mercoledì 31 dicembre 2014

Al passaggio dell’anno



“Noi uomini siamo dunque esseri stranamente contraddittori.”
(Rudolf Steiner)

È normale, l’ultimo giorno dell’anno e prima che inizi l’anno nuovo fare la ricognizione dei mesi trascorsi per capire le cose nuove che l’anno ha dato. E quando si guarda ai mesi trascorsi non si pensa solo alla nostra condizione, ma si valuta anche quello che è avvenuto agli altri e all'umanità tutta. Soprattutto se vogliamo sviluppare uno sguardo acuto che sa guardare la realtà in modo spirituale. È chiaro che gli eventi drammatici del periodo natalizio fanno riflettere sulla transitorietà della vita umana, e sul mutamento di tempi e situazioni per molti. La riflessione suscita un forte senso di oppressione nell’anima della persona sensibile e tutto, per come si muove il mondo, non sembra mostrare un futuro felice.

Steiner dice che i fatti del mondo vanno guardati con lo sguardo di chi viaggia in treno. Al viaggiatore sembra che il paesaggio che scorre dal finestrino gli vada incontro, mentre è lui che si muove mentre il paesaggio è fermo. Solo con l’abitudine si perde l’illusione che sia il paesaggio, e non lui che è nel treno a muoversi. Il viaggiatore si inganna sia sulla stabilità che sul movimento di ciò che vede fuori da sé stesso. L’uomo passa attraverso gli fatti del mondo restando chiuso nel suo veicolo fisico-eterico, e poi penetra nella trama spirituale del mondo. Osserva il mondo partendo dal punto di vista del veicolo in cui è rinchiuso, perciò le sue osservazioni vengono falsate da un errore di prospettiva.

Noi vediamo il mondo in modo sbagliato, però correggere la distorsione di visuale non è facile. Se guardiamo l’anno che finisce riflettiamo sul motivo per cui siamo sempre in preda di due tipi di illusioni, soprattutto la notte di s. Silvestro. Siamo in due illusioni perché, nella coscienza ordinaria, non abbiamo idea della nostra relazione con il mondo esterno, soprattutto per quello che riguarda alcuni aspetti. Il mondo esterno non è solo una serie di cose che sono ordinate nello spazio, ma è anche una serie di fatti. I nostri sensi vedono quello che avviene all’esterno, perciò vedono sia i fatti della natura che gli eventi che riguardano gli umani.

Il mondo scorre in un continuo divenire su cui non riflettiamo mai, e questi processi avvengono con una certa velocità. Se rivolgiamo lo sguardo verso il nostro interno vediamo anche i nostri processi inconsci e quelli coscienti. Noi uomini siamo inseriti nel mondo non come degli esseri spaziali finiti, dice Steiner, ma siamo inseriti in continui processi e viviamo nel continuo divenire. Questi processi hanno una certa velocità ma, se valutiamo la velocità dei processi del mondo e la paragoniamo con la velocità del nostro divenire, vediamo che esiste una differenza.

Se confrontiamo il divenire generale e il fluire della nostra vita notiamo che noi procediamo nella corrente del tempo con molta più lentezza rispetto agli eventi della natura. Per l’uomo è necessario molto tempo per sviluppare, infatti dalla nascita lavoriamo sette anni per elaborare il corpo fisico, e poi altri sette anni per elaborare il corpo eterico. Se osserviamo una pianta annuale vediamo che essa, in un anno, elabora tutto il suo corpo fisico. Perciò vediamo che, nel regno vegetale, si procede sette volte più veloci. Molte realtà seguono la stessa legge che regola il mondo vegetale, e cioè tutto quello che è sottoposto al corpo eterico.

Questo fatto si comprende pensando a due treni che si incrociano, ma che viaggiano a due velocità diverse. Sul treno più lento, la velocità del treno più veloce sembrerà minore. Dunque, il modo con cui appare la velocità dell’altro treno è variabile a seconda della velocità a cui viaggia il nostro treno. La velocità di cui si parla è quella in cui si svolge la nostra vita eterica. La nostra vita eterica comprende non solo i rapporti con lo spazio (come l’esempio del treno mostra) ma anche tutti i giudizi, il sentire e la nostra disposizione riguardo il mondo esterno.

Se non avessimo le due differenti velocità di sviluppo la nostra vita si troverebbe del tutto inserita negli eventi naturali. Ma il nostro corpo eterico predominerebbe e non ci potremmo più differenziare dalla natura. Ma noi ci differenziamo proprio perché abbiamo la percezione di una diversa velocità di progressione nel tempo. E se guardiamo l’anno passato, nella notte di s. Silvestro, non ci rendiamo conto che il tempo che passa ci distacca sempre più dal mondo. Con il trascorrere degli anni lasciamo sempre più inutilizzate le nostre esperienze, e impariamo sempre meno di quanto potremmo. Impariamo sempre meno e non ci arricchiamo come potremmo perché viaggiamo sette volte più lenti della natura.

Accade anche un altro fatto causato dalla differente velocità, perché la differenza ci fa vedere che il mondo è materiale. Se viaggiassimo alla stessa velocità della natura esterna non si vedrebbe la differenza tra il nostro animico-spirituale e il corso esterno della natura. Ogni cosa sarebbe indifferenziata perciò saremmo inseriti nel mondo in modo molto diverso. Il nostro sguardo retrospettivo sull’anno che è passato, secondo Steiner, viene ingannato perché la nostra velocità interna è molto inferiore a quella del mondo. Il mondo sensibile non ci offre i suoi contenuti agendo secondo la nostra volontà, e per capirlo bisogna sapersi mettere di fronte alle cose in modo diverso. I fatti si presentano come vogliono e il mondo procede con una velocità che è diversa da quella del nostro pensiero.

La nostra parte eterico-spirituale sente che l’anno trascorso è stato troppo lungo, mentre i sensi sentono che l’anno è sette volte troppo corto. Anche se non ne siamo coscienti, volontà e desideri avanzano troppo rapidamente, e questa è una delle ragioni del nostro egoismo e della nostra testardaggine. Se il nostro pensiero sapesse procedere allo stesso passo del mondo ci si potrebbe accordare più facilmente con le opinioni degli altri. Invece, gran parte del comportamento umano si basa sulla convinzione che la propria opinione sia sempre migliore di quella degli altri. E, nella maggioranza dei casi, si pensa che gli altri abbiano torto, se non ci conviene dargli ragione.

Se i nostri pensieri seguissero la velocità del mondo sarebbe semplice accordarsi tra uomini. Ma siamo legati ai sensi perciò essi ci muoviamo troppo lenti rispetto al mondo, mentre i pensieri corrono troppo veloci rispetto al mondo. Questa condizione ci offusca, perciò non capiamo che abbiamo perso il contatto con la natura e siamo sempre più materialisti. Le idee sono sbagliate com'è falsata la velocità dei due treni che s'incrociano. Le idee materialistiche esistono perché ci muoviamo sette volte più lenti o più veloci del mondo. Viviamo come quelli che, ogni giorno, vorrebbero festeggiare sempre. Molte cose sbagliate dell’uomo, dice Steiner, sono basate su queste illusioni che nessuno corregge.

Ma, alla svolta dell’anno, dobbiamo imparare a sperimentare la realtà esterna. Va saputo che tutto dipende dal modo con cui ci rapportiamo al mondo. La sua velocità dipende dal modo con cui lo percepiamo: “il mondo ci presenta l’aspetto che deve presentarci in dipendenza della nostra velocità di fronte a quella del mondo.” Nella notte di San Silvestro fa sorgere una domanda: "Come sarà l’avvenire dell’umanità se l'uomo non si aprirà maggiormente allo spirito? Oggi molti uomini sono poveri e senza prospettive, ma c'è chi dice che anche i loro nonni furono poveri e sopravvissero. Ma, allora la terra era più pulita e il futuro sembrava meno incerto.

La realtà economica è drammatica per tutti quelli che lavorano onestamente. Si lavora per sopravvivere e non per avere dei risparmi. Tutto va in rovina perché nessuno fa nessuna manutenzione, se non avviene il disastro. Non si vede nessuna rinascita di fiducia in nessun campo, mentre i corrotti sono impuniti e sentiamo dei politici che truffano con dichiarazioni false e ottuse. Forse è vero che non resta altro che emigrare, ma non possiamo scappare tutti. Ma non vogliamo vivere in miseria o lavorare sotto continui ricatti, e per pochi spiccioli. L’anno vecchio dovrebbe portarsi via questo, e l’anno che viene dovrebbe portare uno spirito nuovo e una luce spirituale che illuminerebbe con una giusta prospettiva il nostro Capodanno.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 29 dicembre 2014

Inquietudine



“È la dose che fa il veleno.”
(Paracelso)

Nei giorni che precedono la fine dell’anno ci si affretta a fare il bilancio dell’anno che si sta concludendo. Da molte analisi emerge che nelle persone aumenta sempre di più la paura del futuro, e si diffonde sempre più la sensazione di essere vulnerabili. Sebbene siamo sempre più connessi a livello virtuale, in realtà siamo sempre più sconnessi dagli altri. Ci sentiamo nudi e indifesi a cause delle incertezze, perciò aumenta l’inquietudine e la sfiducia nel futuro.

