domenica 31 luglio 2016

Semplicemente essere…



“Come per un uccello è naturale
volare nel cielo, così per l’anima
è naturale librarsi nell’onnipresenza.”
(Paramhansa Yogananda)

“È una delle domande fondamentali per un ricercatore: la differenza tra fare ed essere. Voi siete nati come esseri. Nell’utero di tua madre, tu sei un semplice essere. In seguito la vita comincia a insegnarti a fare delle cose: come avere successo, essere ricco, essere famoso, essere potente. Ci sono mille e un "come" e attorno a te il mondo intero è impegnato a fare una cosa o l'altra. In realtà, ci sono mille cose che possono essere fatte. per esempio, se vuoi il denaro, devi lavorar sodo, oppure prendere una via più facile, diventando però un criminale.

Se vuoi essere un politico potente, devi dimenticare del tutto la moralità e l'umanità. Devi dimenticare tutti i grandi valori della vita, devi concentrarti solo su una cosa: la tua ambizione di potere. E devi fare di tutto: giusto o sbagliato, buono o cattivo, qualsiasi cosa ti aiuti a realizzare la tua ambizione. Non devi preoccuparti di contenuti e fini; quando avrai il successo, qualunque cosa tu abbia fatto sarà ritenuta giusta. Il tuo successo cambierà i mezzi sbagliati rendendoli giusti, e il tuo fallimento cambierà i mezzi giusti in sbagliati.

Vedendo la situazione, uno comincia a seguire le vie del mondo, si mette a correre per raggiungere la meta, per essere riconosciuto, per avere rispettabilità: è pronto a fare qualsiasi cosa. Ma più si è coinvolti nel fare, più ci si allontana da s stessi. Ogni azione ti allontana da te stesso e più lontana è la meta, più tu sei lontano da te stesso. Il non-fare può aiutarti a realizzare te stesso, a essere te stesso.

Non si tratta di fare; tu devi imparare un'arte totalmente diversa dalle arti che si basano sul fare. Devi imparare a essere semplicemente silenzioso, senza correre in alcun luogo, senza mete nel futuro, o desideri di possedere cose mondane. Rilassandoti in te stesso - al punto che il tempo si ferma, la mente si ferma - tu semplicemente sei. Una sorta di essenza... questo è il tuo essere. Nella sua purezza, esso è il più bel fiore dell'intera esistenza. Fiori di loto e rose ne sono molto invidiosi.

Allorché avrai assaggiato una sola goccia di nettare dell'essere silenzioso, distaccato, concentrato, la tua vita cambierà, perché questo assaggio è qualcosa che nessuno è mai riuscito a dimenticare, al contrario, questo assaggio del proprio essere fa dimenticare il mondo intero. In realtà, adesso tu non hai alcuno mondo interiore o, anche se lo hai non ne sei consapevole, che quasi è la stessa cosa.

Se ci sia o no, per te non fa alcuna differenza; tu conosci solo il mondo della materia e degli oggetti. Tu conosci ogni cosa intorno a te, eccettuato te stesso. Tu sei illusorio e il mondo intero è reale; il denaro è reale, il potere è reale. Tu... perfino tu non sai chi sei. Non ha mai incontrato te stesso... Nessuno ti ha lanciato la sfida di esplorare te stesso. L'uomo ha accettato le sfide dalla Luna, dall'Everest e da Marte... e continua ad andare avanti, senza conoscere se stesso.

Fino al momento in cui ogni azione - e perfino i pensieri sono azioni - si ferma, non riuscirai a sapere cos'è l'essere, perché l'azione è come una cortina di fumo che ti avvolge. Ci sono talmente tanti pensieri, tante emozioni, tanti sentimenti, tanti stati d'animo... tu sei circondato da una parete invisibile, ma molto spessa, quasi come una muraglia cinese. Una macchina può corrervi in cima: è larga come una strada. Ma è invisibile.

Pertanto continui a portarti dietro questo peso per tutta la vita, diventando sempre più infelice, senza sapere che l'infelicità non è la natura dell'esistenza. L'infelicità è creata dall'uomo, l'esistenza è pura giocosità, pura beatitudine. È un canto, è una danza, è una celebrazione continua che dura tutto l'anno.

Quando smetterai di agire, di fare, quando raccoglierai la tua consapevolezza al centro più intimo della tua individualità, potrai vedere una porta che si apre su un altro mondo: l'altro mondo, il mondo sacro. All'esterno si distende il mondo dell'azione. All'interno si distende il mondo dell'essere. L'azione è mondana, è necessaria, ma non può rendere la tua vita una gioia in se stessa.

È necessaria per la sopravvivenza, ma la sola sopravvivenza non è sufficiente per danzare. Per danzare hai bisogno di energia straripante, che non puoi più contenere. E uno dei miracoli della vita è che con le grandi azioni produci piccole cose, prive di valore intrinseco e, senza alcuno sforzo, l'essere schiude infinite aperture su tesori che non hai mai neppure sognato.

Tu hai solo sentito delle parole -beatitudine, estasi, samadhi, nirvana, illuminazione- nomi diversi per indicare la medesima situazione. Sei giunto a casa, così totalmente che il mondo esterno, a volte molto reale, è diventato simile a un sogno che hai visto da qualche parte e dimenticato. Ecco perché i mistici hanno definito il mondo illusorio, maya, e definiscono il mondo dell'essere, la realtà suprema.” (Osho Rajneesh)

giovedì 28 luglio 2016

Categorie umane



“Possiamo negare ogni cosa,
eccetto il fatto che possiamo migliorare.
Rifletti semplicemente su questo.”
(Tenzin Gyatso, XIV Dalai lama)

L’idea del cambiamento è la più importante di tutte, dice Gurdjieff, infatti le teorie, i sistemi e i diagrammi sono solo un aiuto per aiutarci a capire. Questi strumenti aiutano ad orientare la nostra concentrazione e il giusto pensare perciò servono per raggiungere l’obiettivo finale di cambiare qualcosa nella nostra comprensione del mondo, e in noi stessi. Ma la cosa più importante da sapere è che c'è una divisione di categorie umane che condiziona le possibilità degli uomini di trasformarsi e di cambiare qualcosa in loro.

Di fatto, esiste una serie di categorie umane e, il concetto, è collegato con l’idea di Sentiero o Via. Secondo Gurdjieff, nel momento in cui un uomo si collega con l’influenza di tipo C si collega con tutto quello che non fa parte della vita e dell'apprendimento ordinari, inizia a cambiare. Va saputo che questo contatto non avviene con lo studio, ma avviene con delle istruzioni dirette.

Il fatto che è necessario un tipo preciso di influenza per iniziare l’evoluzione è dovuto alle strane caratteristiche umane. Il fatto è che, l’uomo può crescere in modo autonomo solo fino ad un certo punto. Per andare oltre questo sviluppo ordinario è necessario attuare uno sviluppo ulteriore, perché conquistare un’anima comporta molta fatica e molto tempo. Gurdjieff dice che, per svolgere gli scopi ordinari della vita non è necessario essere molto evoluti, e l’uomo è dotato solo di ciò che serve alla natura.

La Terra è circondata da una specie di pellicola sensibile che forma lo strato della sua Vita Organica. Le piante, gli animali e gli uomini seguono un disegno strutturato, infatti servono per consentire la comunicazione tra la terra e gli altri pianeti del sistema solare. La pelle sottile che è formata dalla vita organica della Terra serve per ricevere e trattenere sulla Terra le forze che vengono dal cosmo.

Questo è il significato della vita organica della Terra e, con questo punto di vista, si comprende perché la natura non abbia bisogno che l’uomo sia sviluppato. Se l’uomo vuole qualcosa di più elevato di questo deve lavorare e conquistarsi l’anima. E l’anima umana si conquista solo dopo un Lavoro che richiede molto tempo e vite: questo è l’inizio della scala evolutiva.

