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venerdì 25 gennaio 2019

Giudizi e pregiudizi



“Non smettete mai di protestare;
non smettete mai di dissentire, di porre domande,
di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni,
i dogmi. Non esiste la verità assoluta.
Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro.
Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.”
(Bertrand Russell)

Riflettiamo raramente su quello che pensiamo illudendoci di essere più liberi e consapevoli di quanto effettivamente siamo. In realtà siamo limitati da una serie di influenze di cui non abbiamo consapevolezza. Finché non sappiamo nulla delle forze che ci dominano non possiamo imparare a conoscerle, dominarle e usarle a nostro vantaggio.

È molto importante capire come un certo tipo di influenze possono farsi strada nella nostra mente e dominare le nostre azioni e la nostra volontà. In senso contrario, ossia se ci ostineremo a negarle esse agiranno ugualmente, e la loro azione procederà indisturbata, per cui saremo trascinati - anche nostro malgrado - a seguire un determinato modo di pensare o un determinato comportamento senza poterci opporre.

Ci illudiamo di essere liberi, perché la libertà è una delle più grandi illusioni dell’essere umano. In realtà siamo condizionati da una serie di limitazioni. Veniamo condizionati per restare limitati soprattutto a livello mentale perché viene mortificata l’elasticità del cervello. Siamo abituati a valutare gli altri solo dal punto di vista esteriore, perciò accettiamo i pregiudizi che riguardano la nazione, la razza, la religione, la condizione sociale, la scelta sessuale e de caratteristiche esteriori simili.

Se coltiviamo dei pregiudizi subiamo una restrizione della mente, perché formare un giudizio prima di conoscere non usiamo le strutture cerebrali coinvolte nella osservazione, discriminazione e decodifica del mondo. Le limitazioni agiscono su di noi in due modi: in primo luogo modificando la nostra opinione sulle cose e sui fatti e, in secondo luogo, modificando le nostre azioni.

Vedendo la questione in modo più semplice, il pregiudizio ci danneggia perché ci impone di vedere le cose non per come sono, ma per come le vedono gli altri. Siamo costretti a vedere il mondo come lo pensano gli altri, perciò non possiamo farci una nostra opinione. Non possiamo creare un pensiero imparziale su quello che viviamo. Uno dei pregiudizi più pericolosi è quello che riguarda la nazione e sui luoghi comuni che riguardano le persone che fanno parte di una determinata nazionalità.

Gli italiani ne sanno qualcosa poiché, in passato, non potevano entrare nei locali pubblici in cui era vietato l’accesso “ai cani e agli italiani” e perché erano identificati con lo stereotipo di “italiano: mafia, pizza e mandolino”. E allora cosa pensano quelli che gridano contro gli “stranieri” che giungono a chiederci aiuto? Molto spesso l’opinione pubblica di una nazione crea lo spauracchio, l’insulto o il capro espiatorio ai danni di un altro popolo.

Nei casi estremi si attribuisce allo “straniero” o al “diverso” qualche aberrante comportamento o una malvagità funzionale al fatto di rinforzare il disgusto che si vuole rivolgere contro di lui. Il pregiudizio verso un certo popolo o una certa etnia può diventare tanto intenso che è necessario molto tempo perché sia superato. E spesso - dietro molti luoghi comuni come quella dell’ebreo usuraio, del tedesco mangia patate, dell’italiano mafioso, goloso e musicante si nasconde un pregiudizio difficile da estirpare.

E se ci illudiamo che una persona più colta sia immune dal coltivare pregiudizi, si sappia che non è così, sebbene sia certo che le persone più ignoranti hanno pregiudizi più forti e più radicati, ma soprattutto molto più irragionevoli. Non è il caso di sentirsi superiori, perché tutti dobbiamo fare sempre molta attenzione a non cadere vittime dei pregiudizi. Non è facile restare immuni dai pregiudizi che sono profondamente radicati nella nostra cultura come quello che accusa gli zingari di rapire i bambini.

Il fatto è che siamo circondati da correnti di pensiero che agiscono su di noi e che reagiscono ai nostri pensieri. Alimentate da queste energie mentali si formano delle masse energetiche, le forme-pensiero, che tendono a riprodursi trasmettendo la loro vibrazione a qualsiasi corpo mentale che incontra o con cui entra in contatto. Nel piccolo possiamo osservare questa azione nelle questioni che coinvolgono la politica dove le opinioni si dividono tra varie fazioni in opposizione tra loro.