Siamo diventati come Sisifo che venne condannato dagli dei a spingere, in eterno, un enorme masso fino alla cima della montagna ma, ogni volta, il masso ricadeva in basso. Camus interpretò il mito di Sisifo come il simbolo della condizione umana che è in perpetua lotta con la sua angoscia esistenziale. Attualmente molti sentono aumentare l’angoscia, l’ansia e la preoccupazione. La preoccupazione viene definita dagli psicologi come una condizione in cui la mente viene completamente assorbita da un oggetto fino al punto di sentirsi inquieta e turbata gravemente. Le cose che possono farci preoccupare sono di vario genere, senza considerare le tendenze a preoccuparsi che hanno aspetti morbosi e patologici.

L’inquietudine riguarda la nostra incapacità di tollerare le incertezze, perché questo stato d’animo appartiene alla famiglia dell’ansia. Ci potremmo consolare pensando che l’inquietudine sia normale in tempi di grandi trasformazioni, come il nostro. Ma la consolazione sarebbe insufficiente per essere più tranquilli. L’inquietudine può essere molto sottile oppure molto intensa fino a renderci molto angosciati, stressati e tormentati. L’inquietudine è lo stato d’animo che si maschera più facilmente, infatti è uno stato d’animo che non traspare facilmente nei gesti e nel linguaggio espressivo del corpo.

Ognuno di noi può nascondere internamente un mare di inquietudini che possono diventare ingestibili alla minima occasione, o al minimo allentamento del controllo personale. L’inquietudine si può mostrare come angoscia o come ansia. Se siamo preoccupati tutto il nostro spazio mentale è già occupato dalle nostre preoccupazioni, perciò è troppo pieno. E, pur essendo molto tesi possiamo fingere di essere tranquilli, perciò nulla impedisce di mostrarsi ridenti e felici davanti agli altri, mentre la massa delle angosce interne impedisce di vivere le gioie anche della minima quotidianità.

Di solito si parla di angoscia quando gli stati d’animo diventano violenti, e quando il corpo partecipa alla sensazione del disastro che sta arrivando. L’inquietudine può invadere tutto il corpo perciò la gola diventa serrata, il petto diventa oppresso mentre il respiro diventa sempre più corto, e i muscoli si tendono e s'irrigidiscono. Prendersi cura del proprio corpo aiuta a impedire questa rigidità fisica perciò è utile per aiutare a far diminuire la sofferenza causata dall'ansia. Se impariamo ad ascoltare il corpo riusciamo a riconoscere tutte le note che sono usate dall'inquietudine.

Esistono dei marcatori dell’inquietudine, secondo gli studiosi, e agiscono con una progressione precisa che possiede vari gradi di crescita e di potenza. Nella prima fase ci sentiamo poco tranquilli anche se non c’è nulla che lo giustifica però sentiamo l’assenza della quiete interna. Nella seconda fase ci sentiamo preoccupati e nella mente sorge l'ipotesi sulla cosa che ci fa preoccupare, perciò iniziamo a rimuginarci sopra, ma ci stiamo illudendo di saper riflettere sul problema.

Nella fase successiva iniziamo ad entrare in ansia perciò anche il corpo inizia a essere coinvolto, e siamo sempre più tesi. Ecco che nasce il dubbio che non possiamo farcela perciò iniziamo a pensare agli scenari mentali più catastrofici. Nella fase finale siamo molto angosciati fino a perdere il controllo della mente e del corpo perciò vediamo quegli stati molto penosi che richiedono l'intervento dello specialista.

Gli studiosi hanno affermato che la realtà del meccanismo descritto è così perché è l’uomo che funziona con queste caratteristiche definite dalla specie. Il meccanismo dell'inquietudine dipende dalla nostra eredità filogenetica, infatti proviene dal lontano passato in cui eravamo le prede di altre specie viventi. In quei tempi c’erano degli animali che si nutrivano dei nostri simili perciò per l’uomo di quei tempi essere inquieto e sospettoso era una garanzia di sopravvivenza. Gli psicologi evoluzionisti dicono che questo è il motivo per cui gli uomini sono predisposti a sentire l'ansia. L’esemplare tranquillo non era destinato a sopravvivere troppo a lungo perciò l'inquietudine era una virtù per l’uomo di allora.

La capacità di fare anticipazioni, a livello mentale, riguardo alle difficoltà future è nata dalla necessità di intuire da quale parte veniva il pericolo. Ma, l’eccesso della capacità positiva di saper vedere un pericolo ancora lontano causò l'eccesso di anticipazione che vediamo nella tendenza a preoccuparsi. Il fenomeno di eccesso e slittamento di una prerogativa trasformò la virtù in difetto. Si stanno facendo ancora degli studi per capire il fenomeno e negli studi di neuro-imaging si usano strumenti che riescono a farci vedere quali zone del cervello vengono attivate, e si è visto che sono molte e diverse. Anche gli animali hanno questa capacità di anticipazione, ma la possiedono a breve termine perciò vedono il futuro vicino al presente. Gli uomini sono capaci di fare previsioni a lungo termine, perciò si proiettano nel futuro più lontano.

Noi abbiamo anche delle capacità metafisiche perciò viviamo ciò che gli studiosi chiamano “l'universalità della sensazione d'inquietudine ontologica.” Infatti vediamo che tutti gli esseri umani possono provare degli stati d’animo molto intensi che riguardano la percezione della propria individualità di piccoli animali che sono dispersi nello spazio infinito dell’universo. Un’altra ipotesi è quella dei filosofi che credono che noi siamo irrequieti perché viviamo come orfani nel mondo. Essi dicono che il mondo, per come lo vediamo e per come è realmente, è completamente muto. Perciò concludono che il silenzio del mondo è la causa principale dell’inquietudine umana. Per quanto si cerchi di costruire delle credenze e per quanto si cerchi di creare un significato al mondo, non c’è nulla e noi lo sentiamo.

C’è poi anche la nostra condizione di animali che sono mortali, così come lo sono tutti gli animali. Ma abbiamo anche la consapevolezza di esserlo che non esiste negli altri animali. Perciò, tra le nostre qualità, c’è anche la coscienza riflessiva, per cui possiamo capire la differenza che esiste tra avere un problema e immaginare di averlo. Perciò vediamo anche degli esseri in cui la tensione di tutto l'essere può diventare anche troppo dolorosa. Questo continuo movimento ansioso, in cui accade che le preoccupazioni vengono e vanno è chiamato “flip-flap delle preoccupazioni.” Quando accade questo meccanismo, nasce il desiderio di fuggire e allontanare la mente da quello che ci fa paura.

Allora dobbiamo cambiare il tema su cui la mente sta lavorando, perciò cerchiamo delle distrazioni per sfuggire all’ansia crescente. Ma la nostra fuga non risolve il problema, perché sappiamo che abbiamo lasciato qualcosa d'irrisolto, perciò l'andirivieni ci consuma e non ci aiuta. Ma perché non impariamo mai nulla? Perché facciamo sempre i medesimi errori? Le risposte potrebbero essere tante ma, in fondo, sentire inquietudine è come aderire ad una fede. L’inquietudine si capisce meglio se comprendiamo l'ideologia su cui si basa. Gli ansiosi hanno una fede che è basata su tre assiomi:

1) il mondo è pieno di pericoli e di insidie
2) io sono un essere fragile e anche quelli che amo lo sono
3) se voglio sopravvivere devo adottare precauzioni, sennò sono un incosciente.

La percezione ansiosa vede il mondo come un posto molto pericoloso, perciò la mente ansiosa vuole evitare il minimo rischio. Certamente questa visione possiede una parte di verità, ma non è una teoria del tutto vera. Se vogliamo aumentare la qualità della vita è necessario saper fare dei distinguo perciò è necessario capire che:

1) il mondo è pericoloso, ma soprattutto in certi posti e in certi momenti, perché altri contesti sono sicuri
2) è vero che siamo fragili ma questo non significa vivere chiusi sotto una campana di vetro
3) stare attenti è utile, ma non possiamo avere l'ossessione della sopravvivenza altrimenti dovremmo vivere fuori dal mondo.