Il sistema di Gurdjieff fa parte di quei sistemi che considerano l’uomo come un essere incompleto, perciò l’essere umano viene studiato dal punto di vista del suo possibile sviluppo ulteriore. In questo modello, la psicologia ordinaria non serve perché l’uomo non è ciò che crede di essere e perché non sa di essere un essere molteplice composto da tante personalità inventare dal lui stesso. Per seguire questo sistema è necessario rispettare e condividere due assiomi.

Il primo afferma che la consapevolezza umana sviluppa lentamente e nel secondo si afferma che la volontà e l’individualità umane sono quasi assenti. Accettare questi assiomi è utilissimo ma è impossibile se siamo soddisfatti di quello che siamo, e di dove ci troviamo. Inn questo caso, un Lavoro tanto lungo e faticoso non sarà neppure iniziato. Esistono molte ragioni per conoscere e per voler cambiare se stessi, e questo è possibile ma avviene solo se c'è la consapevolezza di avere cattive abitudini e che vogliamo modificarci.

Se tutto questo non è presente qualsiasi sistema è inutile, perché avere la consapevolezza implica che è avvenuta una graduale liberazione dalla meccanicità. L’uomo comune che si accontenta della vita ordinaria non la possiede, perché è sotto il dominio della meccanicità, ma più abbandona la meccanicità più è consapevole e libero. Non tutti possono fare questo, perché moltissimi sono inadatti alla Via.

Infatti un giorno chiesero a Gurdjieff quale fosse il tipo umano che è più adatto può salire la scala da cui inizia il Sentiero o la Via. Egli rispose con una parola russa che significa “il padre di famiglia”. Nella letteratura indiana esiste un termine simile ossia “snataka” che significa “Padre di Famiglia” e il termine indica un uomo che conduce una vita comune. Questo uomo non ha dubbi sul valore delle cose e può sognare le sue possibilità di sviluppo ulteriore.

Questo è il solo tipo che può entrare in una scuola dopo aver vissuto la sua vita. Solo questo tipo di uomo può percorrere il Sentiero. È utile conoscere le categorie che spiegano perché alcuni uomini possono fare un Sentiero, mentre molti uomini sono ormai senza speranza. E va saputo anche che l’appartenenza ad una certa categoria rende possibile il passaggio ad un’altra categorie, ma il tipo più adatto resta il “Buon Padre di famiglia.”

Gurdjieff dice che questo uomo è ben orientato nella vita e, anche se non crede nella vita, conosce il giusto valore delle cose perché ha acquisito un Centro magnetico. Analizzando la definizione di Gurdjieff vediamo che ci sono due tipi di “Padre di famiglia” cioè c'è quello che crede nella vita e quello che non ci crede affatto. Ma entrambi sono uomini pragmatici e bene equilibrati che svolgono ciò che devono fare in modo ragionevole, ma credere nella vita o il fatto di non crederci fa una gran differenzia.

Il “Buon Padre di famiglia”che non crede nella vita non crede che la vita gli possa dare quello che va nella direzione che lui vuole prendere, e pensa che la vita non sia reale. Malgrado tutto, compie il suo dovere e conosce il vero valore delle cose, sa quanto sono falsi i trucchi della vita e che non portano a nulla. Il “Buon Padre di famiglia” non si sottrae al suo dovere, perciò la disciplina interiore che ha sviluppato lo rende adatto al Lavoro.

Nei Vagabondi troviamo molti artisti e poeti che disprezzano il “Buon Padre di Famiglia” ma, in realtà, sono uomini che hanno un livello e un valore molto inferiore a quelli che disprezzano. I Vagabondi possono essere ricchi o agiati economicamente pure essendo dei vagabondi. A loro manca il senso della responsabilità verso le cose e le persone, perciò non vedono l’insensatezza che c'è in loro. Ma va detto che, in qualche modo, tutti ospitiamo in noi, un insensato.

Dei Lunatici va saputo che, tra loro dobbiamo inserire tutti i politici che credono di poter fare e disfare come credono meglio. Lunatico è quello che corre dietro ai falsi valori e non ha la giusta discriminazione e che crede di poter cambiare tutto a suo capriccio. Il Lunatico diventa ancora più pericoloso se afferma falsi valori in modo consapevole e se ragiona in modo troppo rigido. Se può mettere in pratica le sue teorie arriva a fare grandi disastri, perché il Lunatico trascura l’azione della Seconda Forza.

Il Lunatico crede di poter cambiare tutto per mezzo dell'imposizione di regole e leggi. Lui non capisce che, per cambiare le persone, è necessario avere molto tempo. Cambiare le persone richiede un lungo processo evolutivo, ma questo fatto loro non lo sanno e non lo vogliono accettare perché sono insensati. E insensati sono tutti quelli che non mettono in conto la Seconda Forza o Forza di Resistenza che agisce in tutto quello che vogliamo ottenere.

Poi ci sono gli Hasnamous che è un termine inventato da Gurdjieff e tratto dal russo e dal turco per indicare l’uomo che è abbastanza abile da capire che può ottenere il potere sugli altri uomini usando i trucchi e gli inganni. Gli Hasnamous traggono il loro benessere dal potere di fare il male agli altri uomini. Gli Hasnamous sono presenti nella vita di qualcuno di noi e nella storia del mondo, perché gli esempi sono osservabili sia in scala minima che in larga scala.

La Via del “Buon Padre di famiglia” è il Sentiero faticoso che si percorre in molte vite. Il Sentiero non è fatto per Vagabondi e Lunatici che non agiscono mai senza ricavare vantaggi personali. Il Sentiero è inadatto a chi impone le sue leggi perché pensa che le persone possono essere indotte a cambiare con proibizioni o regole. I Lunatici sono inadatti perché rifuggono da quelli che la pensano diversamente e amano solo chi gli dà sempre ragione.

I Vagabondi sono inadatti perché credono che, per loro, le cose siano facili perciò credono di evolvere in poco tempo. Non possiedono la disciplina interiore necessaria, infatti incontrano le difficoltà narrate nella Parabola del seminatore, dal seme che cadde sui sassi e non mise radici. Il Lavoro è adatto soltanto per chi conosce la Seconda Forza in se stesso, perciò è fatto per chi conosce le difficoltà che deve affrontare ed è consapevole che, se fallisce, è solo per colpa sua.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 25 luglio 2016

Internamente, dove siamo?



“L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione della sua coscienza.
E la coscienza non può evolvere incoscientemente.”
(Georges I. Gurdjieff)

Se parliamo del posto che una persona occupa dobbiamo distinguere tra mondo psicologico e mondo fisico. Possiamo dire che una persona occupa un posto fisico gradevole e un mondo psicologico sgradevole, oppure vediamo il contrario. Molto spesso non vediamo che esiste molta differenza tra il mondo fisico e il mondo psicologico, infatti molti vivono in un mondo interiore che ha uno stato negativo e cattivo. Ma perché accade?

Accade perché le persone vivono in un modo psicologico molto cattivo e, per esempio, immaginiamo che un viaggiatore abbia preso una strada sbagliata e che sia giunto nei bassifondi di una città malfamata dove viene avvicinato da una pericolosa comitiva. Sappiamo che dobbiamo fare attenzione a queste comitive e che dobbiamo fare attenzione alla direzione che seguiamo, perciò pensiamo che queste cose succedono solo agli ingenui. Crediamo che questo non ci riguarda e non ci accade, ma è quello che succede a tutte le persone.

Infatti, se applichiamo l'esempio al mondo psicologico, vediamo che è così che accade a tutti quando creiamo un mondo interno insicuro e poco gradevole. E come succede? Succede perché abbiamo creato un mondo psicologico cattivo in quanto abbiamo riempito il nostro mondo interiore di stati mentali molto negativi. È successo perché abbiamo coltivato un mondo psicologico molto più pericoloso dei bassifondi di una città malfamata. Tutto questo è successo perché non abbiamo osservato il modo in cui il mondo esterno si ripercuoteva nel nostro mondo interno.

