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giovedì 31 gennaio 2019

Il linguaggio della politica



“A me sembra che tutti, con pochissime eccezioni,
facciano un cattivo uso del potere e di conseguenza,
la cosa più importante è distribuire il potere quanto più si può,
e non dare un immenso potere a una piccola cricca.”
(Bertrand Russell)

Gli studiosi di scienze sociali mettono l’accento sul fatto che, nell’ultima parte del 20° secolo la comunicazione politica si è modificata soprattutto a causa dei mezzi di comunicazione di massa e per mezzo della televisione. L’impiego della televisione ha trasformato la comunicazione politica influenzandone il tono, infatti il messaggio politico è slittato verso la personalizzazione, la drammatizzazione, la frammentazione e la normalizzazione del suo contenuto.

Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso abbiamo visto che le ideologie vengono messe al margine a favore della valorizzazione delle qualità del leader e dei suoi comportamenti. Non viene evidenziato più il valore politico del leader ma vengono enfatizzate le sue caratteristiche fisiche o sociali. Inoltre cambiano anche le tattiche usate per comunicare la politica, perché si assiste ad una sorta di campagna elettorale permanente.

La preoccupazione primaria è quella di persuadere i cittadini a votarci o di recuperare voti convincendo le persone ad andare a votare. Le logiche si spostano sul versante del conflitto tra ideologie invece che sul versante del consenso dell’elettore nei riguardi di una determinata ideologia. Sono stati gli stessi politici che hanno voluto adattare il loro stile a quello usato dai media che prediligono l’intrattenimento e la tecnica pubblicitaria.

La comunicazione della politica ha adottato una narrazione spettacolarizzata per rendere più efficace il messaggio che vuole veicolare. Le caratteristiche di questo nuovo linguaggio sono l’immediatezza, la persuasività, la banalizzazione e l’emotività. Molto studiosi hanno notato che le volontà di essere sempre più persuasivi è andata a scapito dell’argomentazione politica così che il linguaggio dello spettacolo ha preso il posto del linguaggio politico.

La televisione ha influito su questo fenomeno, perché ha sostituito la centralità delle parole con quella delle immagini. La costruzione dell’immagine è basilare nel costruire il dato politico, perché il partito deve essere sicuro di captare un determinato grado di consenso. Nella politica è diventato prioritario creare una serie di attese a cui il leader deve dare soddisfazione.

Si costruiscono le campagne politiche cercando di fare in modo che il pubblico non deve notare la mancanza di argomentazioni razionali, ma deve premiare i tratti personali del leader con cui deve identificarsi. Gli esponenti politici tramite le immagini comunicano le loro azioni, i loro valori estetici, i loro tratti caratteriali come insieme di caratteristiche che pilotano l’attenzione e l’interpretazione del pubblico nella direzione che vuole il politico.

La politica degli ultimi anni ha anche enfatizzato la personalizzazione perché i prodotti che vengono messi in vendita sono i politici stessi. L’elettorato viene studiato e suddiviso in segmenti di consenso per poter agire con maggiore efficacia, ossia per avere più voti. L’elettore è diventato un consumatore e il suo voto somiglia sempre più all’acquisto. Le regole del marketing commerciale sono entrate nella politica indicando ai politici come comportarsi e come comunicare con i cittadini basandosi sui profili dei bisogni di consumo.

Con il tempo appare con maggiore evidenza che l’ascoltatore giudica l’oratore (in politica e in altro) in base al principio di identificazione. Da qui partono gli sforzi dei politici per convincere che essi sono come i loro elettori, infatti i politici usano concetti e termini simili a quelli di una certa fascia di elettori. A ciò si unisce la semplificazione della realtà costruita sulle dicotomie degli opposti “noi e loro”, “bianco o nero” e “buono o cattivo”.

Questo schema binario viene dato per scontato e naturale, perciò avviene una polarizzazione che semplifica in modo radicale la molteplicità degli atteggiamenti possibili e la qualità dell’offerta politica. Il meccanismo illustrato attinge alla semplice opposizione tra “chi ha ragione e chi ha torto”, e - guarda caso - la ragione è sempre dalla parte dell’oratore mentre il torto è sempre dalla parte dell’avversario: questa tecnica rende facile - e scontata - la scelta che dovrà fare l’elettore.

Il linguaggio politico, affermano gli studiosi, tende a mascherare e confondere invece che a chiarire quello che si vuole comunicare. Tutto ciò impedisce il coinvolgimento dell’elettore nel giudicare le azioni del politico, e comporta la disaffezione per la politica. L’inizio degli anni ’90 e l’inchiesta di “mani pulite” e poi “tangentopoli” e la discesa in campo di Berlusconi mostrano il carattere della comunicazione politica della Seconda Repubblica.

