venerdì 27 gennaio 2017

Io sono con te


Il nuovo album "Mille Gruppi Avanzano" degli Assalti Frontali è uscito a novembre 2016. Condivido il video girato da Marcello Saurino con la partecipazione straordinaria del pugile livornese, Lenny Bottai ripreso nell'incontro dell'aprile 2016 al Palamacchia di Livorno, in cui ha vinto il titolo italiano "professionisti Superwelter" davanti a un pubblico di 10.000 persone e agli "Assalti Frontali." Militant-A ha detto a "Rolling Stones," la nota rivista musicale, che:

«Io sono con te è un pezzo che scorre dal cuore di chi canta al cuore di chi ascolta, è un pezzo nato per dire che non siamo soli, anche se a volte (spesso) sembra di esserlo. La vita è meravigliosa ma è una battaglia, o forse è meravigliosa proprio perché è una battaglia. Sullo sfondo, la natura in lotta contro i mostri di cemento, in primo piano la nostra vita quotidiana che scorre senza sosta, prendiamo colpi, teniamo il ritmo, ripartiamo al contrattacco (proprio come un incontro di boxe)»

«È stato così sempre nella storia: a volte ci si ritrova soli, ma non lo siamo. La battaglia di uno è la battaglia di tutti e, quando si sceglie di stare insieme agli altri, ognuno si trasforma in una ricchezza, una bellezza, un’unicità che non potrà mai perdere. Capita di finire a terra ma qualcuno dei tuoi arriverà per dirti: Io sono con te e rialzarti, capita di alzare le mani al cielo e la gente per strada non ti dirà: “Hai vinto” ma: “Abbiamo vinto.”»



Il coraggio più grande
è svegliarsi di buonumore
fare un sorriso,
dire buongiorno,
prepararsi la colazione
poi uscire di corsa
nel mondo feroce.

Darti un bacio di sfuggita,
mantenere calma la voce.
Guarda là un papà 
va in Kazakistan
a perforare il mare
un altro ha lo stipendio tutti i mesi
perché ha l'uniforme militare.

Chi va alla posta,
chi all'ospedale,
chi allo sfasciacarrozze.

Io mi ammazzo tutti i giorni
su queste stupide bozze.
Lavoro sempre,
a volte, sembro assente,
ma non mi trascina via la corrente.

Sono con te,
sono al tuo fianco
penso anche ai soldi,
è un obbligo,
ma mica tanto.

Io penso a voi
quando vado in giro e canto
e sono un entusiasta
di primo approccio.

Dico sempre a tutti
ciao, che bello, che fate?
Dammi un abbraccio.

È un lavoro anche quello,
torno a casa uno straccio.
Adesso vieni con me,
ti faccio vedere quello che faccio.

[Rit.] Quando dico su le mani
per gli Assalti Frontali
le mie mani vanno al cielo
per dei grandi ideali.

Le cose sembrano uguali
ma sono sempre diverse
aldilà del risultato
non saranno mai battaglie perse.

Puntiamo in alto,
anche più in alto
e poi ancora di più.
La vita corre
e se nessuno ti soccorre tu
ricorda, 
quando sei a terra, che
io sono con te,
io sono con te,
io sono con te,
io sono con te, 
io sono con te.

[Militant A]
Stare sul palco per me
è stata sempre una festa
Per farmi coraggio all'inizio
mi coprivo la faccia e la testa.

Un fazzoletto rosso,
un bel cappello nero
Col tempo ho tolto tutto,
mi basta essere semplice e vero

Prima di scendere in pista
e mettermi in vista
ho provato un lavoro così
il commercialista
è durato due ore
è durato poco l'amore.

Ho detto alla capa, 
faccio una passeggiata,
meglio che non mi inganni
forse ci rivediamo fra vent'anni

Ora parlo un po' meno,
guardo ancora lontano
Vorrei stare sempre lì
a difenderti e a darti la mano

Ma posso dirti buona giornata
e che lo sia veramente.
Per parte mia, più cresco,
più non sopporto niente

Diderot per vivere
vendette la sua biblioteca
Marx ebbe tre figli morti,
morti di una fame cieca
Galileo fu imprigionato,
Giordano Bruno bruciato.
Ognuno di loro meritava
d'essere molto più amato

[Rit.] Quando dico su le mani
per gli Assalti Frontali
Le mie mani vanno al cielo
per dei grandi ideali.

Le cose sembrano uguali
ma sono sempre diverse
aldilà del risultato
non saranno mai 
battaglie perse

Puntiamo in alto,
anche più in alto
e poi ancora di più.

La vita corre 
e se nessuno ti soccorre tu
ricorda, 
quando sei a terra, che
io sono con te,
io sono con te,
io sono con te,
io sono con te,
io sono con te.

giovedì 26 gennaio 2017

Il filo di ragno



Il Buddha Shakyamuni passeggiava un giorno nei Cieli, lungo le rive del Lago del Fiore di Loto. Negli abissi del lago, il Buddha vedeva gli inferi. E scorse un uomo chiamato Kantaka, morto da alcuni giorni, che si dibatteva e soffriva tra i tormenti infernali. Shakyamuni era animato da una compassione profonda, amava soccorrere le anime dannate che avessero compiuto anche una sola buona azione nella loro esistenza.

Kantaka era stato un ladro e aveva condotto una vita dissoluta. In una circostanza, tuttavia, aveva agito generosamente. Un giorno aveva visto sulla sua strada un grosso ragno e, nonostante la voglia di schiacciarlo, l’aveva lasciato in vita, proseguendo il cammino. Shakyamuni lesse, in quell’azione generosa, uno spirito buono e fu preso dal desiderio di aiutarlo.

Fece dunque discendere, nelle profondità del lago, un lungo filo di ragno, che penetrò negli inferi, fino a raggiungere Kantaka. Quando Kantaka vide quel filo, come una robusta corda d’argento, si disse che certamente sarebbe stato difficilissimo salire lungo di esso, ma che doveva tentare, tanto era ardente il suo desiderio di uscire dall’abisso.