Per questo motivo è molto importante saper distinguere tra il mondo esterno e il mondo interno. Per capire meglio immaginiamo che le emozioni negative sono paragonabili alle losche compagnie che incontra il viaggiatore che si è perso nella città sconosciuta. E, seguitando con l’esempio, siamo sicuri che i loschi individui ci avvicinano solo per danneggiarci perché sono cattivi e perché il posto in cui vivono li rende poco raccomandabili. Se rapportiamo l’esempio al nostro mondo interno e alla realtà psicologica che ospitiamo all'interno vediamo che dobbiamo fare molta attenzione ai nostri modi e al nostro comportamento.

Dobbiamo capire che, una persona può sembrare esternamente come una santa molto ben intenzionata, ma internamente può avere un mondo sgradevole e molto pericoloso. Per questo motivo dobbiamo distinguere tra il posto che una persona occupa nel mondo esterno e il posto che quella stessa persona occupa nel mondo interno. Si crede che l’unico mondo esistente sia quello esterno, ma il mondo che percepiamo è il modo con cui viviamo la nostra vita che si dispiega in due mondi diversi.

Uno dei due mondi è quello dei fenomeni di cui facciamo esperienza con i sensi, ma il modo con cui prendiamo gli stimoli che ci vengono dal mondo materiale condiziona il mondo psicologico, mentale e spirituale che ospitiamo nella nostra realtà interna. Tutto il lavoro di Gurdjieff è dedicato all’analisi di come viviamo internamente la nostra realtà esterna. Gurdjieff dice che, se siamo troppo identificati con il mondo dei fenomeni sprechiamo energia in una forma negativa sprecandola per gente che non conosciamo realmente. In questo modo il nostro mondo interno non viene sviluppato perché esso dipende totalmente da quello esterno.

Tutto l'essere viene condizionato totalmente dalle sue necessità. E così leghiamo tutto il nostro essere alla funzione di reagire alle impressioni esterne. Il "lavoro" di cui parla Gurdjieff riguarda il modo con cui riceviamo le impressioni esterne e il modo con cui le rielaboriamo. Se la persona è meccanica viene spinta dalle sollecitazioni che vengono impresse, ma ciò che proviene dal mondo dei fenomeni si possono prendere in modo meccanico oppure in modo cosciente.

Se non prendiamo il mondo esterno in modo cosciente continuiamo ad essere una macchina che viene sospinta dalla vita perciò si vive come una foglia che viene sospinta dal vento. Se non siamo coscienti di tutto questo restiamo schiavi degli eventi esterni perché non sappiamo distinguerci da loro. Solo quando riusciamo a spezzare questa totale identificazione iniziamo a crescere nel nostro mondo interiore: questa è la prima regola. Se i fatti della vita ci afferrano meccanicamente nascono i “problemi” e ciò accade allorquando ci facciamo trascinare dagli intrallazzi del mondo esterno.

La vita e i suoi avvenimenti non vanno affrontati in modo meccanico e inconsapevole, perché altrimenti la vita non ci darà altro che amarezza e inquietudine. Il metodo di Gurdjieff impedisce che ciò avvenga perché il “ricordo di sé” viene frapposto tra la vita e le nostre reazioni meccaniche. Ma, se riusciamo a farlo, la vita diventa diversa, perché siamo noi che la prendiamo in modo diverso. Poiché viviamo in una fabbrica di dolore e abbiamo imparato a vivere nella psicologia del dolore dobbiamo fare una trasformazione per vivere in modo diverso.

Gurdjieff dice che abbiamo tre centri -Intellettuale, Emotivo, fisico o Motorio- ma questi tre centri non sono in armonia, infatti gli uomini possono sentire qualcosa, volere altro e fare ancora cose diverse. La prima cosa da sapere è che queste contraddizioni sono insite nella nostra stessa natura, perciò la seconda realtà da accettare è che questo fatto alimenta i molti “io” diversi che abitano in centri diversi.

A causa di questo, nelle persone vivono molti “io” diversi, perciò alcune persone hanno “io” molto pericolosi che prendono il controllo dell'intero individuo. Alcune persone hanno degli “io” molti cattivi e distruttivi che li fanno ammalare se queste persone si identificano e si perdono nel vortice della loro vita interiore. È chiaro che queste persone non hanno perso troppo tempo ad osservarli e conoscerli perciò non sanno separarsi da essi.

Questi “io” molto negativi vivono nella parte più negativa dei centri soprattutto nella parte negativa del Centro Emozionale. Questi “io” distruttivi causano l’autocommiserazione, la tristezza e la debolezza se la persona non riesce a separarsi da essi, perciò diventa una persona patetica perché ha un pathos da cui non riesce a separarsi.

L’altra cosa che dobbiamo sapere, dice Gurdjieff, è che dobbiamo riconoscere l’espressione delle emozioni sgradevoli, sporche o molto avvelenate, perché gli “io” inquietanti che le esprimono sono molto pericolosi per il lavoro che facciamo su noi stessi. Molte volte questi “io” sono lontani dalla persona, invece altre volte la circondano e cercano di toglierle tutta la forza vitale.

Se la persona cede internamente a queste tendenze distruttive, diventa una persona malata perché molte malattie dipendono dal fatto che la persona si è lasciata trascinare e travolgere dagli “io” malvagi che vogliono rovinarle la vita. È saggio ricordare che tutti gli uomini hanno “io” che cercano di distruggere la loro felicità, ma alcuni sono diventati consapevoli di questa realtà. La nostra maggiore difficoltà è dovuta al fatto che crediamo di essere una persona unitaria e permanente, ma questo fatto è un'illusione.

Crediamo di essere una persona unitaria e permanente perché esiste una “Io immaginario” che appartiene alla Falsa Personalità. Esso agisce in modo da sembrare un io integro e invariabile in ogni occasione. L’auto-osservazione ci permette di iniziare un lavoro che ci farà veramente consolidare la nostra persona con uno sviluppo nuovo. Gurdjieff dice che esiste la possibilità di consolidare un “Io Reale” ma noi continuiamo a confonderci con i tanti “io” da cui non sappiamo separarci e che crediamo essere il nostro vero Essere.

Gurdjieff dice che questi “io” malvagi e malati non siamo noi, e anche quando ci sentiamo dominare dalla paura, dall’ira, dalla tristezza e dalle altre negatività di questa molteplicità dobbiamo comprendere che “Questo non è Io”: il nucleo del metodo di Gurdjieff è solo questo. Ma noi dobbiamo sapere che la nostra rabbia, la nostra depressione e tutti gli stati negativi che proviamo non ci appartengono, e dobbiamo sapere che noi possiamo ospitare sia l’inferno che il paradiso.

Per trascendere i nostri problemi e le nostre emozioni negative è necessario ricordarci di noi stessi. Ma, soprattutto dobbiamo iniziare a fare gli atti di “non-identificazione” perché queste espressioni negative ci sottraggono energia e ci isolano dalla vita. E quando iniziamo a osservarci con più attenzione inizia a cambiare il sentimento che abbiamo verso noi stessi perché è iniziato il cambiamento che innalzerà il livello del nostro essere.

Questo processo inizia fin da quando iniziamo a scoprire che tutte le cose che ci facevano arrabbiare, che ci davano tristezza o amarezza o altre emozioni negative, non hanno più potere su di noi. La vita comincia ad avere meno presa su di noi se non siamo identificati, perciò riduciamo il numero di cose che hanno il potere di farci soffrire o di farci perdere le staffe. Ma questo accade quando le nostre reazioni al mondo iniziano a cambiare.

