venerdì 31 luglio 2009

I rami dell'universo


E’ di Cartesio il “Cogito ergo sum” che affermava il pensiero come dimostrazione dell’essere. Oggi sappiamo che è vero il contrario, e che è la consapevolezza a produrre il pensiero: per pensare è necessario avere coscienza. Non casualmente la mentalità occidentale è di tipo cartesiano, poichè considera il pensiero razionale come l’unica chiave per la consapevolezza umana, continuando un pregiudizio che risale al pensiero greco. Siamo cresciuti nella convinzione che la civiltà sia progredita “dal mythos al logos”, cioè dalle favole alla scienza, da una condizione imprecisa ad una realtà precisa e ordinata.

La coscienza e l’uomo sono la macchina organica che volevano i materialisti meccanici settecenteschi come Julien Offray de La Mettrie, che sosteneva la materialità dell'anima, essendo un elemento corporeo allo stesso titolo di altri organi. Ma ormai si sa che la coscienza non è il prodotto dell’attività cerebrale, e che essa può trascendere i confini fisici di tempo e spazio. La scienza studia i due tipi di energia più importanti, cioè quella potenziale e quella cinetica, così come le osserviamo nel pendolo che, se non avesse un potenziale energetico non potrebbe oscillare e perciò non avrebbe neppure energia cinetica.

Perciò da qualche parte esiste, ancor prima della creazione, una forma di energia che aspetta solo di manifestarsi: la vita ha sempre avuto il potenziale di manifestarsi ed è sempre esistita. I biologi cercano di dimostrare l’esistenza di una evoluzione delle forme viventi e anche quando usano la teoria del Big Bang in realtà parlano di esistenza latente, una potenzialità di cui non si è dimostrata un’origine certa. Così il materialismo ha visto per centinaia di anni nella materia la causa ultima della creazione di tutte le cose, fin quando la fisica di inizio ‘900 non ha dimostrato che la causa ultima è l’energia.

Secondo l’induismo, la coscienza richiede la materia per manifestarsi ma non ha bisogno della materia per esistere, perché la manifestazione esteriore della matera è un potenzialità insita fin dall’origine, e per esistere non ha bisogno di tempo e spazio: le vibrazioni della coscienza produssero l’energia e da questa si originò la materia. Senza questi movimenti della coscienza non avremmo né il tempo né lo spazio. La coscienza proietta sé stessa nell’universo materiale, assume non solo forme materiali ma anche qualità che si manifestano tramite queste forme, come potenzialità che poi diventano realtà, e la fisica ha dimostrato la concezione induista.

Una delle chiavi della meccanica quantistica, è il principio di indeterminazione formulato da Werner Heisenberg nel 1927, nel quale si afferma che: “non è possibile conoscere simultaneamente la quantità di moto e la posizione di una particella con certezza.” E’ questa la tesi con cui il mondo del determinismo causa-effetto cede il passo a quello dell'indeterminismo e del caso, perché il principio di indeterminazione pose fine al determinismo, così come teorizzato in origine Isaac Newton, secondo il quale era sufficiente conoscere la posizione e la velocità di un corpo per poter calcolare, con le leggi della fisica classica, tutti i suoi stati presenti e futuri.

Per Newton e poi per Laplace, doveva esistere un insieme di leggi fisiche in grado di predire qualunque accadimento futuro e passato che si potesse verificare nell'universo: il principio di Heisenberg esclude questa opzione. Il principio di indeterminazione esclude la possibilità di conoscere con un'accuratezza infinita la condizione iniziale nello spazio e/o nel tempo, essendo determinata da più di una grandezza fisica, come posizione e velocità, tempo ed energia, e che quindi risentono dell'indeterminazione.

Nella interpretazione di Copenaghen del 1927, nella meccanica quantistica l'universo fisico non esiste in forma deterministica, ma piuttosto come una collezione di probabilità, o potenziali. Nella fisica classica, si ricorre alla probabilità per sopperire ad una nostra conoscenza incompleta dei dati iniziali, mentre in meccanica quantistica, i risultati delle misurazioni di variabili coniugate sono fondamentalmente non deterministici, e anche conoscendo tutti i dati iniziali è impossibile conoscere a priori il risultato di un esperimento, poiché l'esperimento stesso influenza il risultato. Secondo la teoria quantistica, anche un singolo quanto di luce disturberà la particella alterandone in modo imprevedibile la velocità, e quanto più è precisa la misura, tanto più essa è invasiva e disturba il fenomeno da misurare.

In fisica, il principio di località afferma che degli oggetti distanti non possono avere influenza diretta l'uno sull'altro: un oggetto viene influenzato direttamente solo dalle sue immediate vicinanze. Il realismo locale è una caratteristica di rilievo della meccanica classica e della relatività generale, ma la meccanica quantistica rifiuta largamente questo principio a causa della presenza di entanglement quantistici.

L'entanglement quantistico o correlazione quantistica è un fenomeno quantistico, privo di analogo classico, in cui ogni stato quantico di un insieme di due o più sistemi fisici dipende dagli stati di ciascuno dei sistemi che compongono l'insieme, anche se questi sistemi sono separati spazialmente. Esiste un teorema fisico della relatività, il quale sancisce l'impossibilità di trasmettere, tramite questa proprietà, informazione ad una velocità superiore a quella della luce.

Nel 1935 Einstein, Podolsky e Rosen formularono il paradosso EPR per il loro attacco alla meccanica quantistica, ma la conclusione andò in direzione opposta alle intenzioni originali dei tre scienziati. Il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, perciò EPR, è un esperimento ideale che dimostra come una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico può propagare istantaneamente - secondo l’interpretazione di Copenhagen - un effetto sul risultato di un'altra misura, eseguita successivamente su un’altra parte dello stesso sistema quantistico, indipendentemente dalla distanza che separa le due parti. Questo effetto è noto come "azione istantanea a distanza" ed è incompatibile con il postulato alla base della relatività ristretta, che considera la velocità della luce la velocità limite alla quale può viaggiare un qualunque tipo d'informazione.

Ulteriori sviluppi teorici e sperimentali seguiti all'originale articolo di EPR, dimostrano che alcune delle teoriche azioni a distanza previste dall'esperimento ideale EPR accadono realmente, e costituiscono la prova positiva a favore della meccanica quantistica. Sono state sviluppate e stanno progredendo delle tecnologie che si basano sull'entanglement quantistico o intreccio di stati quantistici, e una teoria che ha fornito la spiegazione degli universi multipli.

Secondo questa teoria, ogni volta che qualcosa è incerto, l’”Albero dell'Universo” cioè il fenomeno di tutte le ramificazioni possibili e potenziali di eventi, produce un altro ramo e si ramifica. Ciascuna ramificazione, appena prodotta, è un diverso universo simile al precedente, perché l'incertezza generalmente è piccola, all'inizio, ma poi dovrebbe differenziarsi. Ogni possibilità è quindi un accadimento che capita da qualche parte nell’Universo.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 27 luglio 2009

L’anima respira attraverso il corpo


Assai curiosamente le ricerche scientifiche sui sentimenti e sulle emozioni sono iziate solo negli anni ’60 del secolo scorso, perchè si credeva che i sentimenti e le emozioni, potessero essere indagati solo dai filosofi e dai poeti, e che non fossero analizzabili con metodi scientifici.

Quando, nel 1967, Paul Ekman partì per la Papua Nuova Guinea, andava alla ricerca di un popolo che fosse il più vicino possibile allo stato di natura prima che la civilizzazione spazzasse via le ultime tracce di un popolo incontaminato. Ekman voleva studiare l’origine del sorriso umano, e studiarlo su una popolazione primitiva equivaleva a capirne le origini genetiche umane. Le conclusioni a cui giunse fecero sobbalzare sulla sedia gli studiosi di psicologia umana.

