo allora noi possiamo considerare correttamente il carattere degli uomini e di tutte le cose esteriori: quando le conosciamo correttamente allora non ci opponiamo mai alle vie che il Cielo ha stabilito.

In un passo dell’opera storica di Ssu-ma Ch’ien (145-79 a. C.) si narra che Lao-tseu sia stato un conservatore della biblioteca reale nella capitale Lo-Yang, e si dice che K’ong-tseu (Confucio) lo andò a visitare nel 517 a. C., e che si misero a parlare della Conoscenza. Quando Lao-tseu chiese a K’ong-tseu:”Hai scoperto il Tao?” K’ong-tseu gli rispose: “L’ho cercato per 27 anni ma non l’ho mai trovato.”

Allora Lao-tseu, dopo averlo ascoltato, lo consigliò: ”Il saggio predilige l’oscurità, non si concede al primo che passa, egli valuta i tempi e le circostanze. Se il momento è propizio, egli parla, altrimenti tace. Chi possiede un tesoro non lo mostra a tutti, chi è veramente saggio non svela a tutti la sapienza. Ecco tutto ciò che ho da dirti, sappi trarne profitto.”

Quando K’ong-tseu tornò da quell’incontro disse ai suoi discepoli: “Io so come gli uccelli possono volare, i pesci nuotare, e gli animali correre. Ho visto Lao-tseu, e assomiglia al dragone. Quanto al dragone, ignoro come lui possa, portato dai venti e dai vapori, elevarsi fino al cielo.”

Ssu-ma Ch’ien ci dice che Lao-tseu coltivò il Tao e tutti i suoi attributi, perciò riuscì a mantenersi in armonia ma poi, con il decadere della dinastia di Chou, lasciò la capitale per sparire senza lasciare traccia, egli fu un uomo superiore che amò mantenersi sconosciuto.

Molti credono che la figura di questo saggio che fondò il taoismo non sia mai esistita, però gli studiosi cinesi credono che la mano che scrisse il Tao te king sia di un'unica persona, sebbene l’opera abbia avuto integrazioni posteriori alla sua scrittura primitiva.

Anche l’opera posteriore ad essa cioè il Chuang-tsu, che è considerata la più acuta opera filosofica scritta in tutti i tempi ed è un'altro pilastro del taoismo, possiede una qualità di scrittura superba, oltre a costituire un’opera ammirevole nel riuscire a coniugare il sorriso ironico, il misticismo e la religione: non possiamo apprezzare a pieno l‘animo taoista senza averla letta e meditata accuratamente.

Esiste poi la convinzione che il Lieh-tsu sia più tardo forse del 1.-2. sec. d. C., e che risenta di maggiori influssi buddisti, anche perché è più critico verso il taoismo che ricerca l’immortalità e i poteri paranormali attraverso pratiche ginniche e yogiche che sembrano derivare dal taoismo primitivo del 2.-1. sec. a. C.

Questa stessa presa di posizione critica riguardo ad una pratica tanto diffusa e seguita fin dalle origini ne denuncia la contaminazione del buddismo ch'an, poichè un autentico taoista non reputerebbe mai utile confutare le filosofie altrui, perciò tanto meno una propria pratica antichissima.

Nel taoismo si afferma che la Grande Triade è costituita da Cielo e Terra, ovvero di due principi complementari da cui sono generati tutti gli esseri e dall’Uomo, e che l'uomo partecipa con la sua natura sia all’uno che all’altro dei due principi fondanti. Si crede che l’uomo sia il termine mediano della Triade: è l’Uomo la mediazione dei due elementi fondanti.

L’uomo di cui si parla è l’Uomo vero, cioè colui che ha raggiunto la piena maturità delle sue facoltà superiori, e che perciò può aiutare il Cielo e la Terra nel mantenimento e nella trasformazione di tutti gli esseri: è solo dopo aver realizzato questo suo essere che l’Uomo assume il ruolo di terzo potere tra Cielo e Terra.

Posto al centro della ruota cosmica, il Saggio perfetto la muove invisibilmente con la sua sola presenza senza però partecipare al movimento, e senza doversi preoccupare di esercitare alcuna azione: è il suo distacco assoluto che lo rende signore di tutte le cose, poiché nulla può condizionarlo. Egli ha raggiunto la piena impassibilità, così che la vita e la morte appaiono ugualmente non importanti, poiché nel grande ciclo cosmico esse sono indifferenti.

A forza di scrutare il ciclo delle cose, il Saggio ha raggiunto la verità immutabile e la conoscenza del Principio universale unico, infatti lascia che tutti gli esseri evolvano secondo il loro destino e si tiene al centro immobile di tutti i destini. Egli non si cura delle sensazioni fornite dai suoi sensi perché li considera illusori rispetto alla conoscenza globale dell’unità immobile che governa l’universo.

Un hsien è un immortale perché ha purificato la propria carne dal decadimento fisico attraverso speciali forme di respirazione, dieta, droghe, ed esercizi fisici per conservare il seme, cioè con pratiche che possono paragonarsi a quelle usate nello yoga tantrico, e che lo conservano sempre giovane.

Quando il suo corpo diventa vecchio, un hsien perde la sua pelle rugosa per rivelare un corpo pieno di gioventù, così come un serpente sa fare la muta della sua pelle: questo tipo di concezione è conosciuta come Taoismo Hsien ed è considerato una pratica popolare distante dal taoismo meditativo, mentre invece sappiamo che non è vero.

In realtà dobbiamo valutare che la Via della Sapienza, cioè la via speculativa che i buddisti chiamano prajna, e la Via dei Poteri, cioè la siddhi, non furono probabilmente mai distinte e distinguibili e, per maggiore comprensione con un paragone improprio le potremmo concepire come l’aspetto teorico e l’applicazione pratica.

Siccome la mentalità cinese classica è molto sensibile all’eleganza degli elementi naturali, una tale concezione metafisica esercitò una fascinazione estrema nella loro mente, infatti essi ammirano la bellezza che si gode nel muoversi dell’acqua, l'armonia degli spruzzi delle onde, della luce dell’alba e del fumo che sale verso il cielo come una fascia di velo esile.

Essi definiscono questa forma di bellezza “il seguire del li” e usano un ideogramma che indica le venature del legno e della giada, e che sono delle forme di gentilezza e di eleganza. Il modello dell’aria in movimento è dello stesso genere, ed esprime la suprema idea cinese di eleganza che viene espressa con il termine feng-liu, cioè lo scorrere del vento.

Questo andare con il vento, e questo lasciarsi portare sul flusso della corrente è il modello più intelligente per l’organismo umano, ed è la somma manifestazione dell’Arte della Navigazione che è essenzialmente l’arte di mantenere il vento nelle vele anche se si va in direzione contraria alla corrente.

Se valutiamo come sia più conveniente andare a vela piuttosto che remare vedremo che l’uomo dovrebbe essere onorato di saper andare con il corso della natura piuttosto che tentare con prepotenza di opporsi ad essa. L’antica filosofia del Tao segue in modo intelligente e flessibile il corso, la corrente e le venature dei fenomeni naturali, poichè considera la vita umana come una integrale caratteristica del processo del mondo, e non come una cosa estranea ed aliena ad esso.

Spesso mi trovo a pensare a come siamo estranei dalla mentalità oggettiva e positiva che tanto millantiamo, di come siamo presuntuosi nel guardare con disprezzo a quelle che pensiamo filosofie antiche, e di come esse possano parlare utilmente anche ai nostri tempi, e il taoismo ne è il caso più lampante.

Oggi dovremmo guardare a questa filosofia con profondo rispetto, perché viene a ricordarci che la nostra civilizzazione è solo apparente, e che non ha intaccato minimamente l’interno umano perciò non è neppure una civilizzazione della mente, perchè trascuriamo il rapporto ecologico ed armonico con i ritmi del mondo.

