venerdì 30 ottobre 2009

Preghiera della compassione



Ti sento o Spirito
Ti sento attraverso le orecchie del mio spirito lupo.

Ti sento o Spirito,
negli alberi mentre il vento mormora tra le fronde
che coprono il mio villaggio nella sera.

Ascolto la tua voce nell’acqua
mentre scorre sulle pietre del ruscello
che passa accanto alla mia famiglia, alla mia gente.

Ti sento o Spirito in tutte le cose
Ti vedo o Spirito,
ti vedo attraverso gli occhi del mio spirito falco.

Ti vedo nel viso dei bambini del mio villaggio
quando fisso i loro occhi
e ti vedo quando guardo le stelle nella volta del cielo notturno
che copre la mia casa.

Ti vedo al lavoro nelle pennellate del paesaggio
dipinto nel deserto che mi circonda.

Ti vedo o Spirito in tutte le cose.
Ti assaporo o Spirito, attraverso la lingua
del mio spirito serpente.

Assaporo la tua brama per la mia saggezza.
Assaporo la tua tolleranza verso il mio apprendimento.
Assaporo la tua compassione per l’anima mia.


(Preghiera Hopi)

martedì 27 ottobre 2009

Gli avventurieri dello spirito


La migliore descrizione del ricercatore spirituale, dell’avventuriero dello spirito, è di Marie-Madeleine Davy, una studiosa ed esegeta di mistica medievale cristiana. Nella mistica occidentale si utilizza il simbolismo delle nozze mistiche per indicare sia il lavoro di reintegrazione dell’individuo, ma anche un particolare tipo di evoluzione spirituale che proclama un’unione carnale dell’anima con Dio, così come rappresentato nel Cantico dei cantici: questa concezione ricorre sia nel cristianesimo come nel sufismo, ma anche nell’ebraismo. In tali nozze si trascende ogni dualità e si realizza l’unione con la Realtà Suprema, cioè la completa fusione dell’immagine sensibile con il suo supremo modello: l’amico dei misteri, l’avventuriero dello spirito che viene descritto è colui che si allena per diventare un Amante perfetto.

Innanzitutto dovremmo sempre rammentare, che permettere agli individui di vivere degnamente costituisce una priorità, ma presumere di potergli insegnare a vivere nell’interiorità ed iniziarlo a una dimensione divina, è un atto sconsiderato. Rammentiamo che anche tentare di istruire gli altri costituisce una missione impossibile, poiché essi rimangono sordi e indifferenti a ciò che non credono utile per loro. Quello che per alcuni è un piacere sconfinato, per la moltitudine diventa impossibile: lo stesso avviene per l’evoluzione della coscienza.

Mettere sullo stesso piano le concezioni culturali e rapportarle alla diretta esperienza delle stesse è veramente un errore fatale pertanto, avere delle persone che vivono in perfetta onestà e semplicità, guidati da un solido buonsenso, costituirebbe già un passo estremamente fruttuoso per tutta l’umanità.

Dicono che sul piano spirituale vale la legge dei vasi comunicanti tra i quali, sia in vita che dopo la morte, si producono scambi segreti: chiaro che questo vale se le persone lo credono. Le persone in verità possono accettarlo o rifiutarlo: il libero arbitrio rende giuste entrambi le scelte. Diventiamo saggi quando sappiamo accettare le diversità che esistono tra gli esseri umani, a condizione di saperli amare e saper comprendere le ragioni della loro diversità.

Diceva Caterina da Siena che l’amore non viene amato; valeva ai suoi tempi e vale ancor oggi, ed è questo è il motivo della freddezza che accompagna i nostri tempi così travagliati, ma lo erano pure quelli della santa senese. I tempi sono sempre stati duri per i ricercatori spirituali!

L’amore molto raramente diventa un valore universale, anzi sono sempre più disprezzati i sentimenti di calore e di partecipazione con un orientamento prevalente che privilegia solo l’indifferenza la quale, insieme all’animo tiepido e privo di passione, costituiscono i peggiori mali che affliggono l’animo moderno.

E’ vero pure che molte persone sono ormai in lotta disperata per la loro sopravvivenza personale, oppressi dalla difficoltà di mangiare e di trovare un posto in cui dormire, e parlare di spiritualità a queste persone disperate equivale a fare una beffa blasfema. Riservare attenzione allo studio dei misteri e della sapienza non potrà mai essere prioritario alle necessità materiali: l’uomo “non vive di solo pane” ma per continuare a vivere, il cibo è essenziale.

Pensiamo allora, che coloro che indagano sullo spirito se ne possono anche permettere il lusso, pensiamo poi che un ulteriore requisito che si richiede all’animo investigatore è la libertà di spirito e un profondo interesse per i problemi che investigano l’essenza delle cose: ricordiamo sempre che la maggioranza delle persone ne è completamente disinteressata.

Fortunatamente le persone che si interessano di queste problematiche spirituali, non nutrono alcuna ambizione di ricoprire ruoli di primo piano nella vita politica o sociale, e questo facilita il gioco. Per poter investigare è necessario tenersi in disparte da ogni eccessiva agitazione e questo fa parte del distacco, che è un ulteriore requisito da dover acquisire per iniziare il lungo viaggio.

E quando troviamo delle persone che aspirano a coltivare le qualità spirituali, le indichiamo come avventurieri dello spirito: essi sono persone che non si associano a nessuno, che si rifiutano di percorrere le vie battute dagli altri, e che cercano di farsi strada mano a mano che procedono nel loro cammino.

Sono persone che cercano di vivere nel momento presente, e che ammettono che la loro strada possa anche canbiare di direzione, laddove se ne ravvisi la necessità. Persone che sono coscienti della possibilità di potere commettere degli errori, e che non si ostinano a percorrere delle strade quando vedono che diventano falsi sentieri e che, soprattutto, di quei sentieri non vogliono accaparrarsene alcuna proprietà.

Gli avventurieri dello spirito sono persone che non vogliono aderire a singole scuole o singoli metodi, ma che non esitano a lasciarne libero l’uso a qualsiasi altra persona che ne veda una personale validità: la loro estraneità ai gruppi spesso li rende facili a critiche e sospetti. Gli avventurieri dello spirito sono una fonte di inquietudine e maldicenza per la loro diversità. Come poterli classificare se non vogliono aderire ad alcuna etichetta riconosciuta e definita?

E queste persone anomale non sono disposte a condividere con nessuno le gioie e i loro pensieri, perché gli altri li rigetterebbero o li trasformerebbero in conflitti e rancori, non potendone concepire il senso e la profondità. Nessuna esperienza spirituale può essere mai pienamente condivisa, anche se l’altro è pienamente disponibile ad ascoltare e recepire il senso del tuo messaggio, perchè un’esperienza intima non è mai traducibile con parole e formule convenzionali. Essa va praticata in forma assai riservata e personale.

Questi individui sono perlopiù selvaggi e non facilmente addomesticabili, dei nomadi temerari che non accettano alcun tipo di imposizione, perciò all’interno di partiti o di gruppi sentono che gli vengono tarpate le ali. Poiché essi non accettano alcun tipo di condizionamento ed imposizione, ogni sottomissione di gruppo equivale ad una condizionale infernale di vita.

Il tepore rassicurante del gregge in loro produce un terrore di ghiaccio, perché disprezzano l’eccessiva familiarità, l’ostentazione impudica delle persone, dei sentimenti e dell’anima: ferocemente aborrono coloro che rivelano i segreti e le confidenze ricevute.

Gli avventurieri dello spirito affrontano crisi passeggere e possono essere assaliti da dubbi e incertezze, ma sono coscienti del rischio di poter compromettere tutta la loro ricerca, perciò affrontano i momenti difficili con coraggio e poi tornano a percorrere la loro strada con spirito ancor più indomito. Devono possedere pazienza e determinazione.

I mercanti del Tempio ed i falsi guru da loro vengono istantaneamente identificati, perché gli avventurieri dello spirito non saranno mai disposti a diventare guru di nessuno a nessun prezzo e per nessun costo. Avere dei discepoli per loro è un fatto inconcepibile, perché sono privi di ogni pretesa e privi di ogni ambizione di possedere la Verità rivelata.

Essi rispondono sempre con enorme rispetto alle domande che gli vengono fatte, ma non offrono mai spontaneamente i loro consigli, perché si rifiutano di entrare in modo indiscreto nella vita degli altri. Gli avventurieri dello spirito comprendono che gli altri possano avere delle diversità e le vedono come delle particolarità da dover conoscere e da rispettare.

Essi amano l’umanità di una tenerezza non comune, e la loro tenerezza è come una brezza che sfiora i campi, calda come il primo sole di aprile: un tocco di tenerezza dopo la feroce crudezza dell’inverno.

Gli avventurieri dello spirito se devono parlare dell’interiorità si guardano da offrire facili ricette o consigli miracolosi, ma vogliono comportarsi come un buon cuoco che offre la sua ricetta al cliente che ha dichiarato di voler cucinare lo stesso piatto per una cena che farà a casa sua.

Offrirà la sua ricetta, ma poi l’altro sarà responsabile dell’effetto finale e della bontà del piatto che servirà ai suoi ospiti. Gli avventurieri dello spirito sono ghiotti di tanta buona cucina spirituale, ma sono anche consapevoli che questi cibi, per altri possono diventare un veleno. Il cibo spirituale arriva a loro numeroso e inaspettato come manna dal cielo, perché il mondo invisibile sa elargire con estrema generosità, offrendo sovrabbondanza ai suoi preferiti, e tutti gli avventurieri dello spirito sono i preferiti del Signore.

L’originalità estrema di questi avventurieri li spinge a ricercare in perpetuo una perfetta unità, che non sarà mai di questo mondo, perciò sono condannati a non poterla ottenere mai. E’ chiaro che questi pochi avventurieri non fanno comunella con i molti, soprattutto quando i molti vedono le trasformazioni che avvengono negli avventurieri, con il trascorrere del tempo: ma è fatale che la trasformazione avvenga.

Se una coscienza è vigile sa comprendere tutte le sue carenze ed è in grado di osservare ogni minimo particolare, perché impara a lavorare con la minuzia e la pazienza di un entomologo, ma rammentiamo che diventa estremamente doloroso osservare il mondo con estrema lucidità, soprattutto quando l’occhio spirituale diventa sempre più acuto e penetrante, mano a mano che lo si impara ad usare: perché l’individuo profondo ha lo sguardo più penetrante della persona comune.

Restare lucido e pienamente consapevole impone una gran massa di sofferenza, che viene risparmiata a colui che vive la vita in modo più superficiale, e che sono i molti. A volte essere delle persone banali offre tanti innegabili vantaggi e costituisce un’ottima protezione: pochi hanno la capacità di affrontare una luce abbagliante senza rimanere allucinati.

Emil Choran ha scritto che vedere il mondo fino in fondo e con piena lucidità equivale a sprofondare in un baratro di disperazione, ma questo vale in tutti i tempi e in tutte le epoche, e se diventa una scusa per restare in disparte, essa sarà insufficiente per farci rimanere passivi e poi sentirci i migliori.

Se però, chi appartiene alla schiera dei pochi, disprezza tutti quelli che appartengono al regno dei molti, costui non dovrebbe essere considerato né avventuriero dello spirito e neppure uomo, ma dovrebbe essere valutato solo come una caricatura di essere umano. Se pensiamo di avere tutti questi requisiti allora auguriamoci tutti un buon viaggio!

Buona erranza
Sharatan


domenica 25 ottobre 2009

Il silenzio del cuore


Il silenzio è l'essenza del cuore.
Puoi essere nel tuo cuore se hai perdonato te stesso e gli altri.
Puoi essere nel tuo cuore solo senza rabbia o preoccupazioni.
Puoi essere nel tuo cuore se respiri senza affanno.

Quando il respiro è affannoso,
il pensiero è guidato dalla paura e dall'ansia.
I tuoi stati mentali affondano le loro radici nel passato o nel futuro.

Sei concentrato su ciò che fanno altre persone,
su come puoi compiacerle o su come proteggerti dalle loro azioni.
Praticamente stai innalzando una fortezza di pensieri attorno al tuo cuore.