Si era ritenuto che il bambino fosse una tabula rasa e che l’uomo nascesse con la mente vuota, Ekman dimostrò che non è assolutamente vero! I genitori e l’ambiente non travasano i loro insegnamenti e valori in un vaso vuoto, ma in un recipiente pieno di cognizioni umane di base, tra cui il sorriso. L’uomo non deve imparare tramite l’educazione, la mimica dei sentimenti e l’alfabeto delle emozioni, esse sono inserite nella sua dotazione di base.

Gli studi condotti da Paul Ekman sulla tribù dei Fore, gli abitanti degli altipiani papuasiani, si protrassero per molte settimane e furono ampiamente documentate da registrazioni su nastro e da fotografie. I dati dimostrarono che il linguaggio degli umani è diverso, ma la mimica e la gestualità usate per esprimere i sentimenti sono uguali per tutta la specie umana: la cultura non può condizionare la tastiera dell’animo umano e la capacità di esprimere i sentimenti non viene appresa. Ekman classificò 19 tipi di sorriso, di cui 18 assolutamente strumentali e solo uno caratteristico della gioia e perciò autentico.

Ekman dimostrò che quasi tutti i sorrisi vengono indossati come una maschera. Sorridiamo soprattutto per non rivelare la verità sui nostri sentimenti, sorridiamo perché una battuta ci offende, sorridiamo perché abbiamo ansia, sorridiamo perché abbiamo paura e sorridiamo perché ci insegnano a fare “buon viso a cattivo gioco”. Tutti questi sorrisi sono trucchi sociali, sono gesti di disimpegno e trucchi di strategia umana.

Ekman osservò che, nel sorriso di circostanza muoviamo il muscolo dello zigomo, tirando verso l’alto gli angoli della bocca e muoviamo la parte inferiore del viso ma, nel sorrico autentico, non solo solleviamo gli angoli della bocca e la parte inferiore del viso, ma mettiamo in moto anche il muscolo orbicolare degli occhi e la parte superiore del viso. Quando sorridiamo di gioia, s’increspano gli angoli degli occhi e si formano le rughe oculari del sorriso: il sorriso di autentica gioia è quello che inizia negli occhi.

Forse la poesia già lo sapeva se il poeta spagnolo Gustavo Adolfo Bécquer aveva scritto: “Come un libro aperto leggo nel fondo dei tuoi occhi. Perché la bocca sorride se gli occhi la smentiscono?” Sembrerà strano, ma questo fu il primo esempio di indagine scientifica sull’origine dei sentimenti.

Oggi si arriva ad accettare che i sentimenti coinvolgano tutto il corpo nella sua interezza, oggi sappiamo che il mondo mentale del soggetto è essenziale ma che è il segnale corporeo, che ad esso si associa, a determinare la forza dei nostri sentimenti: è l’unione del corpo e della mente che determina la nostra felicità.

Se le emozioni sono risposte istintive all’ambiente, utili per farci risparmiare tempo in caso di pericoli, i sentimenti sono invece le associazioni che facciamo tra l’emozione e la sensazione piacevole o spiacevole che vi è unita: se le emozioni sono inconsapevoli, i sentimenti sono sempre consapevoli.

Scrive Antonio Damasio in “L’errore di Cartesio” che: “amore e odio e angoscia, qualità come gentilezza e ferocia, la soluzione pianificata di un problema scientifico o la creazione di un nuovo artefatto si basano tutti su eventi neurali all’interno di un cervello, purché questo sia stato e sia in interazione con il corpo cui appartiene. L’anima respira attraverso il corpo, e la sofferenza, che muova dalla pelle o da un’immagine mentale, avviene nella carne.”

Damasio sostiene che non potremmo sopravvivere senza le emozioni sociali che si sono evolute dentro di noi, e il sistema nervoso riesce così a costruire nel cervello le mappe del corpo, dell’ambiente che lo circonda, della sua storia, delle sue esigenze e delle sue decisioni. La mente è “piena di immagini provenienti dalla carne e dalle sonde sensoriali speciali”e la maggior parte delle idee si forma a partire dal “corpo propriamente detto.”

La via che la natura utilizza per il nostro addestramento, è il disturbo dell’omeostasi umana cioè il dolore, e la via con cui ricompensa per le buone scelte è il piacere, solo che l’evoluzione ci ha polarizzati maggiormente sui rischi della nostra condizione piuttosto che sulle sue gioie. Questo ci fa ritenere erroneamente che una vita senza dolore sia automaticamente una vita piena di felicità, ma non è così, perché le aree cerebrali attive nella sensazione di felicità sono diverse da quelle attive nell’infelicità.

Sembrerebbe che tutto sia contraddizione e che la natura abbia fallito nella programmazione dell’essere umano, ma in pratica tutto ciò ci insegna che l’uomo è capace di realizzare la felicità dall’infelicità, e che sa costruire l’infelicità mentre insegue la sua felicità. Nell’uomo, che è un animale complesso, le due vie non si escludono a vicenda.
Buona erranza
Sharatan

venerdì 24 luglio 2009

Semi per la pace e la bellezza


Il neuroscienziato Roger Sperry, premio Nobel e docente al California Institute of Technology (Caltech) dal 1954 fino alla morte nel 1994, teorizzò l’esistenza di una facoltà di “controllo dall’alto in basso degli eventi mentali sugli eventi neuronali inferiori”. Suggeriva che gli stati mentali potessero agire direttamente su quelli cerebrali fino a influenzare l’attività elettrochimica dei neuroni. Sperry teorizzò che la coscienza non potesse esistere senza cervello, e che “le forze mentali” non fossero “forze soprannaturali indipendenti dai meccanismi cerebrali”, ma fossero forze “inseparabilmente legate alla struttura cerebrale e alla sua organizzazione funzionale".

Sperry concluse che l’attività mentale “di livello superiore” potesse agire in modo causale sul “livello inferiore” dei neuroni e delle sinapsi, e che il potere della mente fosse in grado di modificarne la trama. Naturalmente fu ferocemente attaccato, sebbene le ultime scoperte dei primi anni del nuovo millennio abbiano dimostrato come lui fosse in anticipo rispetto ai suoi tempi.

E’ vero che è un essere fortunato colui che ha imparato nell’infanzia a controllare equilibratamente le sue emozioni, ma non siamo gli schiavi della nostra educazione, perciò possiamo sempre modificare e migliorare il controllo dei nostri sentimenti. Verso la fine degli anni ‘80, il neuropsichiatra Jeffrey Schwartz dell’Università di Los Angeles, dimostrò che i segnali in grado di modificare il cervello potessero arrivare non solo dal mondo esterno, ma anche dalla mente stessa. Schwartz e il collega Lewis Baxter avevano organizzato un gruppo di terapia comportamentale per lo studio e la cura del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) una patologia in cui i pazienti sono perseguitati da pensieri invadenti e molesti (le ossessioni) che li spingono prepotentemente a comportarsi in modo irrazionale con gesti ripetitivi simili a rituali (le compulsioni o coazioni).

Fino alla metà degli anni ‘70, gli psichiatri consideravano il DOC come refrattario alle terapie, ed in seguito venivano somministrati degli antidepressivi che aiutavano a diminuirne i sintomi. Negli stessi anni a Londra, uno psicologo britannico aveva sviluppato la prima efficace terapia comportamentale della malattia, spingendo i malati ad affrontare le loro paure in modo controllato tramite l’esposizione volontaria alla causa della loro ansia.