Prese dunque a salire; sempre più in alto… sempre più in alto… aiutandosi con le mani e con i piedi, e facendo immani sforzi per non scivolare. L’ascesa era lunga. Giunto a metà del cammino, il ladro guardò verso il basso, verso gli inferi ormai lontanissimi. In alto scorgeva la luce, e non aveva altro desiderio che raggiungerla.

Salì ancora e poi, volgendosi verso il basso con un ultimo sguardo, il ladro vide una gran folla che si arrampicava lungo la corda, sin dagli infimi abissi dell’inferno. Kantaka fu allora colto dal panico: la corda poteva a malapena reggere il suo peso, e dunque avrebbe certamente ceduto e tutti, lui compreso, sarebbero precipitati nuovamente negli abissi!

«Voi dovevate rimanere nell’inferno! Ma perché mi avete seguito?» urlò verso coloro che stavano salendo dietro di lui. In quel preciso istante il filo si spezzò, esattamente sopra le mani di Kantaka, e tutti sprofondarono negli abissi tenebrosi. Nello stesso istante, il sole risplendette sopra il lago, sulla cui riva il Buddha stava passeggiando. (Taïsen Deshimaru)

martedì 24 gennaio 2017

Un pizzico di spezie



Vien messo nei cassettini delle spezie
una specie di cucchiaino,
col quale si può prendere
da ogni riserva un poco di pepe,
un poco di ceralacca…

Le riserve sono infinite,
ma il cassettino ne contiene
una quantità limitata.

L’essere umano assomiglia
tanto al cucchiaino quanto
alla bottega del droghiere
nella quale sono stati deposti

- libbra dopo libbra,
pizzico dopo pizzico -
gli attributi di Dio, affinché
l’essere umano possa
commerciare con il mondo,
secondo le quantità depositate:

un pizzico d’udito,
un pizzico di parole,
un pizzico di ragione,
un pizzico di generosità,
un pizzico di scienza.

(Jalāl al-Dīn Rūmī)

domenica 22 gennaio 2017

Vecchia e nuova politica



“ Chiunque si appoggi al Tao
nel governo degli uomini,
non cerca di forzare le situazioni
né di sconfiggere i nemici con la forza delle armi.
Per ogni forza ce n’è un’altra che le si oppone.
La violenza, sia pure benintenzionata,
ricade sempre su chi la compie.”
(Lao Tzu, Tao te Ching)

“Immaginate una politica che si basi sulla presenza mentale. Immaginate una mentalità di governo e un processo democratico che conosca e onori il fatto che “l’universo è sempre fuori dal nostro controllo” e che “cercare di dominare gli eventi va contro il flusso del Tao” e non perché questa frase campeggi, incisa su marmo, sulla facciata di un qualche palazzo governativo, ma perché se n’è fatta esperienza di prima mano, perché nella società vasti strati della popolazione coltivano la pratica di consapevolezza.

I nostri processi decisionali e anche la visione di quelli che sono i nostri interessi personali sarebbero radicalmente differenti, se si accordassero con quel tipo di mentalità, con quel genere di saggia umiltà. Allora il consenso e l’azione potrebbero nascere - molto più di quanto succede oggi - dalla saggezza e dalla compassione, e anche dal fatto di capire quanto siano distanti le apparenze dalle cose così come sono; e così le nostre azioni mirerebbero alla realtà invece che le apparenze.

Quelle azioni darebbero forma a ciò che ogni comunità si augura di ricevere dagli organi di governo, da una saggia democrazia: una ricerca sincera su quali siano i bisogni interiori ed esteriori dei suoi costituenti e della società più vasta in cui si svolge la vita, la libertà e la ricerca della felicità… L’espressione “la solita politica” in genere indica un’opinione piuttosto disincantata dei politici, il che spesso è comprensibile.

Forse quello di cui abbiamo bisogno, di questi tempi, è una politica che sia davvero “diversa dal solito” che marci scandendo un passo diverso o magari non marci affatto, ma piuttosto scorra; a cui ci si avvicini con una mentalità ortogonale che tenga bene a mente “le cose reali” e che insieme si ricordi anche che tutti noi siamo parte dell’unico, indiviso corpo del mondo.

Se sperimentassimo più intimamente la nostra interconnessione con una pratica reale potremmo renderci conto molto prima che tutti i nostri egoistici impulsi e motivazioni e prospettive limitano la nostra capacità di percepire il quadro più ampio e il modo in cui potremmo realmente renderci utili. Vedremmo che le nostre motivazioni e le prospettive ristrette sono fonte di grande sofferenza, per noi stessi e per gli altri.

Da una prospettiva del genere nascerebbero spontaneamente più saggezza e compassione, e un’azione più efficace e benevola. La politica stessa diverrebbe una disciplina della coscienza apportatrice di trasformazione e di guarigione. I primi a trarne beneficio sarebbero gli stessi politici, ma alla fin fine ne trarrebbe beneficio tutto il mondo.

Potrebbe essere questa l’unica vera sfida della nostra specie e del nostro tempo: dare risposta alla possibilità della nostra vera natura di esseri umani, perché sappiamo immaginarle e conoscerle e perché vediamo le potenziali conseguenze che ha lasciarle senza risposta, rimanere nel nostro stato consensuale di trance per pura inerzia, non risvegliarci, non “riprendere i sensi.”

Sappiamo di poter essere accecati dalla nostra stessa mente, specie quando percepiamo in modo sbagliato la realtà delle cose e ci lasciamo travolgere da emozioni distruttive. In quei casi ci contraiamo, letteralmente e metaforicamente, e quindi ci riduciamo; in quello stato di contrattura mentale le decisioni che prendiamo, le cose che diciamo e che possiamo fare finiscono per creare un bel po’ di danni a noi stessi e agli altri.