Noi vediamo i fenomeni naturali e quelli umani solo come fenomeni, perciò come un universo di puri e meri oggetti, e questo non è giusto. Nel tempo dovremo avviare un lavoro su questo atteggiamento mentale, per cui gli oggetti dovranno divenire processi e perciò elementi dotati di vitalità propria.

Dovrà venire il tempo in cui i soggetti e gli oggetti non saranno più separati e ci sarà armonia perché tutto è una sfera unificata: perché tutto è Tao. Anche noi dovremo capire che siamo inseparabili dall'universo perchè ne facciamo parte: questo è l’universo a cui apparteniamo e non c‘è altro posto in cui possiamo stare.

Seppure noi vediamo un positivo ed un negativo e gli diamo una connotazione interna, pur sempre essi sono due aspetti di uno stesso sistema, di cui non possiamo eliminare nessun aspetto, a meno che non vogliamo che tutto il sistema crolli. Tutti i nostri sforzi sono mirati a voler costruire delle cose migliori mentre dovremmo considerare che i nostri più feroci sforzi diventano solo violenze sulla nostra natura e sul mondo.

Mentre noi ci affanniamo a controllare e modificare il mondo, reprimendo ciò che costituisce la nostra essenza, esso ci si rivolta contro e la nostra violenza ed arroganza ci crea più problemi di quanti non ne risolva: i taoisti consideravano l’universo come una cosa che ci compenetra e di cui facciamo parte, e di cui dobbiamo capire i segni.

L’arte di vivere è come la navigazione e non è mai una guerra, perciò dobbiamo conoscere il vento, le sue maree, la correnti, capire le stagioni e tutti i principi che regolano le crescite e i decadimenti, in modo che ogni cosa possa seguire il corso delle cose piuttosto che opporsi agli avvenimenti.

Il taoista invita a seguire le inclinazioni naturali e riconosce la necessità della conciliazione degli opposti: egli afferma la necessità del maschile e del femminile, del debole e del forte, del duro e del tenero, delle luce e dell’ombra, così come l'alternanza del dormire e dello stare svegli.

Il taoista riconosce l’alternanza dell’esistere e del non esistere perchè sono i ritmi e la causa dell'esistenza dell'universo, perciò è detto nello Chuang-tsu: “Un yin e uno yang è detto il Tao. L’unione appassionata di yin e yang così come la copula di marito e moglie, costituisce il modello eterno dell’universo. Se il cielo e la terra non si fossero mescolati, da dove ogni cosa avrebbe potuto ricevere la vita?”

Buona erranza
Sharatan

domenica 7 febbraio 2010

Il Signore dell’Orso


Nei tempi immemorabili la Cina era una terra piena di clan, di tribù e di tante altre variegate popolazioni. Vi erano delle genti nomadi che seguivano le loro greggi nelle steppe, e vi erano delle genti stabili che avevano posto dimora in luoghi in cui potevano vivere comodamente, soprattutto lungo le rive del Fiume Giallo.

A causa della fame e dell’avidità personale vi erano anche delle popolazioni che preferivano vivere facendo razzia di beni e di donne altrui senza spezzarsi la schiena, e senza faticare troppo. Per tali genti il sangue non era un problema anzi ne apparivano inebriati, tanto che non facevano altro che ricercare scaramucce e battaglie, e si facevano delle rappresaglie tra di loro, e si spartivano con la prepotenza i frutti delle loro rapine.

In uno dei borghi abitati lungo le rive del fiume Giallo presi di mira dai predoni, viveva un giovane predestinato, di cui le sagge anziane del villaggio dicevano che la madre l’avesse concepito ancora vergine, nel tempo che precedeva le sue nozze con il figlio del capo clan. Le anziane sagge narravano che, in una notte senza luce era disceso un fulmine dal cielo proveniente dalla Costellazione dell’Orsa, ed era caduto davanti alla porta della vergine, perciò il seme da cui il bambino era nato era il Tuono, ma il Tuono lanciato dal Pilastro del Drago Celeste era in realtà il pene dell’Imperatore di Giada, il Signore del Cielo in persona.

Ma tutti irridevano alle chiacchiere di quelle sapienti perchè increduli di quello che esse andavano dicendo, sebbene il bambino rimanesse ben 12 mesi nel grembo di sua madre. Alla nascita il bambino si rivelò di precocità meravigliosa, in pochi giorni sapeva pronunciare le parole, a pochi mesi parlava e subito dopo già camminava, perciò fu messo sul dorso di un cavallo per imparare a cavalcare. All’età di 6 anni era un cavallerizzo provetto, sapeva maneggiare la spada, la lancia e lo scudo, a 8 anni gareggiava contro i migliori guerrieri del suo clan, a 12 anni prendeva parte ai combattimenti, e a 14 anni era il comandante supremo delle sue truppe.

Il giovane era dotato anche di poteri straordinari perché faceva degli strani sogni, aveva delle visioni, conversava con gli Spiriti della Natura, tanto che gli sciamani ben presto lo fecero entrare nella loro confraternita; e fu proprio nel corso di una iniziazione che fu mandato dagli anziani sciamani a cacciare l’orso in montagna, e il ragazzo ritornò al villaggio in groppa all’animale. Fu solo allora che tutti riconobbero come vera la visione delle donne sagge del villaggio, e gli sciamani gli diedero un nome d’uomo, e lo chiamarono Yu Xiong che significa il Signore dell’Orso.

Per tutta la vita Yu Xiong aveva conosciuto il terrore delle razzie dei predoni, aveva veduto negli occhi della sua gente le lacrime e il terrore provocati dalla crudeltà dei banditi, e non era disposto a sopportare che tutto quell’orrore continuasse più a lungo. Negli ultimi tempi i banditi erano diventati ancora più spietati, perché tutte le piccole bande di predoni si erano riunite sotto la guida di un capo astuto e sanguinario chiamato Chi Yu, e le loro scorrerie si erano intensificate senza che nessuno riuscisse a fermarli.

Si era riunita un’orda di sanguinari banditi che riuscivano a sfuggire ad ogni agguato, e che erano imprendibili come sabbia che scorre tra le dita, finché anche il padre di Yu Xiong cadde nel corso di un agguato a tradimento, e lui si ritrovò l’unico capo di un clan decimato dalle perdite, e fortemente demoralizzato dalle sconfitte patite. Allora Yu Xiong tornò alla montagna per reclutare un branco di orsi, che lui stesso addestrò alla battaglia e al combattimento poi iniziò, con le truppe rinfrancate da queste nuove forze, a seminare il terrore tra i nomadi predoni.

Le popolazioni dei luoghi in cui passavano le sue truppe si univano volentieri alle fila di Yu Xiong, incoraggiati dalla prospettiva di una vendetta, di una rivalsa, o di una lotta e fu così che, alla fine, egli si ritrovò alla testa di un potente e numeroso esercito che lo seguiva. Anche i menestrelli itineranti iniziarono a cantare nelle loro canzoni le gesta gloriose del Signore dell’Orso, così che ovunque si andò diffondendo la gloria delle sue gesta.

Nel corso di una spedizione Yu Xiong intercettò le truppe del sanguinario brigante Chi Yu, questi però ripiegò verso una gola montana, e si tirò dietro anche le truppe del Signore dell’Orso, che così si ritrovò improvvisamente intrappolato in un agguato: chiuso in una stretta gola di montagna e senza via di fuga. Era una trappola che fu completata con la discesa di una fitta nuvola di nebbia che venne a rendere tutto offuscato e confuso, così da non poter vedere neppure da quale parte gli venisse incontro la morte.