Verso la fine degli anni ‘80, Jeffrey Schwartz avanzò alla terapia comportamentale inglese un’accusa di crudeltà, affermando di volere un’alternativa più umana e più efficace. Schwartz, che era buddista praticante, cominciò a interessarsi al potenziale terapeutico della via della “presenza mentale” o satipatthana, consiste nell’osservare le proprie esperienze interiori con piena consapevolezza, senza giudicarle. Nella pratica, occorre collocarsi come al di fuori della propria mente e osservare lo spontaneo affioramento di pensieri e sentimenti, come se fossero di un’altra persona.

Quello stato, secondo il monaco buddista Nyanaponika Thera, è “la chiara e unica coscienza di quello che oggettivamente accade a noi, e in noi, nei successivi momenti della percezione. Incamminarsi sulla via della presenza mentale significa concentrarsi solo sui nudi fatti di una percezione, così come si presenta attraverso i cinque sensi fisici o attraverso la mente … senza reagire con azioni, discorsi o un commento mentale riferito a se stessi (piacere, dispiacere, eccetera), un giudizio o una riflessione.”

Schwartz dichiarò poi: “Pensavo che se fossi riuscito a fare in modo che i pazienti provassero i sintomi del DOC senza reagire emotivamente al disagio, rendendosi conto che anche il più viscerale impulso del DOC non è altro se non la manifestazione di un difetto funzionale del cervello, senza alcuna corrispondenza nella realtà, gli effetti terapeutici sarebbero stati spettacolari. In questo caso, la terapia cognitiva basata sulla presenza mentale avrebbe avuto successo dove i farmaci, le psicoterapie tradizionali e la prevenzione della risposta avevano fallito.” La pratica della presenza mentale, a suo avviso, poteva rendere il paziente conscio della natura della sua ossessione e perciò più capace di concentrarsi su altre cose.

Le moderne tecniche di visualizzazione hanno rivelato che il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato dall’iperattività di due regioni cerebrali in particolare: la corteccia orbito-frontale e il corpo striato. La corteccia orbito-frontale, ripiegata sotto la parte anteriore del cervello, sembrerebbe destinata al controllo di ciò che è fuori posto, mentre la seconda struttura soggetta a iperattività, il corpo striato, è annidato nella profondità del cervello, poco più avanti rispetto alle orecchie. Quest'ultimo riceve gli input da altre regioni, come la corteccia orbitofrontale e l’amigdala, legate agli stati emotivi dell’ansia e della paura. Nell’insieme, il circuito cerebrale che include la corteccia orbitofrontale e lo striato è soprannominato "circuito della preoccupazione" ed esso nella DOC agisce freneticamente ed incontrollatamente.

Nell’esperimento di Schwartz iniziato nel 1987, furono effettuate scansioni TEP o Tomografia a Emissione di Positroni su 18 pazienti affetti da DOC, controllati prima e dopo 10 settimane di terapia basata sulla presenza mentale, senza l'uso di terapie farmacologiche di supporto. I pazienti si sottoponevano alla terapia e i ricercatori controllavano i loro progressi utilizzando la TEP, così Schwartz mostrava ai pazienti le scansioni, per sottolineare come a provocare i loro sintomi fosse una disfunzione dei circuiti cerebrali.

Tra loro 12 pazienti migliorarono in misura significativa e in quei pazienti, le scansioni TEP dopo la terapia mostrarono che l’attività nella corteccia orbitofrontale, la chiave di volta del circuito del DOC, si era ridotta in modo sorprendente rispetto all’esame fatto prima della terapia. Concluse Schwartz: “La terapia aveva modificato il metabolismo del circuito del DOC. Questa fu la prima ricerca che dimostrò che una terapia cognitiva-comportamentale è in grado di cambiare sistematicamente la chimica alterata di uno specifico circuito cerebrale.” I cambiamenti cerebrali che venivano mostrati erano “un’indicazione importante di come uno sforzo volontario, consapevole, possa modificare il funzionamento cerebrale, e di come simili mutamenti cerebrali auto-orientati, la neuroplasticità, appartengano alla genuina realtà … L’azione mentale può modificare la chimica cerebrale di un paziente con DOC. La mente può cambiare il cervello”.

Sebbene l’esperimento di Jeffrey Schwartz sia diventato una pietra miliare nello studio del rapporto mente-cervello, la prevalenza di una mentalità antiquata favorisce la diffidenza riguardo all’uso di terapie dolci e non farmacologiche per la cura dei disagi mentali ed esistenziali, e le industrie farmaceutiche spingono per la diffusione di pillole della felicità come unico rimedio ai disagi della modernità. Il calcolo di enormi interessi economici soffoca la verità che la nostra coscienza ha una grandissima influenza sul modo con cui il cervello si forma, e che le nostre emozioni possono veramente trasformare il nostro cervello e il nostro modo di pensare.

Nella cultura occidentale, erroneamente ritenuta avanzata, tendiamo a rimuovere la verità che la saggezza orientale riconosce da molto tempo, e cioè che le emozioni, gli stati inconsci dell’organismo, diventano dei sentimenti cioè delle percezioni coscienti della realtà. Preferiamo pensare che i nostri stati di malessere siano delle disfunzioni da eliminare con l’uso di una pasticca, preferiamo crederci delle macchine pensanti che possono essere riparate con la chimica della felicità, e non degli individui che possono riprogrammarsi autonomamente e volontariamente.

In questo modo, si imprime nella mente delle persone, il pensiero che siamo condannati al destino di non avere alcun potere e alcun arbitrio personale. Vogliono farci ignorare la possibilità di riprogrammare la nostra vita con l’impegno e con la determinazione, ci viene taciuto che noi possiamo essere i demiurghi di noi stessi. Finiamo così per negare che lo spirito viene plasmato dalle esperienze, così non crediamo che “ogni volta che percepiamo qualcosa di pacifico e di bello, annaffiamo i semi per la pace e la bellezza in noi ... mentre al tempo stesso non vengono innaffiati altri semi, come la paura e il dolore” come insegna il maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh.
Buona erranza
Sharatan

martedì 21 luglio 2009

Figli di un dio minorato


La relatività della storia credo che appaia in modo evidente, soprattutto quando leggendo sui giornali quello che avviene nel mondo e guardandoci intorno, dobbiamo convenire che, in effetti, il mondo non è affatto come viene raccontato. La follia della condizione umana è forse come ci viene tramandata in una storia sufi.

Un giorno una strega arrivò nella capitale di un potente regno, gettò una pozione in un pozzo, recitò un potente mantra e sentenziò: “Chi beve l’acqua di questo pozzo diventerà pazzo!” e poi si dileguò misteriosamente. Gli abitanti rimasero sgomenti perché, nel regno vi erano solo due pozzi: uno quello della piazza, a cui attingevano tutti i cittadini e quello del giardino del palazzo reale, a cui attingeva solo il re ed il suo primo ministro. Al pozzo del re nessuno poteva attingere quindi, malgrado sapessero della maledizione, alla fine, tutti i sudditi furono costretti a bere e quindi divennero ben presto pazzi.

Una volta impazziti, si denudarono e iniziarono a correre, ridere e fare ogni sorta di stravaganza, pieni di gioia e di serenità. Ma siccome erano tutti pazzi, nessuno veniva a disturbare la loro follia. La cosa giunse alle orecchie del re e del primo ministro che seppero della maledizione della strega e della follia euforica dei loro sudditi. Entrambi ne furono profondamente rattristati e pensierosi, però dopo un po’ iniziarono a dubitare che fossero loro i soli pazzi, perché l’intera città era in preda all’euforia e alla beatitudine, e solo loro erano inquieti e preoccupati.