Respira profondamente e riportati nel tuo cuore.
Se non farai ritorno al tuo cuore,
non riuscirai a vivere con compassione.

Questo è l'unico modo per vedere il mondo con chiarezza
e senza esagerazioni o esasperazioni.

Quando sei nel tuo cuore,
ti trovi nel silenzio da cui proviene ogni suono.

Come una barca sul mare,
senti il mormorio delle onde sotto di te.
E ti muovi con le onde,
ma sai che non sei l'onda.

I pensieri vanno e vengono,
eppure tu sai che non sei i tuoi pensieri.

Adesso sei nel flusso e riflusso della marea,
essendo consapevole del contrarsi e l'espandersi del pensiero
puoi rimanerci dentro o uscirne,
secondo la tua volontà.

Al di sotto della mente pensante
c'è una consapevolezza pura che non giudica.

Quando tu scopri questa consapevolezza
entri nel tuo cuore.
Allora darai e riceverai
senza sforzo alcuno.


Paul Ferrini



venerdì 23 ottobre 2009

Beati i protettori dell’eresia


Se oggi leggiamo delle briciole, e sono solo briciole, di affascinanti sapienze cristiane primitive, dobbiamo ringraziare degli ignoti ribelli. Dobbiamo ringraziare quelli che hanno avuto il coraggio di dire no, quelli che non si sono girati dall’altra parte, quelli che non hanno detto: “A me? A me non mi riguarda!” quelli che sono riusciti a fare resistenza, e poi anche disobbedienza civile e hanno praticato attivamente una coraggiosa dissidenza. Delle persone che non hanno nome ma che hanno rischiato in prima persona, e rischiato anche tanto.

Perciò ci immaginiamo di essere a quei tempi, quando i testi dei valentiniani erano interamente conosciuti, quando potevano essere interamente letti e meditati, quando degli uomini semplici provavano ad indagare sulla predicazione di Gesù il Vivente, e leggevano la speranza nel ritorno tra le braccia del Tutto.

Quegli uomini potevano leggere parole meravigliose che noi non conosceremo mai, essi potevano leggere parole che possedevano la vita, ascoltavano parole che vibravano per la potenza del Verbo Divino. I testi paleo cristiani primitivi e i testi degli interpreti gnostici, sono parole di tale genere, sono parole che vibravano nel cuore e nella mente, sono il Verbo proveniente dalla Fonte della Vita cioè la vera parola di Gesù il Vivente.

In quei tempi, tanti trascrivevano e diffondevano quei testi pericolosi e la piaga si allargava come un morbo mortale, perciò era vitale arginare la diffusione dell’epidemia. Nella Pasqua del 367, Attanasio vescovo di Alessandria d’Egitto, grande ammiratore di Ireneo e suo fervido seguace, inviò una pastorale a tutto il clero egiziano ordinando la distruzione di tutti gli scritti che non figuravano nell’elenco dei libri “accettabili” o “canonici” della Chiesa di Roma.

Ma qualcuno, forse i monaci del monastero di San Pacomio, ubriacato dalle teorie eretiche, sottrasse decine di codici tra quelli destinati al rogo dal vescovo Attanasio, li mise in una giara di tre metri d’altezza e li sotterrò su un colle vicino a Nag Hammadi, dove furono ritrovati da un abitante del villaggio, un certo Muhammad Alì, nel 1945.

Ora che li possiamo leggere, anche se parzialmente, scopriamo che tutti i testi eretici scrivono per consolare e per illuminare, tutti incoraggiano “coloro che cercano Dio,” tutti indicano una speranza di rivelazione. Essi dicono: “Mio Redentore, redimimi, perché sono tuo, da Te sono venuto. Tu sei la mia mente; dischiudimi. Tu sei il mio tesoro; apriti a me. Tu sei il mio compimento; unisciti a me.”

Essi proclamano “parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare” testimoniate dalle vere parole di Gesù il Vivente, che non spinge i suoi discepoli a seguirlo, ma a superarlo in opera di perfezione. Coloro che soffrono e sconfiggono il terrore della morte, afferma il Vivente, possono “diventare migliori di me; fatevi simili al figlio dello Spirito Santo! Siate zelanti e, se possibile, arrivate [in cielo] anche prima di me!”

E il Gesù eretico che prende congedo dai suoi discepoli, dopo la resurrezione e prima della definitiva ascensione al cielo è sconvolgente, per come viene raccontato nel vangelo di Maria: “Pietro gli disse: ‘Giacchè ci hai spiegato ogni cosa, spiegaci anche questo. Che cosa è il peccato del mondo?’ Il Salvatore rispose: ‘Non vi è alcun peccato. Siete voi, invece, che fate il peccato allorchè compite [azioni] che sono della stessa natura dell’adulterio che è detto “il peccato.” Per questo motivo il bene venne in mezzo a voi, nell’essenza di ogni natura per restituirla alla sua radice.’

E poi proseguì dicendo: ‘Per questo vi ammalate e morite, perché voi amate ciò che è ingannevole, ciò che vi ingannerà. Chi può comprendere, comprenda. La materia diede origine a una passione senza uguali, che procedette da [qualcosa] che è contro natura. Ne venne allora un disordine in tutto il corpo.

Per questo motivo vi dissi: Fatevi coraggio! State allerta che nessuno vi inganni con le parole: ‘Vedete qui’ o ‘Vedete qua.’ Il Figlio dell’uomo è dentro di voi. Seguitelo! Chi lo cerca lo trova. Andate dunque e predicate il Vangelo del Regno. Non ho emanato alcun precetto all’infuori di quello che vi ho stabilito. Non vi ho dato alcuna legge come un legislatore, affinchè non avvenga che siate da essa costretti.’ Ciò detto, se ne andò.”

Anche Borges manifestò interesse per le correnti gnostiche ereticheggianti del Cristianesimo primitivo, e scrisse una poesia chiamata “La rosa profonda” in cui immagina il maestro sufi Farid al-Din al-Attar di Nishapur ormai vecchio, che parla con una rosa. Farid ci ragiona per esaltarne la meraviglia, per dirle della sua sfera, del suo peso, del suo profumo, per dire che essa è lo specchio dell’armonia del creato che lui vede nel sogno di un bimbo o nei colori dell'orizzonte. Attar è vecchio e cieco, come lo era Borges, ma rivede nella rosa infinite cose e infinite strade, vi legge strade meravigliose, ed esse lo spingono a dire:

“Sei musica,
Firmamenti, palazzi, fiumi, angeli,
Rosa profonda, illimitata, intima,
Che Dio indicherà ai miei occhi morti.
[…]
Sono cieco e ignorante,
ma intuisco che sono molte le strade.”

Fu Borges che, scrivendo sui vangeli gnostici, di cui si occupava per un articolo, notò: “Se Alessandria, e non Roma, avesse vinto, le cose stravaganti e confuse che ho raccolto qui sarebbero coerenti, grandiose, e perfettamente normali.” Ma Alessandria fu sconfitta, per questo le cose che vi leggiamo ci appaiono così tanto inaudite.

E’ per questo che pochi apprezzano le eresie gnostiche, perciò molti le irridono come favole di “folli visionari.” Ma io credo che, invece, dovremmo ringraziare coloro che ci permettono di leggere almeno le briciole di quelle sapienze eccezionali, perché tali frammenti fanno venire i brividi.

E dovremmo ringraziare di cuore, tutti quelli che si elessero a cospiratori per proteggere gli eretici, rendere grazie che essi fossero tanto ben determinati. E allora grazie! Grazie perché si decise di proteggere l’eresia, perchè presero una giara alta 3 metri, perchè sigillarono i codici nel suo interno, e perchè la portarono di notte fuori dal convento, fino ad un luogo discreto e la affidarono alla protezione della terra, in attesa che fosse ritrovata.

Grazie al gruppo di monaci eremitici matti, ottenebrati dalla loro passione per delle scritture “folli e visionarie” in cui il Figlio di Dio parla come un eretico. Grazie perchè il gruppo dei cospiratori fu certamente numeroso, grazie perchè essi furono dei figli del Padre assai obbedienti e ricettivi, e ben risvegliati dalla parola del Salvatore.

Io credo che avessero visto con la mente ed ascoltato con il cuore il Sermone della montagna, e che l’avessero compreso nel senso più profondo, soprattutto nel punto in cui Gesù dice: “Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli, poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi.”

Buona erranza
Sharatan


giovedì 22 ottobre 2009

Le visioni di Giovanni!


Ogni ricercatore spirituale viene attratto dal Vangelo di Giovanni. Di lui, di Giovanni, sappiamo che era figlio di Zebedeo e di Salomè, che era fratello di Giacomo il Maggiore, che era stato pescatore e discepolo del Battista prima di diventare discepolo di Gesù, e che fu "chiamato" mentre sistemava le reti da pesca con il padre e il fratello. Nel suo vangelo egli stesso si definisce come il discepolo prediletto, colui che poggiò il capo sul petto di Gesù e colui a cui Gesù morente affidò la Vergine Maria.

Quando Ireneo si accinse a studiare i testi gnostici per conoscerli e confutarli, si trovò davanti uno strano tipo di “falsi dottori” che “rigettavano la verità” con racconti di cosmogonie e favole di ogni genere sull’origine del mondo e su ciò che era esistito prima ancora dell’inizio; tutte baggianate con cui gli eretici abbindolavano gli ingenui creduloni. Dello gnostico Valentino restano pochi frammenti tra cui alcuni versi del suo poema sulla nascita dell’universo in cui egli scrive:

“Tutte le cose vedo sospese attraverso lo spirito;
tutte le cose portate attraverso lo spirito;
la carne che dipende dall’anima,
l’anima legata all’aria,
l’aria che dipende dall’etere,
dalle profondità, e i frutti
del grembo materno,
che generano un bambino.”

In realtà, sia il poeta e maestro cristiano Valentino che tutti i suoi accoliti attribuivano agli insegnamenti di Gesù un’autorevolezza superiore a tutta la Bibbia ebraica, poichè Gesù è superiore a tutti i più grandi profeti. In una lettera del valentiniano Tolomeo ad una aristocratica romana, la nobile Flora, il maestro scrive: “la parola di Gesù è la sola che possa condurre a comprendere la realtà senza commettere errori.” Ireneo sapeva che, quando discutevano, gli eretici citavano a menadito le lettere di Paolo, i vangeli di Matteo e di Luca ma, soprattutto, si facevano forti del vangelo di Giovanni ma interpretandolo alla maniera loro, cioè in modo deviato.

Di questo Ireneo si convinse soprattutto quando si trovò a leggere il famoso Commento a Giovanni scritto da Eracleone, il più rispettato discepolo di Valentino, e da cui concluse che gli eretici davano delle scritture le più fantasiose e fuorvianti interpretazioni, fortemente istigate dall’aberrante passione per gli enigmi e per i misteri. E queste letture fanno accrescere la serie di aberrazioni che minacciano la Chiesa di nostro Signore, perchè nei testi sacri va letto il senso più evidente, il più palese, perché nella Parola di Dio vi è una norma di verità che non va confusa con le blasfeme fantasie degli eretici.

Delle scritture, conclude Ireneo, non vanno fatte letture selvagge e sfrenate, in esse vanno lette le vere parole per quello che sono, con il loro valore più ovvio ed inequivocabile senza farci tanti ricami sopra. Ma se leggiamo il vangelo di Giovanni come verità, sapendo che, senza dubbio, vi è la vera testimionianza di Giovanni riguardo a Gesù, ci accorgiamo che alcuni avvenimenti appaiono diversi dalle versioni corrispondenti che ne danno i canonici di Marco, Matteo e Luca.

E la stessa cosa fu notata anche da Origene d’Alessandria, uno dei primi padri della Chiesa orientale, il quale affermò che Giovanni, anche quando diceva cosa inesatte rispetto agli altri tre vangeli canonici, pur sempre affermava delle verità spirituali reali. I testi sacri vanno letti, affermava Origene, anche per il loro significato simbolico, e tutte le Scritture vanno lette e meditate nel loro significato più profondo. Appare chiaro che, fu per colpa della sua simpatia per le letture selvagge della Parola, se Origene venne condannato anche lui come eretico.