A lungo andare, la mancanza di intimità con il panorama interiore e di familiarità con la sua capacità di configurare le nostre scelte e i nostri comportamenti, attimo dopo attimo, può peggiorare il danno e generare ancora più disarmonia, inquietudine e malattia… Corriamo tutti il rischio di contrarci, per riflesso, a livello fisico, emotivo, cognitivo e spirituale di fronte a quello che percepiamo come pericolo; quel rischio è sempre seriamente aggravato dai nostri condizionamenti e dalle cose che la nostra cultura dà tacitamente per scontate.

È qui che entra in gioco la pratica di consapevolezza che può essere utile a ogni livello per affinare, in noi, la capacità di vedere e di conoscere la realtà delle cose, al di sotto delle loro apparenze e dei nostri impulsi personali a contrarci in stati mentali miopi proprio quando più servirebbe la chiarezza di visione e il distacco emotivo. Più la consapevolezza diventa una pratica del cuore e una priorità del mondo, più alta sarà la probabilità di rispondere alle situazioni difficili in modo equilibrato e creativo, invece di reagire per riflesso condizionato nel solito modo contratto.

Sarà più facile essere proattivi e propositivi, capaci di ricorrere a energie nuove, creative e più efficaci, e di generare altre energie. Queste energie, a loro volta, possono catalizzare delle modificazioni e delle trasformazioni negli individui, nelle organizzazioni e nelle nazioni che ora sono governate essenzialmente dalla “solita politica.”

Immaginate di utilizzare il nostro potere in modo conscio di fronte ad aggressioni e sfide di ogni genere, a ogni livello del mondo, in base al riconoscimento del fatto che un attaccante reale o potenziale ha già dimostrato grandissima debolezza e disequilibrio con la stessa natura aggressiva e quindi irrazionale o illusa del proprio atto o della propria intenzione.

Il che significa: immaginate come sarebbe non perdere la testa, reagendo ad altri che l’hanno persa (come succede così spesso), altri la cui rabbia genera altra rabbia, la cui violenza genera nuova insensata violenza. Ci sono sempre stati individui e gruppi che si sono impegnati in modi più umani e benevoli a definire e realizzare gli scopi più alti e i fini più significativi delle varie imprese dell’uomo…

Uno degli esempi notevoli di questa sorta è quella che ora è generalmente nota come “imprenditoria sociale” …con cui le banche progressiste possono fare milioni di piccoli prestiti a buon fine alle persone povere in posti come il Bangladesh, prestiti che permettono loro di avviare un’attività e innalzare la propria qualità di vita. In questo caso il microcredito mette in discussione le forze che stanno dietro alla povertà estrema e la mancanza di opportunità, e trova il modo di entrare e stare nel fulcro di un dilemma prima ignorato, e di far ruotare le cose intorno al nuovo elemento introdotto, con buoni risultati.

Il cambiamento, oggi, sta nel fatto che si riconosce sempre più, e più di prima, che i panorami interiori ed esteriori della mente e del mondo si compenetrano l’uno nell’altro, e che occorre arrivare e conoscere e a prendersi cura delle proprie motivazioni e dei propri pensieri e sentimenti, e dei fattori economici e sociali che li influenzano, a livello istituzionale come individuale, se si vuole che le intenzioni - anche le migliori - si realizzino davvero.

Spesso i politici si trovano a dover rispondere agli avvenimenti che accadono senza neanche sapere bene che cosa stia accadendo o quali conseguenze possono avere le specifiche azioni che possono intraprendere, specie se non osservano le cose con uno sguardo d’insieme, ma si preoccupano più di salvaguardare interessi privati e ristretti, economici o geopolitici, o anche soltanto la propria reputazione.

Nell’arena politica come in medicina, spesso si devono prendere decisioni sul campo, attimo per attimo, giorno per giorno, sulla base di informazioni incomplete e di grandi incertezze. Ne risulta che si leggono gli avvenimenti in base a schemi, alle esperienze del passato, all’intuizione; che si stanno a soppesare le probabilità, che si mettono sulla bilancia, da un lato le contingenze e dall’altro il rapporto rischio-beneficio.

Questi sono tutti giudizi che richiedono una continua consapevolezza, che hanno bisogno di discernimento e integrità; invece purtroppo, a volte, si è inconsapevoli e non si capisce quale sia il proprio reale “interesse privato.” In questo caso è inevitabile che i processi decisionali siano influenzati da ideologie, alleanze politiche, bisogni di questo e di quel gruppo di interessi, dei propri elettori e sostenitori ai quali ci si sente obbligati a mostrare riconoscenza.

La spinta ad affrontare le cose con una consapevolezza più spassionata e su base più ampia - affiancata da una ricerca intelligente, da un desiderio di guarigione e di salute e dalla dedizione al cosiddetto “bene comune”ossia al benessere e la salute della società e del mondo, e di ogni individuo che vi abita - può essere messa completamente in ombra; a volte può andare del tutto persa…

Nel peggiore dei casi, i politici possono essere tentati di distorcere o confondere o negare il vero stato delle cose, a un tale livello da equivalere in pratica alla dissimulazione, se non alla vera e propria menzogna. In medicina si usa una parola specifica per definire questo atteggiamento: è l’aggettivo “iatrogeno” che indica la condizione o il problema generato da un errore professionale o dall’inettitudine del medico o, più in generale, del sistema sanitario.

Molti atteggiamenti e pratiche diffuse fra i politici sarebbero considerati iatrogeni, persino criminali, se fossero applicati in medicina. Purtroppo, in politica, la famiglia del paziente (ossia tutti noi) di solito viene tenuta all’oscuro; ci viene detto solo quello che i medici curanti vogliono che pensiamo, spesso facendo leva sulle nostre paure più profonde e attribuendo la “fonte della salvezza” alle proprie idee e strategie politiche, al proprio partito…

Abramo Lincoln una volta disse: «Potete raccontare storie ad alcune persone per tutto il tempo; potete raccontarle a tutti, qualche volta; ma non potete raccontare storie a tutti per tutto il tempo.» E grazie al cielo! Se i politici sapessero, nel profondo, per esperienza personale, che non c’è un sé permanente dotato di esistenza autonoma da mantenere al potere.