Gli sciamani delle steppe erano assai pericolosi, ed erano in grado d’intendersi assai bene con gli Spiriti della Bruma, perciò per giorni e giorni spinsero le truppe del Signore dell’Orso attraverso un labirinto inestricabile di strade di montagna, e in mezzo a un caos di viuzze di rocce. Essi vagarono a lungo, finché le truppe rimasero senza viveri ed acqua, e caddero stremate dalla lunga marcia che avevano sostenuto: ormai erano tutti sul punto di lasciarsi morire per la disperazione e per lo sfinimento.

Fu allora che Yu Xiong, il Signore dell’Orso smontò da cavallo, e si spinse fino in fondo ad una valle in cui sapeva che, secondo le regole della scienza del Feng Shui, vi era una forte condensazione di Soffio del Drago della Terra, quindi prese il suo tamburo e lo percosse con un ritmo lancinante e intonò uno strano canto, infine si lanciò in una danza scatenata. Fu così che entrò in trance per poter parlare con gli Spiriti della Bruma, ma essi erano legati dagli sciamani delle steppe assoldati dai nemici, perciò non vennero a rispondere alla sua chiamata.

Yu Xiong continuò a provare e riprovare finché cadde a terra sfinito, e allora il suo sguardo disperato si alzò verso il Palazzo Celeste dell’Imperatore di Giada, e umilmente gli chiese il suo aiuto. A quel punto la nebbia si diradò di colpo e un raggio di luce eccezionale scese dal cielo, essa si scompose a formare un meraviglioso arcobaleno, e sul raggio di luce discese una dama drappeggiata in una veste di 9 colori, con il viso illuminato da uno scintillio dorato.

La dama celeste si fermò su di una roccia davanti al Signore dell’Orso, e fece risuonare la sua meravigliosa voce: “Sono la Dama dei Nove Cieli e mi manda l’Imperatore di Giada che ha sentito il tuo disperato appello. Io ti porto i suoi doni perché lui ti riconosce come suo figlio e vuole fare di te il Signore dell’Impero di Mezzo.” La splendente immortale si levò nell’aria e sparì velocemente lasciandosi dietro un aroma inebriante di fiori di loto e di legno di sandalo.

Sulla roccia dove la dama si era posata, era rimasta una ciotola e due libri: essi erano un manuale di strategia militare e il primo YiJing, quindi Yu Xiong, il Signore dell’Orso aveva ricevuto il dono dell‘Arte militare e dell’Arte oracolare. Nella ciotola vi era dell’acqua, in cui galleggiava un pezzo di legno con una pietra magnetite, che è la pietra calamita, perciò Yu Xiong, il Signore dell’Orso, aveva ricevuto in dono da suo padre anche la prima bussola.

Per il Signore dell’Orso, armato di questi meravigliosi doni celesti, vincere la guerra diventò un gioco, e fu così che riuscì a mettere le mani sul suo nemico, il sanguinario capo dei banditi, conosciuto anche con il soprannome di Signore dei Lupi. Quando i popoli che vivevano lungo il corso del Fiume Giallo seppero che Yu Xiong, era il vincitore del capo dei briganti lo vollero come loro re. E il Signore dell'Orso era talmente magnanimo che volle che anche i vinti fossero felici per la sua vittoria pur nella loro sconfitta, poiché come l’acqua non può restare sulle montagne, così pure la vendetta non resta in un grande cuore, perciò lui li perdonò tutti, e li rese suoi sudditi fedeli.

Yu Xiong accolse sempre tutti nel suo grande regno, e numerose popolazioni vennero ad implorare la sua protezione, ottenendola sempre; così che la sua benevola dominazione si estese dalle pendici dell’Himalaya fino alle rive del Mar di Cina. Yu Xiong ottenne il nome di Figlio del Cielo e venne chiamato Huang Di, cioè l’Imperatore Giallo, perché il giallo è il colore associato all’elemento della Terra, che è il segno del concepimento. Egli divenne veramente il primo imperatore della Terra di Mezzo, cioè della Cina antica.

L’Imperatore Giallo si circondò di consiglieri onesti e devoti, egli privilegiò gli uomini saggi e favorì l’agricoltura, l’artigianato e la medicina, protesse anche le arti, la letteratura e la filosofia: egli fu veramente un monarca illuminato, e fu anche uno spirito elevato a livello universale. Nella sua vita aveva conosciuto tanta barbarie e tanto pianto che sapeva come fosse importante per pacificare l’animo dell’uomo, il poter godere del riso e della poesia. Si narra che avesse composto di sua mano sia le leggi che le poesie, gli è attribuita l’invenzione della ruota, la composizione di odi e di un trattato di saggezza: divenne il campione sia dei potenti che del popolo, che lo ha elevato al rango di dio.

Buona erranza
Sharatan


venerdì 5 febbraio 2010

Con il Passo dell’Orso …


"Conoscere senza presumere di conoscere
è la cosa migliore.
Presumere di conoscere quello che non si sa,
è una malattia.
Solo riconoscendo questa malattia
è possibile non essere malati.
I Saggi sono liberi dai mali perché riconoscono
questa malattia come tale:
così non soffrono di malattie."

(Tao-te ching, 71)



Circa 5.000 anni fa una popolazione tribale occupò i territori situati lungo il corso del Fiume Giallo, nella Cina del Nord. Erano delle popolazioni nomadi che si accamparono lungo le rive del fiume perché trovarono tutto il necessario per una vita più comoda. Vi trovarono pesce da pescare, e l’acqua sufficiente per abbeverare le loro greggi e, infine, iniziarono a coltivare dei piccoli appezzamenti di terreno a grano e miglio, dissodandoli a fatica con aratri di legno.

Di notte accendevano dei fuochi e si riunivano intorno al loro calore a contemplare la volta celeste sfavillante di stelle scintillanti nella cappa scura della notte. Intorno a quei fuochi si tramandavano le storie delle loro lotte contro le bestie feroci che venivano a predare le greggi migliori, e delle disgrazie causate dalle piene del grande fiume che straripava trascinandosi via il frutto del raccolto dei campi, così faticosamente coltivati, e di cui non godevano nulla.

A volte però quelle disgrazie venivano evitate perché quei popoli nomadi possedevano dei capi tribù dai poteri veramente eccezionali. Quei capi straordinari riuscivano a dominare gli elementi naturali, e a piegare i fiumi ai loro voleri, a loro le piante e gli animali rivelavano i segreti poteri, ed essi parlavano con le forze invisibili dell’universo.

Essi sapevano salire al cielo e calarsi fino in fondo ai regni degli inferi per acquisire le conoscenze che fossero più utili per tutta la tribù: il più grande di questi capi portentosi fu Yu il Grande, il mitico imperatore antico e il fondatore della dinastia Hsia (2205-1766 a.C.).

La leggenda narra che Yu non era un comune mortale perché non aveva madre, ed era stato generato direttamente dal corpo del padre Kun. Si narra che, il padre Kun era stato scelto dal capotribù Shun per respingere le inondazioni del Fiume Giallo, ma lui non riuscì a farlo e per questo, Shun lo punì e gli rubò tutte le energie vitali, poi abbandonò il suo cadavere sulle pendici di una montagna.

Per 3 anni Yu restò nel cadavere del padre e, quando il padre resuscitò e si trasformò in un orso bruno, si aprì la sua pancia e ne uscì il figlio Yu. Immediatamente anche Yu divenne un orso bruno e, per tutta la vita, Yu continuò ad oscillare tra il lato umano e quello animale, infatti camminò sempre con un’andatura strascicata che divenne nota con il nome di Passo dell’Orso.

Lo spirito dell’orso viene considerato come un “iniziatore” e l’orso è anche un mitico antenato: perciò l’orso permette all’uomo di ripercorrere a ritroso la concatenazione delle precedenti incarnazioni del suo spirito fino a ritornare all’unità della sua radice, ossia alla radice della sua specie.