L’inquietudine è la mancanza di pace e continua perché noi stessi la coltiviamo e finché siamo chiusi nelle nostre introspezioni, e soprattutto quando siamo chiusi nella gabbia dell’iperprotezione. Quando siamo ansiosi o tristi siamo meravigliati oppure infastiditi dalle persone allegre e ottimiste. Le vediamo come persone a cui manca qualcosa, persone poco sveglie a cui manca l’intelligenza e la lucidità mentale. Non sappiamo vederle come persone che hanno saputo costruire una propensione mentale a essere felici. Crediamo che hanno avuto solo la fortuna di non incontrare mai nessuna contrarietà tanto forte da saper eliminare la loro fiducia nella vita.

Pensiamo che la vita li ha favoriti o che sono troppo ottusi perciò vivono come struzzi. Se siamo inquieti siamo assorbiti da un complesso di superiorità e soprattutto nei momenti di maggiore sofferenza si crede che gli altri siano superficiali oppure incoscienti. Essi diventano come dei poveri idioti che non hanno capire la cattiveria del mondo. Questo accede perché l’inquietudine rende più intolleranti rispetto alle visioni del mondo degli altri.

La convinzione che la preoccupazione sia utile ci spinge a coltivare le nostre inquietudini, perciò veder confermare le nostre fosche visioni ci conferma nelle nostre idee. L’ansia diffusa è una malattia che può diventare incontrollabile se non si impara ad arginarla perciò può alterare la nostra qualità di vita in senso negativo. L'ansia costruisce un mondo in cui il pericolo è sentito ovunque perciò anche il modo di valutare le cose si modifica e si cristallizza finché si perde il senso della sfumatura.

L’universo viene diviso in due parti opposte: il mondo che è pericoloso e il mondo che non è pericoloso. Oggi, molti personaggi stanno usando intenzionalmente i meccanismi che possono ingenerare l'ansia. Essi agiscono per colonizzare tutta la persona con la visione di un mondo che è sempre più inquietante. Per questo ci spingono a vivere fuori dal nostro presente e sempre più proiettati verso il futuro che è descritto come minaccioso.

E quando gli stati ansiosi diventano tanto dominanti accadono dei fatti che crediamo assurdi oppure aberranti. Le inquietudini ci spingono ad agire in modo molto veloce per sfuggire l’ansia, perciò gli ansiosi sono persone molto amate dai capi per la loro efficienza. L’ansia tende a farci privilegiare la nostra sopravvivenza rispetto alla qualità della vita. Perciò, la volontà di raggiungere un ottimo livello sociale ed economico concorre a farci sentire al riparo dall’incertezza.

Il fatto di poter accumulare molto denaro serve a ridurre l’ansia di non fronteggiare un imprevisto che potrebbe arrivare. La spinta alla scalata sociale viene vissuta come un buon antidoto al nostro timore del futuro. In realtà tutto il problema nasce dal nostro atteggiamento mentale, e dal modo con cui reagiamo davanti alla realtà della vita. il rimedio è quello di creare un atteggiamento molto più ecologico. E non si tratta di sradicare le idee negative, ma d'imparare ad ascoltare le nostre inquietudini. Occorre imparare a tener conto di tutto, e non solo di quello che crediamo.

Anche l'ansia fa parte della vita, però la soluzione è assumere la distanza adeguata. Quando siamo inquieti ci focalizziamo molto più sul problema piuttosto che sul modo con cui lo affrontiamo. Dobbiamo imparare a osservare le nostre esagerazioni e capire la realtà dei nostri borbottii, altrimenti avremo sempre dei problemi di focalizzazione dei problemi. Molto spesso ci esauriamo nello sforzo di gestire la nostra vita, e portiamo la lotta fino ai limiti dell’impossibile credendo che il controllo sia l’unico modo per vivere tranquilli.

Il tentativo di tenere tutto sotto controllo ci lascia completamente sfiniti. Contrariamente a ciò che si crede, saper mollare la presa e lasciare che le cose siano come sono è liberatorio. Chiaramente non si tratta di lasciarsi vivere, ma di pensare che non ci sono “missioni divine” che dobbiamo fare perciò possiamo vivere tranquilli. Su questo si deve lavorare di continuo, perché dobbiamo conquistare una giusta distanza tra la tendenza a fare troppo e la tendenza a non fare nulla. Bisogna accettare il fatto che non siamo onnipotenti, e che disordine e incertezza fa parte di un mondo che deve essere in continua trasformazione.

Questa è la realtà del mondo in cui viviamo. Perciò dobbiamo accettare che non possiamo fare e che non possiamo controllare tutto, ma dobbiamo accettare questo con un animo sereno e tranquillo. Le ricerche scientifiche dimostrano che più siamo ansiosi e più aumenta la nostra intolleranza rispetto a quello che non capiamo. Questa intolleranza rispetto alle incertezze esterne comporta che vediamo delle conseguenze nei comportamenti delle persone.

Sta aumentando il perfezionismo, il gusto delle verifiche, la difficoltà a dare fiducia al nostro prossimo, e la tendenza a delegare le scelte sulla nostra vita alla volontà degli altri. L’intolleranza davanti a quello che ci sembra troppo ambiguo oppure è diverso dalle nostre idee fa aumentare il bisogno di essere rassicurati, perciò aumenta la necessità di avere sempre informazioni su quello che accade. Questo riflessioni servono a far capire quanto è diventato potente il controllo che si può esercitare usando le paure delle persone. Ma la riflessione ci aiuta a eliminare il potere che usa l’incertezza per dominare la nostra mente.

Buona erranza
Sharatan

martedì 23 dicembre 2014

Auguri di Buon Natale!



Auguri di Buon Natale!
Auguro amore, felicità e pace a tutti!

Sharatan

Una minuscola scintilla



“La scintilla originaria della Creazione è viva in questo momento nel tuo cuore e nella tua mente. Ti appartiene e non se ne andrà mai, ovunque ti conduca la vita. Per quanto ti allontani dalla retta via non potrai spegnere la scintilla del divino che brilla nella tua consapevolezza. Era ed è il dono che Dio ti ha dato. Puoi dimenticarlo, ma non puoi restituirlo. Puoi ignorarlo o negarlo, ma non puoi distruggerlo.

Più densa è l’oscurità in cui ti addentri, più diventa visibile la minuscola scintilla. Ti richiama, simile a un faro, alla tua essenza e al luogo di origine. Quando la riconosci e la alimenti, la luce al tuo interno cresce. Più attenzione le dai, più si espanderà, finché il tuo essere sarà completamente circondato di luce. Persino dei perfetti estranei si sentiranno toccati dal raggio del tuo amore. E allora anche tu diventerai l’Amico, il Cristo, il Buddha, il Compassionevole.

L’Amico è il Cristo dentro di te. Il nome che gli o le dai non ha importanza. L’Amico è colui che ha a cuore anche il bene supremo degli altri. L’Amico è colui che è libero dal giudizio, che accetta te e ogni altro incondizionatamente. Questo Amico è presente in ciascun cuore e in ciascuna mente. L’Amico è l’incarnazione dell’amore. Ha molti nomi e molti volti. Dio e Amico sono sempre una cosa sola. Quando ti avvicini all’Amico dentro di te, Dio sente il rumore dei tuoi passi.” (Paul Ferrini, Io sono la porta, Macro ed.)


domenica 21 dicembre 2014

Esercitarsi




“In cosa vorresti esercitarti se non in quello che già conosci? E cosa conosci al di fuori del senso di colpa, l’aggressività e la paura? Naturalmente nessuno vuole continuare a mettere in pratica quello che porta alla sofferenza! Allora in cosa devi esercitarti?

Magari potresti cominciare con la consapevolezza. Esercitati diventando consapevole del tuo senso di colpa, della paura e dell’aggressività; non nasconderli, non negarli e non proiettarli sugli altri, ma osserva questi fenomeni mentre insorgono nella tua coscienza.

Quando sei arrabbiato o depresso, chiediti semplicemente: “Perché sono arrabbiato? Perché sento il bisogno di difendermi? Di cosa ho paura?” Continua a porti queste domande finché comincerai a vedere la fonte della tua rabbia e della tua paura. Dopo che hai attraversato questi stati di emozione, chiediti: “Cosa c’entra qui il mio senso di colpa?”