Ma, in queste questioni, le idee non restano discordi e il pensiero della maggioranza inizia a segue una certa fazione e afferma una idea che viene condivisa da molti e che riscuote il consenso dell’opinione pubblica. Il consenso crea e alimenta una forma-pensiero potente che esercita una forte pressione sulla mente delle persone. E maggiore è il numero dei soggetti che aderiscono all’idea più aumenta la forza della forma-pensiero che è stata prodotta e che entra in azione.

In questo modo per il singolo diventa molto difficile resistere all’urto di quella potente onda di pensiero e diventa inevitabile farsi trascinare dalla corrente dell’opinione prevalente. Anche se il singolo è molto resistente, la lotta è sempre presente, perché la pressione è continua. Anche se restiamo sempre all’erta è molto facile lasciarsi convincere dal pensiero condivisa dalla maggioranza.

A livello metaforico, il pregiudizio si può definire come un indurimento della nostra facoltà mentale, perché nelle stesse zone passano sempre le medesime vibrazioni che mandano in risonanza sempre le stesse ramificazioni dendritiche, che attivano sempre le stesse risposte umorali e che scatenano sempre le stesse reazioni psico-fisiche.

Un cervello ripetitivo diventa sempre più limitato e sclerotico, noioso, poco creativo e condizionabile. Il soggetto che ha un organo cerebrale simile è incapace di vedere le cose per come sono realmente, perché le sue strutture mentali sono abituate a fare sempre la stessa strada e non conoscono altre vie. Il pregiudizio attiva una percezione errata, perché limita i dati percettivi facendo vedere solo quello che credevamo di vedere. E così si finisce per vedere solo quello che si vuole vedere e si finisce per credere solo a quello che già si crede.

La politica è il classico caso in cui le opinioni non vengono maturate per convinzione personale, perché l’adesione ad un credo politico non è dovuta ad una matura riflessione dopo aver valutato il pro e il contro di una certa idea o linea politica. Le opinioni politiche scelte per seguire la maggioranza possono diventare molto pericolose come si vide nell’adesione al nazismo che ebbe il potere di coinvolgere un’intera nazione.

Da ciò si vede come un’idea aberrante possa catalizzare una forza in grado di creare una forma-pensiero temibile. Anche in questo caso sarebbe stato utile conoscere come riuscire a distinguere la differenza tra pregiudizio e convinzione personale. Le convinzioni ci creano in modo personale e autonomo, infatti sono basate sull’osservazione di fatti oggettivi valutati con ragioni logiche dopo un’approfondita riflessione.

Uno dei metodi più validi per distinguere tra pregiudizio e convinzione è quello di esaminare le ragioni e la logica su cui basiamo le nostre idee. Nell’essere umano - che è un animale sociale - prevale la tendenza ad accodarsi dietro l’opinione generale, dietro il pensiero prevalente, invece che coltivare idee che provengono da un ragionamento autonomo e originale.

Il “così fan tutti” giustifica le insicurezze personali e spinge a farsi complici di azioni che non condividiamo ma che facciamo perché seguire la corrente è più facile che remare nel verso contrario. Non è necessario essere psicologi per capire che le opinioni della maggioranza non sono sempre vere o condivisibili. Molto spesso pensiamo che è ingiusta e non condivisibile, ma non abbiamo la forza per affermare le nostre idee e difendere le nostre ragioni.

Anche i pregiudizi di classe sono insidiosi, perché tutti amano sentirsi superiori e migliori degli altri. Per questo è così facile disprezzare quelli che fanno parte di una classe inferiore. Anche in questo caso il rimedio migliore sarebbe di usare il cervello aumentando la conoscenza, e il cuore aumentando la compassione per quelli che hanno meno di noi.

Da molti esempi si evince che il pregiudizio è la causa e la conseguenza di una compressione delle facoltà pensanti, perché è sufficiente conoscere le persone per capire che siamo tutti esseri umani quindi siamo molto più uguali di quanto pensiamo. Anche a livello spirituale si sviluppano pregiudizi soprattutto quando si crede di far parte di una classe di ego molto elevati e si millanta una grande nobiltà spirituale.

Ma la nobiltà spirituale si dimostra con la comprensione per le creature che devono ancora evolvere, e con la compassione per noi stessi che crediamo di essere già realizzati. Il fatto è che anche le persone migliori corrono il rischio di cadere vittime dei pregiudizi, perché è difficile sfuggire alla forza attrattiva della “mente del gregge”.

In molti casi non è vero che l’idea è dannosa perché è sostenuta dall’opinione pubblica. Si possono fare degli esempi in cui un’idea deriva dall’esperienza delle generazioni passate per cui va difesa e sostenuta perché offre una base minima del buon senso comune. L’opinione pubblica ha ragione se condanna il lavoro dei bambini o il femminicidio, perciò ha ragione se pensa che un paese in queste cose accadono è un paese molto triste e incivile.