A livello esteriore, vivremo continuando a fare le stesse cose che abbiamo sempre fatto, ma avremo iniziato il cambiamento interiore. La chiave di tutto il metodo è ammettere che non abbiamo il potere di cambiare il mondo, ma che possiamo cambiare la macchina che siamo. Noi possiamo scegliere se restare macchine che reagiscono alla vita in modo automatico oppure se vogliamo essere individui liberi e consapevoli.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 22 luglio 2016

Dietro la mente



“La mente si sente infelice, soffre, si sente miserabile;
la tua mente prova ogni sorta di emozione,
di attaccamento, di desiderio e di aspirazione…
ma sono tutte proiezioni della mente.
Dietro la mente si trova il tuo Sé reale
che non si è mai mosso, non è mai andato altrove,
non va mai da nessuna parte.
È sempre qui… è sempre qui!”
(Osho)

“Inferno e paradiso sono dentro di te. Le soglie sono molto vicine: con la mano destra puoi aprirne una e con la sinistra l’altra. Basta un semplice cambiamento nella tua mente, e il tuo essere è trasformato: dal paradiso all’inferno e dall’inferno in paradiso. Questo accade da sempre. Qual è il segreto? Il segreto è questo: ogni volta che sei inconsapevole e agisci inconsapevolmente, sei nell’inferno; ogni volta che sei consapevole e agisci in piena consapevolezza, sei in paradiso.

Se questa consapevolezza diventa tanto integra e solida da non poter essere più persa, per te non esiste più alcun inferno. Introduci un po’ più di consapevolezza nella tua vita. ciascun atto deve essere compiuto in maniera meno automatica di quanto hai fatto finora. E tu possiedi la chiave: se stai camminando, non procedere come un robot. Non continuare a camminare come hai sempre fatto, non agire meccanicamente. Muoviti con più consapevolezza, rallenta, lascia che ciascun passo avvenga in piena consapevolezza.

Il Buddha diceva ai suoi discepoli: “Quando sollevi il piede sinistro, in profondità devi dire: ‘Sinistro’ e quando sollevi il piede destro devi dire: ‘Destro’.” All’inizio devi ripetere queste parole, per abituarti al nuovo processo; poi, pian piano, lascia che le parole spariscano; limitati a ricordare: ‘Sinistro, destro; Sinistro, destro’. Provalo nelle piccole azioni. Non è necessario fare grandi cose. Mangiare, fare il bagno, nuotare, camminare, parlare, ascoltare, cucinare cibo, lavare i vestiti: “deautomatizza” tutti i processi.

Ricorda le parole “deautomatizzare”: il segreto del divenire consapevoli è tutto qui. La mente è un robot, e il robot ha la sua utilità. Quando impari qualcosa, all’inizio sei consapevole. Per esempio, se impari a nuotare, stai molto attento, perché è in pericolo la tua vita. oppure, se impari a guidare la macchina devi fare attenzione a molte cose: il volante, la strada, i pedoni, l’accelleratore, il freno, la frizione. Devi stare attento a tutto. Ci sono tantissime cose da ricordare, e sei nervoso perché sbagliare è pericoloso, devi stare attento.

Ma quando avrai imparato a guidare, questa consapevolezza non sarà più necessaria. L’automa all’interno della tua mente prenderà il sopravvento. Questo è ciò che definiamo imparare. Imparare qualcosa vuol dir trasferirla alla coscienza del robot; l’apprendimento si esaurisce in questo. Una volta che hai appreso una cosa, non fa più è parte della sfera cosciente, viene passata all’inconscio. adesso la tua consapevolezza è libera di imparare qualcos’altro.

È una cosa di estrema importanza. Diversamente, continueresti ad apprendere la stessa cosa per tutta la vita. la mente è un grande servitore, un grande computer. Usala, ma ricordati che non deve dominarti. Ricordati che devi conservare la capacità di essere consapevole; la mente non dovrebbe possederti totalmente e diventare la sostanza di tutta la tua vita.; deve restare aperta una porta da cui poter disattivare il robot. Aprire quella porta è ciò che chiamiamo meditazione.

Ma ricorda: il robot è così bravo da poter assumere perfino il controllo della meditazione. Una volta che hai appreso come si fa, la mente dice: “Adesso non hai bisogno di preoccuparti, la posso fare io. Lasciala a me.” E la mente è brava: è una macchina meravigliosa, funziona bene… la mente è semplicemente un miracolo. Ma quando qualcosa è tanto potente, nasconde un pericolo. Puoi esserne a tal punto ipnotizzato da perdere la tua anima.

Ti sei completamente dimenticato come essere consapevole, e allora nasce l’ego. L’ego è lo stato di completa inconsapevolezza. La mente ha preso possesso di tutto il tuo essere, diffondendosi ovunque come un cancro, senza risparmiare nulla. L’ego è il cancro dell’interiorità, il cancro dell’anima. E l’unico rimedio, il solo rimedio, è la meditazione. In quel caso cominci a recuperare territori alla mente. Il processo è difficile ma eccitante, arduo ma affascinante, impegnativo e stimolante, emozionante.

Porterà nella tua vita una nuova felicità. Quando strappi dei territori al robot, sarai sorpreso: sarai diventato una persona del tutto nuova, un essere rinnovato; è una rinascita. E ti sorprenderai: i tuoi occhi vedranno di più, le tue orecchie udiranno di più, le tue mani toccheranno di più, il tuo corpo sentirà di più, il tuo cuore amerà di più: tutto diventerà “di più”. E “di più” non solo nel senso della quantità, ma anche della qualità. Non solo vedrai più alberi, ma li vedrai più profondamente. Il loro verde non solo diventerà più intenso, ma anche più luminoso.

L’albero non solo comincerà ad assumere una sua individualità, in quel momento potrai avere una comunione con l’esistenza. E più territori avrai recuperato, più la tua vita diventerà psichedelica e ricca di colori. Diventerai un arcobaleno, ne esprimerai l’intero spettro; rifletterai tutte le note musicali, l’intera ottava. La tua vita diventerà più ricca, multidimensionale, acquisirà profondità, possiederà valli meravigliose e splendidi picchi assolati.

Comincerà a espanderti. Man mano che recuperai, ti distaccherai dal robot, comincerai a ridiventare vivo. Per la prima volta ti infiammerai di vita. Questo è il miracolo della meditazione; questo è qualcosa che non bisogna lasciarsi sfuggire. La consapevolezza va sviluppata: è solo un seme in te, può diventare un albero. Due cose saranno d’aiuto: l’esame e l’indagine. Esaminare vuol dire non permettere mai a nulla di attraversare la tua mente senza averla minuziosamente osservata.

Si dice che Socrate sostenesse che una vita non è degna di essere vissuta se non l’hai esaminata attentamente; una vita non esaminata è indegna. L’esame è il primo passo: diventare consapevole di ciò che passa attraverso la tua mente. E il traffico è incessante: sono moltissimi i pensieri, i desideri e i sogni che vi stanno passando. Devi stare attento ad esaminare ogni cosa che attraversa la mente. Non un solo pensiero dovrebbe andare perso nell’inconsapevolezza, perché vorrebbe dire che stai dormendo. Diventa sempre più osservatore.

E il secondo passo è l’indagine. Prima osserva, esamina, poi comincia a cercarne le cause. Perché una certa cosa continua a ripetersi? Ti arrabbi in continuazione: l’osservazione ti mostrerà semplicemente che la rabbia va e viene, l’indagine ti mostrerà le radici della rabbia, la sua provenienza…perché potrebbe essere, è quasi sempre così, che la rabbia sia solo un sintomo di qualcos’altro che è nascosto.