Di quale colpa mi stai parlando? Tutte le emozioni negative della tua vita sorgono dal tuo inconscio senso di colpa/vergogna che deve diventare cosciente, devi diventarne consapevole, così che tu possa liberartene.

Le sensazioni di inadeguatezza e di indegnità creano la paura di essere punito. Se credi che ci sia qualcosa di sbagliato in te o di aver commesso un errore, avrai paura di essere punito.

Se hai paura di essere punito, ti difenderai da qualsiasi aggressione immaginaria: ogni volta che credi che qualcuno stia mettendo in dubbio il tuo valore, sarai pronto a premere il grilletto. Avrai questa scena, però si sta svolgendo solo nella tua mente.

Se la proietti, ci entreranno altre persone con cui dovrai poi sbrogliartela, cosa improbabile, visto che le cose non si risolvono senza la consapevolezza della propria complicità all’evento.

Meglio cominciare diventando consapevole dei tuoi pensieri non solo per scoprire che il senso di colpa è la radice di ogni sofferenza, ma che l’unico modo di liberarsi consiste nel perdonarsi. Anche il dramma della redenzione sta avvenendo solo nella tua mente.

È lì che stabilisci la tua innocenza e le tue colpe. Non importa quanti hanno abusato di te. Accusarli non ti aiuterà dato che sei tu il giudice che pronuncia la sentenza, e finché accuserai gli altri dei tuoi problemi, rifiuterai il perdono a te stesso. Giudice e giuria vivono nei tuoi pensieri.

Così come hai stabilito le tue colpe ora devi dissolverle: finché non lo farai, non troverai la tua innocenza. Ed è questo l’obiettivo del perdono, che non ha nulla a che fare con il perdonare gli altri; riguarda il perdonare te stesso per aver creato il senso di colpa.

Ecco l’ambito dell’esercitazione. Non esiste situazione in cui non lo si possa applicare perché l’intero scenario della tua vita costituisce terreno di ricerca. Diventa consapevole di ogni pensiero ed emozione.

E troverai presto l’origine del tuo senso di colpa e della sofferenza che ne consegue. Nessuno può sfuggire a questo lavoro, che è una parte essenziale del curriculum del risveglio. Prima lo realizzerai, più ti sarà facile.” (Paul Ferrini, Amare senza condizioni, Macro ed.)

giovedì 18 dicembre 2014

Discriminazione



“Non abbiamo occhi che per il nostro prossimo,
lo critichiamo e lo condanniamo, lo vogliamo
migliorare ed educare.”
(Carl Gustav Jung)

Uno degli ostacoli maggiori alla nostra realizzazione spirituale è la tendenza ad affermare aggressivamente la nostra personalità. Questo è il pericolo che sottintende il monito dei più grandi maestri spirituali sul rischio d’inflazione dell’ego. Questo difetto viene molto incoraggiato dalla nostra società post-moderna, anche se non è l’unica tendenza negativa che ci stimola la nostra società così malfunzionale.

Le caratteristiche di un'affermazione prepotente si mostrano non sempre chiaramente o esplicitamente, perché hanno anche delle forme molto più subdole e insospettabili. L’affermazione prepotente di se stessi può assumere forme fisiche impulsive oppure può avere delle forme più mentali. Le affermazioni fisiche aggressive sono mostrate negli scoppi di collera, nel risentimento astioso, nella condanna oppure con le critiche eccessive.

L’ira e la collera prevedono anche delle aggressioni fisiche contro quello che pensiamo possa opporsi al raggiungimento di un nostro obiettivo. L'ira e la rabbia sono dei nemici molto insidiosi, perché ci fanno agire senza tener conto del nostro reale benessere. Gli atti di collera o di rabbia funzionano come dei boomerang che si rivoltano contro chi li lancia, infatti tornano sempre contro di noi.

Ogni sentimento rabbioso oppure risentito svolge un’azione che avvelena, perché il nostro corpo viene inondato da sostanze nocive. E questo riguarda la struttura biologica, ma anche la sfera emotiva e l’ambito spirituale. È la conferma del detto tradizionale cinese secondo cui, ogni volta che la rabbia ci fa sputare verso il cielo, lo spunto ricade sulla nostra testa.

Ma esistono anche altre tendenze insidiose che dimostrano la tendenza distruttiva nascosta nelle persone. La tendenza negativa più diffusa è il criticismo e la tendenza a giudicare in modo malevolo l'operato degli altri. Oggigiorno vediamo una diffusa tendenza a criticare e una continua svalutazione del proprio prossimo, perciò la maldicenza si può definire quasi un'attività alla moda.

Vediamo che ci sono molte persone che provano piacere a denigrare e trovare difetti negli altri. A costoro non piace il nostro modo di fare. Ti giudicano e decidono che ogni cosa che fai, ti viene male. Vedono come ti vesti, e decidono che ti vesti con troppi fronzoli, oppure pensano che usi troppo pochi fronzoli. In definitiva, concludono che in tutto il tuo essere c’è un difetto, infatti loro lo vedono.

Si può vedere che costoro provano molto piacere nello scovare un difetto oppure una pecca in tutto. Gli psicologi dicono che la tendenza a fare troppo critiche soddisfa l'istinto di affermazione personale, perciò anche il gossip rientra in questa casistica. In pratica, la tendenza a osservare con scrupolo solo la vita degli altri per scoprire le loro debolezze e i loro difetti, gli offre un senso di superiorità.

Si prova molta consolazione e soddisfazione nel vedere che “anche i ricchi piangono.” Osservare le carenze degli altri riesce a solleticare la vanità del criticone. Le loro insoddisfazioni personali vengono scaricate sugli altri, e lui se sta molto più leggero. E così si sente anche consolato delle sue carenze vedendo che agli altri non gli va bene. E se le cose vanno bene, un criticone trova sempre un motivo per lamentarsi, perché una sfumatura oppure un minimo difetto può guastare tutto.

E quando gli si fa capire che non si apprezzano le loro critiche, loro continuano imperterriti a farle, perché sentono che agiscono solo per il nostro bene. I criticoni sono persone che si sentono molto utili, perché sentono di esistere per far notare, agli altri, i loro difetti. Ma quando le persone ricevono solo critiche aggressive, il loro primo istinto è quello di difendersi perché sentono l’aggressività nascosta e mascherata della critica.

La prima reazione ad un attacco è sempre una difesa, perciò il criticone ottiene sempre l’effetto opposto a ciò che vuole ottenere. E non ottiene alcun cambiamento di atteggiamento da parte degli altri. Il cambiamento non avviene mai in seguito a un attacco aggressivo, ma viene prodotto da un’attenta riflessione unita alla persuasione interna che è necessario cambiare qualcosa.

Un criticone non possiede la pazienza e neppure l’umiltà di confrontarsi con il suo prossimo. Ancor peggio, in lui si mostra la totale mancanza di affetto nei riguardi dell’altro. Una persona che vuole bene all'altra e la vede sbagliare, le fa notare il difetto, e poi la invita a riflettere. Una persona amabile offre il suo affetto, la sua pazienza e la sua comprensione, ma non usa mai l'aggressività nascosta nella critica eccessiva.

Invece, i consigli dei criticoni insensibili sono detti così, tanto per dirli, perché loro agiscono solo per sfogare l'insoddisfazione personale e non per aiutare. Scaricano le loro frustrazioni sugli altri e spesso la critica sembra essere innocua, ma non lo è. Come si può notare in quelli che amano il pettegolezzo e la maldicenza gratuita. Ma, anche se non sembra, un eccessivo amore per la critica dimostra un lato personale molto poco nobile, e dimostra che non possiamo fare a meno degli altri. Anche la maldicenza può dimostrare che le persone hanno sempre bisogno di avere una comunicazione con il loro prossimo.

Ma la cosa paradossale è che la condivisione non è armoniosa, ma si ottiene con la lotta come si vede nelle persone che si riuniscono per sparlare degli altri, come nel gossip. Questo passatempo è molto poco edificante, e poi si basa su unioni interessate perciò instabili e temporanee. Questi non sono di certo dei legami pieni di affetto. È chiaro che dobbiamo vedere tutti gli aspetti degli altri perciò vedremo aspetti positivi e negativi, e si potrà amarli anche se hanno quei difetti.

La caratteristica negativa del criticismo esagerato è quella di criticare per deridere e per sminuire il prossimo usando la cattiveria. C’è molta differenza tra la critica che aiuta a migliorare perché agisce costruttivamente, e la critica che mette in ridicolo, perciò sarebbe meglio se vedessimo, per primi, i nostri difetti. Se sentiamo di avere la tendenza alla critica esagerata, sappiamo che questo difetto si deve trasformare in giusta discriminazione. Infatti la critica eccessiva è un'azione antagonistica che ci priva di comprensione, e ci fa diventare persone crudeli.