In un paese dove accadono queste cose si è formata una mente collettiva troppo primitiva, perciò in paesi come quello non è bello vivere perché sono è poco piacevole e troppo arretrato. Lo stesso discorso si può fare in tutti i contesti in cui la violenza, il conflitto e la demagogia atta e seminare divisioni socialei e discordia sono i fattori che determinano la ragione. La pressione che può fare l’opinione pubblica non è sempre una colpa, perché la folla può usare la sua forza per fermare le ingiustizie.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 15 luglio 2016

Errori e pregiudizi



“Che mondo è questo,
dove i fiori di loto vengono arati
e trasformati in campi.”
(Issa)

Quando leggiamo che la nostra rappresentazione del mondo dipende dalle concezioni che condividiamo con i nostri simili pensiamo che stia parlando un filosofo indiano, ma questa affermazione è vera e questo viene confermato sperimentalmente dagli studiosi. L’integrazione della dimensione psicologica e di quella sociale è un fatto vero, infatti gli studi degli ultimi decenni confermano che esiste una condivisione sociale di concezioni, atteggiamenti e valori che ci permette di ottenere una “stabilizzazione del quadro di vita degli individui e dei gruppi” come afferma lo psicologo e sociologo rumeno, Serge Moscovici.

Ma la stabilità che otteniamo comporta, come diretta conseguenza che, il quadro di orientamento che accettiamo causa una modifica dello “strumento di orientamento della percezione.” In seguito a questo, ne consegue che ogni stimolo o sollecitudine esterna viene filtrato e ricostruito a livello sociale. L’individuo possiede due dimensioni che si intrecciano e che vanno conciliate cioè la dimensione individuale e quella collettiva, perciò è evidente che le rappresentazioni sociali fanno parte della coscienza individuale.

Ma questo non toglie il fatto che il singolo gode di una autonomia nei riguardi dei condizionamenti sociali, infatti la coscienza individuale può stabilire un ordine di preferenza dei valori e delle idee. I soggetti costruiscono le rappresentazioni sociali per riuscire a dare un ordine ad una realtà molto variegata e troppo complessa, perciò questo fenomeno viene rafforzato dal livello mentale. Il processo di ancoraggio mentale consiste nel fatto che ogni fenomeno estraneo viene collegato ad una categoria nota che lo rende familiare e più accettabile.

Questo meccanismo mentale ci consente di assimilate a livello mentale tutto quello che ci risulta troppo inconsueto o che rischia di darci problemi. Vediamo che la mente umana tende a creare una rete di categorie che gli sono proprie e che gli diventano familiari, e questo fatto ci consente di attivare dei confronti e dei paragoni tra l’elemento inconsueto e l'elemento che fa parte di una categoria già conosciuta.

Il processo dell'ancoraggio mentale spiega perché il cervello umano, per analizzare i dati insoliti o ignoti, ha la necessità di fare il confronto tra il sconosciuto e l'ignoto. Questo meccanismo è funzionale all’ottimizzazione del processo di classificazione e di reazione all’ambiente, ma questa facoltà mentale dimostra anche la capacità di pensare passando da elementi astratti ad immagini concrete.

È questo conferma il fatto che, un individuo possa avere una convinzione e non esserne affatto consapevole. Infatti, non sempre le persone agiscono secondo quello che credono, ma spesso agiscono a favore di quello che non condividono. Alcune idee e atteggiamenti si radicano così profondamente che si può essere condizionati senza essere consapevoli. Infatti, anche se non possiamo fornire delle prove oggettive a favore di molti pregiudizi, noi sosteniamo ancora quelle convinzioni errate.

In questo frangente agisce un processo di adattamento sociale che implica la condivisione sociale delle categorie ossia una condivisione di atti di valutazione e di interpretazione del mondo. Ma, in questo modo accettiamo anche l’organizzazione del mondo che ne consegue in termini di conoscenze e di regole di vita. In parole povere, l’adattamento al mondo comporta anche l’accettazione di categorie di pensiero ossia di idee preconfezionate cioè di pregiudizi.

Nel 1954, uno psicologo e docente di Harvard, Gordon W. Allport, scrisse il saggio “La natura del pregiudizio” che è passato alla storia delle scienze sociali come il punto di partenza per lo studio del complesso fenomeno. Il termine “pregiudizio” etimologicamente deriva dal latino “praejudicium” che indica un “giudizio emesso a priori” cioè la percezione di sentimenti positivi o negativi verso un oggetto senza avere avuto un’esperienza oggettiva o senza tener conto dell’esperienza avuta.