Potrebbe essere il tuo ego che si sente ferito e allora ti arrabbi, ma l’ego si tiene nascosto sottoterra. È simile alle radici dell’albero: vedi la chioma, ma non le radici. Con l’osservazione vedrai l’albero, con l’indagine, le radici. Ed è solo vedendo le radici che è possibile una trasformazione. porta le radici alla luce del Sole e l’albero comincerà a morire.

Se riesci a trovare le radici della tua rabbia, resterai sorpreso nel vedere che comincerà a sparire. Se riesci a trovare le radici della tua tristezza, avrai un’altra sorpresa. Prima osserva cosa si ripete in continuazione nella tua mente, cosa continua ad affacciarsi. Non hai molti pensieri: se esamini minuziosamente, vedrai che solo pochi di essi si ripetono in continuazione, forse in forme diverse e con nuovi colori, nuovi vestiti e maschere, ma solo pochi pensieri. e se ti addentri in profondità, sarai sorpreso: hai solo un pensiero.

Gurdjieff diceva ai suoi discepoli: “Per prima cosa trovate la vostra caratteristica principale”. E ogni persona ha una caratteristica diversa: avidità, rabbia, sesso, gelosia o qualcos’altro. Scopri qual è la tua caratteristica, il centro intorno al quale si muovono tutti i tuoi pensieri e stati d’animo. Se riesci a trovare il centro, hai trovato la radice. E il miracolo è che, una volta trovata la radice, non hai bisogno di tagliarla: viene recisa quando la si trova. Questo è il segreto interiore della meditazione…

Prima esamina, poi indaga. Attraverso l’esame e l’indagine sorgerà in te la qualità chiamata consapevolezza. Quando la consapevolezza è presente, possiedi la spada con cui puoi tagliare tutte le radici di tutte le malattie. E quando sorge la consapevolezza, lentamente uscirai dal passato e dal futuro per entrare nel presente; diventerai sempre più presente al presente, otterrai un tipo di presenza che non hai mai avuto.

E in questa presenza, in cui puoi avvertire il momento che passa, tutti i tuoi sensi diventano tanto puri, sensibili, sensuali, vivi e attenti che la vita intera acquisterà una nuova intensità, sarà colma di gusto. Il mondo sarà lo stesso, e tuttavia sarà diverso. Gli alberi sembreranno più verdi, le rose più rosa, la gente più viva e bella. Il mondo è lo stesso, ma le conchiglie cominceranno a sembrare smeraldi e diamanti. Quando la consapevolezza è molto, molto radicata, quando sei presente al presente, acquisisci una visione psichedelica della vita.

Ecco perché i mistici parlano di una bellezza immensa di cui tu non vedi traccia, di un’infinita, continua celebrazione che non trovi da nessuna parte, di una musica sublime che non odi. I mistici hanno ragione: nell’aria c’è una musica sublime, ma tu sei sordo; c’è una grande bellezza tutto intorno a noi, ma tu sei cieco. L’intera esistenza sta celebrando questo preciso istante. L’esistenza è celebrazione.” (Osho Rajneesh, La via del cuore, Oscar Mondadori)

venerdì 15 luglio 2016

Errori e pregiudizi



“Che mondo è questo,
dove i fiori di loto vengono arati
e trasformati in campi.”
(Issa)

Quando leggiamo che la nostra rappresentazione del mondo dipende dalle concezioni che condividiamo con i nostri simili pensiamo che stia parlando un filosofo indiano, ma questa affermazione è vera e questo viene confermato sperimentalmente dagli studiosi. L’integrazione della dimensione psicologica e di quella sociale è un fatto vero, infatti gli studi degli ultimi decenni confermano che esiste una condivisione sociale di concezioni, atteggiamenti e valori che ci permette di ottenere una “stabilizzazione del quadro di vita degli individui e dei gruppi” come afferma lo psicologo e sociologo rumeno, Serge Moscovici.

Ma la stabilità che otteniamo comporta, come diretta conseguenza che, il quadro di orientamento che accettiamo causa una modifica dello “strumento di orientamento della percezione.” In seguito a questo, ne consegue che ogni stimolo o sollecitudine esterna viene filtrato e ricostruito a livello sociale. L’individuo possiede due dimensioni che si intrecciano e che vanno conciliate cioè la dimensione individuale e quella collettiva, perciò è evidente che le rappresentazioni sociali fanno parte della coscienza individuale.

Ma questo non toglie il fatto che il singolo gode di una autonomia nei riguardi dei condizionamenti sociali, infatti la coscienza individuale può stabilire un ordine di preferenza dei valori e delle idee. I soggetti costruiscono le rappresentazioni sociali per riuscire a dare un ordine ad una realtà molto variegata e troppo complessa, perciò questo fenomeno viene rafforzato dal livello mentale. Il processo di ancoraggio mentale consiste nel fatto che ogni fenomeno estraneo viene collegato ad una categoria nota che lo rende familiare e più accettabile.

Questo meccanismo mentale ci consente di assimilate a livello mentale tutto quello che ci risulta troppo inconsueto o che rischia di darci problemi. Vediamo che la mente umana tende a creare una rete di categorie che gli sono proprie e che gli diventano familiari, e questo fatto ci consente di attivare dei confronti e dei paragoni tra l’elemento inconsueto e l'elemento che fa parte di una categoria già conosciuta.

Il processo dell'ancoraggio mentale spiega perché il cervello umano, per analizzare i dati insoliti o ignoti, ha la necessità di fare il confronto tra il sconosciuto e l'ignoto. Questo meccanismo è funzionale all’ottimizzazione del processo di classificazione e di reazione all’ambiente, ma questa facoltà mentale dimostra anche la capacità di pensare passando da elementi astratti ad immagini concrete.

È questo conferma il fatto che, un individuo possa avere una convinzione e non esserne affatto consapevole. Infatti, non sempre le persone agiscono secondo quello che credono, ma spesso agiscono a favore di quello che non condividono. Alcune idee e atteggiamenti si radicano così profondamente che si può essere condizionati senza essere consapevoli. Infatti, anche se non possiamo fornire delle prove oggettive a favore di molti pregiudizi, noi sosteniamo ancora quelle convinzioni errate.

In questo frangente agisce un processo di adattamento sociale che implica la condivisione sociale delle categorie ossia una condivisione di atti di valutazione e di interpretazione del mondo. Ma, in questo modo accettiamo anche l’organizzazione del mondo che ne consegue in termini di conoscenze e di regole di vita. In parole povere, l’adattamento al mondo comporta anche l’accettazione di categorie di pensiero ossia di idee preconfezionate cioè di pregiudizi.

Nel 1954, uno psicologo e docente di Harvard, Gordon W. Allport, scrisse il saggio “La natura del pregiudizio” che è passato alla storia delle scienze sociali come il punto di partenza per lo studio del complesso fenomeno. Il termine “pregiudizio” etimologicamente deriva dal latino “praejudicium” che indica un “giudizio emesso a priori” cioè la percezione di sentimenti positivi o negativi verso un oggetto senza avere avuto un’esperienza oggettiva o senza tener conto dell’esperienza avuta.

È importante capire che il pregiudizio positivo o negativo, ma che il solo fatto di avvallare un giudizio senza avere sperimentato dei dati di fatto che possano suffragarlo equivale ad agire come quel tizio che voleva distruggere tutto prima che qualcosa fosse costruito, nota ironicamente Allport. Di solito, un soggetto che accetta un pregiudizio dirà che ha tutte le sue buone ragioni per pensare quello che pensa.

Ma, in realtà, sappiamo che quel soggetto è vittima di “un processo selettivo” dei suoi ricordi. Infatti, la rielaborazione dei ricordi si mescola alle dicerie ascoltate, poi quelle idee vengono ridotte a giudizi generalizzanti e vengono condivise a livello sociale. Allport dice che “il pregiudizio non possa essere compreso se non a partire dai processi di pensiero normali, gli stessi che consentono all’individuo di padroneggiare la estrema complessità degli stimoli ambientali e di agire efficacemente in rapporto ad essi.”