Ireneo deve lavorare duramente contro la diabolica lettura dei valentiniani, perché essi sono ben preparati e in più posseggono testi di grande potenza seduttiva come il vangelo di Verità. In esso si dice che il mondo senza Dio è un incubo senza fine, in cui uomini e donne “Sono come le ombre e i fantasmi della notte … proprio come se fossero immersi nel sonno e pervasi da sogni inquietanti.” Ma, esso dice, da questo orrore si può sfuggire perché non appena scopriamo la presenza di Dio, l’incubo dell’uomo si dissolve poichè il Soffio Divino, lo Spirito Santo, “si affrettò a rialzarlo, allorchè tese la sua mano a colui che giaceva a terra.”

Il vangelo di Verità, echeggiando il prologo di Giovanni, dice: “il Logos del Padre … Gesù di infinita dolcezza … sostenta il tutto … e prende forma del tutto” per restituirlo a Dio. “Egli lo purifica e lo fa ritornare al Padre, alla Madre.” Questo "eretico" Vangelo rivela che ciò che noi vediamo in Gesù e poi in Dio, dipende dal nostro bisogno che abbiamo di lui e dalla nostra capacità di saperlo vedere. Il divino è inneffabile ed inimmaginabile per la nostra comprensione che è legata solo alle immagini e alle parole, ma esse posseggono una tale potenza immaginifica da farci allargare la nostra gamma percettiva fino a farla divenire inconcepibile; ma ciò avviene solo se ci stacchiamo dal velo delle apparenze.

Nel vangelo di Verità si afferma che, benchè Dio non sia né maschio e né femmina, esso va evocato sia come Padre che come Madre, che Gesù è il “buon pastore” di Matteo e Luca, che è il “mistero nascosto della saggezza” di Paolo, che è il “verbo di Dio” di Giovanni, ma che Gesù inchiodato alla croce non è la vittima sacrificale, ma è un Gesù inchiodato all’albero della conoscenza. Cristo crocefisso è il frutto di quell’albero di conoscenza, ma Cristo non è un frutto di perdizione, come in Adamo, ma egli è il frutto della redenzione per tutti coloro che se ne cibano. Gesù Cristo non conferisce delle conoscenze intellettuali ma spinge alla vera conoscenza, che è la consapevolezza del riconoscimento reciproco. Dice: “Egli infatti li trovò … in se stesso ed essi trovarono lui in se stesso.”

Così inizia lo scritto: “ Il vangelo di Verità è gioia per coloro che dal Padre della verità hanno ricevuto la grazia di conoscerlo.” Questo vangelo è gioia perché trasforma la comprensione che abbiamo di Dio e di noi stessi, perché quelli che ricevono la sua buona novella non percepiscono più Dio come crudele, meschino, aspro, iracondo e vendicativo come il dio terribile dell’Antico testamento, ma conoscono il Padre assolutamente buono, imperturbabile, misericordioso, dolce e conoscitore di tutti i luoghi prima ancora che essi vengano ad esistere, che è poi il vero Padre celeste.

Nel vangelo di Verità lo Spirito Santo è il soffio divino: esso è lo stesso con cui il Padre esalò l’universo degli spiriti viventi, perchè i “figli del Padre sono il suo profumo” e con esso egli ricondurrà l’intero creato nell’abbraccio della Sorgente divina. Il Vangelo di Verità esorta coloro che scoprono Dio in se stessi e se stessi in Dio, a trasformare la loro gnosi in azione: “Parlate della verità con coloro che la cercano, della gnosi con coloro che, nel loro errore, hanno peccato … rinforzate il piede di coloro che vacillano, tendete la mano a gli infermi. Nutrite quanti hanno fame, consolate coloro che soffrono, innalzate quanti lo desiderano.” Preoccuparsi degli altri e fare del bene: è così che si esegue la volontà del Padre.

In sostanza, Gesù afferma che lo scopo delle sue sofferenze è rivelare la natura della sofferenza umana e insegnare ai suoi discepoli un paradosso che affermò anche il Budda, e cioè che colui che diventa consapevole del dolore se ne libera. Ma quando Ireneo lesse queste parole affermò che i valentiniani avevano creato delle follie con le loro fantasie. Essi avevano inventato un Gesù falso, fuoviando i fedeli dal Gesù vero: il Logos divino che non ha alcuna affinità con la natura umana, poiché essa si è corrotta irreparabilmente con il peccato originario.

Ogni nostra affinità con Dio si è cancellata quando ci siamo arresi alle forze del male, quando abbiamo creduto alla suadente voce dell’antico serpente e abbiamo seguito i suoi suggerimenti. Benchè fin dall’origine appartenessimo a Dio, il demonio che è il grande apostata, ci allontanò da Lui contro natura, facendoci suoi discepoli e la nostra condizione diventò disperata: per questo Gesù scese a salvarci come Verbo di Dio fatto carne, miracolosamente nato da una vergine e risorto nella sostanza della carne.

Solo questo era il senso delle scritture, pensava Ireneo, e questo vero verbo andava difeso dalle teorie degli eretici che si rifiutano di riconoscere l’unicità di Gesù e che lo vedevano più uomo che come Dio: essi sono dei folli che predicano un Gesù che trascende ogni concezione di esistenza umana. Questo era il pensiero che andava difeso dall’eresia, perciò Ireneo chiese a tutti i credenti di distruggere ogni testo degli eretici, e di bruciare l’interminabile “multitudine di scritture apocrife e false, le scritture segrete” dei deviati eretici.

Ireneo costruì un unico e vero canone ma, per costruirlo, dovette rimaneggiare proprio il vangelo di Giovanni, che era una delle armi preferite dagli eretici e in cui si proclamava l’origine divina di Gesù. Era un testo affascinante, sostenuto da una robusta interpretazione del valentiniano Tolomeo, che immaginava Dio, il Logos e infine Gesù, come onde di energia divina che dall’alto scendevano verso il basso, sicchè l’infinita sorgente divina si rivelava in forma diminuita di Verbo, il quale a sua volta si manifestava in forma ancor più delimitata nel Gesù umano.

Ma questa interpretazione, sapeva Ireneo, non era la vera intenzione della testimonianza di Giovanni perciò andava fatto un riordino radicale, rinforzando le interpretazioni corrette delle Sacre scritture ed estirpando le falsità. Così egli ripulì l’abisso di abiezione costituito dalle eresie, poi passò ordinatamente a definire gli ambiti dell’ortodossia e dell’eterodossia ma, una volta che ebbe fatta tutta questa complessa delimitazione territoriale, non si trovò lo spazio per i maestri spirituali, perciò Ireneo dovette bandirli definitivamente dal grembo della sua chiesa.

Buona erranza
Sharatan


domenica 18 ottobre 2009

La verità di Tommaso


Il Vangelo canonico più affascinante è senza dubbio, quello dell’apostolo Giovanni, quello che si dice fu scritto dal discepolo ormai vecchissimo, al tramonto della vita e in ritiro nell’isola di Patmos. Oggi sappiamo che in realtà, non è verosimile che questo intrigante vangelo sia stato scritto da Giovanni figlio di Zebedeo, forse il "discepolo più amato di Gesù", ma sicuramente un uomo di cultura molto bassa.

Esso appare opera di qualcuno che viveva in Siria, che possedeva notizie sicure sulla vicenda di Gesù, ed è stilato in una prosa così elegante, asciutta e raffinata da non poter essere opera del figlio di un umile pescatore. Nello scritto sono narrati dei fatti di cui l’autore ha notizia di prima mano, per averli visti o per averli sentiti raccontare da qualcuno che era presente come testimone diretto.

La scoperta del Vangelo di Tommaso ha offerto una nuova lettura anche del Vangelo di Giovanni, perché la comparazione dei due testi ha provato che l'autore del Vangelo di Giovanni conosceva il contenuto del Vangelo di Tommaso, e che cercava di confutarlo. E noi cristiani, su Tommaso abbiamo un’opinione assai poco lusinghiera che, guarda caso, ci viene tramandata proprio dallo stesso Giovanni. Dallo stesso Tommaso invece sappiamo che il suo vero era Giuda, ma non era l'Iscariota, e che il suo soprannome era Tommaso (che viene dall’aramaico e che significa gemello) detto anche Didimo, che significa la stessa cosa in greco.

E’ nel Vangelo di Giovanni che conosciamo il Tommaso dubbioso e incredulo, è Giovanni che crea con tre episodi, l'immagine assai poco lusinghiera di Tommaso che conosciamo. Nel primo episodio si narra che Gesù voleva andare in Giudea per resuscitare l’amico Lazzaro ma che, in quei luoghi, lo cercavano per lapidarlo come sovversivo. Gesù manifestò comunque una ferma volontà di andare a tutti i costi, per cui Tommaso pronunciò delle parole disperate: “Andiamo anche noi a morire con lui!” con le quali dimostrò che non credeva e che non aveva fede nel suo Signore.

Nel secondo episodio Gesù presagisce la sua morte ed esorta ad avere fede in Dio, ma Tommaso esclama: “Signore non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?” ricevendo la severa risposta di Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” Il terzo episodio che si narra in Giovanni, racconta dell’incontro fondamentale dei discepoli con Cristo risorto, a cui Tommaso è assente. Al suo ritorno, quando gli fu detto che Gesù era ritornato, Tommaso rispose con le proverbiali parole: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò!” Dopo una settimana, Gesù comparve di nuovo e rimproverò aspramente Tommaso per la sua incredulità, affermando che era beato colui che credeva per sola fede, senza avere visto.

Oggi conosciamo Tommaso per quello che leggiamo nel suo vangelo: “Gesù disse ai suoi discepoli, ‘Paragonatemi a qualcuno e ditemi come sono.’ Simon Pietro gli disse, ‘Sei come un messaggero giusto.’ Matteo gli disse, ‘Sei come un filosofo sapiente.’ Tommaso gli disse, ‘Maestro, la mia bocca è totalmente incapace di esprimere a cosa somigli.’ Gesù disse, ‘Non sono il tuo maestro. Hai bevuto, e ti sei ubriacato dell'acqua viva che ti ho offerto.’ E lo prese con sé, e gli disse tre cose. Quando Tommaso tornò dai suoi amici questi gli chiesero, ‘Cosa ti ha detto Gesù?’ Tommaso disse loro, ‘Se vi dicessi una sola delle cose che mi ha detto voi raccogliereste delle pietre e mi lapidereste, e del fuoco verrebbe fuori dalle rocce e vi divorerebbe’.”

Sappiamo che il Gesù di Tommaso predica che il Regno dei Cieli non è una realtà lontana e ipotetica, ma che esso è una realtà spirituale immediata e continua. In Tommaso, Gesù dice: “Invece, il Regno è dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete sarete riconosciuti, e allora comprenderete di essere figli del Padre vivente. Ma se non vi conoscerete, allora vivrete in miseria, e sarete la miseria stessa.” Il Regno di Dio è presente in ogni essere umano, perciò Gesù non risparmia la sua ironia contro coloro che cercano di sapere da lui come sarà la fine dei tempi perciò, sempre in Tommaso: ” I discepoli dissero a Gesù, ‘Dicci, come verrà la nostra fine?’ Gesù disse, ‘Avete dunque già trovato il principio, che andate cercando la fine? Perché là dov’è il principio, là sarà la fine. Beato colui che si trova al principio: egli conoscerà la fine e non conoscerà la morte’.”

Tommaso ci ricorda che, in principio, come dice la Genesi, c’era la luce primordiale e Dio creò Adamo “un essere umano straordinariamente meraviglioso” un essere di luce radiosa, un “Adamo di luce” che pur avendo forma umana, era anche “misteriosamente divino” perché ad immagine di Dio. Il Gesù di Tommaso dice che tutti noi siamo quell'Adamo divino, perché siamo Figli di Dio e fatti a sua perfetta immagine. E’ questo il significato simbolico del Vangelo di Tommaso il “gemello” colui che si proclamò uguale e pari a Gesù il Vivente.