È importante capire che il pregiudizio positivo o negativo, ma che il solo fatto di avvallare un giudizio senza avere sperimentato dei dati di fatto che possano suffragarlo equivale ad agire come quel tizio che voleva distruggere tutto prima che qualcosa fosse costruito, nota ironicamente Allport. Di solito, un soggetto che accetta un pregiudizio dirà che ha tutte le sue buone ragioni per pensare quello che pensa.

Ma, in realtà, sappiamo che quel soggetto è vittima di “un processo selettivo” dei suoi ricordi. Infatti, la rielaborazione dei ricordi si mescola alle dicerie ascoltate, poi quelle idee vengono ridotte a giudizi generalizzanti e vengono condivise a livello sociale. Allport dice che “il pregiudizio non possa essere compreso se non a partire dai processi di pensiero normali, gli stessi che consentono all’individuo di padroneggiare la estrema complessità degli stimoli ambientali e di agire efficacemente in rapporto ad essi.”

Il fatto che i pregiudizi si fondino su dati inconsistenti rende difficile sradicarli, perché non si può eliminare un fondamento che non c'è. Riflettendoci sopra vediamo che il pregiudizio si rivolge all'individuo che viene classificato sulla scorta della sua appartenenza a una categoria specifica, senza tener conto delle sue qualità particolari, e reagendo nei suoi riguardi, in ragione di qualità che gli vengono attribuite perché attribuite al suo gruppo di appartenenza.

Tutto questo comporta che, la dimensione di valutazione negativa è data in base all’appartenenza sociale, razziale, religiosa, politica, sessuale, economica e così via. Ma qualora si stabilisce che esiste una disposizione naturale per cui esiste una certa scala sociale che differenzia la qualità degli individui, allora possiamo essere certi che il pregiudizio è diventato una discriminazione.

E qualora si ammettono delle espressioni o atteggiamenti di disprezzo e discriminazione verso un certo gruppo si crea un confine che divide gli ingroup e gli outgroup cioè il gruppo privileggiato degli inclusi e quello discriminato degli esclusi. È certo che, un pregiudizio, non corrisponde ad una realtà oggettiva, perché la vera finalità delle discriminazioni è quella di creare una tendenza sociale nei confronti di gruppi specifici.

Ma è pur vero che alcune culture preferiscono alcune qualità perciò cercano di reprimere quello che non amano. Senza dimenticare che, per coltivare i pregiudizi è necessario avere costruito una buona competenza cognitiva perciò questo conferma il fatto che i bambini non hanno alcuna forma di pregiudizio. Per un'ironia delle cose per essere così ottuso da avere pregiudizi si richiede il possesso di una competenza cognitiva.

Tutto questo è valido anche per l’affermazione di pregiudizi positivi verso il gruppo a cui si sente di appartenere come è evidente nelle sindromi da “popolo eletto” che hanno causato le orribili stragi del secolo scorso. Il fatto di venire percepiti come categoria e non di essere visti come individui è un fattore di spersonalizzazione che deve destare molta attenzione, perché lo stereotipo è il padre del pregiudizio.

E il pregiudizio può attuarsi in modi diversi perciò gli studiosi identificano varie categorie di pregiudizi, e alcune discriminazioni sono insolute e scottanti, perché questi pregiudizi sono duri da eliminare come: il pregiudizio sul femminile, il pregiudizio etnico-razziale, le marginalità sociali, le marginalità di giovani e anziani, le diversità di genere, la disabilità fisica e quella mentale, la tossicodipendenza, ecc.

Il pregiudizio etnico consiste in sentimenti di ostilità rivolti verso le minoranze etniche oppure verso i gruppi di etnia diversa, perciò il fenomeno vede entrare in gioco un complesso groviglio di fattori sociali, culturali e psicologici che entrano in conflitto e accentuano la difficoltà di risolvere la questione. Negli ultimi decenni, si tende a ridurre le manifestazioni esplicite di intolleranza ma l’ostilità è diventata latente perciò sopravvive in forma mascherata.

Siamo passati dal modello del vecchio razzismo esplicito a quello implicito e occulto perciò molto più insidioso. Ci sono vari modi di mostrare queste forme di razzismo occulto perciò si preferisce contrastare le iniziative a favore delle minoranze. Oppure si legittimao le istanze razziste usando in modo distorto gli stessi principi di uguaglianza e libertà individuale che dovrebbero tutelare gli individui. È questa la strategia di quelli che dicono che le iniziative a favore delle minoranze ledono i diritti delle maggioranze.