Il fatto che i pregiudizi si fondino su dati inconsistenti rende difficile sradicarli, perché non si può eliminare un fondamento che non c'è. Riflettendoci sopra vediamo che il pregiudizio si rivolge all'individuo che viene classificato sulla scorta della sua appartenenza a una categoria specifica, senza tener conto delle sue qualità particolari, e reagendo nei suoi riguardi, in ragione di qualità che gli vengono attribuite perché attribuite al suo gruppo di appartenenza.

Tutto questo comporta che, la dimensione di valutazione negativa è data in base all’appartenenza sociale, razziale, religiosa, politica, sessuale, economica e così via. Ma qualora si stabilisce che esiste una disposizione naturale per cui esiste una certa scala sociale che differenzia la qualità degli individui, allora possiamo essere certi che il pregiudizio è diventato una discriminazione.

E qualora si ammettono delle espressioni o atteggiamenti di disprezzo e discriminazione verso un certo gruppo si crea un confine che divide gli ingroup e gli outgroup cioè il gruppo privileggiato degli inclusi e quello discriminato degli esclusi. È certo che, un pregiudizio, non corrisponde ad una realtà oggettiva, perché la vera finalità delle discriminazioni è quella di creare una tendenza sociale nei confronti di gruppi specifici.

Ma è pur vero che alcune culture preferiscono alcune qualità perciò cercano di reprimere quello che non amano. Senza dimenticare che, per coltivare i pregiudizi è necessario avere costruito una buona competenza cognitiva perciò questo conferma il fatto che i bambini non hanno alcuna forma di pregiudizio. Per un'ironia delle cose per essere così ottuso da avere pregiudizi si richiede il possesso di una competenza cognitiva.

Tutto questo è valido anche per l’affermazione di pregiudizi positivi verso il gruppo a cui si sente di appartenere come è evidente nelle sindromi da “popolo eletto” che hanno causato le orribili stragi del secolo scorso. Il fatto di venire percepiti come categoria e non di essere visti come individui è un fattore di spersonalizzazione che deve destare molta attenzione, perché lo stereotipo è il padre del pregiudizio.

E il pregiudizio può attuarsi in modi diversi perciò gli studiosi identificano varie categorie di pregiudizi, e alcune discriminazioni sono insolute e scottanti, perché questi pregiudizi sono duri da eliminare come: il pregiudizio sul femminile, il pregiudizio etnico-razziale, le marginalità sociali, le marginalità di giovani e anziani, le diversità di genere, la disabilità fisica e quella mentale, la tossicodipendenza, ecc.

Il pregiudizio etnico consiste in sentimenti di ostilità rivolti verso le minoranze etniche oppure verso i gruppi di etnia diversa, perciò il fenomeno vede entrare in gioco un complesso groviglio di fattori sociali, culturali e psicologici che entrano in conflitto e accentuano la difficoltà di risolvere la questione. Negli ultimi decenni, si tende a ridurre le manifestazioni esplicite di intolleranza ma l’ostilità è diventata latente perciò sopravvive in forma mascherata.

Siamo passati dal modello del vecchio razzismo esplicito a quello implicito e occulto perciò molto più insidioso. Ci sono vari modi di mostrare queste forme di razzismo occulto perciò si preferisce contrastare le iniziative a favore delle minoranze. Oppure si legittimao le istanze razziste usando in modo distorto gli stessi principi di uguaglianza e libertà individuale che dovrebbero tutelare gli individui. È questa la strategia di quelli che dicono che le iniziative a favore delle minoranze ledono i diritti delle maggioranze.

Non di rado, queste idee distorte possono istigare degli atti di ostilità verso le minoranze. Un’altra forma di razzismo strisciante è quella che comporta il rifiuto volontario di avere rapporti e contatti con le minoranze, e il volontario scoraggiamento delle iniziative che vengono intraprese per riconoscere i loro diritti. Per rinforzare un clima ostile, non solo viene mantenuta un forte distanza con le minoranze, ma vengono messi in evidenza i disturbi che producono.

Questo è testimoniato anche nei detti stereotipati associati alle etnie o nazionalità come quelle che affermano che “lo zingaro è ladro e rapisce i bambini” che “l’italiano è creativo e inaffidabile” e che “lo svizzero è preciso e noioso.” Questi vecchi stereotipi rivestono dei pregiudizi che faticano a passare di moda. Malgrado la scienza abbia provato che affermare la superiorità di una razza su di un'altra è un'idiozia priva di basi scientifiche vediamo che le idiozie restano in auge.

L’errore che queste credenze errate vogliono confermare è che un popolo abbia un’omogeneità di sensibilità, di attitudini e di orientamenti che non si osservano neppure in una famiglia. Da scemenze di questo tipo sono nate le persecuzioni razziali nei confronti degli ebrei e di quei popoli che hanno pagato con questa moneta insanguinata il mantenimento della loro identità nazionale. E se pensiamo ai pregiudizi di carattere sessuale vediamo quelli contro le donne, i trasgender e gli omosessuali che "disturbano" le idee sull’identità maschio/femmina.

Riguardo le donna va detto che ci viene da sempre riservato il posto del sesso debole e, non per caso, ci vengono affibbiate le qualità con valore socialmente negativo. Dicono che la donna è debole, timorosa, emotiva, irrazionale, bisognosa di tutela e di protezione. È vero che ci vengono attribuite anche delle qualità auspicabili, ma sono pur sempre funzionali ad un ruolo subalterno, infatti la donna dovrebbe essere dolce, seduttiva e molto sensuale.

Le regole della società maschilista comportano che la donna venga svantaggiata sul lavoro e venga pagata sempre meno del collega maschio anche se svolge lo stesso lavoro, che abbia un maggior carico di lavoro di cura e di assistenza in famiglia, perciò non è per caso se resta timorosa di fare carriera. Lo sfondamento del soffitto di vetro sembra lontano forse perché quel vetro è stato temprato per essere antisfondamento. E poi se queste differenze esistono e vengono rimarcate perché il nostro svantaggio è quello di essere il cosiddetto "sesso debole" perché siamo costrette a faticare tanto.

Sarà forse perché dobbiamo condividere il medesimo destino infamante che è riservato alle altre minoranze sessuali? Sarà di sicuro così, perché nel caso di omosessualità e della diversità di genere, la paura dell’Aids e la diffusione della positività alla malattia ha rafforzato la stigmatizzazione di questa categoria di “lebbrosi moderni”. L’efficientismo dei tempi moderni ci spinge ad avere un atteggiamento disturbato e discriminante anche nei riguardi dei problemi legati alle abilità di chi è portatore di handicap fisici o mentali. Ma l’infelicità della malattia mentale è più forte.

Questo è dovuto al fatto che si è maturata un’accettazione maggiore per la malattia fisica che viene vista come socialmente più accettabile, mentre resta intatto il marchio infamante della malattia mentale. Un valore condannabile viene riservato anche a tutti quelli che vengono giudicato in base ai pregiudizi sull’età, perché questa condanna assurda è giustificata dalle associazioni e alle aspettative di comportamenti e sentimenti che vengono definiti in modo fisso e stereotipato.

Quindi ai giovani non resta che rassegnarsi e di accettare di venire associati allo stereotipo che essere giovani comporta essere persone meno responsabili e meno autonome nelle decisioni, di essere persone poco maturi e consapevoli, perciò si viene considerati come dei minorati nelle facoltà quindi l'epiteto di "bamboccioni" rientra nel gioco.

Per gli anziani si tratta di accettare di incarnare lo stereotipo della rigidità, della nostalgia del passato e del disinteresse per il futuro, di essere ostili alle innovazione, di essere collerici, ostinati e piagnucolosi. La tragica comicità del paradosso è il fatto che l'unico modo per non diventare vecchi odiosi è morire giovani seppure inetti. Ma siccome la soluzione mi sembra peggiore del male, non sarebbe meglio se la smettiamo con queste scemate e iniziamo a vivere come esseri umani più evoluti?