Circa 1.000 anni dopo, nell’epoca Chou o Zhou (datata dal 1121 al 222 a. C.) i sacerdoti ancora si vestivano di pelli d’orso e, quando eseguivano la danza in onore di Yu il Grande, strascinavano i piedi e grugnivano come l’orso.

Secondo la leggenda, quando Yu fu cresciuto, continuò il mestiere del padre ma con migliore fortuna, e questo perché le stesse forze sacre gli fecero dono di un libro magico, il mitico Shui-Ching ossia Il Libro del potere sulle Acque.

Grazie a quel dono Yu riuscì a viaggiare fino alle stelle per conoscere i segreti degli Spiriti Celesti: la Danza di Yu, che è la Danza della Forza, capace di fare volare Yu fino al Cielo, è ancora conservata nei testi taoisti: essa è stata eseguita per secoli da generazioni e generazioni di sacerdoti taoisti, da mistici, da stregoni e, ancora oggi è usata nelle scuole tradizionali cinesi di stili interiori.

Yu era in grado di assumere l’aspetto di tutti gli animali, ed era capace di comunicare con loro, egli li comprendeva e si fidava di loro perché li vedeva come amici, e loro di fidavano di lui, e perciò gli rivelavano tutti i loro più grandi segreti.

Quando Yu ebbe acquisito tutti questi saperi, provò a ripetere l’impresa in cui aveva perso la vita il padre. Ad un solo cenno della sua mano Yu riuscì a far ritirare le acque del fiume e, mentre queste si ritiravano, si vide emergere dal fiume una tartaruga che aveva il dorso tatuato con il disegno del Lo-sho Pa-K’ua, che descrive la natura del flusso e del cambiamento nell’universo: questo disegno diventerà la base di tutte le arti divinatorie cinesi.

Tutti i tratti della leggenda di Yu il Grande lo rivelano come uno sciamano. Mircea Eliade, nel suo saggio sullo sciamanesimo e sulle tecniche dell’estasi, attribuisce agli sciamani i seguenti poteri: il volo verso il cielo, il viaggio sottoterra, la danza delle forza, l’estasi e l’improvvisa rivelazione di verità superiori, il potere di conversare con gli animali, il potere sugli elementi, il potere taumaturgico, e la conoscenza e l’uso del potere curativo delle piante.

Nell’antica Cina vi era una classe di persone tenute in enorme considerazione chiamate Wu, le cui capacità sono assonanti con quelle che Mircea Eliade attribuisce agli sciamani, perciò Eliade afferma che i maghi wu furono i primi sciamani che noi conosciamo. Yu era uno sciamano che viveva in una società in cui gli sciamani erano importanti membri della società tribale.

Anche il padre di Yu, Kun, era un sciamano perché riusciva a trasformarsi in orso, e anche Shun il capotribù, che ricompensò Yu per avere fermato il fiume, era un potente sciamano, perché aveva punito Kun facendogli il furto delle forze vitali.

Si narra che il capotribù Shun, sia stato il primo sciamano che fosse riuscito a salire fino al cielo, e che avesse tratto i suoi insegnamenti direttamente dalle figlie del suo predecessore, Yao. Sappiamo che gli Wu erano impegnati come medium, maghi della pioggia, esorcisti, guaritori, etc., e che le donne erano dotate di enormi poteri magici: furono Nu Ying e O Huang, le due figlie del mitico imperatore Yao ad insegnare a Shun l’arte di volare al cielo.

Sappiamo perciò che le donne erano esperte di pratiche magiche ed estatiche, e che queste erano praticate su larga scala: se valutiamo che l’estatico è colui che sa volare con lo Spirito, non ci dovrebbe stupire questa particolare vocazione femminile. Quanto al potere magico, ebbene esso si conquista con l'esercizio di una persistente e potente volontà personale.

Dell’antico sciamanesimo cinese restano tracce in leggende e superstizioni popolari, e nei testi di alchimia taoista, però sappiamo che sciamani e sciamane erano molto numerosi nell’antica Cina, poiché era necessario che l’imperatore celeste fosse abile nelle tecniche estatiche così da poter affermare la sua autorità di origine magica, sull’uomo e sulla natura intera.

Colui che ha tale dominio dimostra di essere un “trasmettitore” o “condensatore” di Tao, che è il magico potere regolatore del cosmo. Si narra di molti personaggi antichi e di grandi imperatori che erano in grado di dominare gli spiriti, che sapevano salire al cielo e che sapevano usare delle tecniche sciamaniche: più tardi tali tradizioni furono conservate solo dai taoisti.

Lo sciamanesimo regnò incontrastato fino all’avvento del confucianesimo (6.-5. sec. a. C.) e gli Wu erano coloro che si facevano incarnare dagli spiriti per servire da intermediari con le forze sovrumane, in modo che gli stessi spiriti li trasformavano in miracolosi guaritori.

Le sciamane quando erano possedute dagli spiriti, potevano compiere delle azioni prodigiose come rendersi invisibili, procurarsi ferite, inghiottire spade, tagliarsi la lingua, sputare fiamme, viaggiare sulle nuvole, ma specialmente sapevano operare delle guarigioni miracolose.

Lo sciamanesimo era particolarmente rispettato perché il re e i nobili si servivano degli Wu come consiglieri, indovini e guaritori così che, nella prima fase della dinastia Chou (1.200 a. C.), gli Wu erano incaricati di evocare gli spiriti, interpretare i sogni, leggere i presagi, effettuare le guarigioni e fare anche le divinazioni celesti per le azioni umane.

Altro compito degli Wu era quello d’invocare la pioggia infatti, e non casualmente, il carattere cinese di spirito (ling) è formato da tre radici: una radice raffigura la “pioggia”, l’altra raffigura 3 bocche che significa “cantare” e la terza è il segno “sciamano.”

Circa 1.000 anno dopo la danza di Yu, ormai le popolazioni tribali sciamaniche erano entrate a far parte dell’impero a tutto titolo, e tutte le famiglie che avevano servito l’imperatore erano state ricompensate con feudi e titoli nobiliari: nasce un sistema di governo proto-feudale in cui le terre sono assegnate dal re come una ricompensa monetaria del valore militare.

I nobili fedautari forniscono al re i tributi in prodotti naturali delle loro terre, essi appoggiano il re nella guerra e ne amministrano i feudi. Compaiono allora le città fortificate, sorgono delle guarnigioni quadrate e fortificate ben protette da mura e circondate da enormi distese di terre coltivate.

Il re si autoproclama imperatore e si dice "Figlio del Cielo" così che questo diventerà il nome di tutti i sovrani della Cina antica, adesso servono molti schiavi per coltivare gli enormi appezzamenti terrieri, per cui si proibiscono i sacrifici umani e quindi scompare l'uso delle ossa oracolari.

I sacerdoti, con il decadere della religiosità popolare, perdono il loro potere e si mischiano alla nobiltà locale insediandosi in vari settori dell'amministrazione e dell'insegnamento imperiale: è vero che poi lo stato diventa anche meno schiavista, ma la struttura feudale impone il prevalere del più forte sul debole, ed autorizza la prepotenza militare.

La ricchezza, il potere e il piacere diventano l'unico scopo dei regnanti ma, per ottenerli, diventa necessario possedere sempre più ricchezze e più schiavi, magari strappandoli a chi li aveva precedentemente posseduti. Diventa necessario aumentare le tasse per avere sempre più oro da spendere in godimenti personali: il benessere del popolo diventa l'ultima preoccupazione nobiliare.

Fu dal 770 al 276 a. C., che il Celeste impero subì una devastante guerra intestina causata dall’ambizione dei maggiori signori feudali sempre più infidi, litigiosi ed ambiziosi. I più potenti nobili erano riusciti a fondare degli stati semiautonomi in cui vivevano come dispotici imperatori, perciò aumentavano sempre più la loro pressione sui feudi vicini.