Vediamo che, da quel tempo cambia il voto degli italiani che dal voto di appartenenza passa al voto di opinione che viene formato attraverso i mass media. Per raggiungere le grandi masse, i politici usano un linguaggio semplice e più vicino alla gente comune. Si usano dei toni colloquiali con prevalenza di frasi brevi e semplici per rinforzare il rispecchiamento e l’identificazione del potenziale elettore: il gentese.

Il gentese è netto e semplice, per cui offre un’immagine in cui è facile riconoscersi. Non è secondario il fatto che si ricorra sempre di più all’insulto e all’aggressività con cadute di stile che non sono stigmatizzate, ma imitate. Nei politici della Seconda Repubblica osserviamo l’uso degli elementi tipici della lingua parlata con il frequente ricorso agli slogans e all’immagine più che al significato del messaggio. Per rendere più oscuro il messaggio si ricorre a termini attinte da espressioni angloamericane come Jobs Act o labour day, ecc.

I linguaggi di vari settori entrano nei discorsi politici in varie metafore usate in campo calcistico, bellico, religioso o sportivo. Tale scelta linguistica e stilistica dimostra che i politici mirano a rafforzare il fattore emotivo e non cercano la persuasione che fa leva sulla ragione. Alcuni termini vanno in disuso come il termine “compagni” che è sostituito da un generico “cari amici elettori” più opportuno in tempi di crisi delle ideologie.

Negli anni ’90 vediamo la delusione e il rifiuto della politica a cui segue la sfiducia verso la politica, per cui si affermano politici che affermano di presentarsi come “il nuovo e il diverso” della politica. Da qui parte l’abbandono delle formule passate che vengono contrassegnate come “il vecchio”. Viene affermato il passaggio dall’ideologia al programma o al progetto e l’impegno fattivo e concreto contrapposto all’inerzia e all’incapacità dell’avversario.

Gli anni ’90 segnano il vero passaggio di boa per le nuove tendenze della politica in cui la personalizzazione del leader prevale sul messaggio. Molte parole della lingua comune vengono rafforzate e utilizzate in modo nuovo per rafforzare l’effetto della comunicazione. In alcuni casi, parole importanti come 2democrazia” vengono rovesciate e svuotate del loro valore semantico e politico.

Si possono notare gli effetti dei mass media, in particolare la televisione, sulla spettacolarizzazione della vita politica quando vediamo i politici partecipare ai talk-show e ad altri programmi di intrattenimento. Il palcoscenico della politica e quello dello spettacolo si confondono: l’attenzione si sposta sulle caratteristiche fisiche, sui passatempi e sui fatti privati dei politici. Non è più possibile distinguere i caratteri delle ideologie per cui enfatizzare i tratti del leader serve a dare una garanzia di affidabilità.

Alcuni leader come Bossi e Berlusconi hanno fondato il loro messaggio politico al loro linguaggio peculiare, per cui quel linguaggio è diventato il simbolo dell’ideologia che rappresentano. Dei loro movimenti, essi divennero i fondatori e le figure carismatiche per eccellenza. I politici di questo genere usano un linguaggio che usa espressioni gergali o dialettali, per la loro immediatezza e perché sono facilmente riconoscibili dal loro elettorato.

Il partito di Berlusconi fu fondato come partito-azienda e fu creato da istituti di ricerca e dagli esperti di marketing. Essi volevano comunicare che, una persona esterna al mondo politico ed estraneo alla politica, più conosciuto come imprenditore di successo poteva conquistare la fiducia delle persone, e portare l’Italia ad una rinascita economica e industriale.

Per mezzo il lavoro dei pubblicitari, Berlusconi ricorse ad una accorta pianificazione della sua strategia con il ricorso alle tecniche pubblicitarie e con un accorto sfruttamento della sua immagine. Seppe adeguarsi le sue azioni alle esigenze e ai desideri degli italiani, seppe agire sui loro sentimenti, e capì i meccanismi dell’uomo comune. Per raggiungere gli elettori usò le caratteristiche buone e cattive dell’elettore e indicò un percorso che, nella Terza Repubblica, sembra ancora efficace.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 20 febbraio 2017

Lettera dalla Kirghisia



“In Kirghisia la notte è un incanto
e appartiene a tutti.”
(Silvano Agosti)

“Miei carissimi amici,
molti di voi sono sempre più increduli sull’esistenza di questa società che, con il massimo entusiasmo, sia pure in modo frammentario, vado descrivendo nelle mie lettere. Vi prego, in nome della nostra amicizia, di non cadere nell’inganno, definendo la Kirghisia un’utopia. Riflettete solo sul fatto che gran parte di ciò che vi circonda e appartiene alla vostra vita, un tempo neppure tanto lontano veniva considerato un’utopia.