La giusta discriminazione ci rende indulgenti, perché è una tendenza a fare azioni inclusive, è il possesso della dote della comprensione perciò è un'attitudine eccellente. Se la discriminazione della mente è veramente obiettiva si vedono sia i propri limiti che quelli degli altri, perciò la mente diventa sempre più obiettiva, evolutiva e acuta. Non possiamo avere i paraocchi riguardo alle persone e alle cose, ma il nostro atteggiamento non deve diventare un giudicare troppo duro e ottuso che si compiace del male che vede negli altri.

Un discriminatore spirituale soffre delle carenze e dei difetti che vede negli altri, perciò non si compiace e non si sente superiore a nessun altro. Un vero discriminatore spirituale sa compatire chi vede sbagliare, perciò lui cerca sempre di aiutare affettuosamente le persone che sbagliano. Anche quando lui vede calpestare i principi in cui crede, deve manifestare il suo punto di vista ma deve agire senza usare l'acredine oppure la rabbia.

In ogni cosa deve esprimere apertamente il motivo del suo dissenso, deve ammonire e deve mettere in guardia l’amico se vede sbagliare se questo è quello che va fatto. Perciò difende con coraggio le sue idee e le persone che vede offese o attaccate ingiustamente. Agisce con fermezza e con coraggio, ma senza usare l'acredine o la cattiveria. I maestri spirituali invitano a eliminare i nostri difetti sviluppando le qualità opposte al nostro difetto. Le qualità di segno opposto sono di due tipi diversi, infatti useremo le qualità dell’inclusione come la bontà, la dolcezza, la generosità e l’amore.

Molto spesso queste qualità positive vengono denigrate perché si pensa alla bontà come a una qualità passiva che fa diventare più ottusi. Ma solo la bontà falsa è una qualità debole e sentimentale che si gloria delle sue stesse apparenze. La vera bontà è una virtù potente, ed è una vera forza dinamica che possiede il potere energetico che fa diventare irradianti. Il potere della vera bontà è quello che sa convertire con la mitezza e la dolcezza imperturbabili mostrate da san Francesco che ammansì il lupo.

Un’altra qualità che affina la nostra discriminazione mentale è la capacità di saper apprezzare la vita, di saper lodare e di saper esprimere la nostra gratitudine. E questo tipo di attitudine si sviluppa meglio se riusciamo a mettere l’accento sul lato buono delle cose, delle persone e dei fatti. E non si tratta certo di diventare degli ottimisti ottusi che s'illudono sulla bontà assoluta del mondo.

Non si tratta di diventare degli esseri stupidi o sentimentali, ma di saper distinguere tra lati luminosi e oscuri nascosti in tutte le persone. Si devono saper vedere entrambi gli aspetti, ma poi si deve restare concentrati maggiormente sui lati luminosi e positivi. L'apprezzamento ci aiuta a vedere l’aspetto buono e luminoso delle cose, perciò è una qualità che aiuta ad alleggerie e che facilita la vita.

Questo atteggiamento mentale ci aiuta a liberarci dalla scontentezza, dal malumore, dal risentimento, dall’amarezza e dalla ribellione contro le cose più amare e dure della vita. Molto spesso entriamo in guerra contro tutte le ingiustizie, contro le umiliazioni, contro gli uomini ottusi ma, facendo questo rischiamo di diventare esseri amari che si scagliano rabbiosi contro Dio.

Jung diceva che ogni volta che uccidiamo Dio, lui risorge sotto forma di malattia o come forte disagio interno. È inutile negare che la vita presenta anche degli aspetti molto dolorosi, dei lati meschini o tormentati, perciò è normale rischiare di essere persone ciniche e amareggiate per il dolore o le sventure. Ma non va bene che la nostra anima resti per troppo tempo in questa condizione di tormento e di scontentezza.

La tradizione cabalista racconta che un giorno, mentre Gesù Cristo camminava lungo le strade della Galilea con i suoi discepoli, incontrarono il corpo decomposto di un cane che giaceva abbandonato sul ciglio della via. Alla vista della carogna puzzolente qualcuno si otturò il naso e si allontanò disgustato, mentre altri compatirono la povera bestia.

Gesù Cristo non fu affatto disgustato dal cane, ma restò a guardare con attenzione la sua carcassa decomposta e poi chiamò i suoi discepoli dicendo: “Venite a guardate. Guardate che meravigliosa dentatura aveva questo cane!” Questo è l’esempio di come si deve guardare, e mostra come sa guardare chi sa vedere e apprezzare la bellezza nascosta in ogni cosa, a prescindere dalla forma dietro cui, la bellezza si nasconde.

Buona erranza
Sharatan

domenica 14 dicembre 2014

Follia



“La medicina è in te, e non lo sai,
la malattia viene da te stesso,
e non te ne accorgi.”
(Hazrat Alì)

Quando leggiamo che qualcuno compie delle azioni folli, e non sappiamo capire per quale motivo abbia agito, diciamo che soffre di disturbi mentali. Molto spesso leggiamo che, prima dei fatti che ha compiuto quella persona sembrava normale, perciò l'accaduto è inspiegabile. Si conclude che, senza dubbio, è restata vittima di un raptus di follia. E poi si conclude desolati che la follia umana è il frutto di una malattia dell'anima oppure dello spirito. La questione è molto più complessa di come si dice e, secondo Steiner, non esiste un’espressione peggiore e più fuorviante.

Si attribuisce allo spirito una carenza che andrebbe attribuita all'educazione errata, allo sviluppo incompleto o disarmonico della persona. Steiner dice che, l'anima e lo spirito non sono mai disturbati come si può vedere in persone che furono disturbate per anni, e che sono tornate a essere normali. Il problema è che, per agire bene, lo spirito deve avere a sua disposizione un corpo sano e una mente che sa pensare correttamente. Ma se lo spirito non trova un corpo che può agire a una mente sana che pensa in modo equilibrato, non può fare nulla.

Pensando alla salute mentale dobbiamo intendere il fenomeno in questo modo, perché sarebbe insensato pensare in modo diverso. Va pensato che la macina del divenire in cui viviamo va vista mettendosi nel giusto punto di vista focale: poi dobbiamo imparare a stabilizzato il nostro punto di osservazione. La mente deve fare un bilanciamento, ma deve saper eliminare tutte le identificazioni con ciò che osserva per mantenere il suo equilibrio. Il Vedanta insegna che l’osservatore non deve avere un’eccessiva fissità, ma che deve saper saper costruire una stabilità.

La mente di alcune persone non sa creare l'equilibrio perciò viene travolta da ciò che vede o pensa. Un centro che osserva in modo equilibrato ci crea nella mente che non si fa trascinare dai corpi mentale, emozionale ed istintuale. La chiave è saper creare un centro mentale che non si cristallizza intorno a dei concetti vuoti, e saper affinare un cuore che non resta chiuso nella sua incompiutezza affettiva. Il segreto è mantenere questo tipo di atteggiamento, altrimenti la vita ci afferra, ci seduce e uccide.

Questo fatto avviene se la mente viene coltivata con un pensiero che ama le cose sciocche e vuote, perché la mente entra nel ristagno. In questa condizione mentale mortificata si entra se non sappiamo accendere il nostro fornello alchemico. Infatti gli alchimisti dicevano che non si diventa d’acciaio se non si viene forgiati con il fuoco. C'è anche chi non sa accendere il fuoco, c'è chi non vuole farlo oppure non sa sostenere il calore che quel fuoco produce.

È necessario dominare, ritmare e fermare il movimento caotico delle formazioni mentali se non vogliamo che la mente ci uccida e divori. Il nostro essere è il vaso alchemico che è stato colmato di memoria condensata. Il fuoco che può sciogliere e risolvere i coaguli del passato per renderci più leggeri è il fuoco della mente. Ma c'è chi è travolto dalla vita perché non ha fatto il lavoro che l'avrebbe armonizzato, perciò non è riuscito a salvarsi.

Il nostro destino è determinato dalla nostra capacità di sostenere la potenza del fuoco che fonde e libera. La Via del Fuoco dell'alchimia è l'addestramento al lavoro interno che è necessario per salvarci. Il corpo passionale crea un’anima inferiore che ama e produce i fuochi illusori che ci tegano agli oggetti dei nostri desideri e delle nostre passioni. Ma se l’amalgama dei fuochi fatui non viene sciolto, la mente può restare fissata e resa prigioniera perciò viene intossicata dai suoi stessi veleni.