In Tommaso Gesù dice: “Io sono la luce che è su tutte le cose. Io sono tutto: da me tutto proviene, e in me tutto si compie. Tagliate un pezzo di legno; io sono lì. Sollevate la pietra, e mi troverete” perché la luce primordiale non ha mai smesso di esistere ma è presente in tutte le cose che tocchiamo. Il Gesù di Tommaso, Gesù il Vivente, ci incita a cercare da soli la nostra strada, perchè la capacità di scoprire la verità è dentro di noi, perciò la strada è aperta a tutti coloro che la cercano sinceramente “Beato colui che era prima di divenire” Gesù dice a Tommaso.

Gesù rimprovera coloro che tentano di volerlo seguire perché: “Voi esaminate l'aspetto di cielo e terra, ma non siete arrivati a comprendere colui che è di fronte a voi, e non sapete come interpretare il momento attuale.” Egli avverte che la scoperta della nostra vera immagine può causare la nostra frantumazione: “quando vedete la vostra immagine allo specchio vi rallegrate, ma quando vedete le immagini di voi che sono esistite prima di voi e che né muoiono, né diventano visibili, quanto dovete sopportare!”

Gesù avverte che la forza della rivelazione ci squarcia, che estrae da noi tutto ciò che siamo stati, che distrugge il nostro abituale modo di identificarci per genere, nome, etnia, stato sociale: se accettiamo di incontrare noi stessi avviene proprio questa lacerazione. Dice Gesù in Tommaso: "Chi è vicino a me è vicino al fuoco, e chi è lontano da me è lontano dal regno."

Nei vangeli canonici, cioè in Luca, in Matteo e in Marco, la figura di Gesù appare come una figura umana ed ispirata, ma in Giovanni non è così: Giovanni rivela una figura di Gesù che è assolutamente nuova rispetto agli altri canonici, perché dice che Gesù è l'unigenito Figlio di Dio, il Logos incarnato: Gesù è Signore e Dio. Sia Giovanni che Tommaso affermano che Gesù è identificabile con la Luce divina che è presente sin dall’inizio: sia per Giovanni che per Tommaso, Gesù è la Luce di Dio in forma umana. Il disaccordo nasce allorchè Giovanni afferma che solo Cristo possiede questa divinità, mentre Tommaso afferma che questa luce interna divina è posseduta da noi tutti, e che la natura divina è in ogni essere umano anche se gli uomini ne sono inconsapevoli.

Il Gesù di Giovanni afferma che l’umanità non ha la capacità innata di conoscere Dio, ma che essa deve essere guidata poiché gli uomini non sono “gemelli” e non sono pari a Gesù, come voleva Tommaso; essi sono imperfetti. Solo in Giovanni si dice che per avvicinarsi a Dio significa rinascere da “acqua e da spirito” attraverso la fede in Gesù che è figura divina unica.

Solo in Giovanni abbondano discorsi di Gesù sulla sua divinità, solo in Giovanni appaiono le formule dell’”Io sono.” Solo in Giovanni leggiamo: “Io sono la via, io sono la luce, io sono la vigna, io sono l’acqua della vita.” Solo il Gesù di Giovanni richiede ai fedeli di credere ciecamente che l’unica salvezza venga dalla fede: nessuno spazio offre Giovanni a chi dubita che vi sia un’altra Via, nessuna simpatia per i ricercatori spirituali come Tommaso.

Il Vangelo di Giovanni finì per egemonizzare tutta la tradizione successiva e riuscì a soffocare tutte le visioni diverse e anche la testimonianza del Gesù di Tommaso. In Giovanni si afferma che Gesù è “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero” così come leggiamo nel futuro Credo del concilio di Nicea, per cui sappiamo che alla fine Giovanni vinse e che l'incredulo divenne Tommaso.
Buona erranza
Sharatan


giovedì 15 ottobre 2009

Come un sogno nella notte


Diceva Ireneo che Dio è differente dall’umanità perché egli l’ha creata mentre l’umanità è stata fatta da lui: il primo è l’agente creatore, mentre la seconda è una ricevente passiva, perciò Dio è veramente perfetto in ogni cosa mentre la sua creatura è sempre imperfetta e finita. Diceva Ireneo che la mente umana non può trovare Dio in sé, ma che ha bisogno d’essere illuminata dalla rivelazione divina che gli viene offerta tramite le Sacre Scritture e tramite la fede proclamata dalla Chiesa.

Valentino invece insegnava che l’umanità manifesta l’essenza e la rivelazione divine, ed il termine che usava per definire l’umanità era “anthropos” cioè la natura dell’entità collettiva del genere umano, quella che Jung chiamerebbe archetipo o sostanza spirituale del genere umano. Secondo la testimonianza di Ireneo, gli gnostici predicavano che: “il primo padre del tutto, il primo inizio e il primo incomprensibile, è detto Anthropos … e che questo è il grande e recondito mistero, cioè, che il potere che sta sopra tutti gli altri, e comprende tutti gli altri nel suo abbraccio, è chiamato Anthropos” ecco perché Gesù è Figlio dell’Uomo.

Secondo i valentiniani, poichè gli esseri umani hanno creato tutto il linguaggio della religione, perciò hanno creato anche Dio. In questo senso va inteso l’ironico passaggio del Vangelo di Filippo in cui si dice: “Dio creò l’umanità; ma ora gli uomini creano Dio. Nel mondo è proprio così: uomini modellano divinità e venerano la loro creazione. Sarebbe appropriato che le divinità venerassero gli uomini.” Per gli gnostici conoscere Dio vuol dire conoscere se stessi e nel Vangelo di Tommaso Gesù dice: “Ho preso il mio posto nel mondo, e sono apparso loro in carne ed ossa. Li ho trovati tutti ubriachi, e nessuno assetato. Il mio animo ha sofferto per i figli dell'umanità, perché sono ciechi di cuore e non vedono, poiché sono venuti al mondo vuoti, e cercano di andarsene dal mondo pure vuoti. Ma nel frattempo sono ubriachi. Quando si libereranno dal vino, cambieranno condotta.”

La realtà, è che gli ortodossi cristiani credevano nell’ebraismo tradizionale, secondo il quale l’umanità ha una sostanza diversa da Dio, perciò Gesù è stato chiamato dal Padre “in somiglianza di carne di peccato” (Seconda Lettera di Paolo ai Corinti, 5.21). Il termine che Paolo usa per descrivere il peccato è "hamartia" tratto dal linguaggio del tiro con l’arco, e che significa “mancare il bersaglio.” Il Nuovo Testamento così insegna che noi soffriamo il dolore mentale psichico perché non riusciamo a raggiungere il traguardo morale che ci prefiggiamo “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio.” Gesù ha offerto l’espiazione di questi peccati immolandosi come un agnello, perciò solo chi ha fede può avere la liberazione.

Molti gnostici invece credevano che fosse l’ignoranza umana, e non il peccato la causa della sofferenza. In una straordinaria assonanza con le pratiche di esplorazione dell’io delle psicoterapie contemporanee, lo gnosticismo affermava che il rimedio è nella conoscenza dell’io intesa come penetrazione intuitiva dell’essenza personale. Sia lo gnosticismo che la psicoterapia affermano che, senza la conoscenza dell’io, abbiamo sempre la sensazione di essere guidati da impulsi che ci sono incomprensibili, perciò siamo incompleti ed infelici.

Valentino spiega questo concetto con un mito della Sapienza che viene esiliata nella materia e che così conobbe la sofferenza. Egli narra che la materia ebbe inizio quando Sapienza (Sophia), la Madre di ogni essere, la generò dalla propria sofferenza: “Così la terra sorse dalla sua confusione, l’acqua dal suo terrore; l’aria dal consolidarsi del suo dolore; mentre il fuoco … era inerente a tutti questi elementi … come l’ignoranza giace nascosta in queste tre sofferenze.” Il mondo materiale nasce dalla sofferenza, inizia con il pathos, che è sia la sofferenza ma anche il ricevente passivo di tale esperienza: la materità comporta sia la costrizione nella materia che la percezione della limitazione stessa.

Così i valentiniani spiegano nel Vangelo di Verità: “L’ignoranza … produsse angoscia e terrore. E l’angoscia divenne densa come nebbia, tanto che nessuno poteva vedere. Per questo motivo l’errore divenne potente.” Perciò l’uomo vive in uno stato di oblio, in uno stato d’incoscienza e, restando inconsapevole di sè soffre della sua mancanza di radici, per questo l’esistenza umana assomiglia ad un incubo. Vivendo nello spavento e nella confusione, possiamo cadere vittime di “molti inganni” perché chi resta ignorante e “creatura dell’oblio” non può fare l’esperienza della compiutezza; una persona simile “dimora nella deficienza."

“Così è per coloro che hanno allontanato da sé l’ignoranza, come un sonno cui essi non danno alcun valore. Ugualmente non danno alcun valore alle sue opere, ma le abbandonano, al pari di un sogno nella notte … E’ così che ognuno ha agito da addormentato, nel tempo della sua ignoranza, ed è così che conosce, come se si ridestasse.” E’ la psiche in sé che contiene la possibilità della sua salvezza come pure della sua distruzione. Dice il Vangelo di Tommaso: “Gesù disse: “Se esprimerete quanto avete dentro di voi, quello che avete vi salverà. Se non lo avete dentro di voi, quello che non avete vi perderà … Quelli che sanno tutto, ma sono carenti dentro, mancano di tutto.”

Questa capacità di penetrazione sorge gradualmente e richiede molto sforzo: “Conosci ciò che sta davanti al tuo viso, e ciò che è nascosto ti verrà rivelato” perché, secondo il Dialogo del Salvatore: “ Se uno non capisce com’è sorto il corpo che indossa, perirà con esso … Chi non capisce com’è venuto non capisce come andrà.” Colui che non capisce se stesso e l’universo sarà votato all’annichilimento. Quando uno gnostico si interroga sul male non vuole scoprire ciò che è cattivo, quando i valentiniani si interrogano su di esso non parlano della malvagità, si riferiscono invece al male emozionale: paura, confusione e angoscia. Secondo il Vangelo di Verità, il processo di scoperta del sé, inizia quando si fa esperienza dell’angoscia e del terrore della condizione umana, noi cerchiamo quando vaghiamo come perduti nella nebbia o quando siamo perseguitati nel sogno da incubi terrificanti.

La morte e la distruzione spingono alla ricerca gnostica perché la materialità è causa di terrore, dolore e confusione, cioè da mancanza di chiarezza sull’orientamento della nostra vita. Tutte queste esperienze hanno inizio con l’ingresso nel corpo materiale, perciò dobbiamo diffidare del corpo perché esso è un sabotatore che porta alla sofferenza. Nella filosofia gnostica, non vi è alcuna fiducia nelle forze cieche dell’universo, e l'unica risorsa è costituita dalla ricerca della risposta dentro se stessi, impegnandoci in un viaggio interiore strettamente privato.

Solo chi arriva a fare esperienza della propria natura, cioè della natura umana come “fonte del tutto,” riceverà l’illuminazione poiché nel comprendere il sé essenziale, ossia la nostra divinità interna, si viene liberati dalle sue costrizioni esterne e si celebra l’identificazione con l’essere divino. E’ enorme la grandezza dell’essere umano, esso stesso Figlio e partecipe dell’Essenza Primordiale, destinato sempre a percorrere una strada solitaria, “uno tra mille e due tra diecimila” perché nella vita disse Gesù: “Siate come passanti!”

Buona erranza
Sharatan

martedì 13 ottobre 2009

L'incredulità di Pietro


Ippolito di Roma (170-235) allievo di Ireneo di Lione, nei suoi scritti contro le eresie, descrive così la versione gnostica dell’origine dell’universo. Dal potere del Silenzio apparve “un grande potere, la Mente dell’Universo, che governa ogni cosa, ed è un maschio … l’altro potere … una grande Intelligenza … è una femmina che produce ogni cosa.” In greco la mente (nous) è maschile e l’intelligenza (epinoia) è femminile, perciò questi poteri, congiunti in unione, “sono scoperti essere ‘dualità’ … E’ Mente in Intelligenza, inseparabili l’uno dall’altra e formanti un’unità, si trovano essere due.”