Potrebbero ricordarsi o rendersi conto che staranno in circolazione solo per un breve tempo, per quanto famosi e potenti diventino, persino se diventano presidenti per uno o due mandati; che il loro potere e la loro fama svaniscono; che quel che possono fare di buono è limitato, ma i danni che possono fare sono immensi.

Una salutare consapevolezza di questi paradossi potrebbe spingere a fare più spesso la cosa giusta e per le giuste ragioni, forse anche a trovare il modo di parlare di cose che stimolino i propri elettori e sostenitori a espandere l’ambito di quello che considerano il proprio vantaggio personale…

Non sto sostenendo la causa di una qualche sorta di visione utopistica a largo raggio; mi riferisco al potere dell’onestà e della sincerità fino in fondo, alla fiducia nella bontà che si irradia da tutti noi quando si incarna nelle persone che occupano posizioni di comando e ricoprono alti incarichi. In sé si tratta di posizioni di prestigio che il popolo (ossia noi) accorda a questa e quella persona per un po’ di tempo; a esse si accompagnano sempre gradi responsabilità nei confronti della popolazione che si governano.

Quando le si assume, occorre tenerlo bene presente. È una pratica che richiede uno sforzo continuo, non mere dichiarazioni verbali. Occorre anche prendere coscienza del fatto che, troppo spesso, quando qualcuno dice la verità tutti quanti fanno finta di niente, o comunque sono pochi quelli che sembrano particolarmente interessati ad ascoltarla: siamo tutti presi, caduti in trance, ipnotizzati dalle nostre piccole preoccupazioni personali.” (Jon Kabat-Zinn, Riprendere i sensi, Tea ed.)

giovedì 19 gennaio 2017

La solitudine



“Noi non siamo integri.
Siamo il prodotto di un’infinità di influenze,
di migliaia di condizionamenti,
di deformazioni psicologiche.
Siamo il frutto della propaganda e della cultura.
Noi non siamo integri
e quindi siamo esseri di seconda mano.”
(Jiddu Krishnamurti)

“Tutti conosciamo quel tremendo senso di solitudine nel quale né i libri né la religione servono più a niente, quando tutto quello che rimane dentro di noi è un vuoto spaventoso. La maggior parte di noi non riesce ad affrontare quel vuoto, quella solitudine; così fuggiamo e andiamo a cercare rifugio nella dipendenza da qualcosa, perché non possiamo sopportare di rimanere soli con noi stessi. Accendiamo la radio, leggiamo, lavoriamo, chiacchieriamo incessantemente occupandoci delle cose più diverse, dell’arte, della cultura.

Ma arriva il momento nel quale non possiamo fare a meno di imbatterci in quel senso tremendo di isolamento. Anche se abbiamo un ottimo lavoro in cui tuffarci disperatamente, anche se ci mettiamo a scrivere libri, dentro di noi c’è questo vuoto tremendo. E siccome vogliamo riempirlo, ricorriamo alla dipendenza. Ci rifugiamo nella dipendenza, nei divertimenti, nella religione; facciamo dell’assistenza, ci diamo al bere, alle donne, facciamo di tutto per riempire quel vuoto.

Ma se ci rendiamo conto che qualunque cosa facciamo per riempirlo o per nasconderlo non serve assolutamente a nulla; se ce ne rendiamo conto non a parole, vediamo l’assurdità di quello che stiamo facendo… allora ci ritroviamo ad affrontare un fatto. Non è questione di liberarsi dalla dipendenza. Il fatto non è la dipendenza; la dipendenza è solo una reazione a un fatto... Perché allora non affronto il fatto e sto a vedere che cosa succede?

A questo punto sorge il problema dell’osservatore e dell’osservato. L’osservatore dice: “Mi sento completamente vuoto; non lo sopporto” e fugge da questa sensazione. L’osservatore dice: “Io sono diverso da questo vuoto”. Mentre invece l’osservatore e proprio questo vuoto; non c’é un osservatore che stia vedendo quel vuoto. L’osservatore è l’osservato. Quando questo accade, avviene una rivoluzione tremenda nella mente e nei cuore.

Cercate semplicemente di rendervi conto del vostro condizionamento. Lo potete percepire solo indirettamente, collegato a qualcosa. Non potete rendervene conto in astratto, non avrebbe molto significato. Possiamo solo essere consapevoli del conflitto. Il conflitto affiora quando non c’è corrispondenza tra una sfida e la risposta che essa richiede. Il conflitto è il prodotto del nostro condizionamento. Condizionamento significa attaccamento: attaccamento al nostro lavoro, alla tradizione, a quello che possediamo, alle persone, alle idee e così via.

Se non ci fossero attaccamenti, dove andrebbe a finire il condizionamento? Certamente non potrebbe esserci. Allora perché ci attacchiamo a qualcosa? Sono legato al mio paese, perché identificandomi con la mia patria mi sento qualcuno. Mi identifico col mio lavoro, così Il lavoro diventa importante. Io sono la mia famiglia, sono quello che possiedo. Mi attacco a queste cose e quello a cui mi attacco mi offre la possibilità di fuggire da quel vuoto tremendo che sento dentro di me.

L’attaccamento è una fuga e questa fuga rafforza il condizionamento. C’è una solitudine che non ha nulla di filosofico, ma che implica uno stato interiore di rivolta contro l’intera struttura della società che, in qualunque forma si manifesti, democratica, comunista o fascista, è l’organizzazione del potere in tutta la sua brutalità. Quello stato interiore comporta una straordinaria percezione degli effetti del potere.