Quando Leonardo da Vinci progettava le sue macchine volanti così simili agli elicotteri di oggi, o si ipotizzavano le prime ferrovie o persino quando si incominciò a parlare della pittura in movimento proiettata su grandi teli bianchi (il cinema); sempre si frenava ogni entusiasmo affermando che era impossibile, che si trattava di Utopie.

Del resto nel 1800 i grandi utopisti francesi teorizzavano, tra lo scherno dei contemporanei, un pranzo caldo al giorno per ogni cittadino. Certamente sareste anche più increduli se vi dicessi che, per incontrare il Primo Ministro qui in Kirghisia, è bastata una semplice telefonata e dopo meno di venti minuti parlavo con lui.

Dunque non è stato difficile farmi ricevere dal Primo Ministro del Governo in carica, anzi, come segno di cortesia verso uno straniero, sono stato invitato a pranzo con lui dal Primo Ministro del Governo per il Miglioramento della Qualità della Vita.

Del resto anche Indira Gandhi fece lo stesso e con analoga spontaneità. Ricordo che durante l’intervista filmata le dissi: «Ho una domanda delicata da farle.» E lei: «Prego.» «Molti dicono che qualcuno ti ucciderà.» Indira, annunciandola risposta con un sorriso indimenticabile ha sussurrato: «Che c’è di delicato nel fatto che mi uccideranno?» Dopo qualche tempo, qualcuno le ha sparato.

Qui in Kirghisia invece, le probabilità che qualcuno spari al Primo Ministro sono nulle. Non solo perché le armi sono state seppellite con riti analoghi alla sepoltura dei defunti, ma perché nessuno ha una qualsiasi ragione per uccidere un proprio simile.

«Invece di continuare a seppellire i morti per arma da fuoco come si fa ogni giorno in altri Paesi, noi abbiamo seppellito le armi. Esistono ormai veri e propri cimiteri dove abbiamo accatastato armi e veicoli da guerra, monumenti di un’epoca che speriamo non torni più.

Qui essere Primo Ministro è una professione volontaria. Ognuno può iscriversi alle liste del volontariato politico. Ogni tre anni si forma un nuovo governo, mentre quelli che hanno gestito il Paese entrano a far parte del nostro secondo governo, che si occupa di migliorare le condizioni di vita e perfezionare l’organizzazione dello stato.»

Sono affascinanti questi cimiteri delle armi, dove strumenti micidiali di morte semisepolti. Sembrano sprofondati nella terra. Abbiamo visitato, su mia richiesta, uno di questi cosiddetti cimiteri delle armi. Si tratta di grandi spazi, nei quali ogni genere di arma è semi sepolto e stupendamente ricoperta di ruggire, come scriveva un antico poeta kighiso:

“Vestite di ruggine le armi
e i vostri aratri
di riflessi lucenti.”

Sotto vetro vicino ad ogni arma un piccolo cartello informa: “Questo mitragliatore ha ucciso 850 esseri umani.” “Questo carro armato ha abbattuto 2.300 abitazioni civili.” “Questo tipo di bomba era in grado di uccidere 300.000 persone in pochi secondi.”

In alcune nicchie ci sono perfino alcune fotografie dei responsabili con titolo a eterno biasimo: “Costui ha inventato le mine antiuomo, responsabili della morte e della mutilazione di milioni di esseri umani.”

«Ma se una potenza straniera invade il vostro Paese?» Domando con acume tutto occidentale. «Grecia capta, coepit victores. La Grecia catturata, catturò i suoi vincitori. Come? Con la cultura. Qualsiasi popolo venendo a contatto con noi, si convincerebbe di quanto è semplice vivere in uno stato di perenne serenità. Li aspettiamo.» Il Primo Ministro è un ometto sulla cinquantina, vestito sobriamente, con un ciuffo di capelli bianchi che gli schiarisce la fronte.

«Sono il Primo Ministro solo da un anno e anch’io, come tutti in Kirghisia, lavoro tre ore al giorno.» «Com’è possibile che uno Stato funzioni quasi da solo?» «Il nostro principio motore è l’autogestione, a tutti i livelli,. Ogni abitante è in pratica Autore del proprio destino. Tutti hanno familiarità con tutti. Prima i ricchi vivevano isolati nelle loro ville.