Questi signori erano però convinti che la forza militare non fosse tutto, ma che fossero necessarie anche delle doti di mediazione e diplomazia, soprattutto quando l'arte della diplomazia faceva risparmiare tempo e spargimento di sangue nel raggiungere il medesimo scopo. E' per questo che sorse la richiesta di una classe di politici e di consiglieri girovaghi che si mettessero al servizio dei vari signori locali.

E così si richiedeva di saper esercitare un mestiere assai pericoloso, perché la vita di corte era piena d’insidie e di complotti, perciò le maghe ed i maghi wu furono ancora i più adatti per divenire efficienti e richiesti funzionari di corte: è in questo contesto che si manifesta l’impatto tra lo sciamanesimo e la filosofia di Lao-tsu, da cui nasce il taoismo.

Sulla figura di Lao-tsu, sappiamo solo che nacque da una famiglia colta dell’alta società, egli lavorò come bibliotecario negli archivi imperiali, ma poi lasciò il suo lavoro, forse per il disgusto degli intrighi politici della corte e per il disgusto delle crudeltà dei signori feudali. Lao-tsu viene considerato il padre del taoismo, e si narra che ebbe una sorta d’illuminazione, e che viaggiò fino alla frontiera occidentale per poi scomparire diventando uno degli Otto Immortali del taoismo.

Prima di sparire dettò un trattato di 5.000 parole ad una guardia di frontiera, ossia al “Custode del cancello” di nome Wen-tzu, e che divenne il suo primo discepolo: il libro che lasciò prima di salire al Cielo, fu il Tao-te Ching, ossia Il Libro dei mutamenti.

Quando ci apprestiamo a studiare il taoismo, la prima cosa che troviamo è una distinzione tra il Tao-chia e il Tao-chiao: il primo termine definisce il taoismo come filosofia, perché “chia” significa “casa” nel senso di “setta” o “gruppo” o “scuola” mentre il secondo termine “chiao” significa “dottrina” e “insegnamento” di una pratica popolare.

Differenziando i due termini e le due realtà si vuole definire che il taoismo autentico, quello di Lao-Tsu o Chuang-tzu, sarebbe il Tao-chia, mentre il Tao-chiao sarebbe quello degradato e degenerato, dominato dall’alchimia e dal culto popolare: questo secondo, viene detto, è un derivato degradato della più elevata forma filosofica e metafisica delle leggi del Tao eterno.

Coloro che conoscono i taoisti, sanno che essi riderebbero di questa distinzione, perché un taoista è molto disinteressato riguardo al nome che si usa per definire la realtà: “Se vuoi chiamarmi come ti pare, fai pure!” dice il taoista, perciò accetta senza protestare ogni definizione che gli si possa attribuire infatti, nel corso della storia, essi stessi si definirono in modi anche molto diversi.

Nel periodo intorno al 200 a. C., che viene definita l’età d’oro della filosofia cinese, il movimento taoista era conosciuto, e quando andiamo a leggere Ssu-ma T’an (morto nel 110 a. C.) che fa una classificazione a posteriori della filosofia cinese in 6 scuole, troviamo una strana definizione perché lui usa il termine di Tao-chia, cioè taoismo filosofico, per una setta eccentrica che era dedita a pratiche fisico-salutistiche e tecniche meditative.

E allora sarà strambo dover pensare che Ssu-ma T’an non conosca la lingua cinese, e che abbia sbagliato scrivendo quel termine piuttosto che Tao-chiao, taoismo popolare, e che è il termine più calzante per indicare una setta anomala ed eccentrica! E non sarebbe più opportuno considerare che, nella realtà del tempo, non vi fosse affatto una tale differenza?

Ssu-ma Ch’ien (145-86 a. C.), è uno storico cinese autore dello Shih-chi (Memorie di uno storico), che tratta la storia della Cina dalle sulle origini fino verso l'anno 90 a. C., e che documenta un arco di tempo di circa 3.000 anni. La storia che narra viene redatta sulla base di un materiale storico scrupolosamente vagliato, e la sua opera costituisce un modello esemplare nel suo genere, perciò è considerata fondamentale per la conoscenza della storia della Cina antica.

In un passo poco noto del suo lavoro storico, egli ci informa che Lao-tsu era originario del villaggio di Li della Contea di Fu nel regno di Ch’u, che era una zona in cui vigeva una forte tradizione sciamanica. E allora è chiaro che Lao-tsu, da bravo sciamano, non si fosse mai curato del tipo di definizione che veniva data al suo pensiero, perché pensava che, tutto è mutamento in ciò che deve fare Ritorno all'Unicità del Tao.

Egli stesso ci dice all'inizio del Tao-te Ching: "Una Via può essere una guida, ma non un sentiero fisso; i nomi sono segni, ma non etichette permanenti" e poi ci chiarisce all'aforisma 25: "Qualcosa di indifferenziato c'era prima del cielo e della terra; calmo e silente, solitario e immutabile, circolante senza fine, capace di essere la madre del mondo. Non conosco il suo nome; io lo chiamo la Via."

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 3 febbraio 2010

Una strategia non ortodossa


“Coloro che comprendono il Tao
non sono in rapporto solo con se stessi;
essi si connettono anche al mondo”
(Zhuanzgi)



La coltivazione dell’Arte della guerra è un retaggio storico molto importante nella cultura militare cinese, e viene codificata in molti testi tra cui i “Sette classici militari” e i “Metodi militari” di Sun Bin. Vi è poi un’opera che viene considerata a sé stante, e che si chiamava originariamente “Baizhan qifa” risalente al 15. Sec., e che fu concepita come testo di studio per gli aspiranti ai più alti gradi dell’esercito della Cina confuciana.

In essa si spiegano, in 100 principi strategici fondamentali, i migliori esempi di esperienze tattiche apprese in 2.000 anni sui campi militari. Suddivisa in 100 capitoletti, in ognuno viene illustrato il principio strategico basilare e poi viene narrata la descrizione di una battaglia realmente avvenuta nella storia cinese.

In questa opera si può meglio capire il vero significato di termini molto usati nella terminologia militare cinese, e che altrove appaiono molto più enigmatici, perciò essa è basilare per imparare i concetti e il vocabolario essenziale della marzialità cinese.

La scienza militare cinese era basata su principi fondamentali portanti che sono ancora oggi usati da corpi militari moderni, come quello dei Marine Corps americani, ed altri suoi concetti sono usati anche in ambiti in cui il conflitto bellico appare in maniera molto più velata, ma che non per questo, si manifesta in maniera meno cruenta. Un esempio dell’uso moderno delle strategie militari cinesi è offerto dal trattato “L’Arte della guerra” di Sunzi che è molto studiato negli ambienti di formazione alla gestione manageriale moderna.

La storia cinese vede ben 5.000 anni di guerre, di sollevazioni popolari e di conflitti militari diversi per cui si potrebbe dire, senza esagerare, che almeno una guerra all’anno venisse combattuta nel Celeste Impero, soprattutto quando lo stato centrale si indebolì e dilagarono orde di forze barbariche venute a rompere i confini dell'ordine costituito per depredare ricchezze o per imporre il loro dominio.

Vi furono delle popolazioni nomadi che calarono dalle steppe del nord per razziare, e che erano periodicamente fermate dalla truppe delle potenti armate dinastiche cinesi. Dopo la caduta della dinastia Han, l’impero cinese ebbe un grande indebolimento causato dalla crisi delle stato centrale, perciò varie etnie straniere imposero il governo e, in qualche caso, come per le genti Mongole e Mancesi, riuscirono persino a dominare tutto l'impero per lunghi periodi.