Anche i cittadini seppero ben presto che sia il re che il primo ministro erano diventati strani, e che la loro mente funzionava in modo malsano e subito, con il diffondersi della diceria, una folla minacciosa si radunò fuori dal palazzo reale e iniziò a rumoreggiare. Una delegazione di sudditi, chiese di essere condotta al cospetto del re e, siccome tutti erano impazziti compresa la stessa guardia reale, così furono portati al cospetto del re e del suo consigliere. A quel punto i sudditi fecero il loro ultimatum al re: “Maestà, o ritorni sano di mente, oppure ti deporremo dal trono. Noi tutti ci rifiutiamo di farci comandare da un re pazzo.” Poi lo fissarono minacciosi.

Il re furtivamente, sussurrò al suo ministro:”Che mi consigli di fare?” E questi, di rimando, rispose sottovoce: ”Prendete tempo maestà, mentre io corro al pozzo della città e mi procuro l’acqua che fa impazzire. Non abbiamo altra via in un mondo in cui tutti sono pazzi, e per sopravvivere è necessario che diventiamo pazzi anche noi.” Così avvenne e, una volta che ebbero bevuto, anche il re e il ministro impazzirono, si denudarono e corsero per le strade a gridare per la felicità e per la gioia. Allora l’intera città festeggiò il rinsavimento del suo sovrano.

Nei primi secoli del cristianesimo, vi furono molti eresiologi, ossia cacciatori di eresie, e tra quelli più accaniti vi fu Ireneo il vescovo di Lione, che scrisse intorno al 180 d.C. un testo in cui accusava gli gnostici di essere gli eretici più pericolosi. Ma cosa avevano mai affermato gli gnostici per essere considerati tanto pericolosi? Gli gnostici credevano che il mondo materiale non fosse stato creato da un Dio potente o onnisciente. E’ una divinità molto più bassa ed inferiore, spesso ignorante quella che ci ha originato dicevano; il mondo che ci circonda non è buono ma è un disastro cosmico e la salvezza va a colui che riesce a sfuggire da qui e dalle sue trappole materiali.

Per gli gnostici, il nostro mondo è il frutto di un eone decaduto dal regno divino, è il prodotto di entità divine degradate. Queste entità decadute crearono un mondo materiale in cui intrappolarono delle scintille divine che avevano catturate e rinchiuse in un involucro umano. Gli dei creatori del mondo inferiore fu il Dio dell’Antico Testamento, El, Yaldabaoth detto Nebro “il ribelle” e Saklas “lo stolto” che creò l'uomo a sua immagine e somiglianza. Perciò le divinità antiche, secondo gli gnostici furono un dio geloso e intollerante, un ribelle irriducibile ed un idiota.

Chiaramente non sono in grado di dire se avessero ragione i sufi quando affermavano che gli uomini si adeguano, per quieto vivere, alla follia del mondo, oppure se siamo veramente i figli di un dio minorato, secondo la teoria degli gnostici. Per il momento la differenza non mi sembra rilevante, se il risultato è per come ci appare.
Buona erranza
Sharatan

sabato 18 luglio 2009

Perché Grillo no!


Da : La mosca tze-tze, il blog di Marco Travaglio su Micromega

"Dice D’Alema che Grillo non può iscriversi al Pd: non ha mai definito “golpisti” i pm di Mani Pulite, mai fatto bicamerali per demolire la Costituzione, mai rovesciato il governo Prodi, mai legittimato il conflitto d’interessi, mai definito Mediaset “un grande patrimonio del Paese”, mai scalato la Bnl, mai detto a Consorte “facci sognare”, mai preso tangenti da un uomo legato alla Sacra corona unita, mai definito “capitani coraggiosi” Colaninno e Gnutti, mai stato amico di Geronzi e Tronchetti Provera, mai bombardato l’ex Jugoslavia violando il diritto internazionale e poi negando di averla bombardata, ma invitato Gheddafi alla fondazione Italianieuropei.

Dice Veltroni che Grillo non può iscriversi al Pd: non ha mai minato il governo Prodi, non ha mai auspicato di avere Gianni Letta nel suo governo, non è amico dei palazzinari, non ha mai fatto accordi con Berlusconi, non l’ha mai chiamato “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”, promesso di “non attaccarlo mai più”, non ha mai riabilitato Craxi definendolo “grande innovatore” (anzi, pare addirittura che il comico genovese, a Craxi, preferisca Berlinguer).

Dice Anna Finocchiaro che Grillo non può entrare nel Pd: non ha mai attaccato il pool di Milano, non ha mai elogiato “il comportamento esemplare di Andreotti”, non ha mai invocato il Ponte sullo Stretto di Messina, non ha perso tutte le elezioni della sua vita, non ha mai baciato Schifani e non s’è fatto scrivere il programma da Salvo Andò.

Dice Bersani che Grillo non può entrare nel Pd: mica era amico di Tanzi, mica trafficava col governatore Fazio per sponsorizzare la fusione Bnl-Montepaschi, mica ha elogiato Fiorani (”banchiere molto dinamico, capace, attivo”), mica ha ingaggiato il figlio di Mastella come consulente al ministero delle Attività produttive, mica va a farsi osannare ogni anno al Meeting della Compagnia delle Opere a Rimini,

Dice Franceschini che Grillo non può entrare nel Pd: mica ha commentato lo scandalo Noemi e le accuse di Veronica “tra moglie e marito non mettere il dito” e mica si allea con Marini, Rutelli, Fioroni, Carra e Binetti.

Dice Follini che Grillo non può iscriversi al Pd: non ha mai militato nell’Udc di Totò Cuffaro, non ha votato tutte le leggi vergogna di Berlusconi (anzi, le ha persino combattute), non è mai stato vicepresidente del Consiglio in un governo Berlusconi.

Dice Mirello Crisafulli che Grillo non può iscriversi al Pd: non ha mai abbracciato né baciato il boss mafioso di Enna, Giuseppe Bevilacqua, in un hotel di Pergusa e non ha mai parlato di affari e appalti dandogli affettuosamente del tu.

Dice Nick Latorre che Grillo non può entrare nel Pd: non ha mai chiesto a Dell’Utri i voti per D’Alema al Quirinale (”Con il senatore Dell’Utri esiste un rapporto di grande cordialità e di stima reciproca. La mia impressione su di lui è estremamente positiva: penso sia una persona pacata, sensibile e di spessore”), mai trafficato né con Consorte né con Ricucci, non è mai stato loro complice in scalate finanziarie illegali, e non ha mai neppure passato pizzini all’onorevole Bocchino nei dibattiti televisivi.

Dice Fassino che Grillo non può entrare nel Pd: diversamente da Primo Greganti, regolarmente iscritto, il comico genovese non incassava tangenti per conto del Pci-Pds nella stessa città di Fassino; inoltre, Grillo non ha mai domandato a Consorte “allora siamo padroni di una banca?” né portato la sua signora in Parlamento per cinque legislature, e nemmeno per qualche minuto in visita guidata.

Dice Enrico Letta che Grillo non può entrare nel Pd: molto meglio “Tremonti, Letta (Gianni), Casini e Vietti”, che lui vorrebbe “nel mio futuro governo”.

Dice Rutelli che Grillo non può entrare nel Pd: non è mai stato condannato dalla Corte dei conti a risarcire 25 mila euro al Comune di Roma per le spese folli in consulenti inutili; e non ha mai perso nemmeno un’elezione, mentre lui nell’ultimo decennio le ha perse tutte, dalle politiche del 2001 alle comunali di Roma nel 2008.

Dice Sergio D’Antoni che Grillo non può iscriversi al Pd: non ha mai fatto partiti con Andreotti.