Buona erranza
Sharatan

martedì 12 luglio 2016

Stereotipi



Finkelstein conversa con Epstein: “Abbiamo sofferto tanto:
esilio, ghetti, pogrom… però li abbiamo fregati!”
Epstein chiede: “E come abbiamo fatto?”
“Con la psicoanalisi!”
(Storielle ebraiche)

Nel 1933, due psicologi sociali chiesero ad un centinaio di studenti dell’Università di Princeton di scegliere una lista di attributi collegandola ai vari gruppi etnici, e notarono che ¼ degli studenti identificava i vari gruppi etnici con 4-5 aggettivi caratteristici. Gli psicologi videro che quei giudizi non venivano espressi in base a esperienze o riscontri oggettivi perché molti degli studenti non avevano mai visto un turco, per esempio, ma attribuivano ai turchi delle caratteristiche che li classificavano in categorie sommarie: queste valutazioni superficiali si definiscono con il termine di “stereotipi”.

Il termine “stereotipo” nasce nelle officine tipografiche verso la fine del secolo 18° e deriva dal greco stereos (solido) e typos (carattere). Lo stereotipo era il calco che permetteva di riprodurre nei volumi a stampa, delle copie identiche di figure e di immagini. Il primo uso del termine in campo diverso fu quando venne usato in ambito psichiatrico per indicare dei comportamenti patologici caratterizzati da ripetizioni ossessive di gesti e di espressioni.

L’uso in campo sociale avvenne nel 1922 quando il giornalista politico, Walter Lippman, lo usò per indicare le categorie semplificate e sommarie che vengono usate per collocare “l’altro” e “il gruppo di cui l’altro fa parte”. Gli psicologi sociali dicono che il nostro rapporto con la realtà esterna non è diretto, ma viene mediato da immagini mentali perché la mente umana non riesce a trattare tutta l’infinita varietà di sfumature con cui il mondo si mostra. Alcuni studiosi hanno affermato che le categorie mentali sono degli stereotipi che i membri di una cultura o sub-cultura assumono essendo una caratteristica che è tipica della sua cultura.

Ogni volta che giudichiamo gli altri usando uno stereotipo noi gli attribuiamo un concetto che caratterizza tutto il suo gruppo, perciò usiamo un insieme rigido di credenze negative che il nostro gruppo condivide e che riguardano un gruppo esterno al nostro. Molti psicologi affermano che gli stereotipi sono i meccanismi che fondano i pregiudizi e che consento che quei pregiudizi si mantengano. Infatti il pregiudizio si fonda sulla convinzione che un certo gruppo abbia delle caratteristiche che lo connotano in un certo qual modo.

In base a questo ragionamento, si crede che lo stereotipo sia il nucleo cognitivo del pregiudizio cioè il nucleo delle credenze che riguardano una certa categoria di oggetti che vengono sempre rielaborati in un modo coerente che tende a sostenere e riprodurre i pregiudizi che lo riguardano. Ma come funziona uno stereotipo?

L’orientamento più recente afferma che lo stereotipo coinvolge tre processi cognitivi. Il primo processo che entra in gioco è il processo di differenziazione o polarizzazione in base al quale il gruppo esterno viene percepito come più omogeneo di quanto sia. Il pericolo di questo processo proviene dal fatto che si sottovalutano le differenze che esistono tra le persone perciò non si riesce a percepire le differenze esistenti tra gli individui che fanno del gruppo estraneo.

Il secondo processo mentale che entra in gioco riguarda la memoria perché si è notato che si tende a conservare più facilmente la traccia mnemonica dei fatti negativi e che gettano discredito sul gruppo rivale o estraneo piuttosto che ricordare gli elementi favorevoli o positivi che lo riguardano. Poi vi è l’ultimo processo in base al quale tendiamo a tralasciare le informazioni che danno torto alle nostre convinzioni, in quanto le invalidano.

In conseguenza a questo fatto, preferiamo stabilire correlazioni tra delle caratteristiche che non sono significative, piuttosto che sentirci dare torto perciò preferiamo costruire convinzioni illusorie. E tutto questo è ciò che accade, a prescindere dal fatto che gli stereotipi sociali costruiti siano positivi o negativi. Il tratto principale dello stereotipo è che esso viene accettato e condiviso dagli singoli per ottenere una comprensione più efficace della realtà.

Ma lo stereotipo comporta l’accettazione di una rigidità mentale che è ancorata alla cultura e nella personalità dei membri di quella cultura: l’aspetto critico è vedere se questo sia immodificabile o meno. Un’indagine condotta da sociologici e psicologi studiò gli stereotipi razziali esistenti nella società americana contemporanea. Nella ricerca si fece un’indagine telefonica contattando dei numeri a caso nel Connecticut e così si intervistarono 686 residenti. Gli studi misero in evidenza che gli stereotipi negativi sui “neri” erano molto più diffusi di quanto si credeva, perché la maggioranza degli intervistati aveva ancora delle credenze stereotipe sui “neri”.

Infatti, molti intervistati dissero che i bianchi erano più abili nel pensiero astratto rispetto alle persone di colore, e la metà degli intervistati disse che le persone di colore hanno il cranio più sottile rispetto al cranio dei bianchi. Le statistiche su questi studi confermano che il mezzo migliore per prevenire la formazione di stereotipi è quello di elevare il livello di preparazione scolastica cioè è quello di migliorare il grado di istruzione.

Si è visto che quelli che non avevano un diploma di scuola superiore presentavano una percentuale doppia di risposte contenenti stereotipi razziali rispetto a chi aveva il diploma di scuola superiore. Gli studiosi confermano che vedere il mondo tramite idee rigide e di interpretarlo per mezzo del filtro illusorio di questi rigidi schemi mentali è dovuto all’ignoranza. Allora si tratta di ammettere che, nella nostra società, esistono degli atteggiamenti che devono essere modificati, e questo è difficile perché la nostra società agisce per stereotipi.

La società moderna usa abilmente e strumentalmente i meccanismi dell’inclusione e dell’esclusione sociale per rafforzare il senso di dipendenza degli individui. Il risultato è la creazione di interazioni sociali che rafforzano l’inadeguatezza e l’incertezza delle persone. Abbiamo creato contesti in cui l’esclusione mira a ridurre l'identità dei singoli, perciò escludiamo per ridurre le potenzialità, le capacità e le opportunità degli individui.

Lo stereotipo implica una dimensione totalizzante che non ammette la ricchezza della personalità del singolo. Il diverso è l'altro ossia il nero, lo straniero, l’omosessuale, il femminile e l’handicappato fisico o mentale che diventano gli elementi di disturbo per una società che esalta la perfezione, l’efficienza del corpo, la salute, la normalità e il consenso. Tutto quello che ricorda l’incapacità di accettare le regole diventa un limite e un disturbo. La buona notizia, per gli studiosi, è che ogni stereotipo anche il più diffuso e condiviso non viene mai accettato da tutti, perciò possiamo agire sulla mancanza di consenso totale.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 6 luglio 2016

La dimensione spirituale della vita



“La varietà degli individui impone la varietà delle credenze.”
(Gyalwa Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama)

“Ritengo essenziale comprendere il nostro potenziale di esseri umani e riconoscere l’importanza dell’evoluzione interiore, che dovrebbe essere conseguita attraverso un processo, diciamo, di sviluppo mentale. A volte definisco tale processo la “dimensione spirituale della vita.” Esistono due livelli di spiritualità, uno dei quali è connesso alle convinzioni religiose. Nel mondo ci sono tanti individui diversi, tante inclinazioni diverse.