Avete mai osservato i soldati durante una parata militare? Non sono più esseri umani, sono macchine; sono i vostri figli, sono i miei figli che stanno impettiti sotto il sole. E questo accade dovunque, in America come in Russia. Questa situazione non riguarda soltanto i militari, ma anche tutti gli appartenenti a un ordine monastico, quelli che vivono nei monasteri o che fanno parte di gruppi in cui si concentra un immenso potere. Solo una mente che non appartiene a nulla può scoprire quella solitudine, una solitudine che nessuno potrà mai coltivare.

Capite? Rendervene conto significa mettervi fuori gioco e nessun uomo di governo, nessun presidente vi inviterà mai a pranzo. In quella solitudine affiora l’umiltà. È una solitudine che conosce l’amore, non il potere. L’uomo ambizioso, che sia religioso o no, non saprà mai che cos’è l’amore. Chi si rende conto di tutto questo possiede la capacità di vivere e di agire nella totalità. Questa qualità affiora attraverso la conoscenza di noi stessi.

Per evitare di soffrire coltiviamo il distacco. Qualcuno ci ha detto che l’attaccamento prima o poi ci farà soffrire e allora vorremmo essere distaccati. L’attaccamento ci da soddisfazione, ma quando ci accorgiamo che comporta anche sofferenza, cerchiamo soddisfazione nel tentare di essere distaccati. Ma non c’è differenza tra attaccamento e distacco, perché per noi rimangono entrambi mezzi per procurarci piacere.

In realtà quello che stiamo cercando è soltanto la nostra soddisfazione, e la vogliamo a tutti i costi. Accettiamo la dipendenza e l’attaccamento perché ci danno piacere, sicurezza, potere, un senso di benessere; anche se inevitabilmente comportano dolore e paura. E quando cerchiamo il distacco, siamo ancora in cerca di piacere, perché non vogliamo essere offesi o feriti interiormente.

Quello che cerchiamo è il piacere, è la nostra soddisfazione. Dovremmo capire questo processo senza condannarlo, senza giustificarlo, altrimenti non avremo modo di uscire dalla confusione e dalle nostre contraddizioni. Il desiderio che ci assilla in continuazione potrà mai essere soddisfatto? O è un pozzo senza fondo?

Non importa che cosa desideriamo; quello che desideriamo può essere infimo o elevato, ma si tratta pur sempre di desiderio, un fuoco che brucia e riduce in cenere tutto quello che tocca. il desiderio di soddisfazione sempre arde in continuazione, ci brucia dentro è non ha fine. Tanto l’attaccamento quanto il distacco ci legano; entrambi devono essere trascesi…

Non so se vi siete mai sentiti soli: all’improvviso vi rendete conto di non essere in relazione con nessuno. Ve ne rendete conto non intellettualmente, ma effettivamente... Vi sentite completamente isolati; pensiero ed emozione si bloccano; non sapete da che parte voltarvi. Non c’è nessuno a cui possiate rivolgervi, né dei, né angeli. È come se se ne fossero andati tutti quanti oltre le nubi; e quando le nubi scompaiono vi accorgete che anche loro sono scomparsi e voi rimanete totalmente soli.

Ma c’è una solitudine completamente diversa, una solitudine ricolma di bellezza. Questa solitudine vi è necessaria. Quando l’essere umano non ha più nulla a che fare con la struttura sociale, fatta di avidità, ambizione, invidia, arroganza, quando smette di desiderare una posizione e il successo e si libera da tutto questo, allora si ritrova in quella solitudine, completamente diversa dalla solitudine che ben conosciamo. Allora c’è una grande bellezza e il senso di una straordinaria energia.

Sebbene siamo tutti esseri umani, abbiamo costruito delle barriere che ci separano gli uni dagli altri, le barriere del nazionalismo, della razza, della casta, della classe sociale, che ci condannano a vivere nell’isolamento, nella solitudine. Una mente rinchiusa nel suo isolamento, nella sua solitudine, non ha la minima possibilità di capire che cos’è la religione.

Può credere in qualcosa, può aggrapparsi a teorie, formule, concetti, può tentare di identificarsi con quello che essa chiama Dio, ma io ho l’impressione che la religione non abbia in realtà nulla a che fare con le fedi, i preti, le chiese e i cosiddetti libri sacri. Si può capire quale sia lo stato di una mente religiosa solo quando cominciamo a comprendere la bellezza. E ci si deve accostare alla comprensione della bellezza con quello stato della mente che è solo perché non ha confronti.

Quando la mente vive in uno stato nel quale non ha bisogno di nulla, può conoscere la bellezza; nessun altro stato può consentirle di avvicinarla. La solitudine di cui stiamo parlando non è isolamento e non è nemmeno legato ad una capacità eccezionale in qualche campo; essa semplicemente implica il sostegno della sensibilità, dell’intelligenza, della comprensione.

Questa solitudine richiede che la mente sia libera da qualsiasi influenza e capace di non farsi contaminare dalla società. Questa solitudine è necessaria per capire che cos’è la religione: religione significa scoprire per conto proprio se esiste qualcosa che è immortale, che è al di là del tempo. L’isolamento deve essere completamente superato, se vogliamo scoprire una solitudine che non ha nulla a che fare con l’isolamento.

La solitudine di cui stiamo parlando richiede una mente integra, in cui ci sia armonia fra tutte le sue funzioni. La nostra mente non è così; divide e separa tutto quello che tocca. È questo il suo modo di funzionare e quindi è condannata a vivere nell’isolamento. La solitudine di cui parliamo non separa, non è influenzata dalla frammentarietà, non è il prodotto della frammentarietà. La nostra mente è a pezzi, è piena di frammenti, è stata costruita e ridotta così attraverso i secoli e quindi non può conoscere quella interezza che è completezza.

Solo quando la mente si rende conto dell’isolamento in cui vive, quando scopre la sua frammentarietà, può consentire che l’interezza affiori. Allora può esserci qualcosa che è incommensurabile. Sfortunatamente la maggior parte di noi si accontenta di dipendere, vuole dipendere. Vogliamo compagnia, vogliamo degli amici e continuiamo a vivere mantenendo uno stato di separazione che inevitabilmente genera conflitto.