Dice la Binetti che Grillo non può entrare nel Pd: non è mica dell’Opus Dei.

Dice Enzo Carra che Grillo non può entrare nel Pd: non è mica un pregiudicato per falsa testimonianza.

Dice Pierluigi Castagnetti che Grillo non può entrare nel Pd: mica ha una prescrizione per finanziamento illecito.

Dice Bassolino che Grillo non può entrare nel Pd: non è mica imputato per truffa pluriaggravata alla regione di cui egli stesso è governatore.

Grillo si rassegni. Oppure vada a molestare una ragazza: se tutto va bene, gli fanno il Tso, gli danno la tessera del Pd e lo promuovono presidente di sezione."

Giovedì 16 luglio 2009

giovedì 16 luglio 2009

Chi ha paura del Grillo Cattivo?


Neanche faccio in tempo a ricordarmi della favoletta di Pinocchio, che mi spunta fuori un Grillo Parlante. E non spunta fuori a me, ma spunta fuori al Partito Democratico, che se lo ritrova in faccia, come il “bubbone d'un livido paonazzo” sotto l’ascella di Don Rodrigo, dopo una notte di sogni angosciosi e travagliati causati dalla peste.

E’ del 15 luglio l'annuncio del comico Beppe Grillo di volersi candidare alla guida del Pd, e il bubbone esplode. Provocatoriamente Grillo dichiara che il Pd “è un partito fatto di vuoto e inciucioni. Noi vogliamo cambiare, creare un good Pd, a partire dai vertici.” Poi aggiunge: io non dico che “la democrazia sono io. Dico che la democrazia rappresentativa è finita ed è cominciata la democrazia partecipativa“.

L'unico a considerare benevolmente la candidatura di Grillo, è Ignazio Marino, il terzo incomodo tra i due candidati, Franceschini e Bersani, designati dal partito. Marino invita ad accettare Grillo, e lasciarlo libero di gareggiare con le sue idee, come si conviene ad un partito che si dichiara aperto all’intera società civile.

Già l’11 luglio scorso, l'eretico Marino aveva dichiarato: “E' evidente che nel Pd abbiamo una questione morale grande come una montagna, che non puo' essere ignorata ne' sottovalutata. Come vengono individuati i coordinatori dei circoli? E' chiaro che non sono scelti liberamente ma imposti, sono messi in quelle posizioni per rispondere agli equilibri delle correnti e per di piu' senza nemmeno sapere chi siano queste persone, che cosa hanno fatto nella loro vita, se siano davvero in grado di guidare un circolo, anche dal punto di vista morale. Ma cosa dobbiamo ancora aspettarci?”. Già l’eretico era stato zittito, ora avviene di nuovo.

I dirigenti di partito insorgono contro Grillo, sarcasticamente Pier Luigi Bersani: ”Il partito non è un autobus sul quale salire e fare un giretto“. Incalza Piero Fassino: “La boutade di Grillo la interpreto come una delle tante provocazioni di un uomo di spettacolo. Il partito non è un taxi, dove si paga la corsa e si scende, ma è una cosa seria”. Mentre gelido il segretario del Pd Dario Franceschini commenta: ” Ci mancava solo Grillo”.

Nella serata emerge la posizione ufficiale del Pd, e cioè che “non è possibile la registrazione di Beppe Grillo nell'anagrafe del Pd, poiché egli ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Pd”. Alla notizia Grillo sbotta: “Fassino dice che non è un taxi. Bersani dice che non è un autobus e la Melandri dice che non è un tram. L'unica cosa certa che sappiamo del Partito Democratico è che non è un veicolo a motore. Sono veramente alla frutta.” Conclude provocatoriamente: "Vabbè, vuol dire che se non mi iscrivo al Pd mi iscriverò alla P2”

Oggi Grillo dichiara al Corriere della Sera: "Sono lenti! Lenti! Lenti! Se non si libera di gente così, il Pd è morto [...] Non ho detto che gli elettori del Pd e del Pdl sono uguali. Ho detto che sono uguali i dirigenti, la parte sinistrorsa del comitato d'affari nazionale. Io ce l'ho con quei dieci che guidano il partito, che le hanno perse tutte e sono la polizza-vita di Berlusconi. Il quale, finché ci sono loro, sta tranquillissimo. Io voglio non rinnovare più quella polizza".

Quasi in risposta alla feroce critica sull’inadeguatezza dell’apparato, oggi c'è la dichiarazione di Giovanni Parisi su La Stampa: “una delle origini della crisi è quello che con leggerezza chiamiamo nuovismo. Quel fuggire dal passato, senza farci i conti, l'inseguire qualsiasi novita' appaia all'orizzonte, cogliendone solo l'apparenza, inseguendo nomi e parole ogni volta applaudite come salvatrici".

La candidatura di Grillo - riflettevo ironicamente il giorno in cui la notizia era sulle prime pagine - mi è sembrata una vendetta dei comici nei riguardi dei politici. Se la politica assume i toni e le azioni dell’arte comica, mi sono chiesta, perché mai un comico non può tentare i palcoscenici della politica?

Solo Di Pietro si era speso in favore della candidatura di Grillo:”nel Paese fatto di giovani e di Internet che ha bisogno di sentirsi partecipe e protagonista. E’ a questa realta’ che noi dell’Italia dei valori intendiamo parlare ed è a questa realtà che, a suo modo, Beppe Grillo sta parlando quando cita temi concreti come la non privatizzazione dell’acqua, il wi-fi libero e il rifiuto del ricorso alle centrali nucleari. Si tratta quindi di un’altra occasione di stare in mezzo ai problemi reali del Paese che il Pd ha perso, e che noi dell’Italia dei Valori cercheremo di riconquistare, proprio per evitare che i giovani si allontanino dalla politica.”

Certo che il mio era stato un pensiero scherzoso, ma quando oggi ho letto che Massimo D'Alema aveva auspicato una modifica dello Statuto del partito sostenendo che “le primarie per eleggere il segretario non vanno bene perché attribuiscono ai cittadini il potere di demolire il partito o comunque di invaderlo, di occuparlo. Votino gli iscritti.”

Di rinforzo in serata, ha chiarito:” Dove le primarie le hanno inventate, negli Usa, le hanno anche regolamentate in modo da evitare forzature e soprusi. D'altro canto anche Franceschini ha detto che ci vogliono regole […] Non è in discussione che si debbano fare le primarie, questo è scritto nel nostro Statuto ed è la regola a cui ci atteniamo. Il problema è che le primarie vanno organizzate meglio. A mio giudizio se ne dovrebbe fare un uso più intelligente.”

E’ stato quando ho sentito il concetto dell’uso “intelligente” delle elezioni che mi è balenato il sospetto che forse è vero che qualcuno ha paura del Grillo Cattivo.
Buona erranza
Sharatan

sabato 11 luglio 2009

L'amore è sconsiderato


L'amore è sconsiderato, non così la ragione.
La ragione cerca il proprio vantaggio.
L'amore è impetuoso, brucia sé stesso, indomito.
Pure in mezzo al dolore,
l'amore avanza come una macina;
dura la sua superficie, procede diritto.
Morto all'egoismo,
rischia tutto senza chiedere niente.
Può giocarsi e perdere ogni dono elargito da Dio.
Senza motivo, Dio ci diede l'essere,
senza motivo rendiglielo.
Mettere in gioco se stessi e perdersi
è al di là di qualunque religione.
La religione cerca grazie e favori,
ma coloro che li rischiano e li perdono
sono i favoriti di Dio:
non mettono Dio alla prova
né bussano alla porta di guadagno e perdita.

Maulānā Gialāl al-Dīn Rūmī

giovedì 9 luglio 2009

Siamo pari o dispari?