L’essere che è stato addomesticato dal suo vaso vive di fantasmi e di illusioni che diventano incubi. Siamo armoniosi se coltiviamo una mente che analizza e confronta, e maturiamo un cuore che unisce e comprende. L'unione della mente illuminata e del cuore compassionevole non troverà mai nessuna barriera fisica, psichica e spirituale. E la sensibilità che producono sono omogenei alla qualità del cuore e della mente perché mente e cuore devono crescere insieme.

La collaborazione armoniosa tra corpo, anima e spirito produce delle persone stupende. Ma, se l’essere viene abbandonato a se stesso oppure non è accudito bene, non svilupperà al meglio, non sarà consapevole e avrà conflitti, dissonanze o fatti drammatici causati dalle sue incompletezze. Se le persone si sviluppano in modo armonico restano dissonanti perciò non sanno dominarsi. Le persone non ragionano perché il loro cervello squilibrato vede il mondo in modo deformato. Se guardiamo il mondo riflettendolo in uno specchio curvo è normale vedere un mondo incurvato.

Il centro mercuriale è il fuoco solare della mente che deve essere uno strumento sano e un mediatore equilibrato con il mondo. Lo yoga insegna che l’uomo è una combinazione di 7 fuochi prodotti dai 7 chakra, perciò il dominio delle nostre energie ci rende padroni del nostro destino. Questi centri di forza sono molto importanti perché corrispondono ai 3 stati di coscienza in cui viviamo abitualmente cioé lo stato materiale, animico e spirituale, infatti collegano il corpo, l'anima e lo spirito.

Tanti fuochi fatui ci legano all'io, e sono collegati con il desiderio-emozione-passione, con l’energia creativa-sessuale, e con il fuoco dell’auto-affermazione. La sostanza resta impregnata dai fuochi individuali e chiede alla mente di agire solo per la loro soddisfazione. E il continuo ripetersi del medesimo comportamento rinforza il meccanismo. Questo ci fa capire il motivo per cui le persone fanno solo ciò che vedono fare, e perché vivono ripetendo i medesimi errori.

Per cambiare è necessario che il centro focale della coscienza sia consapevole del malfunzionamento. Il segreto alchemico è cercare quel mercurio puro ossia riuscire a creare la mente pura che avevamo prima che la mente fosse mescolata con la sostanza. Nella dottrina ermetica, il mercurio è detto lo Spirito dei Filosofi perché solo i aaggi sanno come trasformarlo in spirito, liberandolo dalla prigione in cui è stato racchiuso.

Finché non si interviene sulla condizione dell’individuo frammentato che resta ignorante e limitato, non avremo alcun miglioramento. Il Mercurio alchemico collega all’Anima che è la luce che può penetrare in tutte le cose. Quando si dice che ogni cosa fu originata dal fuoco creatore che diventa anche il fuoco che può liberatore si allude alla creazione di un perfetto equilibrio tra tutte le nostre componenti.

È bene sapere questo per evitare l’ignoranza dei meccanismi che producono gli squilibri mentali che vediamo. L’Anima è l'intermediaria tra Spirito e Materia perciò è il contatto con il nucleo più profondo che abbiamo, ma è anche il collegamento che unisce il cielo alla terra. L’alchimia è un metodo che si estende a molti piani esistenziali, ma è un metodo pratico che insegna a risolvere ciò che è irrisolto. Il suo obiettivo è quello di aiutarci a essere creativi e lavorare per la nostra completezza e felicità.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 11 dicembre 2014

Oltre l’umano



“L’anello di congiunzione da tempo cercato
tra gli animali è l’essere umano.”
(Konrad Lorenz)

L’ideale di una categoria di superuomini è un pensiero che non si può condividere. Questo concetto per come viene affermato comunemente, suscita orrore e ripugnanza, in quanto è considerato diritto di pochi eletti che si ergono sulla grande massa della maggioranza. La minoranza degli eletti diverrà il faro dell’umanità, mentre la massa degli uomini comuni sarà relegata a livelli di sviluppo e stato più bassi. Un ideale così proclamato deve suscitare l'indignazione e il disgusto per la sua grettezza.

In realtà, la possibilità di superare il livello della condizione umana è di derivazione induista, ma noi conosciamo la versione di Nietzsche che la diffuse per primo. In verità va premesso che il filosofo fu colpito dalle concezioni dell’induismo che conobbe per mezzo degli scritti dell’indianista Paul Deussen che era suo grande amico. L'incompleta conoscenza o il fraintendimento delle teorie, unita alla tendenza ad estremizzare tipica del filosofo resero l’idea meno profonda, più estremizzata e più dissacrante di quanto non fosse in originale.

Il pensiero originale è diverso, perciò valutiamola nella spiegazione di Aurobindo. Aurobindo dice che il superuomo è collegato alla naturale capacità di evoluzione dell’umanità, e che non va pensato come un diritto arrogante di pochi eletti o come il predominio di una classe. Il concetto va inteso come “una chiamata che si rivolge all’essere umano per spingerlo a fare quello che nessuna specie ha fatto finora” infatti è un invito a “evolversi coscientemente nel tipo successivo e superiore, già in parte previsto nell’incessante e ciclico svilupparsi.”

Questo è il significato vero e bello da conoscere, perché è un’idea che offre buone speranze sul futuro umano. Per Aurobindo, Nietzsche era un “mistico adoratore della volontà” era uno “slavo” che idolatrava l’antichità greca che non conservava più la vera conoscenza. Il suo carattere era profondo e tormentato però riusciva a recepire delle idee luminose, ma lo splendore era offuscato dalla sua assolutezza. “Nietzsche era un apostolo che non comprese pienamente il suo stesso messaggio,” e il suo linguaggio ricordava lo stile profetico dell’oracolo di Delfi che diceva la verità, ma quella verità non era compresa correttamente da chi l'ascoltava.

Malgrado ciò, riuscì a innalzarsi al di sopra delle sue limitazioni facendo una guerra giusta contro le limitazioni mentali e morali della sua epoca. Il messaggio che udiva con il suo udito interiore fu spesso mescolato e confuso con delle idee collaterali che riuscirono a travisare le porzioni di verità che quelle idee possedevano. Il concetto di superuomo non lo capì, anzi, lo deformò fino a renderlo aberrante. Il superuomo è il destino dell'umanità perciò è una meta collettiva.

L’idea di Nietzsche mostra invece un essere titanico che possiede delle caratteristiche che lo avvicinano più all'asura cioè all'essere privo di luce divina. Nietzsche aveva una incredibile ostilità per l’idea cristiana di un dio che viene crocefisso. Il suo disprezzo per la figura del Cristo gli fa dire: “Gesù è nei suoi istinti più profondi antieroico: non si batte mai.” La causa che viene propugnata da Nietzsche vuole un eroe ideale che non ammette e non si concede nessuna debolezza. Il suo superuomo è un eroe arrogante e impietoso che rifiuta ogni dolore e ogni servizio a vantaggio degli altri.

Invece, il vero superuomo è l’immagine dell’essere che vince, perché sa innalzarsi al di sopra della morte e della sofferenza. Perciò è l’immagine dell’ascesa trionfante di una umanità che è stata completamente liberata. Se non abbiamo presente la differenza, e il collegamento del superuomo con l’evoluzione naturale dell’umanità si cade nel rischio e si fraintende. La superumanità nascerà perché la linea evolutiva è già tracciata, e il nuovo tipo di uomo sorgerà dall’umanità che viene messa duramente alla prova, ma che sarà purificata dal fuoco della sua sofferenza.

Il dio e il titano ossia il deva e l’asura sono parenti stretti malgrado siano diversi, infatti l’evoluzione non ha mai potuto fare a meno di uno a scapito dell’altro. Il dio e il titano sono gli opposti poli dell’esistenza, ma la loro natura è comune. Il dio discende dalla luce e dall’infinito, perciò è già soddisfatto e vuole prendere parte al gioco. Il titano sale dall’oscurità e dalla nebbia, perciò è in collera e vuole lottare. Le azioni del dio vengono dall’universale e tendono all’universale perché un dio nasce da un’armonia vittoriosa.

Le sue qualità si integrano armoniosamente una con l’altra perché sono pure, aggraziate, gioiose e naturali. Per un dio evolversi significa accrescere nell’intuizione, nella luce, nell’amore, nella gioia e nella padronanza. Un dio può servire governando e può governare servendo, perciò può essere audace, rapido nell’azione e anche violento, ma senza offesa e senza crudeltà. È buono, gentile e persino indulgente con se stesso, ma senza pigrizia, vizio o debolezza. Un dio crea, in sé, una totalità che è luminosa e felice e che, per simpatia, estende a tutta l’umanità.