Erano prigionieri del loro benessere e, direttamente o indirettamente, determinavano una società non serena, forse per rendere tollerabile il loro isolamento. Anche dopo le nostre riforme, hanno tentato di proseguire nella condizione di ricchi, isolandosi dagli altri, poi anche loro hanno dovuto aprire le porte e gli animi per partecipare al grande gioco della vita.

I loro parchi e i loro giardini si sono aperti a tutti e finalmente le voci dei bambini riempiono quella che un tempo era solo una dorata solitudine.» Mi accompagnava lui stesso dall’altro Primo Ministro e suo collega, il Capo del Governo per il Miglioramento, dal quale siamo invitati a pranzo.

Camminiamo a piedi in queste strade ampie, soleggiate e bonificate, perché libere dal traffico. La gente affacciata alle finestre saluta il Primo Ministro. Si direbbe che tutti lo conoscano, ma che anche lui conosca tutti. Mi vergogno al solo pensiero di chiedergli se non ha paura di andarsene in giro senza guardia del corpo o senza la macchina blindata.

Intervisterò anche il Capo del Governo per il Miglioramento. Chi amministra, raramente la la possibilità di migliorare le strutture operative, mentre un governo che si occupa solo di osservare il funzionamento delle istituzioni, può migliorarle sempre più. Il Primo Ministro del Governo per il Miglioramento è una donna.

Ci riceve mentre sta annaffiando il giardino. Posa con grazia la canna dell’acqua, poi sorridendo: «Volete accomodarvi? Il pranzo è pronto, ho cucinati io stessa.» Ci fa strada fino a una deliziosa piccola veranda, dove sediamo a una tavola accuratamente preparata. Al centro un ampio vassoio con gli antipasti tipici della Kirghisia.

Polpa di granchio su tartine imburrate al mais. Segue un delizioso fritto di pesce con insalate appena colte. Durante il pranzo l’attenzione dei due ministri è concentrata sulle mie domande. «Dunque volete che spieghi la funzione specifica del Governo per il Miglioramento del Paese?

Il Governo per il Miglioramento ha il compito di individuare e proporre soluzioni migliorative in ogni settore della vita pubblica. Proprio oggi ho esaminato un progetto particolare che forse riusciremo a realizzare. Si tratta di una cappa termica che interessa un centinaio di chilometri quadrati, capace di mantenere la temperatura della capitale al livello costante di 25 gradi.

In pratica queste nuove tecnologie consentirebbero di determinare una primavera permanente, permettendo ai nostri cittadini di vivere, se lo desiderano, sempre all’aria aperta, giorno e notte.» «E le stagioni e i cicli naturali del tempo?» Chiedo stupito. «Le stagioni le andremo a vedere ai confini della città. Ma ci vorrà ancora qualche decina di anni, il progetto va prima sottoposto a tutti i cittadini.

Senza l’unanimità da noi nessuna proposta viene attuata. Abbiamo calcolato col Ministro per il Miglioramento delle Finanze, che questo nuovo modo di vivere abbasserebbe il costo pro capite di ogni cittadino, consentendo di diminuire l’orario di lavoro a un’ora al giorno o, a scelta, a un giorno la settimana naturalmente sempre a pieno stipendio.»

Questa mia nuova giornata in Kirghisia termina con una visita all’ospedale, completamente autogestito dai malati. I meno gravi o i convalescenti si occupano di cucinare o di riordinare le stanze. I medici non hanno camici, ma sono vestiti della loro competenza.

Torna alla mente Franco Basaglia che, dopo aver vinto la sua battaglia per mettere fuorilegge i manicomi e dopo aver liberato decine di migliaia di malati dai letti di contenzione e dagli elettroshock, diceva ai giovani medici: «Non indossate il camice, la gente deve riconoscere chi è il medico dal comportamento e non dalla divisa.» Franco Basaglia cittadino onorario di Kirghisia. Amici cari, per ora vi saluto e vi abbraccio.” (Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, Edizioni L’Immagine)

domenica 22 gennaio 2017

Vecchia e nuova politica



“ Chiunque si appoggi al Tao
nel governo degli uomini,
non cerca di forzare le situazioni
né di sconfiggere i nemici con la forza delle armi.
Per ogni forza ce n’è un’altra che le si oppone.
La violenza, sia pure benintenzionata,
ricade sempre su chi la compie.”
(Lao Tzu, Tao te Ching)

“Immaginate una politica che si basi sulla presenza mentale. Immaginate una mentalità di governo e un processo democratico che conosca e onori il fatto che “l’universo è sempre fuori dal nostro controllo” e che “cercare di dominare gli eventi va contro il flusso del Tao” e non perché questa frase campeggi, incisa su marmo, sulla facciata di un qualche palazzo governativo, ma perché se n’è fatta esperienza di prima mano, perché nella società vasti strati della popolazione coltivano la pratica di consapevolezza.