Quella solitudine che è interezza non conoscerà mai il conflitto. La mente che vive nell’isolamento non potrà mai conoscere né capire quello stato che è senza conflitto. La maggior parte di noi non conosce quella solitudine che è interezza. Potete andare a fare gli eremiti su una montagna, ma inevitabilmente porterete con voi le vostre idee, le vostre esperienze, le vostre tradizioni, la conoscenza che avete accumulato.

Il monaco cristiano, chiuso in un monastero, non conosce quella solitudine che è interezza. Vive con i suoi concetti teologici, con le sue immagini di idoli, con tutto quello in cui crede, con i dogmi legati al suo particolare condizionamento. E si può dire la stessa cosa per il sannyasin, in India, che si ritira dal mondo e vive in isolamento. La sua solitudine non è interezza, perché anch’egli vive legato ai suoi ricordi.

Sto parlando di una solitudine nella quale la mente è del tutto libera dal passato; in questa libertà c’è innocenza, che è virtù. Forse voi direte: “È troppo chiedere una cosa simile; non si può vivere così in un mondo tanto caotico, dove bisogna andare in ufficio tutti i giorni per guadagnarsi da vivere, per mantenere i propri figli e dove bisogna sopportare le lamentele del marito o della moglie.”

Eppure io credo che quanto stiamo dicendo sia direttamente e strettamente connesso alla vita quotidiana, al nostro agire quotidiano; altrimenti non avrebbe alcun valore. Da quella solitudine, che è interezza interiore, proviene una virtù che è forza è che porta con sé una straordinaria purezza e gentilezza. Non ha molta importanza se si commettono degli errori; non è questo che conta.

Quello che è importante avere la sensazione di essere assolutamente soli, intatti, al di là di qualsiasi contaminazione. Solo allora la mente può conoscere, può cogliere quello che è al di là della parola, al di là del nome, al di là di ogni immaginazione. Uno dei fattori che alimentano la sofferenza degli esseri umani è il loro isolamento.

Fatevi pure tutte le amicizie che volete, venerate i vostri dei, accumulate una conoscenza straordinaria, datevi incredibilmente da fare nel campo dell’assistenza sociale, discutete all’infinito di politica - cosa che i politici fanno normalmente - ma non potrete minimamente scalfire quell’isolamento. Nel suo isolamento l’essere umano cerca di dare un significato alla vita o se ne inventa uno, ma la sua solitudine rimane.

Ora, potete osservare questo isolamento per quello che è, senza fare confronti, senza tentare di sfuggirlo, senza tentare di nasconderlo, senza cercare di allontanarvene? Allora vedrete che questa solitudine diventa qualcosa di completamente diverso. Noi non siamo integri. Siamo il prodotto di un’infinità di influenze, di migliaia di condizionamenti, di deformazioni psicologiche; siamo il frutto della propaganda e della cultura.

Noi non siamo integri e quindi siamo esseri di seconda mano. Quella solitudine che è assoluta integrità implica il non appartenere ad una famiglia, per quanto si possa avere una famiglia, il non appartenere ad una nazione, ad una cultura, il non dipendere da un’occupazione particolare. Significa avere la sensazione di essere degli estranei, estranei ad una nazione, ad una famiglia e ai loro modi di pensare e di agire. In quella solitudine che è integrità c’è innocenza, un’innocenza che libera la mente dal dolore.”(Jiddu Krishnamurti)

martedì 17 gennaio 2017

Produzione e creazione



“C’è un posto nel mondo dove
il cuore batte forte, dove rimani
senza fiato per quanta emozione provi,
dove il tempo si ferma, e non hai più l’età.
Quel posto è tra le tue braccia
in cui non invecchia il cuore, mentre
la mente non smette mai di sognare.”
(Alda Merini)

“Siamo diventati troppo ossessionati dalla testa; tutta la nostra educazione, l’intera civiltà è ossessionata dalla testa, poiché ha contribuito a sviluppare ogni sorta di tecnologia, e adesso noi tutti ci limitiamo a pensare. Che cosa ci può dare il cuore? Certo, non ti può dare alcuna tecnologia strabiliante, non può aiutarti a crear alcuna industri industriale, non ti può procurare denaro.

Tuttavia, può darti la felicità, può indurti a celebrare; può trasmetterti un’incredibile sensibilità per il bello, per la musica, per la poesia. Ti può guidare nel mondo dell’amore e, in ultima analisi, condurti nella dimensione della preghiera, ma tutte queste cose non sono beni di consumo, non sono comfort.

Attraverso il tuo cuore non puoi ingrossare il tuo conto in banca; né puoi combattere guerre mondiali, non puoi costruire bombe all’idrogeno, bombe atomiche; attraverso il cuore non puoi annientare popolazioni. Il cuore sa solo creare, laddove la testa conosce solo il modo di distruggere. La testa è distruttiva, e tutto il nostro sistema educativo è rimasto intrappolato in essa.

Le nostre università, i college, l’intero sistema scolastico non fanno altro che distruggere l’umanità. Quella gente pensa di avere un’utilità, ma si sta solo ingannando. Se l’uomo non si equilibra, se la testa e il cuore non crescono insieme, l’essere umano rimarrà immerso nella miseria più nera, e la sua infelicità continuerà ad aumentare.

Via via che ci fissiamo sempre di più nella testa, man mano che diventiamo sempre più dimentichi dell’esistenza del cuore, diventiamo sempre più infelici. Non stiamo facendo altro che creare un inferno su questo nostro pianeta Terra, e lo ingigantiremo ancora di più.

Il paradiso appartiene al cuore. Purtroppo è accaduto questo: il cuore è stato completamente dimenticato, nessuno ne comprende più il linguaggio; noi comprendiamo la logica, non l’amore. Comprendiamo le formule matematiche, non la musica: ci adattiamo sempre più alle vie del mondo e nessuno sembra avere il coraggio di incamminarsi lungo i sentieri ignoti del cuore, nessuno ha la forza di affrontare gli ignoti labirinti dell’amore.