La guerra era divenuta la principale attività del paese, e le tecnologie militari necessitavano di una veloce evoluzione stimolata da questo stato di cose, le battaglie mutarono la loro forma passando dallo scontro di poche centinaia di nobili montati su carri di legno, fino agli scontri campali di potenti eserciti con centinaia di migliaia di fanti, impegnati in lunghe ed estenuanti campagne militari che li impegnavano per grandi periodi di tempo.

Un’arte così essenziale per la conservazione della vita dell’Impero doveva essere assai accuratamente coltivata, perciò fu perseguita meticolosamente, così come è tipico della mentalità cinese classica, con tanto di sviluppo di logistica, di tattica e di tecniche di comando adeguate al corso delle cose e all'evoluzione della saggezza umana sul significato del loro fluire.

Contemporaneamente, divenne perciò necessario che venissero formati degli efficienti ranghi militari appositamente creati per fare fronte a delle situazioni di sempre crescente complessità bellica. La guerra divenne così un Tao ovvero una Via di Conoscenza perciò divenne anche una Via di scienza, che includeva l’analisi degli schieramenti sul campo di battaglia, delle tecniche di comando e di controllo, dell’arte di prendere le decisioni a livello tattico, insieme a vari altri aspetti delle attività militari.

L’opera di cui si ragiona, il “Baizhan qifa” è conosciuto come “Le cento strategie non ortodosse” e rientra a pieno in questa tradizione, ma è anche un summa concentrato e sistematico dei precedenti trattati militari cinesi che sono sempre estremamente analitici solo che, in questo caso, abbiamo un’opera ancor più completa poiché gli ammaestramenti tattici vengono illustrati e chiariti dalle più esemplari esperienze dei più grandi generali veterani cinesi realmente vissuti nei tempi storici.

E’ questo particolare che lo trasforma in un’opera completa e rara, e che lo eleva ad un livello di maggiore spessore del solo scrigno di astuzie che possono essere esplorate con grande attenzione e profitto, a fini puramente utilitaristici. Per esemplificarne la struttura scelgo di riportare un esempio di tecnica strategica non ortodossa.

Strategia non ortodossa n. 13 - L’Amore

Discussione tattica - Se nel corso di una battaglia gli ufficiali e le truppe preferiscono avanzare e morire piuttosto che salvarsi la vita ritirandosi, ciò dipende esclusivamente dalla sollecitudine e dalla benevolenza del comandante. Se gli uomini delle Tre Armate si sentono amati come figli, ameranno i superiori come fossero dei padri e si inoltreranno in terreni proibitivi, rischiando la vita senza esitazione per spirito di riconoscenza. Sunzi dice: “Se tratti i tuoi uomini come figli, essi saranno pronti a dare la vita per te.”

L’esemplificazione storica - Si presenta il caso del generale Wu Qi reggente delle regioni a est del Fiume Giallo che era solito vestirsi e mangiare come i suoi soldati semplici. Quando sedeva non usava la stuoia, durante le marce non saliva a cavallo ma marciava a piedi con le sue truppe, impacchettava personalmente il suo pasto e condivideva ogni asprezza con i suoi soldati. Si racconta che lui personalmente cavò il pus dalla piaga infetta di un soldato semplice e così gli salvò la vita. Si narra anche che, quando la madre del soldato lo seppe, scoppiò in un pianto dirotto e disperato.

Allora alcuni gli dissero: “Donna che hai da piangere? Lo stesso generale Wu Qi lo ha medicato cavandogli il pus e ripulendo la ferita. E’ un onore grandissimo.” Allora la donna rispose: “La stessa cosa il generale l’aveva fatto anche con suo padre, mio marito, e poi lui si gettò in guerra senza risparmio trovandovi la morte, per riconoscenza verso il generale Wu Qi. Ecco perché piango, ora mi aspetto che avvenga similmente anche la morte di mio figlio. Ecco il motivo del mio pianto e della mia disperazione.”

Il Commento - I cinesi credevano che i generali dovessero essere un esempio per le loro truppe e dovessero esercitare una leadership molto visibile. Solo così potevano assicurarsi da parte dei loro uomini la fedeltà, ma questa era una strategia utile anche per assicurare al capo la condizione della sensibilità emotiva in cui si trovavano degli uomini che venivano condotti in lunghe ed estenuanti guerre. I cinesi si assicuravano così il doppio vantaggio sia del controllo della pianificazione strategica, ma anche della certezza dell’affidabilità dei loro subalterni.

Il Wei Liaozi, risalente alla fine del periodo degli Stati Combattenti (epoca datata tra il 403 e il 221 a.C.) afferma che il generale deve dare il buon esempio e fare le stesse marce spossanti dei suoi uomini, se fa caldo non usare il parasole, se fa freddo non usare vesti pesanti, sui terreni accidentati scendere da cavallo come tutti gli altri, bere solo dopo che tutte le sue truppe sono dissetate, e mangiare con loro il rancio infine, non riposare, se non dopo avere accuratamente controllato le difese militari.

Un buon generale, deve soffrire con i suoi uomini e deve trovare sollievo assieme a loro. E’ in tale modo che l’esercito non si sentirà mai esausto, anche se dovesse restare a lungo sul campo da battaglia e anche se dovesse combattere una lunga e sanguinaria guerra.

Il generale Wu Qi visse all’inizio degli Stati Combattenti e comandò degli eserciti di poco inferiori ai 100.000 uomini, e seppe veramente distinguersi nelle azioni che gli vengono attribuite, tanto che secoli dopo viene ancora ricordato da Wei Liao, che lo cita come un esemplare capo da emulare. Lui dice che il generale Wu Qi non chiese mai ai suoi soldati di spianare i sentieri tra i campi coltivati, e si accontentò di accamparsi tra delle coperture di frasche per ripararsi dai rigori della notte, assieme alle sue truppe.

Per quale ragione agì così? Perché non si metteva mai al di sopra dei suoi uomini. Se vuoi che i tuoi soldati siano disposti a morire, non esigere da loro alcun superfluo gesto di rispetto, se vuoi che diano fondo alle loro forze, non addossare a loro la responsabilità dei riti.

Nell’antichità, chi indossava elmo e corazza non doveva inchinarsi, dimostrando in tal modo che nulla poteva turbarlo. Tediare ed opprimere il popolo fino all’eccesso, e poi pretendere che vada a morire per te, non si è mai visto in alcun tempo storico, ed è per questo che il buon generale non deve mai cercare di mettersi al sicuro, ma deve sempre far fronte ai pericoli alla testa delle sue truppe.

Buona erranza
Sharatan


lunedì 1 febbraio 2010

La Via degli Spiriti dell’Aria


Nel momento in cui riusciamo a rigenerare tutto ciò che ci unisce ai tre spiriti della natura, cioè allo spirito della Terra, dell’Acqua e del Fuoco, allora siamo in grado di ritornare nel nostro corpo ed iniziare a praticare una maggiore armonizzazione delle nostre parti interiori. Resta però da completare la nostra comprensione valutando anche l’elemento aereo, cioè l’Aria, che è il simbolo della comunicazione, della dinamicità e della mobilità più libera e completa.

Quello che si richiede a noi è soltanto uno spirito leggero come quello aereo, che ama tutto ciò che è il sorriso e la gioia e che aspira alla comunicazione. Per farlo dobbiamo apprezzare il vantaggio di una maggiore semplicità perchè, aspirando ad una completa liberazione dell’uomo interiore, è necessario sapere tagliare i vincoli con i secondi fini e con le illusioni che ci spingono a voler cambiare gli altri. Non dovremmo neppure trascurare di vigilare su coloro che vogliono inculcare nella nostra testa dei concetti di verità assoluta imposta dall'esterno.