I nostri processi decisionali e anche la visione di quelli che sono i nostri interessi personali sarebbero radicalmente differenti, se si accordassero con quel tipo di mentalità, con quel genere di saggia umiltà. Allora il consenso e l’azione potrebbero nascere - molto più di quanto succede oggi - dalla saggezza e dalla compassione, e anche dal fatto di capire quanto siano distanti le apparenze dalle cose così come sono; e così le nostre azioni mirerebbero alla realtà invece che le apparenze.

Quelle azioni darebbero forma a ciò che ogni comunità si augura di ricevere dagli organi di governo, da una saggia democrazia: una ricerca sincera su quali siano i bisogni interiori ed esteriori dei suoi costituenti e della società più vasta in cui si svolge la vita, la libertà e la ricerca della felicità… L’espressione “la solita politica” in genere indica un’opinione piuttosto disincantata dei politici, il che spesso è comprensibile.

Forse quello di cui abbiamo bisogno, di questi tempi, è una politica che sia davvero “diversa dal solito” che marci scandendo un passo diverso o magari non marci affatto, ma piuttosto scorra; a cui ci si avvicini con una mentalità ortogonale che tenga bene a mente “le cose reali” e che insieme si ricordi anche che tutti noi siamo parte dell’unico, indiviso corpo del mondo.

Se sperimentassimo più intimamente la nostra interconnessione con una pratica reale potremmo renderci conto molto prima che tutti i nostri egoistici impulsi e motivazioni e prospettive limitano la nostra capacità di percepire il quadro più ampio e il modo in cui potremmo realmente renderci utili. Vedremmo che le nostre motivazioni e le prospettive ristrette sono fonte di grande sofferenza, per noi stessi e per gli altri.

Da una prospettiva del genere nascerebbero spontaneamente più saggezza e compassione, e un’azione più efficace e benevola. La politica stessa diverrebbe una disciplina della coscienza apportatrice di trasformazione e di guarigione. I primi a trarne beneficio sarebbero gli stessi politici, ma alla fin fine ne trarrebbe beneficio tutto il mondo.

Potrebbe essere questa l’unica vera sfida della nostra specie e del nostro tempo: dare risposta alla possibilità della nostra vera natura di esseri umani, perché sappiamo immaginarle e conoscerle e perché vediamo le potenziali conseguenze che ha lasciarle senza risposta, rimanere nel nostro stato consensuale di trance per pura inerzia, non risvegliarci, non “riprendere i sensi.”

Sappiamo di poter essere accecati dalla nostra stessa mente, specie quando percepiamo in modo sbagliato la realtà delle cose e ci lasciamo travolgere da emozioni distruttive. In quei casi ci contraiamo, letteralmente e metaforicamente, e quindi ci riduciamo; in quello stato di contrattura mentale le decisioni che prendiamo, le cose che diciamo e che possiamo fare finiscono per creare un bel po’ di danni a noi stessi e agli altri.

A lungo andare, la mancanza di intimità con il panorama interiore e di familiarità con la sua capacità di configurare le nostre scelte e i nostri comportamenti, attimo dopo attimo, può peggiorare il danno e generare ancora più disarmonia, inquietudine e malattia… Corriamo tutti il rischio di contrarci, per riflesso, a livello fisico, emotivo, cognitivo e spirituale di fronte a quello che percepiamo come pericolo; quel rischio è sempre seriamente aggravato dai nostri condizionamenti e dalle cose che la nostra cultura dà tacitamente per scontate.

È qui che entra in gioco la pratica di consapevolezza che può essere utile a ogni livello per affinare, in noi, la capacità di vedere e di conoscere la realtà delle cose, al di sotto delle loro apparenze e dei nostri impulsi personali a contrarci in stati mentali miopi proprio quando più servirebbe la chiarezza di visione e il distacco emotivo. Più la consapevolezza diventa una pratica del cuore e una priorità del mondo, più alta sarà la probabilità di rispondere alle situazioni difficili in modo equilibrato e creativo, invece di reagire per riflesso condizionato nel solito modo contratto.

Sarà più facile essere proattivi e propositivi, capaci di ricorrere a energie nuove, creative e più efficaci, e di generare altre energie. Queste energie, a loro volta, possono catalizzare delle modificazioni e delle trasformazioni negli individui, nelle organizzazioni e nelle nazioni che ora sono governate essenzialmente dalla “solita politica.”