Ci siamo sintonizzati completamente con il mondo della prosa, e la poesia ha semplicemente perso qualsiasi vitalità. Il poeta è morto, e il poeta è il ponte tra lo scienziato e il mistico: quel ponte è scomparso. Da un lato si erge lo scienziato: un personaggio molto potente, incredibilmente potente, pronto a distruggere l’intero pianeta, la vita in toto; e dall’altro si stagliano pochi mistici, remoti e distanti, una manciata… un Buddha, un Gesù, uno Zarathushtra, un Kabir.

Sono esseri del tutto privi di potere, nel senso in cui noi lo comprendiamo, ma che hanno un potere immenso, in un altro senso; purtroppo noi non comprendiamo affatto quel linguaggio. E il poeta è morto; questa è una calamità devastanti: il poeta sta scomparendo. Con “poeta” intendo l’artista, il pittore, lo scultore: tutto ciò che nell’essere umano è creativo è stato progressivamente ridotto alla mera produzione di merci, di beni di consumo, di comfort.

Il creativo sta perdendo la sua presa sull’umanità, e la produzione sta diventando lo scopo della vita intera. Anziché valorizzare la creatività, noi apprezziamo la produttività: non facciamo che parlare di come produrre di più; ma la produzione può fornire oggetti, merce, non può dare valori. La produzione può renderti ricco esteriormente, ma ti impoverirà interiormente.

La produzione non è creazione; è qualcosa di estremamente mediocre, qualsiasi stupido può produrre: è sufficiente conosce la meccanica. E il poeta è morto, non esiste più. Ciò che esiste sotto il nome di poesia è, in pratica, prosa. Ciò che esiste sotto il nome di pittura non è altro che follia: puoi vedere i quadri di Ricasso, di Dalì e di altri pittori contemporanei, sono espressioni patologiche!

Io parlo di una creatività totalmente diversa. Un Taj-Mahal… prova a osservarlo in una notte di luna piena, inevitabilmente in te affiorerà un profondo stato meditativo. Oppure prova a visitare i templi di Khajuraho, di Konarak, di Puri: medita semplicemente su di essi e rimarrai sorpreso nel vedere che tutta la tua sessualità viene trasformata in amore.

Questi sono i miracoli della creatività. Le grandiose cattedrali europee: immense aspirazioni della Terra di raggiungere il cielo. Il semplice vedere quelle incredibili creazioni, inevitabilmente, farà affiorare un canto nel tuo cuore, oppure lascerà discendere in te un silenzio profondo. L’uomo ha perso la sua pulsione creativa, il bisogno irrefrenabile di esprimere poesia; oppure, meglio sarebbe dire che è stato ucciso.

Siamo troppo interessati ai beni di consumo, ai gadget, ad accumulare sempre più oggetti: la produzione si preoccupa delle quantità, la creazione della qualità. Dovrai richiamare in vita il cuore. Dovrai tornare a essere consapevole della natura. Dovrai tornare ad apprendere come osservare le rose e i fiori di loto. Dovrai stabilire contatti con gli alberi e le pietre, e i fiumi… dovrai riprendere a dialogare con le stelle.” (Osho)

sabato 14 gennaio 2017

La ricerca del silenzio



“Il silenzio è sempre indice di perfezione.”
(Omraam Mikaël Aïvanhov)

“Più si è evoluti, più si ha bisogno di silenzio. Essere chiassosi non è quindi un buon segno. Quante persone fanno chiasso affinché le si noti! Parlano a voce alta, ridono, entrano senza riguardo nella sala quando gli altri sono già seduti al loro posto, urtano e scompigliano gli oggetti al solo scopo di attirare l’attenzione su di loro. Far rumore è per loro un modo di affermarsi, di dimostrare che sono presenti.

Ebbene, devono sapere che i barili vuoti sono quelli che fanno più rumore: la loro presenza si nota immediatamente! E quante persone sono, in realtà, simili a barili vuoti: vanno dappertutto producendo un chiasso assordante, che rivela la loro inettitudine, la loro mediocrità. Io osservo le persone, e il loro comportamento mi rivela immediatamente la loro educazione, il loro carattere, il loro temperamento e il loro grado di evoluzione.

Tutto viene espresso dal loro modo di presentarsi e di parlare. Alcuni parlano come per coprire, per nascondere qualcosa, come se temessero che il silenzio fosse in grado di rivelare ciò che vorrebbero a ragione dissimulare. Subito, dal primo incontro, devono raccontare ogni tipo di storie, perché ci si faccia una determinata idea di loro, degli altri e di ciò che narrano. Direte: «Ma parlano per fare conoscenza!»

D’accordo, ma per fare conoscenza, il silenzio è talvolta più eloquente della parola. Sì, vivendo insieme alcuni minuti di silenzio, ci si conosce meglio che facendo una lunga, inutile chiacchierata. Il rumore trattiene l’uomo nei piani psichici inferiori: gli impedisce di entrare in quel mondo sottile dove il movimento diventa più facile, la visione più chiara e il pensiero più creativo.

È vero che il pensiero è l’espressione della vita, ma non dei livelli superiori della vita; esso rivela piuttosto un’imperfezione nella struttura o nel funzionamento degli esseri e degli oggetti. Quando una macchina o un apparecchio hanno dei guasti, fanno ogni tipo di rumore; è per questo che i costruttori si preoccupano sempre più di mettere a punto dei congegni silenziosi, essendo consapevoli di contribuire in tal modo a una vera miglioria: il silenzio è sempre indice di perfezione.

Il dolore stesso è un rumore che ci avverte che, nei nostri organi, le cose stanno per guastarsi. In un corpo sano, gli organi sono silenziosi. È vero che essi si fanno sentire dal momento che sono vivi, ma si esprimono senza rumore. Il silenzio è il segnale che tutto, nell’organismo, funziona bene. Quando qualcosa comincia a stridere, fate attenzione: quello è l’annuncio della malattia.