Nella storia di Pinocchio, Collodi racconta le peripezie di un burattino di legno che attraversa mille disavventure per poter diventare un “ragazzino per bene.” Tra gli episodi più conosciuti vi è quello del Gatto e della Volpe, che riescono a rubare all’ingenuo burattino i suoi zecchini d'oro. Pinocchio viene convinto a seminarli nel Campo dei miracoli, ma quando torna a recuperare il suo tesoro, non trova altro che una buca vuota. Così Collodi racconta come finì per Pinocchio il furto degli zecchini:

“Allora, preso dalla disperazione, tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato. Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla: un vecchio scimmione rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d'oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo di una flussione d'occhi, che lo tormentava da parecchi anni. Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l'iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini, e finì col chiedere giustizia. Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s'intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.

A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da gendarmi. Allora il giudice, accennando Pinocchio ai gendarmi, disse loro: - Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione". Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva protestare: ma i gendarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia.

E lì v'ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghissimi mesi: e vi sarebbe rimasto anche di più, se non si fosse dato un caso fortunatissimo. Perché bisogna sapere che il giovane Imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli, avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche, luminarie, fuochi artificiali, corse di barberi e velocipedi, e in segno di maggiore esultanza, volle che fossero aperte le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.

- Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch'io, - disse Pinocchio al carceriere.
- Voi no, - rispose il carceriere - perché voi non siete del bel numero...
- Domando scusa, - replicò Pinocchio - sono un malandrino anch'io.
- In questo caso avete mille ragioni - disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.”

Questo episodio mi è tornato alla mente quando ho letto sui giornali che Salvatore S. di 40 anni, per il furto di un pacco di wafer in un discount, è stato condannato a 3 anni di reclusione con l’accusa di rapina impropria. L’uomo non ha potuto beneficiare dell'attenuante del danno lieve a causa della legge Cirielli che ha inasprito le pene per i recidivi. Era stato bloccato dagli addetti alla sicurezza di un discount di Melito, in provincia di Napoli, che lo avevano notato mentre rubava un pacco di biscotti del valore di 1,29 euro. Aveva tentato di fuggire, ma era stato immobilizzato e consegnato ai carabinieri. “Mi vergogno, avevo fame...” si è giustificato Salvatore, che è tossicodipendente e che in passato ha già riportato condanne per dei piccoli furti.

La sentenza è stata emessa il 9 luglio 2009 dal giudice monocratico di Marano, sezione distaccata del Tribunale di Napoli, al termine di un breve dibattimento. Assistito da un difensore di ufficio, l'imputato, che per l’accusa si trova agli arresti domiciliari, è stato condannato a 3 anni di carcere. Il giudice, in base alle norme sulla recidiva della Cirielli, che non consente in questi casi di concedere le attenuanti prevalenti, gli ha inflitto il minimo consentito dalla legge.

In soli 3 mesi, nel gennaio 2002, il governo Berlusconi potè varare un provvedimento in tema di gestione societaria, che norma la regolarità dei bilanci contabili. Nel provvedimento si parla di “falsità in bilancio, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali, consistente nel fatto degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, i quali, nei bilanci, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, intenzionalmente espongono false informazioni sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, o del gruppo al quale essa appartiene, ovvero occultano informazioni sulla situazione medesima, al fine di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto.”

Secondo il testo approvato nel 2002 si rivela indispensabile, ai fini della applicazione della pena, la prova dell’effettivo danno cagionato alla società e conseguentemente, in caso di mancata prova di danno, il reato si trasforma da delitto in contravvenzione. In ogni caso è prevista la condizione di procedibilità solo per querela da parte della società. Per chiunque non sia esperto di società di capitali, si specifica che, il danno conseguente alle false comunicazioni sociali si evidenzia soltanto nel corso degli esercizi successivi, e molto spesso - pur essendo reale - si rivela di difficilissima dimostrazione, se non tramite lunghe e costosissime indagini peritali.

Valutati i ristrettissimi termini di prescrizione, di fatto si è proceduto ad una sostanziale depenalizzazione dei reati societari, in netto contrasto con le leggi comunitarie che impongono piuttosto un maggiore rigore in merito, così da garantire la verità dei bilanci e quindi la sicurezza del sistema economico. Viene così ridotto l’ambito di applicazione delle norme penali in materia economica, in beffa al controllo - nell’interesse pubblico - delle attività imprenditoriali. La modifica legislativa che trasforma il reato da reato di pericolo (perseguibile a prescindere dall’esistenza di un danno) a reato di danno (punibile solo nel caso di prova del danno medesimo), in aggiunta alla riduzione delle pene e dei ridotti termini di prescrizione, di fatto sconvolge tutti i principi del diritto penale dell’economia sanciti da oltre un secolo.

Il professore Francesco Antolisei, considerato un maestro indiscusso nella materia, dichiarò che il reato di falso in bilancio, previsto come reato di pericolo, garantiva la tutela di un fascio complesso di interessi, cioè quelli della società, dei singoli soci e dei creditori, ma anche e soprattutto garantiva "l’interesse generale dell’economia del paese, per le ripercussioni che sull’economia stessa può avere il funzionamento delle società di commercio.” Le legge fu varata indisturbata e tutt'ora è vigente.

Pinocchio è ritenuta una storia per bambini ed è un classico della letteratura, ma la storia è stato interpretata anche come un’allegoria della società ottocentesca. Ma noi siamo sicuri che la favoletta non si adatti bene anche ai nostri tempi? Quando penso che in Italia un disperato deve scontare 3 anni di carcere per un furto da 1 euro e 29 centesimi, mentre un furbo che riesce ad accantonare dei "fondi neri" falsificando i bilanci societari se la cava con una semplice multa, mi chiedo se siamo tutti pari davanti alla legge oppure se qualcuno non sia invece dispari.
Buona erranza
Sharatan

martedì 7 luglio 2009

Barcamenarsi nel Samsara


Le strutture e le organizzazioni che sono alla base del nostro mondo materiale sono concepite per togliere all’uomo il suo potere personale. La loro funzione è quella di influenzare e di controllare le persone, in modo da poterle asservire e in modo da poter conservare il sistema. Spogliarsi dal pensiero altrui e avere il coraggio di affermare il nostro vero essere è il cammino spirituale. Dobbiamo avere il coraggio di acquistare abbastanza fiducia per potere affermare cosa siamo e poi riprendere il potere della nostra vita. Mentre lavoriamo per rinforzarsi, saper aspettare che il sistema si esaurisca: prima o poi questo avviene. Se molte persone riescono a conseguire la consapevolezza, si riuscirà ad accellerare il tempo necessario affinchè avvenga questo naturale esaurimento.

Le forme di potere del mondo stanno sempre più accellerando i loro meccanismo di dominio per schiavizzare i corpi e le menti, ma come in ogni cosa, viene il tempo in cui è necessario rendere conto delle proprie azioni. Intanto che aspettiamo che la notte passi, mentre siamo in attesa, nel frattempo lavoriamo su noi stessi. L’autoriflessione diventa un momento fondamentale che molti sfuggono e temono, ma se lo ignoriamo abbiamo veramente poche speranze di poter capire come le influenze altrui riescono a possedere la nostra mente.

Solitamente le tradizioni, le consuetudini e le convenzioni sociali, gli stereotipi culturali, hanno una forte influenza sul nostro pensiero. Il buon senso comune ci aiuta ad ottenere il consenso sociale, per cui possiamo avere un consenso ed un quieto vivere in cambio di una vita vissuta all’insegna delle concezioni che i nostri antenati hanno costruito e conservato. Per avere l’accettazione altrui è sufficiente accettare una scala di valori, cioè il giusto/sbagliato, rassegnandoci a vivere sulle orme di quello che i nostri antenati culturali hanno tracciato per noi.