Immaginate di utilizzare il nostro potere in modo conscio di fronte ad aggressioni e sfide di ogni genere, a ogni livello del mondo, in base al riconoscimento del fatto che un attaccante reale o potenziale ha già dimostrato grandissima debolezza e disequilibrio con la stessa natura aggressiva e quindi irrazionale o illusa del proprio atto o della propria intenzione.

Il che significa: immaginate come sarebbe non perdere la testa, reagendo ad altri che l’hanno persa (come succede così spesso), altri la cui rabbia genera altra rabbia, la cui violenza genera nuova insensata violenza. Ci sono sempre stati individui e gruppi che si sono impegnati in modi più umani e benevoli a definire e realizzare gli scopi più alti e i fini più significativi delle varie imprese dell’uomo…

Uno degli esempi notevoli di questa sorta è quella che ora è generalmente nota come “imprenditoria sociale” …con cui le banche progressiste possono fare milioni di piccoli prestiti a buon fine alle persone povere in posti come il Bangladesh, prestiti che permettono loro di avviare un’attività e innalzare la propria qualità di vita. In questo caso il microcredito mette in discussione le forze che stanno dietro alla povertà estrema e la mancanza di opportunità, e trova il modo di entrare e stare nel fulcro di un dilemma prima ignorato, e di far ruotare le cose intorno al nuovo elemento introdotto, con buoni risultati.

Il cambiamento, oggi, sta nel fatto che si riconosce sempre più, e più di prima, che i panorami interiori ed esteriori della mente e del mondo si compenetrano l’uno nell’altro, e che occorre arrivare e conoscere e a prendersi cura delle proprie motivazioni e dei propri pensieri e sentimenti, e dei fattori economici e sociali che li influenzano, a livello istituzionale come individuale, se si vuole che le intenzioni - anche le migliori - si realizzino davvero.

Spesso i politici si trovano a dover rispondere agli avvenimenti che accadono senza neanche sapere bene che cosa stia accadendo o quali conseguenze possono avere le specifiche azioni che possono intraprendere, specie se non osservano le cose con uno sguardo d’insieme, ma si preoccupano più di salvaguardare interessi privati e ristretti, economici o geopolitici, o anche soltanto la propria reputazione.

Nell’arena politica come in medicina, spesso si devono prendere decisioni sul campo, attimo per attimo, giorno per giorno, sulla base di informazioni incomplete e di grandi incertezze. Ne risulta che si leggono gli avvenimenti in base a schemi, alle esperienze del passato, all’intuizione; che si stanno a soppesare le probabilità, che si mettono sulla bilancia, da un lato le contingenze e dall’altro il rapporto rischio-beneficio.

Questi sono tutti giudizi che richiedono una continua consapevolezza, che hanno bisogno di discernimento e integrità; invece purtroppo, a volte, si è inconsapevoli e non si capisce quale sia il proprio reale “interesse privato.” In questo caso è inevitabile che i processi decisionali siano influenzati da ideologie, alleanze politiche, bisogni di questo e di quel gruppo di interessi, dei propri elettori e sostenitori ai quali ci si sente obbligati a mostrare riconoscenza.

La spinta ad affrontare le cose con una consapevolezza più spassionata e su base più ampia - affiancata da una ricerca intelligente, da un desiderio di guarigione e di salute e dalla dedizione al cosiddetto “bene comune”ossia al benessere e la salute della società e del mondo, e di ogni individuo che vi abita - può essere messa completamente in ombra; a volte può andare del tutto persa…

Nel peggiore dei casi, i politici possono essere tentati di distorcere o confondere o negare il vero stato delle cose, a un tale livello da equivalere in pratica alla dissimulazione, se non alla vera e propria menzogna. In medicina si usa una parola specifica per definire questo atteggiamento: è l’aggettivo “iatrogeno” che indica la condizione o il problema generato da un errore professionale o dall’inettitudine del medico o, più in generale, del sistema sanitario.

Molti atteggiamenti e pratiche diffuse fra i politici sarebbero considerati iatrogeni, persino criminali, se fossero applicati in medicina. Purtroppo, in politica, la famiglia del paziente (ossia tutti noi) di solito viene tenuta all’oscuro; ci viene detto solo quello che i medici curanti vogliono che pensiamo, spesso facendo leva sulle nostre paure più profonde e attribuendo la “fonte della salvezza” alle proprie idee e strategie politiche, al proprio partito…

Abramo Lincoln una volta disse: «Potete raccontare storie ad alcune persone per tutto il tempo; potete raccontarle a tutti, qualche volta; ma non potete raccontare storie a tutti per tutto il tempo.» E grazie al cielo! Se i politici sapessero, nel profondo, per esperienza personale, che non c’è un sé permanente dotato di esistenza autonoma da mantenere al potere.