Ma questo non esclude il potere che, per la divinità, corrisponde a saper governare se stesso e il mondo. Il suo dominio si basa sull’unità e sull’armonia, perché conosce l’essere dell’uomo e del mondo, perciò lo aiuta e lo spinge a realizzare le loro più alte possibilità con una spinta interiore divina. Egli può accogliere in sé tutte le qualità, le energie, le gioie, i dolori, la conoscenza e le speranze del mondo, e poi le restituisce, ma trasformare e arricchite in uno scambio e in un uso che è veramente sublime.

Questo tipo di regno non ha bisogno di ostentazioni e di onori, perché gli dei agiscono sempre dietro le maschere o nelle apparenze modeste. Spesso vengono beffati, osteggiati, umiliati e crocefissi. E questo avviene perché gli dei sanno che l’io va crocefisso per evolvere. Ma se non dessero l’esempio, il loro messaggio non sarebbe compreso dagli esseri umani, perciò gli dei lo mostrano. Tutto quello che c’è di più nobile nell’essere umano deve essere innalzato nel modo più sublime affinchè l'uomo sia riempito di luce, di gioia e di potere. Questa è la condizione della divinità perciò dovrebbe essere la tendenza del superuomo che verrà nel futuro, dice Aurobindo.

Il titano non comprende queste cose perché sono troppo difficili e raffinate per la sua mente. Il titano mette i suoi istinti al primo posto, perciò vuole un dominio concreto e tangibile. Il suo dominio si conferma ogni volta che schiaccia qualcuno, infatti il titano deve depredare e sfruttare per sentire che possiede le cose. Lui è figlio della separazione perché è l’esaltazione dell’io che si vuole spingere oltre i limiti. Per rinforzare il suo io, il titano deve limitare e privare gli altri, perché essendo privo del senso dell’infinito, nessun possesso esteriore è sufficiente a colmare la carenza.

La cosa essenziale per la sua crescita e la sua affermazione sono il contrasto, la lotta, la divisione e la negazione della volontà e della vita degli altri. Il titano conquista e domina divorando tutto, fagocitando, calpestando e assoggettando il mondo. Il titano deve assoggettare o cancellare l’immagine degli altri affinché la sua immagine risplenda e domini tutto il suo ambiente. Il titano venne per primo perché nacque dalla divisione e dall’egoismo, infatti ancora dimora in noi perché è il primo governatore del cielo e della terra. È lui il dio più antico, poi venne il dio che libera e armonizza.

Secondo un’antica leggenda indù si racconta che i deva ossia gli dei e gli asura ossia i titani lavorarono insieme per frullare l’oceano della vita e per trarne l’amrita cioè la pozione dell’immortalità. Una volta che l'ambrosia fu prodotta, Visnù decise di tenerla tutta per gli dei perciò la rubò agli iracondi e violenti asura. Questa cosa potrebbe sembrare ingiusta, perché è l’asura che porta il peso più pesante e fa il lavoro più duro. L’asura apre la strada e fa la guida perché precede il cammino distruggendo, plasmando e piantando.

Il dio segue e ripara, conclude e raccoglie il frutto. Perciò l’asura prepara con feroce determinazione e tormento, avanza tra mille ostacoli usando la forza, mentre il dio gode della vittoria e della felicità. Per questo motivo il tempestoso e oscuro titano è molto caro al dio Shiva. La leggenda narra che il dio Shiva scelse di assorbire il potente e amaro veleno che emerse, mentre lo stavano frollando, dall’oceano della vita per permettere a tutti gli altri dei di bere il nettare dell’immortalità.

Shiva fece una scelta consapevole per amore, mentre i titano scelsero per cecità e per passione e cercarono l’immortalità per egoismo personale, ma non ottennero nulla. Per questo motivo Visnù accorda ugualmente l’elisir a Shiva, e la negherà agli asura - a meno che non riescano a divinizzarsi. Cos’è dunque la superumanità se non la divinizzazione e l’assoluta perfezione di quello che c’è di più nobile nella natura umana? L’uomo è fatto a immagine di dio, però la differenza esiste.

La realtà divina è senza limiti, spontanea, assoluta, armoniosa, padrona di sé. Invece l’uomo è limitato, relativo, fatto con la fatica, discordante, deformato, padroneggiato solo con la forza e perso nella sua limitatezza e nell’insicurezza di ciò che possiede. Ma l'imperfezione tende sempre verso la perfezione, infatti l’uomo limitato tende sempre all’infinito, e benché sia relativo cerca l’assoluto in tutte le cose. È un essere artificiale in natura ma si spinge verso la naturalezza, è pieno di discordia ma tende verso l’armonia, è schiavo della natura che lo domina ma è convinto di dominarla.

Quello a cui aspiriamo deve essere ancora raggiunto, però lo avremo alla fine della nostra evoluzione. L’essere umano si trova, attualmente, in uno stato di transizione in cui deve imparare a diventare cosciente del suo proprio scopo, secondo Aurobindo. L’uomo deve imparare a trascendere la sua animalità, deve imparare a superare i suoi istinti e deve dominare le sue passioni devastanti. L’essere umano deve trascendere se stesso, ma questo non vuol dire che si deve aspirare ad una “altezzosa, forte, brillante, egoistica cultura dell’io che vuole dominare, dal suo trono, un’umanità resa schiava.”

Buona erranza
Sharatan

lunedì 8 dicembre 2014

L’anima di Nietzsche



“Oggi non si viaggia bene in quella contrada;
e se hai spirito, stà doppiamente all’erta!
Ti allettano e ti amano fino a smembrarti.
Sono dei fanatici: laggiù lo spirito manca sempre.”
(Friedrich Nietzsche)

Il 20 aprile del 1894 la sorella di Nietzsche arriva a Weimar per incontrare Steiner. A quel tempo Steiner lavorava agli Archivi ossia agli scritti che Goethe aveva lasciato ai figli. Il nipote, alla sua morte, aveva donato alla famiglia reale di Turingia tutti gli scritti che furono sistemati nel palazzo che la Granduchessa Sofia di Sassonia Weimar, aveva fatto costruire allo scopo. L’obiettivo era quello di pubblicare l’opera integrale di Goethe con la collaborazione degli studiosi più autorevoli. Dal 1889 Steiner si trova impegnato a ordinare le carte di Goethe soprattutto quelli scientifici ancora inediti.

Il lavoro che svolge a Weimar sarà fondamentale per la sua formazione e gli offrirà l'occasione di mettersi in luce negli ambienti culturali e filosofici tedeschi, e non solo quelli tedeschi. L'incontro con la sorella del grande filosofo era collegata al suo lavoro di archivista. Allora si era già consumato il dramma di Nietzsche che era caduto nella follia. La signora Foerster Nietzsche si prese cura di lui, infatti acquistò la villa di Naumburg, presso Weimar, per proteggerlo e accudirlo. L'illustre folle con i suoi manoscritti e gli scritti incompiuti sono sistemati nella villa.

Ma è necessario capire come sistemare le carte, perciò sua sorella si rivolge agli archivisti che lavorano a riordinare gli scritti di Goethe. Per Steiner, la malattia mentale di Nietzsche era stata un’amara delusione perché stimava molto gli scritti del filosofo. La sorella di Nietzsche lo portò a Naumburg per vedere le carte e dare un'opinione più precisa. Nell'occasione avviene l'incontro che è un incontro muto che Steiner descrive nella sua autobiografia. Avviene nel primo pomeriggio e Steiner vede il malato che giace disteso su un divano.

Lo sguardo appare spento, perché non riceve più alcuna percezione che raggiunga la sua anima. Un uomo catatonico è tutto ciò che restava di Nietzsche, perché Nietzsche non c'è più. Dietro alla sua fronte alta da artista e da pensatore si coglieva l’espressione di un’anima che ha modellato molti pensieri, ma che si “concedeva un momento di riposo”. Per un attimo Steiner s’illude che lo sguardo del filosofo possa vederlo e comunicare, ma l’illusione è di breve durata. L’uomo guardava ma non vedeva, e la passività dello sguardo confermava che aveva smarrito ogni contatto con il mondo. Steiner ebbe una forte impressione dall'incontro perché ebbe la visione della sua anima:

“L’anima di Nietzsche si librava al di sopra della sua fronte, senza limiti e già irradiata di luce spirituale, libera in quei mondi dello spirito di cui aveva sentito la nostalgia prima della caduta nelle tenebre, senza però poterli scoprire. Essa era ancora incatenata al corpo che la percepiva ormai solo quel tanto che bastava per aver nostalgia di quel mondo. L’anima di Nietzsche era ancora lì, ma può sopravvivere ormai soltanto al di fuori di quel corpo che le impediva, per quanto le era ancora legato, di sbocciare in piena luce. In precedenza avevo letto Nietzsche.