Detto così riesce chiaro capire, che non bisogna avere una grande capacità mentale per vivere una vita tranquilla, basta avere quello che viene definito il buon senso. Credo che ognuno abbia avuto almeno un appello al buon senso nella sua vita. Certamente più di uno ci ha detto che l’arte di una buona vita è quella di vivere bene nel samsara. Ci insegnano come vivere il nostro samsara, come saperne trarre vantaggio, cioè come barcamenarsi. Potrebbe essere anche giusto, se non fosse che è il samsara il nostro problema: il pensiero del buon senso, del senso comune, ignora che la conservazione del samsara è una trappola mortale.

La società ci offre molte insidie tramite le quali ci porta fuori da noi stessi, e ci sposta verso la materialità del mondo con l’illusione che potremmo avere all’esterno la soddisfazione dei nostri bisogni interiori. E’ questo il meccanismo perverso che ci impedisce di insorgere contro la mente egocentrica ignorante, e che ci toglie la forza per attivare l’osservazione cosciente e la pratica dell’autoriflessione. L’ignoranza dei nostri meccanismi mentali e la mancanza di strumenti per interpretare i fatti del mondo ci impedisce ogni capacità di evoluzione consapevole.

Il mutare della nostra mente e del mondo ci offre percezioni mutevoli e destabilizzanti, per questo ci aggrappiamo con disperazione al nostro ego, perciò vogliamo assolutamente che l’io controlli la mente, le emozioni e le cognizioni. La nostra ignoranza basilare e la feroce resistenza del nostro io limitato, danno un impulso potente e creano le sofferenze del samsara. Questo non è un fenomeno individuale, secondo il buddismo, ma è la condizione naturale dell’uomo.

Senza l’egoismo dell’io la nostra mente diviene aperta, flessibile e chiara. Nella sua naturale essenza, la mente non è oppressa dall’ignoranza, ma è capace e vogliosa di conoscere il nuovo e l’inesplorato, è capace di apprezzare la libertà dello spirito, a condizione che non si faccia limitare e contaminare dal giudizio. Portare alla luce questa potenzialità della mente è possibile, a condizione di usare la pratica dell’autoriflessione che è il naturale compito dell’uomo.

Questo stato mentale di soddisfazione nasce dalla spaziosità che si crea nella nostra mente, e dalla ricchezza della nostra natura interna. Il buddismo insegna che, meditare sulla mente crea sempre più spazio mentale, perché si amplia lo spazio che possiamo dedicare alle emozioni umane migliori, e perché la meditazione consapevole rende innocua la mente egocentrica. Senza dominio, senza paura e senza confini, la mente egocentrica viene sconfitta. Quando ci apriamo ad una dimensione di spazio illimitato, quando il tempo e lo spazio si allargano, la mente egocentrica avverte uno sbilanciamento perché la mancanza di rigidi puntelli la destabilizza: se la mente è figlia della terra, noi la distruggiamo lanciandola nello spazio cosmico.

Se sappiamo apprezzare la nostra ricchezza e grandezza interiore abbiamo un senso di sicurezza infallibile, perché sapere che possiamo fare conto pienamente su noi stessi è una fonte di gioia e di completezza. Sappiamo che, qualsiasi cosa che ci possa giungere dalla vita, è un frangente che siamo in grado di superare; questo offre un grande senso di conforto e di tranquillità. Saper riconoscere il merito di quello che sappiamo fare è una cosa eccezionale. Saper riconoscere le nostre qualità positive, fisiche, spirituali, intellettuali e creative e saperne fruire e godere, equivale a glorificare la bellezza della vita, anche quando le sue strade sono dure e faticose. Questo insegna la dottrina buddista.

Saper coltivare l’apprezzamento del mondo in cui si vive, richiede uno sforzo per uccidere la nostra presunzione. Maggiormente sapremo farlo se sappiamo apprezzare la meraviglia dell’uomo che è la sua mente: una mente che è capace di funzionare producendo il processo del pensiero. Allora l’io diventa il meccanismo che è in grado di saperci educare tramite il sentimento degli opposti, perciò produce la confusione, la sofferenza e la morte.

Tutte le nostre sofferenze sono causate dall’assenza della mente, e dal sonno della nostra enorme potenzialità e vitalità interiore: per questo ci ritroviamo a soffrire nel samsara, perché gli esseri umani amano nascondersi a loro stessi. Quando coltiviamo una mente meschina uccidiamo ogni senso di apprezzamento delle infinite capacità che la nostra ricchezza interiore potrebbe aprirci, e così sprechiamo il nostro migliore potenziale.

Se non ci apprezziamo niente è mai sufficiente, nulla è mai abbastanza, siamo insoddisfatti ed infelici, siamo insicuri. Il miglior rimedio per l’insicurezza è perciò la soddisfazione: soddisfazione per i nostri successi, soddisfazione per il nostro coraggio, per la capacità di saper affrontare il cammino spirituale, e per qualsiasi azione che possa aumentare il nostro karma positivo, e questo è molto meglio che il barcamenarsi alla meno peggio nel samsara.
Buona erranza
Sharatan

domenica 5 luglio 2009

Fa peccato chi manca alle promesse


“Una promessa fatta ai poveri è particolarmente sacra. È un atto di grazia e di grande autorità quando vengono fatti tutti gli sforzi per onorare questi patti, ed ecco perché i Paesi del G8 che guidano l’iniziativa verso i più poveri meritano questo riconoscimento.

Ma quando occorre dobbiamo essere pronti al biasimo oltre che alla lode. Mi rattrista che grandi nazioni come l’Italia e la Francia vadano nella direzione sbagliata e manchino le promesse fatte quattro anni fa al vertice di Gleneagles. Dobbiamo tutti fare pressione affinché nei prossimi incontri del G8 tornino in carreggiata e facciano quel che è giusto.

Certo, lo sviluppo dell’Africa deve essere guidato da cittadini africani - di tutti i ceti sociali - ma accogliamo volentieri e abbiamo bisogno dell’aiuto internazionale nella nostra lotta contro la povertà e l'ingiustizia. Questo significa aiuto dai governi e dai buoni cittadini in Paesi come l’Italia.

Mi aspetto che molti di noi si sentano spesso turbati e scoraggiati quando guardano i notiziari e vedono quel che accade in Darfur, Zimbabwe, Congo. «Quando arrivano le buone notizie?», ci chiediamo. Bene, vi annuncio che ci sono buone notizie dall’Africa.

Quando recentemente sono stato in Darfur sono stato particolarmente colpito dagli operatori umanitari che resistono lì in una situazione orribile. Voglio dire forte e chiaro che ci sono tanti giovani incredibilmente idealisti, convinti che la povertà possa diventare un dato storico, fiduciosi nella possibilità di un mondo senza guerra. Il male non ha campo libero. Sono nella posizione di affermare che questo è un universo morale e il bene finirà per prevalere.

In Africa, solo nell’ultimo decennio, 34 milioni di bambini in più hanno avuto l’opportunità di frequentare la scuola, imparare a leggere e a scrivere e salvarsi dalla povertà. Questo grazie agli sforzi della leadership africana e all’efficacia degli aiuti, compresi quelli dei Paesi del G8. Può essere difficile raffigurarsi 34 milioni di bambini. Così pensiamo a un solo bambino che ora può andare a scuola e ricevere il dono dell’istruzione. Dategli il viso di un bambino che conoscete. E date a quel volto un nome. Non si tratta di numeri, è quel bambino, figlio di qualcuno, fratello di qualcuno. È fantastico che sia successo.