Potrebbero ricordarsi o rendersi conto che staranno in circolazione solo per un breve tempo, per quanto famosi e potenti diventino, persino se diventano presidenti per uno o due mandati; che il loro potere e la loro fama svaniscono; che quel che possono fare di buono è limitato, ma i danni che possono fare sono immensi.

Una salutare consapevolezza di questi paradossi potrebbe spingere a fare più spesso la cosa giusta e per le giuste ragioni, forse anche a trovare il modo di parlare di cose che stimolino i propri elettori e sostenitori a espandere l’ambito di quello che considerano il proprio vantaggio personale…

Non sto sostenendo la causa di una qualche sorta di visione utopistica a largo raggio; mi riferisco al potere dell’onestà e della sincerità fino in fondo, alla fiducia nella bontà che si irradia da tutti noi quando si incarna nelle persone che occupano posizioni di comando e ricoprono alti incarichi. In sé si tratta di posizioni di prestigio che il popolo (ossia noi) accorda a questa e quella persona per un po’ di tempo; a esse si accompagnano sempre gradi responsabilità nei confronti della popolazione che si governano.

Quando le si assume, occorre tenerlo bene presente. È una pratica che richiede uno sforzo continuo, non mere dichiarazioni verbali. Occorre anche prendere coscienza del fatto che, troppo spesso, quando qualcuno dice la verità tutti quanti fanno finta di niente, o comunque sono pochi quelli che sembrano particolarmente interessati ad ascoltarla: siamo tutti presi, caduti in trance, ipnotizzati dalle nostre piccole preoccupazioni personali.” (Jon Kabat-Zinn, Riprendere i sensi, Tea ed.)

giovedì 20 agosto 2009

Nelle officine dei falsi idoli


“Trovo esecrabile la menzogna
perché è un’inesattezza”
(Fernando Pessoa come Ricardo Reis, 1931)

La nostra società di massa è contraddistinta sia dalla violenza che dalla menzogna. Ogni giorno viviamo in mezzo a tali menzogne da giustificare l’affermazione del filosofo Alexandre Koyré, secondo il quale “è certo che l’uomo ha sempre mentito.” Seppure la politica sia certamente il migliore palcoscenico della menzogna, la menzogna è anche il tema centrale di tutti i messaggi che ci vengono ripetuti dai media. Per questi motivi sarebbe opportuno che riconoscessimo di essere immersi in una società che vive di menzogne e in cui la sincerità di colui che parla, si basa sulla critica e sullo smascheramento delle menzogne degli altri.

Nella nostra società, molte scelte vengono fatte in base alla parzialità d’informazioni di cui si dispone, e sulla base delle parziali verità di cui siamo a conoscenza: quindi molto di ciò che facciamo si basa sulla menzogna. Chiaramente colui che mente non ammette le sue menzogne, anzi il contesto politico della menzogna ha come scopo ultimo la sua invisibilità e la completa impunibilità, infatti la menzogna politica è molto accorta nel nascondere le sue impronte.
Spesso si offrono delle allusioni a fenomeni come l’immigrazione, la disoccupazione o la prostituzione, ma in maniera da non permettere che il problema o il fenomeno sia inquadrato e compreso nella sua genesi: si afferma che quello è un problema, come se un problema potesse nascere da un buco nero o da un punto definito, come se non avesse una sua origine sociale.

Queste informazioni che eliminano il fondamento storico, e che offrono solo dei frammenti di realtà sociale, corrispondono all’offerta di briciole avulse da ogni contesto che permetta di analizzare le cause della loro comparsa nella nostra realtà sociale. E se all’informazione si toglie il contesto storico essa diventa, come affermava il filosofo Walter Benjamin, un’informazione che porta con sé la menzogna dell’oblio e dell’occultamento della sua storicità. Quindi ogni oblio della menzogna corrisponde ad una difesa dei bugiardi. Nella politica contemporanea le accuse lanciate contro l’avversario, la menzogna, che pure è palpabile, che è evidente ed è indiscutibile non viene mai completamente stigmatizzata, perché colui che mente cerca sempre di giustificare le sue menzogne e così la bugia si riveste di grettezza.