Il silenzio è il linguaggio della perfezione, mentre il rumore è l’espressione di una situazione difettosa, di un’anomalia o di una vita disordinata, anarchica e bisognosa di essere padroneggiata, elaborata. I bambini, per esempio, sono rumorosi perché traboccano di energia e di vitalità. Le persone anziane, al contrario, sono silenziose. Voi obietterete: «È ovvio: gli anziani amano il silenzio perché hanno meno forze, per cui il rumore li disturba.»

Entro certi limiti è vero, ma può anche darsi che ci sia stata in loro un’evoluzione e che ora sia il loro spirito a desiderare il silenzio. Per riesaminare la propria vita, riflettere e trarne insegnamento, essi hanno bisogno di quel silenzio in cui viene fatto tutto un lavoro di distacco, di semplificazione, di sintesi. La ricerca del silenzio è un processo interiore che conduce gli esseri alla luce e alla vera comprensione delle cose.

Con il passare degli anni, l’uomo comprende sempre più che il rumore è un ostacolo per il lavoro, mentre il silenzio è un fattore di ispirazione; ed egli lo cerca per donare al suo cuore, alla sua anima e al suo spirito la possibilità di manifestarsi tramite la meditazione, la preghiera, la creazione filosofica e artistica. Tuttavia molti non amano il silenzio e fanno fatica a sopportarlo.

Essi sono come i bambini che si trovano a loro agio solo in mezzo all’animazione e al frastuono, il che dimostra che devono ancora lavorare molto per avere una vera vita interiore. Persino il silenzio della natura li disturba e, quando si incontrano, si affrettano a parlare, a parlare come se il silenzio li mettesse a disagio; essi lo considerano un vuoto da colmare di parole e di gesti, ed è per questo che ne hanno paura: il silenzio può perfino farli impazzire.

Non avendo più nulla di esterno per distrarsi e stordirsi, non possono più fuggire ai loro demoni interiori. Il silenzio è l’espressione della pace, dell’armonia, della perfezione. Chi comincia ad amare il silenzio, chi capisce che il silenzio gli offre le condizioni migliori per l’attività psichica e spirituale, giunge un po’ alla volta a realizzarlo in tutto ciò che fa.

Quando sposta gli oggetti, quando parla, quando cammina, quando lavora, invece di agitarsi tanto, si fa più attento, più delicato, più agile, e tutto ciò che fa si impregna di qualcosa che sembra venire da un altro mondo, da un mondo che è poesia, musica, danza e ispirazione.” (Omraam Mikaël Aïvanhov, Il senso del silenzio, Edizioni Prosveta)

mercoledì 11 gennaio 2017

Marracash & Tiziano Ferro - Senza un posto nel mondo




Odio questa città
Sappiamo che la vera vita è altrove
Tu fai progetti ne hai una lista
Poi la vita fa quello che vuole
C'è qualcosa che non va in me
È proprio come fossi due persone
E ognuno odia l'altro suo sé
Ma hanno in comune soltanto il dottore.

Cose noiose ti scoccia che te ne parlo
Vorresti essere a un tavolo con la boccia nel ghiaccio
Tutti che fanno Jersey Shore tutti così estroversi
Poi dove conta più esserci, che divertirsi tanto
Cercando un punto fermo
Qualcosa che sia per sempre
Siamo pieni di tutto però non lasciamo niente
Non sarei così noioso se non mi sentissi così solo
Che ci faccio qui cosa c'entro con loro

Mi chiamano lacrima per ciò che ho insegnato
Mi chiamano fuoco per il vuoto che ho lasciato
Perché amo amo amo
Perché odio odio odio
Perché dedico alla vita solo il meglio di me.

Balliamo intorno alle bugie
Viviamo tra le rovine
Passiamo vite
Sperando il meglio debba ancora avvenire
Insostenibile pesantezza dell'apparire
Materialismo, nel rap ne siamo le cheerleader
Dai dimmi ancora che sono pesante
Quando inizio con ‘sti discorsi che chi se ne sbatte
Da dove vengo è più importante saper incassare che darle
Io preferisco incassare ed andarmene

Mentre certi personaggi
Esseri umani marci
Dio lo preferisco quando fa i paesaggi
Dentro lucide macchine
Queste luci dei palchi
Che fanno splendere me
Ma mettono in ombra gli altri
Asseconda i tuoi amici vedi dove ti porta
Io già vedo che fingi che ti accontenti per forza
Non sarei così noioso se non mi sentissi così solo
Che ci faccio qui cosa c'entro con loro

Mi chiamano lacrima per ciò che ho insegnato
Mi chiamano fuoco per il vuoto che ho lasciato
Perché amo amo amo
Perché odio odio odio
Perché dedico alla vita solo il meglio di me

Non c'è vita dopo la morte
Ma a volte nemmeno prima
Fortuna che c'ho ancora l'ironia, Mina
Cos'è questa noia guardaci siamo tristi
Tu che fai una foto che testimonia che esisti
Questo Range Sport ci pesa più stare in fila
Tu sull' iPhone china presa da chi c'è in linea
E la vista mi sembra nuova ora che sono in cima
Ora che non si muore più di fame ma d'invidia e provi
la convivenza, la convenienza

Però si inizia sempre con e si finisce senza
Restare grigio in auto qui o una nuova partenza
Ho avuto già due vite ora ne inizio una terza
Sono stanco di parlare di com'è, di com'è con te
Vorrei parlare di come potrebbe essere
Non essere noioso, non sentirmi più solo
Stare bene così senza un posto nel mondo

Mi chiamano lacrima per ciò che ho insegnato
Mi chiamano fuoco per il vuoto che ho lasciato
Perché io amo amo amo
Perché io odio odio odio
Perché dedico alla vita solo il meglio di me, il meglio di me
'Cause I love you, love you, love you
And I hate you, hate you, hate you
And you always, always, always have the best of me.

(Scritta da Marracash &Tiziano Ferro)