Ci sono anche buone notizie per la lotta contro malattie come l’HIV/AIDS. Si stima che in Africa ci siano tre milioni di persone in vita grazie alle cure contro l’Aids. Immaginate di vivere in una famiglia colpita dall’Aids,il capofamiglia ha ricevuto questa condanna a morte e voi lo vedete spegnersi quando, ecco, inizia a prendere le medicine antivirali e inizia la metamorfosi. Pensavamo che nostra madre stesse morendo ma ora sta abbastanza bene per andare al lavoro. È così per tre milioni di persone. Perché è stato dato aiuto. Una promessa fatta a un povero è particolarmente sacra. Non mantenerla è un peccato.”

Questo messaggio di monsignor Desmond Tutu è pubblicato oggi su La Stampa, nell’edizione speciale dedicata interamente all’Africa.

sabato 4 luglio 2009

Criminali!


La clandestinità è divenuta un reato. I clandestini non rischiano l'arresto, ma si vedranno infliggere un'ammenda dai 5.000 ai 10.000 euro, con espulsione immediata. Per avere la cittadinanza si dovrà pagare una tassa da 200 euro, mentre per il permesso di soggiorno si pegherà tra gli 80 e i 120 euro. La permanenza nei centri di identificazione ed espulsione potrà arrivare fino a 6 mesi. E’ divenuto obbligatorio denunciare i clandestini all'autorità giudiziaria, tranne che per i medici e i presidi, per i quali è stata prevista un'apposita deroga. Giuristi e politici si sono divisi sulla possibilità per le madri clandestine di riconoscere i loro figli nati in Italia, alla luce del fatto che la clandestinità diventa reato, per cui quei bambini potrebbero essere tolti alla madre e dati in adozione.

Il nuovo reato ostacola l'applicazione del permesso di soggiorno temporaneo, perchè per l'ufficiale dell'anagrafe scatterebbe immediato l'obbligo di denuncia, qualora il migrante si presentasse allo sportello. In più, per avere diritto ad ogni tipo di prestazione pubblica (come l'iscrizione all'anagrafe) si prevede che occorrano il passaporto o il permesso di soggiorno. In assenza dei due documenti, il riconoscimento della prole non sarebbe dunque possibile, come non si può cercare un lavoro, affittare una casa o farsi curare. Si rischia il carcere fino a 3 anni se si dà in alloggio o si affitta anche una stanza a stranieri che risultino irregolari al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione.

Delle associazioni di cittadini potranno pattugliare il territorio e segnalare alle forze dell'ordine situazioni di disagio sociale o di pericolo, a condizione che siano ex agenti delle forze dell’ordine. I clochard, i senza fissa dimora, saranno schedati in un apposito registro istituito presso il Viminale, e anche i “gorilla” che vigilano fuori da pub e discoteche, e che dovranno avere dei particolari requisiti, che deciderà il Viminale, avranno presto un loro albo.

E’ così approvato un provvedimento che afferma uno “stato di paura” piuttosto che uno “stato del diritto”. Non accetterei a nessuna condizione le ragioni di persone che irridono il “buonismo” e invocano una limitazione agli accessi in nome degli interessi nazionali. Sono false entrambi le ragioni, perché lo “stronzismo” ignorante non è mai vincente, e perché nella nostra nazione da molto tempo sta avvenendo un meticciato che sarà sempre più planetario. Ho sempre coltivato la sensazione che lo “stronzismo” equivalga al malrovescio che il prepotente usa per ridurre al silenzio colui che non azzittisce con la forza delle sue ragioni. Ho poi la sensazione che l’incapacità politica sul tema dell’immigrazione sia molto più grande della capacità della “casta politicante” nostrana, che pure non mi soddisfa affatto.

In verità la condizione migrante avrà ben poche soluzioni se non sarà affrontata a livello europeo, facendo una Coordinamento europeo dei flussi migratori, che possa programmare e monitorare tra i vari paesi la quota di migranti a cui poter dare asilo e cittadinanza. E continuando con il sogno, sarà il caso che ci fermiamo a guardare l’origine di questi migranti, di questi disperati senza volto che arrivano alle nostre porte, perlopiù mezzi morti dentro se non del tutto morti fuori, ammassati nei barconi che riescono a toccare la riva.

Sono persone che vengono dalle terre più disgraziate dell’Africa, il continente che ha visto un ulteriore Olocausto del 20. secolo, e che spero non lo sia anche nel secolo presente. E’ un Olocausto in cui contiamo milioni di vittime innocenti, è il dolore di un continente in cui prosperano malattie, morte, guerre, dittature e lotte ferocissime per lo sfruttamento di territori che posseggono delle ricchezze incredibili. Se ci rifletto, mi sembra eccezionale la ricchezza dell’Africa, una terra ricca di risorse a cui l’occidente ha attinto a piene mani, una inesauribile fonte di denaro che i paesi coloniali hanno incamerato. L’Africa è una terra da cui il colonialismo si è ritirato, lasciando in pegno delle feroci dittature o dei governi deboli e manovrabili come burattini: il figli sfortunati della terra africana, oggi stanno bussando alla nostra porta. Noi rispondiamo che è meglio che se ne tornino a casa loro.

Quello che non vogliamo ricordare è che il mercato delle armi vendute ai paesi africani è enorme. Le fabbriche principali che producono questo tipo di armi si trovano in 13 paesi: in Europa, in Asia e in Sud America. I conflitti che hanno coinvolto 23 paesi africani sono costati, nel periodo che va dal 1990 al 2005, 284 miliardi di dollari (199,8 miliardi di euro) È la cifra enorme stimata dagli autori della ricerca Africa’s missing billions, firmata dalle tre associazioni Oxfam, Saferworld e International Action Network on Small Arms, ed è sicuramente sottostimata. Poi ci sono gli altri costi, a cominciare da quelli sostenuti dai paesi confinanti: gestione della popolazione in fuga, difficoltà o paralisi degli scambi commerciali, instabilità politica. Se sono quasi 300 miliardi i costi “vivi” dei conflitti africani molti altri si perdono negli “effetti collaterali” come i mancati introiti in campo turistico: il ministro del turismo sudafricano, citato nel rapporto, ha stimato in quasi 22 milioni i turisti che hanno rinunciato a visitare il paese per paura delle violenza in soli cinque anni.

Abbiamo un grande debito nei riguardi dei fratelli delle terre d’Africa perché lo sfruttamento coloniale ha prodotto la loro sofferenza. Abbiamo un grosso debito con loro, e tale debito lo dovremmo iniziare a saldare, aiutandoli a eliminare il sistema di ingiustizie che noi stessi abbiamo creato. Il debito si inizierà a saldare se permetteremo ai popoli africani di esercitare il diritto alla vita, all’educazione, alla salute, cioè se gli forniremo le tecnologie e le risorse per avere una vita dignitosa. Secondo i dati di una ricerca del 2007, firmata dalla Banca Mondiale, citata nel rapporto Africa’s missing billions, l’aspettativa di vita media nei paesi africani in guerra è di 48 anni mentre negli altri è di 53.

Oggi vediamo gente che sbarca sulle nostre coste alla ricerca di una vita normale, gente che vorrebbe una dignità e che rincorre il diritto alla vita. Questa gente ci appare strana e lontana. Forse strana lo è davvero, perché noi non possiamo sapere cosa significhi lottare per una possibilità di vita, e sono anche lontani dal nostro pensiero perchè non riusciamo a capire come, in altri paesi, la vita non sia un diritto ma una scommessa. Noi italiani a queste persone cosa rispondiamo? Noi italiani rispondiamo che, per loro, la scommessa è persa.
Buona erranza
Sharatan