Nella scritto gnostico “Grande rivelazione” citato da Ippolito, si spiega: ”Questo [potere divino] risiede in ogni cosa: è nascosto … Questo potere è uno: diviso sopra e sotto; generando se stesso, crescendo se stesso, cercando se stesso, trovando se stesso, essendo madre di se stesso, padre di se stesso, sorella di se stesso, sposa di se stesso, figlia di se stesso, madre, padre di se stesso, è l’unica radice del Tutto.” Ma non tutti gli gnostici erano d’accordo sulla radice maschile-femminile della divinità, così si ebbero varie fazioni per la difficoltà di concepire una divinità come armoniosa sintesi di yin e yang, che è comune in Oriente, ma ostica alla mentalità occidentale.

Nello gnosticismo si usa “ruah” (Spirito) che è un termine ebraico femminile perché: “[Ella è] l’immagine dell’invisibile, virginale, perfetto spirito … Divenne la Madre di ogni cosa, poiché esisteva prima di tutti, il madre-padre.” Il paradiso gnostico era narrato da Simon Mago come un grembo perchè le Scritture dicono:”Io sono Colui che ti ha formato nel seno di tua madre” (Isaia, 44,2) e perciò il Paradiso è il grembo e l’Eden è la placenta. Quando nel Vangelo di Filippo si beffa la mentalità ristretta degli ortodossi, si mostra come i maestri gnostici trovino inconcepibile come non si comprenda che la verginità della nascita di Gesù sia da interpretare come nascita dallo Spirito, una delle due potenze divine, che si fonde con il Padre del Tutto, e che non si affermi come una nascita umana da madre intatta.

La Sapienza è il primo creatore universale, essa genera tutte le creature, illumina gli esseri umani e li rende saggi, perciò gli gnostici valentiniani e marciani pregano la Madre “mistico, eterno Silenzio” come “Grazia, Colei è Prima di ogni cosa” e come “incorruttibile Sapienza.” Essi la invocano per ottenere la gnosi o conoscenza, come un testo scoperto a Nag Hammadi “Trimorfe Protennoia” ci rivela: “Io sono [Protennoia il] Pensiero che dimora nella luce … colei che esiste prima di Tutto … Io mi trasferisco in ogni creatura … Sono l’Invisibile dentro al Tutto.” Alcuni gnostici fecero loro questa concezione maschile-femminile e, almeno due circoli gnostici fecero partecipare le donne al pari degli uomini ai loro riti, anche se alla fine del 3. secolo tali usi furono cancellati dal canone ortodosso.

Valentino, poeta e maestro gnostico, dice che Dio è indescrivibile e che condivide la dualità dell’Ineffabilità e Profondità del Padre e della Grazia, del Silenzio e del Grembo della “Madre del Tutto.” Ci argomenta che il Silenzio riceve il seme della Fonte Ineffabile, da cui si emanano tutte qualità armoniose di energie maschili e femminili; perciò i valentiniani invocavano la Madre come “mistico, eterno silenzio.”

Il fervido Ireneo nota con sgomento, che molte donne sono sedotte dagli insegnamenti gnostici, soprattutto dalle predicazioni del maestro gnostico Marco che sapeva usare parole tanto seducenti da ammaliare e da convincere le donne a profetare, le faceva celebrare l’eucarestia e che le usava come preti, e come ministre della fede. Tertulliano rivela scandalizzato: “Queste donne eretiche come sono audaci! Non hanno modestia; sono così sfrontate da insegnare, impegnarsi nelle dispute, decretare esorcismi, assumersi oneri e, forse, battezzare!”

Quando gli gnostici carpocraziani inviarono a Roma la loro maestra Marcelliana ella dichiarò di essere la depositaria dell’insegnamento segreto di Maria, Salomè e Marta, discepole di Gesù. Sappiamo che i montanisti furono fondati dalle maestre Prisca e Maximilla e che, tra i valentiniani, molte donne venivano onorate come profeti, altre svolgevano il ruolo di maestre, di predicatrici viaggianti del vangelo, di guaritrici, con assumevano ruoli di preti e anche di vescovi. A partire dal 3. sec. tutte queste figure spariscono dalla chiesa ortodossa. Come potè avvenire questo, in barba all’insegnamento di Gesù?

Strana involuzione, perché Gesù combattè la consuetudine misogina del pensiero ebraico, si circondò di donne, parlò con loro in pubblico e le tenne in massima considerazione. Nel Vangelo di Filippo si dice :”Erano tre, che andavano sempre con il Signore: sua madre Maria, sua sorella, e la Maddalena che è detta sua consorte. Infatti era “Maria” sua sorella, sua madre, e sua consorte. Anche nel canonico Vangelo di Luca ci viene descritta la sorella di Marta, Maria, che si era seduta ai piedi del Signore e che ascoltava la sua parola. Ai rimproveri di Marta rispose Gesù, che Marta si affannava per troppe cose, mentre Maria aveva “scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.”

Una fonte gnostica afferma che ci fu un terzo gruppo minoritario, che si formò alla morte di Gesù, ed era costituito dal gruppo familiare del fratello Giacomo, da Maria Maddalena e da un piccolo seguito di uomini e donne che avevano ricevuto degli insegnamenti segreti. Questo gruppo usava pregare Dio con una invocazione che recitava: “Da Te, Padre, e tramite Te, Madre, i due nomi immortali, Genitori dell’essere divino, e tu, che dimori nei cieli, umanità, dal potente nome …” e alcuni gnostici, dicono di derivare dalla discepola prediletta di Gesù. Nel Vangelo di Tommaso al paragrafo 21, è riportato una conversazione tra Maria e Gesù, che rivela il rapporto di complicità e il grado di dolce intimità esistente tra loro:” Maria chiese a Gesù, “Come sono i tuoi discepoli?” Lui disse, “Sono come bambini in un terreno che non gli appartiene”.

In questa chiave si capisce meglio il fatto citato in conclusione del Vangelo di Tommaso: “Simon Pietro gli disse, ‘Lasciate che Maria se ne vada, poiché le donne non meritano la Vita.’ Gesù disse, ‘Io stesso la guiderò in modo da farla maschio, così anche lei potrà diventare uno spirito vivente somigliante a voi maschi. Poiché ogni donna che farà se stessa maschio, entrerà il Regno dei Cieli’”. Questa è una concezione androgina che in Tommaso viene spiegata descrivendo un episodio: “Gesù vide alcuni neonati che poppavano. Disse ai suoi discepoli, “Questi neonati che poppano sono come quelli che entrano nel Regno”. E loro gli dissero, “Dunque entreremo nel regno come neonati?” Gesù disse loro, “Quando farete dei due uno, e quando farete l'interno come l'esterno e l'esterno come l'interno, e il sopra come il sotto, e quando farete di uomo e donna una cosa sola, così che l'uomo non sia uomo e la donna non sia donna, quando avrete occhi al posto degli occhi, mani al posto delle mani, piedi al posto dei piedi, e figure al posto delle figure allora entrerete nel Regno”.

Quando arriva la predicazione di Paolo, essa riafferma il pensiero ebraico della subordinazione femminile alla gloria dell’uomo, fino alla Lettera ai Corinzi in cui dice: “Le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse … è sconveniente per una donna parlare in assemblea.” Così non ci stupisce sentire tali affermazioni sebbene, nello stesso periodo a Roma, in Grecia e in Asia minore le donne avessero un ruolo attivo e fattivo nei riti della Dea Madre e della dea egiziana Iside, sebbene esse potessero esercitare delle libere professioni, fossero istruite, e potessero dedicarsi alle arti e alla medicina.

In Egitto, dal sec. 1. a. C., si era giunti ad un livello elevatissimo di emancipazione femminile come pure a Roma dove, fin dal 200 a. C. si godeva di un’istruzione parificata per i due sessi e dove, nel sec. 2. d. C., la donna viveva tranquillamente la sua vita con la massima libertà. Sotto l’impero romano le donne erano libere di viaggiare, di fare affari, di condurre una vita sociale, di andare a teatro, di partecipare a manifestazioni sportive, di andare alle feste, ai concerti, di fare viaggi e uscire liberamente senza mariti. Erano impegnate nei combattimento fino a scendere nell'arena circense, partecipavano a battaglie, e praticavano varie specialità atletiche.

Le donne ebraiche vivevano invece in totale sottomissione,e tra il 2. e il 3. sec., ogni pretesa emancipazione femminile fu abolita, cioè quando si affermò la lettura ebraica e paolina della condizione femminile. Perché potè affermarsi una tale svolta? Ormai gli studiosi affermano che essa fu la prova certa, che la parte ortodossa aveva trionfato nell’accezione della classe media ebraica, quella che aveva una misoginia di lunga data. Una misoginia che viene testimoniata come esistente da sempre tra i seguaci di Gesù, come scritto nel Vangelo di Filippo dove si rivela che la più intima compagna di Gesù era Maria Maddalena:

“[Il Signore amava Maria] più degli altri discepoli e la baciava spesso sulla [bocca]. Gli altri discepoli allora gli chiesero: ‘Perché ami lei più di tutti noi?’ E il Salvatore rispose chiedendo loro:’perché non vi amo come amo lei?’” Il “Dialogo del Salvatore” rivela che Maria fu scelta assieme ad altri tre discepoli per ricevere un insegnamento segreto, e si arriva a lodarla sopra Tommaso e Levi Matteo perché “parlava come una donna che conosceva il Tutto.”

Nel Vangelo di Maria si narra che i problemi iniziarono sin dai giorni successivi alla crocefissione, quando i discepoli erano terrorizzati e allora chiesero a Maria di confortarli raccontando ciò che Gesù gli aveva rivelato in segreto. Lei acconsentì ed iniziò ad ammaestrarli finchè Pietro, furibondo la interruppe e urlò indignato: “Egli ha dunque parlato con una donna di nascosto da noi, non apertamente? Dobbiamo noi pure volgerci e ascoltar tutti lei, come preferita di molto a tutti noi?” Intervenne allora Levi Matteo, il pubblicano che aveva abbandonato tutto per seguire il maestro, e disse: “Pietro, tu sei sempre collerico. Ora osservo che tu tratti questa donna come trattassi dei nemici. Se il Salvatore l’ha fatta degna, chi sei tu per rifiutarla? Certamente il Salvatore la conosce molto bene. Perciò l’ha amata più di noi.”

Gli altri accettarono di ascoltarla e Pietro dovette tacere. Ma già quando Gesù era in vita, si dice nello scritto gnostico “ Pistis Sophia” che Pietro si era lamentato perchè Maria dominava la conversazione con Gesù e perchè usurpava la priorità sua e degli altri discepoli. Allora Maria confessò a Gesù di avere paura di Pietro perché era ostile a lei e alle donne, perciò lei non voleva parlare apertamente con Gesù. Nel Vangelo di Maria si narra che Gesù la rassicurò perchè chiunque è ispirato dallo Spirito è divinamente consacrato a parlare, sia esso uomo o donna. Ma contro Maria sia Pietro che Paolo si unirono e, alla fine, vinsero loro: perciò dal sec. 2., la donna divenne dominio dell’uomo per ordine consacrato di Dio. D’altro lato anche lo scritto pseudo-gnostico dell’atleta Tommaso ammoniva: “Guai a voi che amate il rapporto con la femminilità e l’immonda convivenza con essa!” facendo registrare un anomalo accordo con le idee dei cristiani ortodossi.

Ironicamente troviamo una sorprendente posizione nella versione del Padre della Chiesa Clemente di Alessandria, un ateniese convertito al cristianesimo, un cristiano ortodosso che dimostra di conoscere fin troppo bene gli scritti gnostici. Clemente descrive Dio come maschile e femminile, perchè “ai fanciulli che cercano la Parola, il seno amorevole del Padre provvede il latte.” Descrivendo la natura umana afferma che “gli uomini e le donne partecipano a parti eguali alla perfezione, e riceveranno la stessa istuzione e la stessa disciplina. Infatti il nome ‘umanità’ è comune a uomini e donne; per noi in Cristo non c’è maschio e femmina.”