Non di rado, queste idee distorte possono istigare degli atti di ostilità verso le minoranze. Un’altra forma di razzismo strisciante è quella che comporta il rifiuto volontario di avere rapporti e contatti con le minoranze, e il volontario scoraggiamento delle iniziative che vengono intraprese per riconoscere i loro diritti. Per rinforzare un clima ostile, non solo viene mantenuta un forte distanza con le minoranze, ma vengono messi in evidenza i disturbi che producono.

Questo è testimoniato anche nei detti stereotipati associati alle etnie o nazionalità come quelle che affermano che “lo zingaro è ladro e rapisce i bambini” che “l’italiano è creativo e inaffidabile” e che “lo svizzero è preciso e noioso.” Questi vecchi stereotipi rivestono dei pregiudizi che faticano a passare di moda. Malgrado la scienza abbia provato che affermare la superiorità di una razza su di un'altra è un'idiozia priva di basi scientifiche vediamo che le idiozie restano in auge.

L’errore che queste credenze errate vogliono confermare è che un popolo abbia un’omogeneità di sensibilità, di attitudini e di orientamenti che non si osservano neppure in una famiglia. Da scemenze di questo tipo sono nate le persecuzioni razziali nei confronti degli ebrei e di quei popoli che hanno pagato con questa moneta insanguinata il mantenimento della loro identità nazionale. E se pensiamo ai pregiudizi di carattere sessuale vediamo quelli contro le donne, i trasgender e gli omosessuali che "disturbano" le idee sull’identità maschio/femmina.

Riguardo le donna va detto che ci viene da sempre riservato il posto del sesso debole e, non per caso, ci vengono affibbiate le qualità con valore socialmente negativo. Dicono che la donna è debole, timorosa, emotiva, irrazionale, bisognosa di tutela e di protezione. È vero che ci vengono attribuite anche delle qualità auspicabili, ma sono pur sempre funzionali ad un ruolo subalterno, infatti la donna dovrebbe essere dolce, seduttiva e molto sensuale.

Le regole della società maschilista comportano che la donna venga svantaggiata sul lavoro e venga pagata sempre meno del collega maschio anche se svolge lo stesso lavoro, che abbia un maggior carico di lavoro di cura e di assistenza in famiglia, perciò non è per caso se resta timorosa di fare carriera. Lo sfondamento del soffitto di vetro sembra lontano forse perché quel vetro è stato temprato per essere antisfondamento. E poi se queste differenze esistono e vengono rimarcate perché il nostro svantaggio è quello di essere il cosiddetto "sesso debole" perché siamo costrette a faticare tanto.

Sarà forse perché dobbiamo condividere il medesimo destino infamante che è riservato alle altre minoranze sessuali? Sarà di sicuro così, perché nel caso di omosessualità e della diversità di genere, la paura dell’Aids e la diffusione della positività alla malattia ha rafforzato la stigmatizzazione di questa categoria di “lebbrosi moderni”. L’efficientismo dei tempi moderni ci spinge ad avere un atteggiamento disturbato e discriminante anche nei riguardi dei problemi legati alle abilità di chi è portatore di handicap fisici o mentali. Ma l’infelicità della malattia mentale è più forte.

Questo è dovuto al fatto che si è maturata un’accettazione maggiore per la malattia fisica che viene vista come socialmente più accettabile, mentre resta intatto il marchio infamante della malattia mentale. Un valore condannabile viene riservato anche a tutti quelli che vengono giudicato in base ai pregiudizi sull’età, perché questa condanna assurda è giustificata dalle associazioni e alle aspettative di comportamenti e sentimenti che vengono definiti in modo fisso e stereotipato.

Quindi ai giovani non resta che rassegnarsi e di accettare di venire associati allo stereotipo che essere giovani comporta essere persone meno responsabili e meno autonome nelle decisioni, di essere persone poco maturi e consapevoli, perciò si viene considerati come dei minorati nelle facoltà quindi l'epiteto di "bamboccioni" rientra nel gioco.

Per gli anziani si tratta di accettare di incarnare lo stereotipo della rigidità, della nostalgia del passato e del disinteresse per il futuro, di essere ostili alle innovazione, di essere collerici, ostinati e piagnucolosi. La tragica comicità del paradosso è il fatto che l'unico modo per non diventare vecchi odiosi è morire giovani seppure inetti. Ma siccome la soluzione mi sembra peggiore del male, non sarebbe meglio se la smettiamo con queste scemate e iniziamo a vivere come esseri umani più evoluti?

Buona erranza
Sharatan