Eliminiamo tutte le tendenze al giudizio su come si svolgono i sentieri altrui e fissiamo, piuttosto, lo sguardo sulla qualità di Luce che emana dai nostri comportamenti e dalle nostre azioni personali. Molte persone credono che sia giusto attuare delle forme di costrizione mentale sugli altri, mentre invece queste strade non portano mai a risultati positivi, perché ogni restrizione fisica o mentale operata con la violenza corrisponde alla violazione del libero arbitrio a cui tutti siamo obbligati ad obbedire. Nessun bene proviene dalle forme di violenza e di coercizione dell'altrui volontà.

L’omaggio alla piena libertà è perciò rappresentato negli Spiriti dell’Aria, che insegnano all’uomo come respirare in un’atmosfera migliore. Se vogliamo respirare con pienezza dobbiamo salire ai livelli in cui si respira un’aria più pura, più elevata e superiore all’aria densa e vischiosa dei pensieri e dei condizionamenti imposti: è in questa leggerezza aerea che impariamo a volere senza desiderare, ad amare senza possedere e ad agire pur lasciando fare: lasciando così piena libertà all’Altro.

Il quarto gradino della scala è costituito dal desiderio di un’aria più pura e più gioiosa, in cui possiamo intrecciare le qualità migliori della Terra, dell’Acqua e del Fuoco: è in questo luogo che avviene la calcificazione di tutti gli antagonismi in cui si dibattono gli elementi squilibrati. Questo è lo spazio del cuore che si interroga sulla capacità di elevarsi e di progredire dopo avere risolto il mistero della nostra vera autenticità. E' questo il luogo in cui rispondiamo al quesito eterno che risolve la domanda basilare: “Io chi sono?”

La letteratura spirituale afferma che un tale spazio è racchiuso nel nostro cuore che è il nostro organo più aereo, ed è il luogo in cui si attua il vero vaso della trasmutazione: esso è lo spazio d’incontro e di riequilibrio in cui il muscolo è Terra incarnata, l’Acqua vive nel sangue che scorre, il Fuoco è nell’energia che lo anima e gl'infonde vigore, e l’Aria è mescolata al sangue che viene pompato nelle cavità cardiache.

Così il corpo ci rappresenta, in tutte queste componenti materiali, una delle lingue che lo Spirito utilizza per manifestare la perfezione dell’Alchimia divina, e la qualità della sua influenza nel nostro vaso materiale. Questo ci fa capire come mai uno squilibrio di una delle componenti energetiche sopra elencate possa scatenare delle malattie vere e concrete nella vita reale, quindi nessuna casualità esiste nella manifestazione di una malattia concreta del cuore, dei reni oppure del fegato.

Il Cuore diventa anche un elemento da esplorare e da visualizzare come un enorme spazio cosmico che non è affatto vuoto come si vorrebbe ipotizzare: l'etere cosmico umano è l’Aria, ed è l’atmosfera gassosa che respiriamo, e che viene rinnovata e purificata. Essa può rivelarsi di enorme ricchezza perciò, in tale consapevolezza, il cuore non sarà più pensato come una nera cavità, ma diverrà il cielo sconfinato che nascondiamo nel nostro interno più profondo.

Il cuore che respira l'Aria sconfinata e purificata apre una maggiore espansione che sarà costante ed infinita, ed è questa che aiuta ad armonizzare ed integrare tutto l'interno: così nel corpo materiale sarà l’Aria e la pratica della respirazione, che ci aiuterà a riscoprire il nostro vero centro. Nell’ispirare a lungo, e nell’espirare con quiete e tranquillità, ci riconnettiamo al centro di un universo pulsante in cui impariamo a stare, senza tensione e senza controllo, e in cui restiamo con la quieta percezione del fluire dell'Aria e del sangue nel nostro interno.

Nella visualizzazione del nostro spazio interiore, immaginiamo che il nostro Cuore possa dischiudersi come il calice di un bel fiore di loto; certo sappiamo che questo fiore non si trova davvero al nostro interno, ma sappiamo anche che esso è nel nostro centro più intimo e profondo. Se concepiamo in astrazione che non esiste alcuna differenza tra il nostro interno ed il nostro esterno, scopriremo che le cose sono entrambi vere, e non vi è più alcun antagonismo nelle vie del Cuore e dell’Amore.

Il fiore delle nostre migliori qualità giace sepolto e soffocato nella parte più recondita del nostro cuore, e languisce come una divina brace o fiammella che non viene ossigenata, ma invece costantemente censurata ed inibita. Perché non la lasciamo respirare? Perché per respirare ha bisogno del nostro fermo e volontario consenso. Per questa ragione dobbiamo identificare i motivi per cui l’abbiamo soffocata, per scoprire infine che lo spazio è stato fortificato per la paura di spogliarci di qualcosa, e per non apparire come dei poveri esseri deboli ed indifesi.

Nel corso della nostra vita, non ricordiamo mai che possediamo solo la capacità di manifestare l'Amore, la Luce e il Calore, e che sono delle qualità che possiamo emanare solo tramite una coltivazione costante e volontaria di questo tipo di Via. Ricordiamoci sempre che non possediamo altro tesoro che quello interiore sulla faccia del mondo. Noi umani andiamo e torniamo solo con le nostre migliori qualità spirituali, e secondo la volontà di Colui che possiamo chiamare Dio, oppure causa di un ordine più impalpabile che viene detta anche “natura delle cose.”

Noi siamo esseri che transitano in affitto di una condizione umana di cui non abbiamo alcuna proprietà, e questa verità ci dovrebbe limitare nella gestione dell’ordine della natura e sulla qualità degli interventi umani che facciamo nel mondo materiale. Dovremmo sempre ricordare che, delle cose materiali dobbiamo gioire, ma che non possiamo esaurirle o bruciarle interamente: l’uomo può diventare un centro, però mai il solo ordine assoluto dell’Universo.

E quando l’Aria che respiriamo è abbastanza raffinata, allora riusciamo a comprendere la realtà dello stato di emergenza a cui la condizione umana ormai si è spinta, poichè non abbiamo saputo dare ossigeno e Aria alla sua fiammella, perchè non abbiamo fornito uno spazio interiore alle costanti pratiche d'Amore e Tolleranza: se respiriamo a cuore aperto potremo recuperare al nostro errore.

Apriamo allora il cuore ad uno spirito di maggiore speranza, facciamoci ispirare ma non fagocitare dal clima di emergenza che viene proclamato ovunque, respingiamo la concezione che non esista più una via di uscita positiva. Con la speranza e con la respirazione impariamo un pratica di pacificazione, e apprezzeremo un maggiore stato di allargamento e d'irradiamento del nostro cuore verso l'esterno.

Visualizziamo perciò un’Aria rivivificante e divina che viene liberata dagli ostacoli e dalle restrizioni che noi abbiamo creato tramite le nostre proiezioni mentali, quindi togliamo gli strati calcificati con i quali abbiamo soffocato il nostro potenziale amoroso.

Uno stato di ansia e di insonnia dimostra che il nostro cuore ha respirato per troppo tempo un’aria pesante e viziata, perciò siamo diventati come un flauto con i fori ostruiti dalle sporcizie e dalle impurità: è così che abbiamo chiuso tutte le nostre porte interiori, fino alla completa sclerosi del canale. La consapevolezza e la possibilità di un Soffio possente che sappia liberare queste ostruzioni interiori diventa una gioiosa occasione di far rifluire l'Amore lungo tutti i nostri canali di vita.

Nei tempi tormentati in cui viviamo molti cercano di trovare aria pulita facendo letture spirituali, quindi leggono parole su parole, ma senza riuscire a farle penetrare fino allo spazio del Cuore: a costoro manca il Soffio di Gioia e la Speranza verso la bellezza della vita. E' solo nel Soffio che possiamo contrastare la crescente aridità del nostro cuore, e lo faremo sapendo vedere oltre le parole, fino a scoprire dei nuovi strumenti con cui poter lavorare su noi stessi, per sapere operare dei cambiamenti sentiti e profondi, e non formali.