E’ a causa della crescente grettezza che si riesce a convivere con la menzogna politica, che è una menzogna insulsa, perchè si sottrae alla sua parte di responsabilità, ed è proprio la menzogna irresponsabile che domina la scena politica, come già affermava Platone che avvisava come il diritto al falso fosse offerto ai governanti nell’interesse dello stato. Infatti questa formula è stata ampiamente utilizzata nel corso dei secoli, cosicchè “la sincerità non è mai stata annoverata tra le virtù politiche” come amaramente notava Hannah Arendt. E forse oggi siamo ad un altissimo livello di politica, poichè questa formula è osannata da tempi come quelli in cui viviamo, in cui il vantaggio personale è potentemente ricercato, anche a scapito di quello altrui.

Così la menzogna è il cinico gioco della modernità, il rifugio precario al quieto vivere sociale, un modo per ricreare la realtà con l’obiettivo di poter vivere meglio. La menzogna diventa una corazza utile per salvaguardare ogni possibilità di senso, e largamente usata perché facilita la vita con la costruzione di comode anche se illusorie concezioni.
Quindi il bugiardo diviene un essere la cui condotta affascina e repelle, perché la menzogna usa una parola falsa che riesce a falsare i rapporti con gli altri, fino a rendere quei rapporti oscuri e torbidi, fino alla distruzione delle relazioni sociali. E questa menzogna non ha una faccia unica, ma offre un’infinità di forme e di aspetti, perché non sappiamo mai dove finisce la menzogna e dove inizia la verità.

Per sua natura la menzogna non si può racchiudere in compartimenti stagni, ma richiede sempre un approccio cauto e circospetto, in modo da saperne cogliere tracce ed orme. La capacità di fingere è infinita come lo sono le sfumature emotive degli esseri umani, ed essa diventa un rifugio multiforme alle difficoltà del vivere sociale. La menzogna diventa un modo di rapportarsi con gli altri e diventa anche un’interpretazione di possibili modi del vivere, perché esiste anche una “politica della verità” come diceva Foucault, per cui si definisce come verità tutto ciò che viene unanimamente ritenuto ed accettato come tale.

Nella verità vi è sempre un convincere per poter vincere, così che il “concetto di verità appartiene alla retorica della lotta per la conquista del potere” avverte Zygmunt Bauman (Il disagio della modernità, 2002) perciò la verità non è presistente, ma nasce da un sistema di valori creati da processi sociali. Ragionando così allora, per avere una verità effettiva, dovremmo ipotizzare un osservatore neutrale, cioè un soggetto avulso da ogni sedimento sociale e in grado di affermare una verità non ingannevole.

La storia ci insegna che molte verità hanno conservato brandelli di menzogna, e che molti uomini hanno creato delle verità verosimili o credibili, ma è una diatriba che risale agli antichi sofisti, i filosofi dei molteplici modi di essere che portavano a delle molteplici verità.
Molte bugie sono state camuffate da verità inconfutabili, per cui la verità è un’illusione ammantata dalla forza con cui viene imposta, come già voleva Nietzsche.

Nietzsche diceva che il punto non è tanto il fare uso della menzogna, piuttosto il modo con cui questo avviene, perché qualora la menzogna sia ripetuta senza sosta, qualora tali menzogne vanno continuamente smentite, si rivela nel mentitore il carattere dell’uomo senza volontà, dell’ultimo uomo, dell’uomo del gregge. Nell’officina in cui sono fabbricati gli idoli, scrive Nietzsche in “Genealogia della morale” vi sono sempre menzogne, perciò essa “esala unicamente il fetore della menzogna.”

Nelle officine dei falsi idoli, le menzogne hanno sempre abitato perché in quei luoghi mancano gli individui veri, cioè mancano di coloro che aspirano ad un fine teleologico, di coloro che credono che vi sia un progetto, uno scopo, una direttiva o una finalità nelle opere e nei processi naturali. Nelle officine dei falsi idoli abitano solo quelli che aspirano alla menzogna per spirito di sottomissione, vivono coloro che mentono per debolezza, che mentono per impotenza, per viltà o per codardia: tutti costoro depauperano il senso della Terra ed impoveriscono la vita.

Da tutto ciò si desume che la menzogna è una risorsa fin troppo facile, che è una strategia vigliacca, e che senza dubbio la sincerità è da preferibile, non per scrupolo morale, ma solo per le ragioni che dichiara Joseph Conrad in “Cuore di tenebra”: “Sapete che odio, detesto, non posso tollerare le bugie, e non perché sia più retto degli altri, ma semplicemente perché mi spaventa. C’è un’ombra di morte, un’effluvio di mortalità nelle menzogne; proprio ciò che odio e detesto al mondo, ciò che voglio dimenticare. Mi rende infelice e mi disgusta, come dare un morso a qualcosa di marcio.” Forse anche Conrad percepiva il profondo disprezzo per la sofferenza altrui di cui la menzogna si ammanta?
Buona erranza
Sharatan