Gli esseri umani sono cinque miliardi e in un certo modo credo che occorrano cinque miliardi di religioni, perché la molteplicità delle tendenze è immensa. A mio avviso, ciascun individuo dovrebbe percorrere il cammino spirituale più adatto alla sua disposizione mentale, all’impronta naturale del suo carattere, al suo credo, alla sua famiglia e al suo retroterra culturale.

Io, che sono un monaco buddista, trovo più congeniale il buddismo: per quanto mi riguarda, insomma, lo considero il meglio. Ma ciò non significa che sia il meglio per tutti: no assolutamente. Sarei sciocco se lo reputassi la religione ideale per tutti, in quanto persone diverse hanno inclinazioni mentali diverse. In altre parole, la varietà degli individui impone la varietà delle credenze. Lo scopo della religione è di giovare alla gente e se ne avessimo una sola, dopo un po’ i suoi benefici cesserebbero.

Poniamo che un ristorante servisse giorno dopo giorno un solo piatto a pranzo e a cena; dopo qualche tempo si ritroverebbe con pochi clienti. Le persone hanno bisogno della varietà e apprezzano una dieta variata perché hanno gusti diversi. Ebbene, le religioni hanno la funzione di alimentare lo spirito umano; credo quindi sia giusto celebrare la loro varietà e maturare un profondo apprezzamento della diversità.

C’è chi preferisce il buddismo, e chi trova più congeniali il giudaismo, il cristianesimo o l’islamismo. Dobbiamo dunque apprezzare e rispettare il valore di tutte le maggiori tradizioni religiose del mondo. Le varie religioni possono contribuire non poco al bene dell’umanità: furono tutte concepite per rendere l’individuo più felice e il mondo migliore. Ma perché migliorino davvero il mondo, credo sia essenziale che ogni fedele segua con sincerità gli insegnamenti del suo credo.

Dovunque ci si trovi, bisogna tradurre in atto la dottrina religiosa, applicarla alla propria esistenza affinché diventi una fonte di forza interiore. E bisogna comprendere a fondo i suoi principi non solo con l’intelletto, ma anche con il cuore, con il sentimento profondo che permetta di renderli parte integrante dell’esperienza interiore. A mio parere, le varie tradizioni religiose vanno rispettate perché, tra le altre cose, propongono un codice etico capace di indirizzare il nostro comportamento e di sortire effetti positivi.

Nella tradizione cristiana, per esempio, la fede in Dio fornisce all’individuo un codice etico chiaro e coerente che funge da guida della condotta e del comportamento; è questo un approccio molto potente, perché la persona sviluppa una certa intimità nel proprio rapporto con Dio, e il mezzo per dimostrar l’amore per Colui che l’ha creata è di essere amorevole e compassionevole con il prossimo. Vi sono molti motivi analoghi per rispettare anche le altre tradizioni religiose.

È chiaro che tutte le maggiori religioni hanno giovato in misura enorme a innumerevoli esseri umani nel corso dei secoli. È evidente che ancora oggi milioni di persone continuano a trarre beneficio e ispirazione dalle varie fedi; e lo stesso senza dubbio accadrà in futuro alle tante generazioni a venire. Questo è un dato di fatto. Perciò è importante, importantissimo comprendere tale realtà e rispettare le altre confessioni.

A mio avviso, per rafforzare il mutuo rispetto bisognerebbe stabilire tra le varie fedi un contatto più stretto, a livello personale. Negli ultimi anni ho cercato, per esempio, un incontro e un dialogo con le comunità cristiana ed ebraica, e credo che da ciò siano derivati risultati estremamente positivi. Tramite il contatto più stretto impariamo quali utili contributi abbiano dato all’umanità le altre tradizioni e troviamo in esse elementi interessanti da cui apprendere qualcosa; non è escluso, per esempio, che scopriremo metodi e tecniche da adottare nella nostra pratica.

È dunque essenziale instaurare legami più forti con le religioni diverse dalla nostra, perché questo può consentirci di lavorare insieme per il bene dell’umanità. Sono così tanti i motivi di disaccordo, così tanti i problemi nel mondo. La religione dovrebbe servire non già a generare nuovi contrasti, bensì a ridurre i conflitti e le sofferenze dell’umanità.

Spesso sentiamo dire che tutti gli esseri umani sono eguali. S’intende, con questo, affermare che tutti desiderano ovviamente essere felici. Tutti hanno il diritto alla felicità e tutti hanno il diritto di debellare la sofferenza. Se dunque qualcuno trae gioia o beneficio da una particolare religione, sarà importante tenere in debito conto i suoi diritti. Bisogna quindi imparare a rispettare tutte le maggiori fedi: su questo non c’è dubbio.

A proposito della dimensione spirituale della nostra esistenza, abbiamo dunque chiarito che, tra i vari livelli vi è quello della fede religiosa, e abbiamo osservato che credere in una religione è positivo. Ma anche senza una convinzione religiosa possiamo raggiungere la spiritualità; anzi, in certi casi, possiamo raggiungerla meglio. Qui però rientriamo nell’ambito del diritto individuale: se vogliamo credere va bene; se no, va bene lo stesso.

Esiste tuttavia un alto livello di spiritualità, il livello di quella che chiamerei spiritualità di base: essa abbraccia fondamentali qualità umane come la bontà, la gentilezza, la compassione, la sollecitudine. Che siamo credenti o no, questa spiritualità è essenziale. Personalmente, considero tale livello più importante del primo, perché qualsiasi religione, per quanto mirabile, sarà comunque accettata solo da un numero limitato di individui, solo da una parte di umanità.

Ma, in quanto esseri umani, in quanto membri della famiglia umana tutti noi abbiamo bisogno dei valori spirituali di base. Senza di essi, l’esistenza sarà assai dura e arida e quindi nessuno di noi potrà essere felice: la nostra famiglia soffrirà e dunque, in ultima analisi, anche la società avrà più problemi. Perciò è chiaro che coltivare questi valori fondamentali dello spirito diventa cruciale.

Come li si può coltivare? Dobbiamo ricordare che, dei cinque miliardi di abitanti del pianeta, solo uno o due miliardi sono, penso, veri credenti, sinceri fedeli di una qualche religione. È chiaro che nel novero dei veri credenti non includo chi, per esempio, dichiara di essere cristiano soltanto perchè proviene da una famiglia cristiana, ma nella vita quotidiana è -in pratica- indifferente ai principi della sua religione e non li applica seriamente.

Se escludiamo queste persone, credo che gli individui davvero sinceri nella loro fede ammontino solo a un miliardo. Ciò significa che i rimanenti quattro miliardi –la maggioranza della popolazione della terra- non credono. Dobbiamo ancora trovare il modo di migliorare la vita di questa maggioranza, di questi quattro miliardi che non aderiscono a una fede religiosa; dobbiamo trovare il modo di aiutarli a diventare persone buone e morali pur in assenza di una religione.

A tale fine penso che l’educazione sia essenziale: bisogna instillare nella gente l’idea che la compassione, la gentilezza e altri sentimenti positivi siano in assoluto le qualità migliori degli esseri umani, e non riguardino solo la dimensione religiosa. Questo è in fondo un aspetto molto pratico, alieno dalle teorie religiose e dalle speculazioni filosofiche; ed è fondamentale.

Di fatto, credo che la positività dei sentimenti sia l’essenza di tutte le tradizioni religiose, ma la sua importanza resta anche per chi sceglie di non aderire ad alcuna confessione. Forse si possono educare i non credenti inculcando in loro l’idea che sono liberi di non scegliere alcun dogma, ma che ugualmente devono essere buoni e ragionevoli, assumersi le proprie responsabilità e impegnarsi a rendere il mondo migliore e a diffondervi la felicità. ” (Gyalwa Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama)

Buon compleanno a Sua Santità che compie 81 anni!