E ora contemplavo l’uomo che aveva recato in sé, raccogliendole da un lontano al di là spirituale, idee la cui bellezza conservava un riflesso di luce, malgrado che per la strada avessero perso l’originaria capacità di irradiazione. La sua anima aveva portato con sé dalle vite anteriori un tesoro luminoso a cui egli non aveva saputo rendere, in questa vita, l’intera lucentezza. Se un tempo avevo ammirato lo scrittore, ora scoprivo quella visione splendente.”

Nietzsche era diventato pazzo perché si era trovato davanti un nemico troppo forte per lui. L’araldo della libertà assoluta era caduto davanti allo spirito dei suoi tempi. E, in effetti, alla fine del secolo 19°, gli scienziati avevano reggiunto l’apice del loro successo perché facevano sempre nuove scoperte. Nulla sembrava capace di fermare la scienza e la scienza credeva di aver trovando le chiavi della vita, perciò Dio divenne inutile. La scienza si sentiva capace di dominare la natura perciò era orgogliosa di avere ben salde, in pugno, tutte le leve del comando.

La scienza si alleava con l’industria e perfezionava le tecnologie usate dall’industria. Sembrava fosse giunto il momento di rompere con il vecchio e con il desueto, perciò anche la scienza si sentiva in grado di superare i limiti più audaci. La morte di Dio e le nuove idee sull’evoluzione chiudevano l'epoca del dualismo tra religione e scienza, ma inauguravano la nuova epoca e una nuova scissione tra la realtà sensibile e la realtà soprasensibile.

La reazione di Steiner davanti al materialismo che avanzava fu complessa, perché sapeva che anche una fase materialista era necessaria. Steiner pensava che l'evoluzione era innegabile anche a livello spirituale. Seppure fosse affascinato da Ernst Haeckel che era considerato il padre del monismo materialista, egli restò lucido e critico. Era affascinato nel vedere che le teorie di Haeckel sulla comparsa della specie e il loro concatenamento si integravano con le idee di Goethe. Steiner ebbe l'intuizione che il contributo della scienza era quello di confermare la realtà dello spirito.

Un pensiero che si libera dai sensi riesce a vedere che la teoria evolutiva conferma il concetto di metamorfosi così caro a Goethe. Conferma anche l'esistenza di una volontà unica che si esprime attraverso molte specie e attraverso la legge dell’evoluzione. Saper cogliere l’unità della vita non implica di rinunciare allo spirito perché la vita è sempre una espressione dello spirito. L’errore della scienza era, semmai, il rischio di esagerare perciò di poter sconfinare nel più gretto materialismo, di rinnegare l’anima e di rovinare il corpo.

L'errore più diffuso tra gli spiritualisti era, invece, quello di negare il contributo costruttivo della scienza. Nessuno di questi atteggiamenti era l'atteggiamento corretto! Steiner studiava le opere di Haeckel e comprendeva che la sua intenzione era quella di voler penetrare nel cuore delle cose per capirle. Anche Goethe aveva usato lo stesso metodo, e aveva trovato l’unità della natura attraverso il visibile ed era risalito alla causa invisibile. Haeckel vedeva i meccanismi della vita e il mondo sensibile, ma non sapeva vedere oltre l'aspetto meccanico.

E quando Steiner ebbe l'occasione di incontrare Haeckel a Iena, durante un banchetto in suo onore, restò affascinato e respinto da lui. Quando usò la sua eccezionale capacità di leggere dentro le persone, al suo sguardo veggente apparve un uomo che era “fatto più per ricevere l’impressione sensibile che per riflettere il pensiero.” Ebbe l’impressione che Heickel nutrisse “per la natura un vivo e dolce affetto” ma che non avesse nessuno scrupolo a usare i fatti della natura a vantaggio delle sue ipotesi dottrinarie.

In seguito dirà pure che quell'uomo era un fanatico in cui “l’adorazione della natura sostituisce l’adorazione di Dio.” Dal suo materialismo però Steiner imparò molto, infatti imparò a pensare lo spirito in modo biologico e scientifico. E non rinnegherà mai il contributo che ne aveva ricavato, perciò disse che era debitore alla scienza per avergli reso chiaro su come muoversi nei fatti naturali e nella realtà soprasensibile. Infatti fondò una vera scienza dedicata allo spirito, e la conformò in modo che avrebbe dovuto aiutare la coscienza a evolvere salendo in consapevolezza per stadi successivi:

“Non credo che si possa risalire con successo alle fonti dell’Antroposofia se non si tiene conto di ciò che l’epoca deve al monismo di Haeckel”. E aggiunse: “Certo, vi sono parecchi punti di vista soggetti a critiche ma, badate, il non essersi potuto ritrovare nell’universo haeckeliano, è stata la tragedia di Nietzsche.” Se anche oggi si crede che lo spirito sia visibile solo durante stati di coscienza particolari, ancora di più lo si credeva allora, ma Steiner disse che non sarebbe rimasto sempre così. L’evoluzione insegnava che tutto evolve sempre perciò evolve anche la coscienza che si trasforma e si perfeziona di continuo.

Perciò, in futuro, l’uomo avrà comunemente la capacità di percepire lo spirito nella condizione di coscienza ordinaria. Ma questo fatto ci porta al vero motivo della follia di Nietzsche, perché sappiamo che anche lui fu soggiogato dalle idee di Haeckel. Le teorie propugnate da Haeckel seppero creare un clima di esaltazione e di onnipotenza che inebriò un’intera generazione di intellettuali. Mentre avanzava l'idea di un progresso inarrestabile, l'ebrezza della corsa appagò chi era attrezzato interiormente a sostenerla, ma spezzò chi non seppe sostenerne la forza, e Nietzsche fu tra gli ultimi.

Il relitto fisico che Steiner incontrò a Naumburg sopravviveva a stento dopo il crollo della sua ragione. Quell’uomo aveva idolatrato i fatti scientifici e ne aveva preso alla lettera tutta la lezione, perciò era divenuto vittima del materialismo. Nietzsche aveva idolatrato i fatti naturali e aveva ucciso Dio perché la fede nel pensiero scientifico era diventata più assoluta del Dio che aveva ucciso. Con Dio era morto anche il suo idealismo, perciò Nietzsche aveva rinunciato anche alla sua anima. Infatti, se tutto veniva dal mondo fisico anche l’anima era diventata una menzogna come lo era stato Dio.

Sebbene Nietzsche avesse scritto e ammonito che: “Se guardi a lungo un abisso, anche l’abisso guarda dentro di te” purtroppo aveva dimenticato il suo stesso avvertimento. Un pensiero scientifico che non sa diventare un freddo e puro sguardo spirituale, comprese Steiner, diventa come un acido che corrode il cuore. Avendo distrutto tutti i valori che avevano fondato la sua epoca, Nietzsche si era privato anche delle basi su cui poteva creare un nuovo Dio e fondare una nuova morale. Aveva tentato di gettare un ponte oltre l'abisso su cui è teso il filo che il “superuomo” deve oltrepassare… ma era caduto nell'abisso.

Nietzsche fu affamato di bellezza ma visse in un’epoca che era priva di ogni bellezza, perché il mondo stava diventando sempre più volgare. Comprese che era il tramonto di un epoca che era stata bella, perché la sua anima aveva una grandezza che proveniva da quel tempo. Comprese che viveva nell'epoca moderna che finiva con il crepuscolo degli dei, ma non seppe trovare un sostituto al Dio che era morente nella coscienza umana. Nietzsche tendeva alla conquista della più alta forma di coscienza, ma la scienza gli consegnò un peso troppo pesante da sostenere.

Studiare scientificamente l'istinto comportò l'apoteosi della legge del più forte e il trionfo della prepotenza che causò la distorsione del superamento che Nietzsche auspicava nell'essere umano. Perciò bruciò troppo nel fuoco del suo pensiero e spinse l'anima umana troppo oltre i limiti del sovrumano. Volle fuggire dalla forma e dalla materia, ma rifiutò l'armonia dello spirito per vivere pericolosamente, e per restare in rivolta contro il mondo. La sua corsa finì nella follia, e le sue idee divennero le basi dell'aberrante ideologia nazista.

Buona erranza
Sharatan