Esortando le donne a praticare attivamente la fede, elenca un repertorio di donne notevoli per il loro valore, citando Giuditta, Esther, la scrittrice Arignota, la filosofa epicurea Temisto, e alcune allieve di Socrate e Platone. Alla fine non riesce a trattenere la sua ammirazione per Teano la Pitagorica che mentre insegnava in pubblico fu interrotta da un uomo che la fissò dicendole ammirato: 'Il tuo braccio è molto bello.’ A cui lei rispose: ‘Si, ma non è in pubblica mostra!'”

Ma Clemente era una vera eccezione, nato e vissuto nella cosmopolita città alessandrina, originariamente un patrizio ateniese e certamente colto e raffinato, per qualcuno forse lui stesso un iniziato allo gnosticismo, forse un eretico filognostico infiltrato. Era un irregolare troppo influenzato dai ricchi e colti circoli egiziani, troppo evoluto e raffinato per la nascente chiesa ortodossa.

Questa gli preferì la mediocrità ottusa e provinciale di Tertulliano, quella che tuona contro la donna che parla in pubblico, contro la donna che insegna, che battezza, che offre l’eucarestia, che rivendica per sé una parte in qualunque funzione maschile, per non parlare di qualunque ufficio sacerdotale. Duemila anno dopo, nel 1977, Paolo VI ha riaffermato che la donna non può diventare prete “perché nostro Signore era uomo!” così come hanno ripetuto sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI, anche loro eredi del soglio e dell’irosa incredulità di Pietro.

Buona erranza
Sharatan


venerdì 9 ottobre 2009

I difensori della Verità


Il sapere non è comprensione ma è l’illusione di avere capito, è un surrogato che viene preso in prestito da altri, mentre la comprensione è sempre un fatto personale. La comprensione nasce quando vogliamo conoscere un fatto ignoto, mentre il sapere è un fatto collettivo che riguarda l’umanità. Ciò che viene detto verità, non è null’altro se non ciò che la maggioranza ha sedimentato e definito come imprescindibile dallo schema dei valori o delle interpretazioni accettate comunemente come vere. Quando una persona si muove all’interno di questo schema viene considerata saggia, quando molte persone accettano lo stesso schema di concezioni, essi difendono quella verità. Ma è la verità assoluta o la verità che viene costruita come tale?

Nel 1945 in Alto Egitto, a Nag Hammadi, furono scoperti dei preziosi rotoli in papiro che costituiscono la scoperta più importante del secolo scorso sulla predicazione di Gesù. I preziosi rotoli furono in parte usati per accendere il fuoco, e in parte venduti al mercato nero delle antichità, da cui furono poi recuperati e restaurati. Nei testi ritrovati vi erano dei vangeli sconosciuti, delle rivelazioni su Cristo e sulla sua predicazione assolutamente inedite, esse si leggono nei codici ritrovati: il Vangelo di Tommaso, il Vangelo di Filippo, il Vangelo della verità, il Vangelo degli egizi, il Libro segreto di Giacomo, l’Apocalisse di Paolo, la Lettera di Pietro a Filippo e l’Apocalisse di Pietro, insieme ad altri preziosi scritti.

Tutti questi testi risultarono essere delle copie in lingua copta di testi ancora più antichi, testi attribuiti ai primi seguaci di Gesù. Quando Origene di Alessandria dichiara: “Ecclesia quattuor habet evangelia, haeresis multipla,” con questa frase ci testimonia il lungo sforzo che il cristianesimo delle origini dovette sostenere per liberarsi di tutte le idee che riteneva pericolose per la sua sopravvivenza. Sappiamo poi che il cristianesimo, all’incirca nel 2. e 3. secolo d. C., aveva già canonizzato una serie di scritture definendole veritiere, e aveva bollato delle altre dottrine cristiane come eretiche, perciò le aveva distrutte.

Ma lo stesso contenuto dei vangeli gnostici di Nag Hammadi, viene ritrovato anche in frammenti del Vangelo di Tommaso in lingua greca, ritrovati all’inizio del Novecento, perciò il professor Helmut Koester dell’università di Harvard, ha supposto che le fonti gnostiche siano ancora più antiche dei Vangeli del Nuovo Testamento, forse risalenti alla prima metà del sec. 1. d. C., perciò più vicine alle date di vita di Gesù.

Le date sono desunte anche da ciò che Ireneo di Lione diceva: “Dove è la Chiesa, là è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio là è la Chiesa e ogni grazia. E lo Spirito è verità.” Da Ireneo, che era uno dei maggiori cacciatori di eretici, e uno dei più forti ed agguerriti teologi della tradizione apostolica di quei tempi, sappiamo che la sua chiesa, che era stata impegnata nella repressione dell’eresia gnostica, ne era uscita vincente.

A Ireneo, che era nativo di Smirne in Turchia, e che era nato in una città commerciale e cosmopolita, la conoscenza delle filosofie più disparate non difettava. Era cresciuto in una famiglia cristiana benestante, aveva ricevuto alla scuola di Policarpo vescovo di Smirne la sua prima formazione, ed era stata una buona formazione religiosa, filosofica e teologica.

L’influenza di Policarpo fu determinante perché era stato discepolo dell'evangelista Giovanni, perchè godeva di grosso carisma, e i giovanniti erano in lotta feroce contro le teorie eretiche degli gnostici perciò formavano dei proseliti zelanti. Ireneo divenne un seguace solerte e fedele e, con vigoria, continuò l’opera del suo maestro e del maestro del suo maestro,fino a comporre la prima sintesi dei principi della dottrina cristiana, in cui inserì la sua "invenzione:” il concetto di successione della tradizione apostolica, attribuendo l’investitura divina di tale Verità alla sua chiesa, perchè maggioritaria.

Egli così scrive: “A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità, è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata. La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della tradizione è unica e la stessa."

E nel 2. sec. d. C., nella raffinata città di Alessandria d’Egitto, erano molto diffusi dei pericolosi testi gnostici in cui, non solo si affermava il messaggio di una conoscenza (gnosi) collegata all'auto perfezionamento spirituale, ma anche una carità fraterna rivolta ad aiutare gli altri tramite la conoscenza che viene acquisita. Il simbolo di questa dedizione ai fratelli era il bacio gnostico, che non era solo un segno di affetto fraterno, ma era anche il mezzo tramite il quale si trasmetteva la propria conoscenza: chi amava fecondava e generava un altro fratello.

Conoscere se stessi al livello più profondo, è allo stesso tempo conoscere Dio: questo è il segreto della gnosi. Dice il maestro gnostico Monoimo: “Abbandona la ricerca di Dio e la creazione e le altre questioni dello stesso genere. Cercalo prendendo te stesso come punto di partenza. Impara chi è dentro di te a rendere ogni cosa sua propria e a dire:”Mio Dio, mia mente, mio pensiero, mia anima, mio corpo”. Conosci le fonti del dolore, della gioia, dell’amore, dell’odio … Se indaghi attentamente queste questioni lo troverai in te stesso.”

Gli autori gnostici credono in questo Dio “sconvolgente” rivelato dalla predicazione di Gesù il Vivente, che viene come guida ad aprirci la porta della comprensione spirituale e che, quando il discepolo ha raggiunto l’Illuminazione, smette di essere il suo maestro spirituale. Questo non è più necessario perché essi sono diventati identici. Nello gnostico Vangelo di Tommaso leggiamo: “Gesù disse, non sono più tuo maestro, perché tu sei ebbro: ti sei inebriato alla copiosa sorgente che è emanata da me … Chi berrà dalla mia bocca diventerà come me, nello stesso modo che io diventerò come lui, e tutte le cose nascoste gli saranno rivelate.”

Un Dio così non prevede alcun tipo di gerarchia religiosa tanto che, e non casualmente, lo studioso Edward Conze esperto di buddismo, ha potuto stabilire che “i buddisti erano in contatto con i cristiani di Tommaso (cioè cristiani che usavano il suo Vangelo) nell’India meridionale.” Certamente le vie commerciali che passavano attraverso l’Asia Minore erano la via di diffusione più probabile per le idee, ed erano occasione di scambi culturali intensissimi. Ipotizzare che la tradizione orientale possa avere influenzato lo gnosticismo, secondo Elaine Pagels, docente statunitense insegnante di Storia del Cristianesimo nella Princeton University e studiosa dei documenti di Nag Hammadi, appare perciò plausibile.

Nel Vangelo di Filippo si dice: “Il Logos che esce di lì; sarebbe stato nutrito dalla bocca e sarebbe diventato perfetto. I perfetti per mezzo di un bacio sono concepiti e nascono. Per questo noi stessi siamo spinti a baciarci reciprocamente; noi riceviamo concepimento dalla grazia che è in noi, reciprocamente.” Questo valore del bacio iniziatico, ci fa comprendere molto profondamente la frase di Gesù testimoniata dal Vangelo di Luca: “Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: "Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?”

Ricordiamo che nel 50 d. C., era avvenuto il Concilio di Gerusalemme in cui si erano riunite le cosidette “colonne della chiesa cristiana,” cioè i gerosolimitani seguaci di Giacomo il Minore “fratello del Signore,” i giudeo-cristiani circoncisi seguaci di Pietro, ed il gruppo dei gentili convertiti seguaci dell’apostolo Paolo. Fin dall'inizio era emersa una forte ostilità tra Pietro e Paolo di Tarso, su cui Giacomo il Minore, fratello ed erede dell’autorità di Gesù, aveva cercato di esercitare la sua azione moderatrice.

Dagli Atti degli apostoli sappiamo come concluse Giacomo: “Abbiamo perciò deciso tutti d'accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi queste stesse cose a voce. Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete quindi cosa buona a guardarvi da queste cose. State bene.”

Se la moderazione di Giacomo riesce a salvare l’unità separando i contendenti, in realtà rimanda una resa dei conti che si sarebbe conclusa nel corso del sec. 2. d.C., quando i cristiani gnostici furono eliminati dai cristiani ortodossi, quando dei cristiani condannarono altri cristiani come eretici. Quasi tutto quello che sappiamo sulle idee epurate proviene dalle parole dei loro nemici: i testi di Nag Hammadi, come pure i manoscritti del Mar Morto, come il Libro di Enoch in lingua etiope, fanno sentire la voce degli sconfitti, soffocata dall'oblio dei secoli.

Da Ireneo apprendiamo dell’eresia del Vangelo della Verità. Nei testi rinvenuti a Nag Hammadi, leggiamo l'eresia: “Per mezzo dell’unità ognuno ritroverà se stesso. Per mezzo della gnosi ciascuno purificherà se stesso dalla diversità all’unità, consumando la materia dentro se stesso come un fuoco: le tenebre per mezzo della luce, la morte per mezzo della vita. Così è per coloro che hanno allontanato da sé l’ignoranza, come un sonno cui essi non danno alcun valore … E’ così che ognuno ha agito, da addormentato, nel tempo della sua ignoranza, ed è così che conosce, come se si ridestasse. Felice è l’uomo che torna in sé e si ridesta, e beato chi ha aperto gli occhi dei ciechi!”

Nel Vangelo della Verità, usato dai valentiniani - seguaci del filosofo Valentino(135-165) - scomunicati e perseguitati nello stesso periodo, si legge: “Parlate dunque dal vostro cuore, perché siete voi questo giorno perfetto e in voi dimora la luce che non ha fine. Parlate della verità a quelli che la cercano e della conoscenza a quelli che nel loro errore hanno peccato. Consolidate il piede di coloro che hanno incespicato e imponete le vostre mani ai malati. Nutrite gli affamati e date pace ai sofferenti ... Rialzate coloro che vogliono levarsi e ridestate coloro che dormono. Voi siete la saggezza che viene brandita. Se la potenza si comporta in questo modo, essa diviene ancora più potente. Abbiate cura di voi stessi. Non vi preoccupate di ciò che resta, che avete gettato via: non fate ritorno a ciò che avete vomitato per riprenderlo ... Non consolidate i vostri ostacoli: essi crollano perché sono macerie ... Voi dunque fate la volontà del Padre: gli appartenete. Il Padre è amorevole e ciò che procede dalla sua volontà è buono. Egli ha conosciuto ciò che è vostro, affinchè là troviate la vostra Quiete. Dai frutti si conosce ciò che vi appartiene.