Nessuna Riconciliazione vera nasce dalla pratica dell'analisi razionale dei meccanismi mentali, se questa riflessione non viene praticata con gioia, amore e senso di pace verso noi e verso gli altri. Molti pensano erroneamente che la pratica spirituale e la vita quotidiana siano due canali divisi e due cose distinte: questo è un grave errore concettuale!

Non vi è mai una lotta rabbiosa per la vita e una pratica spirituale separati, ma esiste solo l’apprendimento costante e faticoso della pratica della semplicità, della fiducia, della pazienza e della tenerezza verso noi stessi e verso la vita. E’ solo da queste qualità che si fa raffinare il gioiello interiore che racchiudiamo nello scrigno del nostro cuore.

Beato sarà colui che praticherà e coltiverà il Soffio rinnovatore capace di liberare il Cuore, beato colui che capirà che tale facoltà è riservata a tutti, senza la discriminante di titoli altisonanti o di riconoscimenti materiali ed appariscenti. Il Soffio si riceve, si coltiva e si ritrasmette solamente facendo l’abbandono progressivo di ogni interesse al vantaggio personale, e soltanto tramite una pratica perseguita con costanza e ferma determinazione nel volere il bene nostro e quello degli altri.

Finiamola con lo sguardo che divide gli esseri in base alla loro religione, alla pelle, alla razza o alle convinzioni personali, smettiamola di credere che esista una via vera e una via falsa, perché la Via del Cuore arde in tutti noi con lo stesso vigore. Un Soffio divino non riesce a stare chiuso in una gabbia, anche se essa è la cassa toracica del nostro corpo: ma noi ve lo imprigioniamo sempre, riservandogli uno spazio buio e angusto, in cui lo costringiamo affinchè non s'irradi e non fuoriesca verso l’esterno.

Così restiamo soffocati nella fortezza costruita nel nostro cuore, finchè la libertà del Soffio vivificatore non farà crollare ogni muro di cinta e sgominerà ogni merlo difensivo. Perciò impariamo ad aprire il ponte levatoio per lasciare entrare il mondo nel nostro cortile interno, così impariamo a godere del flusso del fiume della Vita.

Il Soffio vivificatore della Terra interiore può essere affrontato solo attuando la tregua all'opera di demolizione del nostro spazio interiore ed esteriore. Impariamo che, affinchè la vita non possa più ferirci, dobbiamo saper identificare quali armi vanno deposte, quali livelli di fortificazioni richiedono il nostro più efficace rinforzo interiore, di quale armatura amiamo adornarci, di quale veleno abbiamo predilezione, e in quale trincea andiamo a rintanarci durante la guerra. Ma qual'è la nostra roccaforte personale?

Queste sono le principali domande da cui partire e da affrontare con la piena consapevolezza, perchè noi stessi abbiamo le carte migliori per risolvere ciò di cui siamo stati gli unici inventori e perchè, la sola rottura da fare, è quella contro i rituali masochisti con cui ci dilettiamo a rovinarci la vita. Riscopriamo allora una maggiore spontaneità nei rapporti personali, aboliamo il sospetto che l’Altro sia un nemico, e che la piena manifestazione del nostro Cuore e del nostro Amore sia solo una manifestazione di debolezza fatale e letale.

Nei tempi futuri la voce e l’apertura del Cuore saranno una preziosa risorsa per l’uomo moderno, poichè esso viene sempre più catturato da angoscia, da ansia, da aggressività e dalla depressione, che sono le malattie prodotte dalla società che diventa sempre più disumana e barbara nelle relazioni interpersonali.

Per tanto tempo siamo stati ammaestrati come animali da competizione, perciò ora vediamo ovunque solo dei nemici potenziali quindi, ogni nostra situazione è offuscata dal velo del sospetto e della paura: impariamo che queste non sono delle vere realtà, ma sono solo delle cospirazioni mentali attuate contro la nostra gioia di vivere.

Più lo Spirito ha la possibilità di entrare nel corpo e più la sua influenza si condensa, ed è in questo che vediamo l'aumento della frequenza vibrazionale. Con l’avvento dell'Era e dello Spirito aereo dell’Acquario si rafforzano e s'intensificano tutte le comunicazioni che viaggiano tramite l’etere, quindi si accellerano e si amplificano tutte le vibrazioni e le percezioni sensoriali sottili.

Anche il karma assume perciò un ritmo accellerato, che viene dimostrato nell‘azione del giusto e veloce colpo di ritorno degli intenti energetici attivati sia positivamente che negativamente. In questi tempi veloci anche gli appuntamento karmici vengono velocemente realizzati perché c’è una crescente necessità di Risveglio di Spiriti Ricostruttori, cioè di esseri umani di buona volontà che siano disposti al lavoro di raffinamento interiore che favorisca la Rigenerazione evolutiva mondiale.

In essenza noi siamo un Sole Divino che ha la capacità di irradiare un crescente calore, noi siamo un centro di irradiamento che va riconosciuto, amato e pazientemente coltivato, e che può vivere solo d'Amore perché è la sua essenza basilare. Allora facciamo crescere ed irradiare in ogni direzione il nostro Amore, quindi facciamolo tracimare beneficamente in ogni campo della vita materiale e spirituale.

Liberiamo dalle nostre gabbie toraciche fisiche e spirituali il vero Soffio di vita, e diventiamo degli esseri contagiosi dello slancio amoroso e del Soffio trasformatore: diventiamo dei diffusori di aromi e di profumi divini, e risvegliamoci come esseri golosi solo d’Aria e di Luce.

Diventiamo degli individui attivi e consapevoli, diventiamo delle cinghie di trasmissione di Consapevolezza e di purezza divina, però agiamo senza aspettare di essere diventati degli esseri perfetti, e senza la sciocca presunzione di poter fare miracoli, ma con l'umiltà di atti semplici e quotidiani, e con la piena disponibilità a entrare nel gioco della vita.

Un vero cuore aperto può vedere, respirare e ricordare cosa è stato, può prendere coscienza che la Natura e l’Animale sono i nostri migliori alleati nell'evoluzione. Essi sono delle guide migliori di tutti i libri che esistono sulla terra: sapere conoscerli e rispettarli per la loro grande preziosità, diventa il modo migliore per sfuggire alla strada priva di speranza della distruzione umana.

Usiamo la ragione solida e il buon senso, agiamo maggiormente e parliamo di meno, usiamo solo delle parole che siano costruttive, impariamo la pratica della Riconciliazione con noi e con il resto del mondo. Usiamo aperture di maggiore speranza, piantiamo un buon seme nei nostri terreni interiori, e non dimentichiamo neppure di praticare la contemplazione della Bellezza e della Verità da cui ricavare il conforto intellettuale necessario alla nostra pratica.

L’Aria che ci pervade non ci deve fare uscire dal mondo, ma deve spingerci a vivere meglio nella nostra vita, perché l’unico inferno esistente è quello che riusciamo a costruire noi per noi stessi, ed è questa la gabbia angusta e soffocante dei miseri eremiti che si ritirano dal mondo materiale mentre imparano a morire diventando Maestri nell’Arte della Fuga.

Perciò colui che pratica il Ritorno verso Casa non abbandona mai il mondo per dedicarsi al suo egoistico Sé, perchè egli riconosce che la vera Via non è la stagnazione ma la pratica di evoluzione verso l’Amore e la Riconciliazione totale. Egli sa che la vera Via è diventare la Luce per segnare il Sentiero, egli sa che la vera Via è diventare un Seminatore di Ricostruzione.

Buona erranza
Sharatan