I Figli del Padre, sono essi la sua fragranza, perché sono emanati dalla grazia dell’espressione del suo volto. Per questo motivo il Padre si compiace della propria fragranza e la manifesta in ogni luogo. Se essa si mescola con la materia, Egli affida la propria fragranza alla luce e la fa sollevare nel suo Silenzio, al di sopra di ogni forma e di ogni rumore ... Perché non sono le orecchie che fiutano l’odore, ma è lo Spirito che può odorarlo, e lo attira in se stesso e lo immerge nella fragranza del Padre. Lo riconduce dunque in porto, lo riporta al luogo di dove è uscito, alla nostra fragranza originale, che ora è fredda. Se lo Spirito l’attira, essa diviene calda. Gli odori freddi provengono dunque dalla separazione … Abolita la separazione, essa ha portato la calda pienezza dell’amore, perché non esista più il freddo, ma l’unità del pensiero perfetto.

E questi è il Padre: colui dal quale è uscito l’inizio e al quale ritorneranno tutti quelli che sono usciti da Lui, perché essi sono stati manifestati per la gloria e la gioia del suo nome ... Ma io là dimorerò e dedicherò me stesso, in ogni momento, al Padre del Tutto e ai veri fratelli, sui quali si riversa l’amore di Lui e in mezzo ai quali nulla di Lui fa difetto ... perché Egli è buono e i suoi figli sono perfetti e degni del suo nome. Sono proprio figli di questo genere che Egli, il Padre, ama.”

Molti sono i ministri della parola, afferma la nascente chiesa, ma non tutti sono degni di essere considerati tali, non tutti sono autentici e portatori di verità, così la Chiesa maggioritaria di Ireneo la fece di sua esclusiva pertinenza. D’altro lato i testi che gridavano cose diverse furono ferocemente distrutti, come pure furono condannati gli dei, i templi e i testi delle religioni pagane: tutti furono condannati alla maledizione del silenzio. Dichiara Ireneo: “Lo faccio affinchè ... possiate stimolare tutti coloro con cui siete in rapporto a sfuggire un simile abisso di follia e bestemmia contro Cristo. ” E se lo dice lui, come poterlo confutare, visto che la sua Verità è così ferocemente certificata?

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 7 ottobre 2009

Fuggire dalla giungla


Fortunato è il leone che verrà mangiato dall'umano,
perché il leone diventerà umano.
E disgraziato è l'umano che verrà mangiato dal leone,
poiché il leone diventerà comunque umano.
(Vangelo di Tommaso, 6)


L’uomo è alla continua ricerca di un senso perché egli non ha una natura definita come gli oggetti, ma è lui stesso che deve scoprire il suo significato. La ricerca della verità è perciò una ricerca eterna che ha inizio ma non ha una fine, e se crediamo alla reincarnazione forse inseguiamo la verità da secoli. L’uomo è un divenire per poter essere, ma per poter essere bisogna essere padroni e non schiavi.

Georges Ivanovič Gurdjieff, il grande mistico armeno, diceva che l’uomo è come una carrozza, in cui il conducente è ubriaco e il padrone dorme profondamente, perciò nessuno conduce i quattro cavalli che trainano la carrozza e che la sballottano ovunque, tirando ognuno da una parte diversa. Chiunque può prendere il comando del veicolo, perché il cocchiere è ubriaco e il padrone dorme profondamente.

Questa è la rappresentazione della vita vissuta con il centro più intimo addormentato profondamente, con la consapevolezza che dovrebbe essere la padrona, e che è invece ubriaca. I desideri e le emozioni che sono rappresentate dai cavalli fanno procedere la vettura sbattendola contro rocce e alberi, si viaggia nell’oscurità profonda facendoci del male: una vita di questo genere diventa un incubo e non una celebrazione. Osho descrive i livelli di crescente consapevolezza, elencando i quattro stadi evolutivi della consapevolezza umana.

Il primo stadio è quello della giungla che è lo stato del sonno profondo in cui vivono la maggioranza delle persone. La ricerca esiste ma è inconscia, non intenzionale, e si procede a tentoni in modo casuale. A volte giunge un barlume, ma dura poco e non si fissa nella memoria, perché se non si cerca una cosa non si può vederla. Le persone agiscono come se fossero addormentate e la vita scorre in modo meccanico; così viviamo in balia degli assalti dei desideri e delle emozioni, così viviamo come macchine comandata da pulsanti.

Questo è lo stato che Jung chiama dell’inconscio collettivo, e che Freud chiama dell’inconscio psichico, ed è lo stato più basso di consapevolezza. A questo stato nessuna ricerca è possibile, perché non siamo padroni della nostra vita ma restiamo in balia degli eventi e delle emozioni. Nello stato della giungla l’uomo è una folla perché in lui vivono molte persone scollegate e frammentarie, egli non è un’anima integra.

Gurdjieff credeva che l’uomo non nascesse con un’anima, ma con molti io che devono fondersi per creare l’unità, solo quando questo avviene allora abbiamo un’anima o meglio, diventiamo un’anima. Alla gente della giungla non interessano le domande, essa vuole solo risposte, perciò accetta qualsiasi risposta che gli offra sicurezza, perché per fare delle domande bisogna soffrire e sapere accettare un pericoloso viaggio dentro noi stessi.

Le persone della giungla sono molto istruite, si proclamano sapienti ed eruditi, ma viaggiano in luoghi fitti e oscuri in cui spingono anche coloro che incontrano sul loro canmmino: osservano religioni formali e ortodosse e si aggrappano a credenze accettate. Essi non accettano coloro che fanno troppo domande perché creano dubbi e problemi, infatti non desiderano essere scossi, e vogliono continuare a vivere nel loro mondo sicuro di ideologie certe e di formalità accettate.

Il secondo stadio è quello della foresta, che è molto simile alla giungla, solo che la foresta possiede dei sentieri che si possono percorrere. Se la giungla era il sonno, la foresta è il sogno per cui si può tentare una ricerca, l’importante è iniziare a muoversi, anche se dovesse costare degli errori, perché la vita comporta dei tentativi che possono essere anche infruttuosi e fallaci.

Forse il problema è quello di vedere troppe vie, e di non riuscire a riportare l’ordine, perciò si può avvertire il caos, e per accettare il caos bisogna essere un po’ folle, un po’ anticonformista. Se siamo nella foresta siamo disposti a rischiare, e vogliamo cercare un maestro, perché la strada è lunga ma il ricercatore non vuole delle risposte confezionate, ma è confuso dall’esistenza di troppe risposte.

Al terzo stadio abbiamo il giardino che è lo stato del risveglio, in cui siamo consapevoli e vediamo il giorno. Se siamo qui, facciamo a meno di maestri e di guru perché vogliamo un vero Maestro. Con lui vogliamo un contatto personale, perché non siamo interessati ai suoi insegnamenti ma alla sua presenza, infatti solo guardando profondamente dentro un essere possiamo vederne la sua essenza reale. Siamo disposti a disimparare quello che sappiamo e disporsi ad accogliere il messaggio dell’altro.

Trovare un Maestro vuol dire trovare un punto e un accesso al divino, ma dobbiamo sentire che quello che è giunto a noi è un buon maestro, poiché un maestro ci aiuta solo se ci si adatta. Se non fosse tale dobbiamo allontanarci perché non potrebbe esserci di aiuto. Il Maestro non darà tutte le risposte ma toglierà tutto, lasciando l’allievo nudo, limpido e innocente, privo di ogni risposta esterna. Quando le domande non sono fornite dall’esterno, siamo costretti a ricadere all’interno di noi, e la domanda ci si rivolge contro, dritta al centro del cuore, acuta e veloce come una freccia.

Infine siamo allo stadio della casa, che gli indù chiamano turiya, cioè il quarto stato. Quando sei al quarto stato sei arrivato, sei giunto al centro del tuo essere e hai sollevato il velo che impediva lo sguardo. La verità che hai visto non ha bisogno di parole e non si comunica con le parole, può essere solo conosciuta.

Solo l’esperienza può rivelare la verità, solo la manifestazione può essere percepita. Se hai visto ma vorresti condividere, sappi che questo è impossibile, perché l’esperienza è solo tua e non è comunicabile. Nessuno può vedere con gli occhi dell’altro, nessuno può sentire con il cuore dell’altro perché trovi solo se cerchi in prima persona. Su cosa cercare e su come cercare facciamocelo dire dal Grande Maestro.

Nel Vangelo di Tommaso, il manoscritto copto scoperto nel 1945, a Nag Hammadi in Egitto, Gesù spiega: “Coloro che cercano cerchino finché troveranno. Quando troveranno, resteranno turbati. Quando saranno turbati si stupiranno, e regneranno su tutto.” Gesù insegna che, se non cerchiamo la luce interiore che illumina tutto l’universo resteremo immersi nell’oscurità interiore ed esteriore.

“Chi berrà dalla mia bocca diventerà come me; io stesso diventerò quella persona, e tutte le cose nascoste gli si riveleranno.” Nel testo Gesù dice: “Poiché sei il mio gemello e il mio vero compagno, esamina te stesso e scopri chi sei … Poiché sarai chiamato mio gemello … sarai chiamato ‘colui che conosce se stesso’. Perché chi non conosce se stesso non conosce nulla, ma chi conosce se stesso conosce simultaneamente la profondità di tutte le cose.”

Al versetto 50 aggiunge: “Se vi chiedono ‘Da dove venite?’ dite loro ‘Veniamo dalla luce, dal luogo dove la luce si autogenerò , si innalzò e si manifestò nella loro immagine. ‘Se vi chiedono ‘Chi siete voi?’ rispondete ‘Siamo i suoi figli, e siamo gli eletti del Padre vivente.” Gesù ci insegna che per scoprire chi siamo dobbiamo solo ritornare a casa.

Buona erranza
Sharatan

domenica 4 ottobre 2009

Apri le tue ali …


"Apri le tue ali, non c’è nulla di cui avere paura, niente da perdere.
Sii semplicemente aperto al sole, alle stelle …
forse il mio vivere a queste altezze sublimi può essere contagioso.
Qui ci sono le mie ali, puoi usarle …"
(Osho)

Non esiste gioco più pericoloso e rischioso della ricerca spirituale. Tutte le scommesse sono contraddistinte da risultati opposti: puoi vincere oppure puoi perdere, ma in queste scommesse metti in palio solo una posta esteriore, mai te stesso. Nella ricerca spirituale si mette in palio noi stessi e la nostra mente, e non esiste posta più elevata.

Per arrivare al cuore del nostro essere dobbiamo avere il coraggio di fare questa scelta che costituisce un’assunzione di responsabilità piena e totale. Ma tutto dipende da noi stessi. Che bisogno abbiamo di fare tutto questo? Se siamo soddisfatti della condizione in cui ci troviamo, e se non ci manca nulla, perché cercare i fastidi di trovare un maestro, di diventare un discepolo e di inseguire i segreti dell’esistenza? Ma se ci sentiamo vuoti ed angosciati, se siamo confusi, se siamo vittime dell’oscurità, e se il modo in cui viviamo la nostra vita ci appare insoddisfacente, allora vale la pena di mettersi alla ricerca di qualcosa che ci possa appagare. Quando siamo pieni di interrogativi, allora cerchiamo un maestro perché ci offra una risposta.

Se una pietra viene posta sul nostro cammino, il riuscire a scavalcarla piuttosto che cadere rovinosamente a causa sua dipende da noi, e se uno stesso elemento diventa per una persona un’ostacolo fatale, mentre per un’altra una preziosa opportunità per imparare a guardare avanti, questo dipende solo dalla nostra persona, dipende da noi. Perciò di quello che ci avviene dobbiamo assumerci piena e assoluta responsabilità, e questa assunzione di responsabilità è il primo passo per essere liberi perché, seppure l’ostacolo sia sempre lo stesso, l’uso che se ne può fare è del tutto opposto. Libertà e responsabilità vanno sempre di pari passo, invece se scarichiamo sempre le nostre responsabilità sugli altri perdiamo l’occasione di essere liberi e siamo condannati a restare schiavi.

Se siamo responsabili della nostra vita, lo siamo sia della nostra felicità che della nostra infelicità, come pure siamo responsabili del nostro restare addormentati come pure di scegliere di risvegliarci, e se si accettiamo un gioco così grande, dimostriamo di avere una tempra eccezionale. Un buon ricercatore spirituale deve avere molto coraggio ma anche un’intelligenza acuta e flessibile.

Il mondo è stato sempre folle, e non ha senso cercare di cambiare dei pazzi, perché questo ci porterebbe sempre contrasti e conflitti. Se non ha senso cambiare dei pazzi, è invece molto più sensato cercare di cambiare noi stessi mettendosi in viaggio e rendendosi disponibili ad aiutare coloro che cercano di fare lo stesso percorso. Quindi ogni viaggio inizia da noi stessi, e se riusciamo a fare la nostra trasformazione, allora nella vita abbiamo fatto anche troppo, e se possiamo aiutare coloro che sono in viaggio sullo stesso sentiero, allora questo è sufficiente per alimentare la nostra compassione e per arricchire il nostro cuore.

Al nostro risveglio potremmo provare una maggiore consapevolezza che ci produce ancora più angoscia, perché ci rende evidente tutta la dualità di cui si nutre l’esistenza umana, perciò potremmo cadere in preda di angoscie e di incertezze che potrebbero paralizzare la nostra nascente sensibilità. E’ per questo motivo che molti ricercatori spirituali affermano di volere percorre una via di conoscenza ma poi rifiutano il cambiamento.

Noi pensiamo sempre facendo dei riferimenti al passato, ma quando il quadro e la situazione cambiano, dovremmo avere l’intelligenza di accettare una soluzione nuova. Se pensiamo sempre al nostro passato, se inseriamo sempre le emozioni e le reazioni che abbiamo usato in passato, lo ripeteremo sempre all’infinito e distruggeremo l’opportunità di creare qualcosa di nuovo e di originale. E’ così che avviene quando, in nome di una nostra presunta identità personale, ci stiamo invece opponendo al cambiamento.

Anche questa è una trappola dell’ego alla cui costruzione la nostra società impiega così tante risorse. Se abbiamo l’intelligenza di capire che a situazioni nuove si deve reagire in modo nuovo, allora potremo costruire una individualità di splendida maturità ed in perfetta integrità. Tutto ciò è molto meglio della coltivazione di una individualità vecchia, artritica e fittizia. Diceva Gesù: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti e tu, che sei vivo, seguimi!” Secondo il maestro Omraam Mickael Aïvanhov, i morti di cui parlava Gesù sono gli esseri che non hanno nessuna vita spirituale, come pure tutto ciò che in noi frena l’avanzamento spirituale.

Se l’ego ci tiene avvinti a sé con il timore del fallimento, con il crollo del mito della nostra invincibilità, allora valutiamo che non bisogna avere paura di fare degli errori, perché in una situazione nuova ed inconsueta un margine di errore lo dobbiamo accettare perché è umano e comprensibile. Non è un dramma ma è un rischio minimo ed accettabile, perché tutti gli errori sono ammessi quando stiamo imparando a fare una cosa che non sappiamo fare.

Solo quando un ricercatore spirituale ha un ego molto forte è in grado di abbandonarlo, per una strana paradossalità che è spiegata da Osho. Lui dice che se chiediamo ad un mendicante di lasciare tutti i suoi beni, egli sarà felice di farlo perhè non possiede nulla. Ma che rinuncia è quella di colui che non rinuncia a nulla? Se abbiamo invece molto, come nel caso dell’ego forte e potente, allora sarà facile che questo sia tanto potente e cristallizzato che sarà più facile abbandonarlo completamente. Un ego molto potente non si smonta per gradi: o lo abbandoni o lo tieni e lo servi, non ci sono alternative.

Per questo si capisce il paradosso che solo un ego potente può essere abbandonato in modo totale infatti, per arrendersi alla ricerca è necessario avere un ego autentico. Perciò Osho dice che la migliore educazione è quella che crea degli ego solidissimi e dalla massima cristallizzazione possibile, poiché essi produrranno una tale massa di sofferenza che saremo costretti ad abbandonarli. Perciò, ancor prima che un guru, è necessario piuttosto il coltivare questa attitudine ad abbandonarsi e la disponibilità ad arrendersi; se questo riesce difficile ed impegnativo, dovremmo pensare che ciò mostra che il ricercatore ha un ego di qualità.

Questo ego è costituito da un avversario di tale valore e serietà da non arrendersi ai primi colpi e alle prime scaramucce, abbiamo in campo un avversario forte e determinato che non si arrende senza combattere. Se invece possediamo un ego che è fragile ed infingardo, allora esso userà ogni mezzo per ingannarci, fingerà di essersi arreso ma continuerà a lavorare in silenzio e nell’ombra, pericoloso come un consigliere infedele e traditore. Penseremo di essere liberi ma saremo ancora manovrati, ogni cosa che sceglieremo sarà sbagliata perché la mente che sceglie è quella vecchia e sbagliata che ci ha causato la passata sofferenza.

Ecco perché dobbiamo essere felici di far scomparire il nostro ego falso e superficiale che si nutre delle nostre paure e delle nostre incertezze, e dovremmo essere felici di fare spazio al nostro Maestro interiore. Il nostro Maestro interiore è un divino guaritore, è un essere libertario e un grande amante e arriva per farci sapere che dobbiamo seguire solo noi stessi, che non abbiamo bisogno di alcuna guida e che la sua guida interiore è sufficiente per percorrere la via. Ma se non togliamo di mezzo la vecchia struttura, come possiamo costruire cose nuove?

Maharaj diceva: “Il più grande guru è il vostro sè interiore. E' questo veramente il supremo maestro, il solo che può portarci alla meta e il solo che incontrerete alla fine della strada. Abbiate fiducia in lui, e non avrete bisogno di nessun altro guru esterno. Ma, ripeto, il desiderio di trovarlo deve essere molto forte, e non dovete fare nulla che possa creare ostacoli e indugi. Non sarete mai privi del guru, perchè egli è sempre presente nel vostro cuore. Quello che egli vuole da voi è semplicemente la consapevolezza di sè, il controllo di sè e l'abbandono di sè. Può sembrare difficile, ma è facile se siete ferventi; se non siete ferventi è impossibile. Tutto cede al fervore. Quel vero guru non vi umilierà mai, nè vi allontanerà mai da voi stessi; vi farà continuamente notare la vostra insita perfezione e vi incoraggerà a cercare dentro di voi.”

Buona erranza
Sharatan


venerdì 2 ottobre 2009

Gli adoratori di carogne


In una piovosa serata, Salem Effandy Daybis sedeva annoiato nel suo studio. Andò alla libreria, prese un bel volume antico e lo iniziò a sfogliare mentre aspirava delle boccate di fumo dalla sua sigaretta turca. Dopo aver letto sulla conoscenza del sé di Socrate, testimoniata dallo scritto di Platone, si sentì preso da un’enorme trasporto per quella saggezza.

Balzò dalla poltrona in cui si era sprofondato a leggere ed esclamò: “Ah, conosci te stesso! Filosofie meravigliose sia quelle d’Oriente che di Occidente! Occorre veramente che anche io conosca la parte segreta del mio cuore. Solo così perderò ogni dubbio ed ogni incertezza. E’ il mio dovere trovare l’essere ideale che si nasconde dietro al mio essere apparente e svelare tutti i segreti della mia natura sensibile e della mia essenza intelligibile.”

Entusiasmato da questo ardore che era insolito per la sua natura, i suoi occhi brillavano animati dalla bramosia della conoscenza. Andò dunque nella stanza vicina e si pose davanti ad uno specchio dove rimase per una buona mezz’ora a guardarsi e rimirarsi, come se la stessa Conoscenza Suprema fosse giunta ad inondarlo con i suoi segreti meravigliosi ed imperscrutabili. Fissava la sua immagine riflessa e ne andava ad analizzare la forma del corpo, del capo, del viso e della membra, cercando di scrutarne ogni dettaglio. Si guardava con attenzione e, alla fine, con una calma suprema iniziò a dire:

”Certo sono basso di statura, ma come Napoleone e Victor Hugo. Ho la fronte stretta e sfuggente, ma l’avevano così anche Socrate e Spinoza. Sono calvo come Shakespeare e il mio naso è lungo e ricurvo, come quelli di Voltaire e di George Wshington. Ho gli occhi incavati come l’apostolo Paolo e come Nietzsche, le labbra carnose come Luigi XIV, e il collo robusto del tutto uguale a quello di Annibale e di Marco Aurelio.” Continuò ancora ad osservarsi e infine aggiunse:

“Certo le mie lunghe orecchie starebbero a meraviglia accompagnate ad un muso da animale, ma anche Cervantes le aveva identiche alle mie. Nei miei lineamenti sporgenti e nelle guance scavate vedo la fisionomia di La Fayette e di Abramo Lincoln, ed il mento sfuggente è come quello di William Pitt e di Goldsmith. Se guardo poi le mie spalle asimmetriche vedo il corpo di Gambetta, mentre le mani dalle palme tozze e dalle dita corte hanno un’incredibile somiglianza con quelle di Eddington.

Dal mio corpo macilento s’intuisce una caratteristiche tipica dei grandi intellettuali e pensatori. Strano che non debba mettermi a leggere e scrivere con una cuccuma di caffè dolce e caldo al mio fianco, perché solo così lavorava Balzac. Soprattutto amo la compagnia del volgo e dei mercati per la mia incredibile assonanza con Tolstoj. A volte resto anche per 3 o 4 giorni senza lavarmi neppure le mani, come si dice facessero Beethoven e Walt Whitman.

Non è strano che io passi il mio tempo ad ascoltare i pettegolezzi delle donne sul loro comportamento quando sono assenti i mariti, perché è esattamenete quello che faceva Boccaccio. Il mio amore per il vino supera quello che avevano Marlowe, Abu Nuwas, Noè e lo stesso Omar Khayyam. Poi sono ghiotto almeno quanto Alessandro Magno.”

Finito di parlare Salem Effandy si toccò la fronte con le dita spoche e continuò: “Questo sono io. Possiedo tutte le qualità dei grandi uomini del corso della storia, e come loro sono destinato a grandi cose. Un giovane come me avrà enormi realizzazioni. L’essenza della salvezza è questa conoscenza di sé. Da adesso in avanti inizierò la Grande Opera a cui sono chiamato dal Disegno Divino, perché ha seminato nell’intimo del mio cuore degli elementi così chiari ed inequivocabili. Nelle mie fattezze sono tracciati i tratti immortali che vanno da Noè a Socrate, passando per Cervantes, Shakespeare, Omar Khayyam fino ad Abramo Lincoln.

Devo decidere da quali gesta iniziare, perché un uomo che unisce tali grandi qualità mistiche e poetiche, senza dubbio manifesta tutte le divine prerogative plasmate fin dalla notte dei tempi. Sono certamente capace di fare grandi cose perché ho conosciuto me stesso e anche la Divinità mi ha riconosciuto. Lunga vita alla mia anima e anche lunga vita a me che la ospito, così che l’universo duri in eterno mentre io mi manifesto.”

Pieno di frenetico orgasmo, Salem Effandy prese a percorrere la stanza misurandola a lunghi passi, con il brutto volto rugoso radioso di gioia, mentre con la sua voce acuta che assomigliava al miagolìo di un gatto, stridente come uno scricchiolio di ossa, iniziò a declamare una poesia del Lucrezio arabo, di Abi Al-Ala’ Al Ma’arri. Con enfasi intonò: “Benchè io sia l’ultimo di quest’epoca, porterò a compimento ciò che i padri fondatori non poterono.”

Dopo avere declamato la strofa, Salem Effandy si lasciò cadere nella poltrona per meditare la profondità di quei versi, e restò in silenzio avvolto nelle sue vesti trasandate e gualcite. Ben presto però cadde in un torpore profondo, conciliato dal cadere lento della pioviggine, e la casa risuonò a lungo del suo solenne russare, forte e sgradevole come lo stridere di una vecchia macina da mulino. Questo aforisma spirituale di Kahlil Gibran descrive i presuntuosi che, per glorificare se stessi, negano ogni evidenza e ogni verità. Egli scrive: “Sono strani individui gli adoratori di se stessi: adorano infatti una carogna.”

Buona erranza
Sharatan