domenica 27 aprile 2014

Una diversa forma di percezione



“Come per salire su un monte ci sono varie vie,
così ci sono varie ‘vie interne’ adatte ai vari temperamenti,
ai vari tipi psicologici, per salire sulle vette del supercosciente
e per venire in contatto con il Sé spirituale.”
(Roberto Assagioli - Lo sviluppo transpersonale)

La coscienza crea la materia, perciò la realtà si comprende solo se conosciamo la natura della nostra personalità e la qualità della nostra coscienza. E tutto si comprende ancor meglio se crediamo che la coscienza non venga racchiusa solo nel cranio e che non possa uscire dai limiti del nostro involucro fatto di carne.

Se crediamo che la coscienza umana sia racchiusa nei limiti del corpo disprezziamo la visione spirituale e crediamo che non sia possibile una visione spirituale della realtà materiale. Ma la visione spirituale non è affatto illusoria come non lo sono neppure i luoghi che non conosciamo perché non li abbiamo mai visitati.

Ognuno è un’essenza energetica che assume una personalità che agisce all’interno di ciò che viene chiamata la materia e la realtà fisica. La parte che chiamiamo noi stessi è solo una porzione limitata dell'interezza che siamo. Noi siamo una porzione limitata di tutta l’energia che ci rappresenta e che ha deciso di assumere una forma fisica che la definisce, e che la limita in una struttura fatta di materia.

Non dobbiamo credere al fatto che la realtà sia soltanto quello che è mostrato dai sensi fisici, perché i sensi mentono quando mostrano che la sola realtà che esiste è quella che essi sanno rappresentare, misurare e concepire. L’umanità ha avuto il dono di proiettare all’esterno la realtà che ha creato internamente, perciò veniamo educati con una grande rigidità spirituale.

La nostra visione viene limitata in porzioni ristrette che sono definite dai limiti percettivi che sono accettati dalla nostra specie. In noi dorme, invece, una parte inconscia che è sconosciuta perché ci siamo fossilizzati solo sulla realtà che conosciamo. Da questa visione limitata proviene il sé che viene orientato a vedere solo la realtà fisica e mentale che condividiamo e accettiamo collettivamente.

La nostra personalità racchiude una porzione di identità sconosciuta ossia l'Io interno che collabora con l’Io esterno, e che manipola il senso del mondo che conosciamo. Ma questa parte sconosciuta e inconscia è molto intelligente e molto più vasta di quella che si manifesta nell'esistenza fisica. Se non la vediamo è perché ci siamo fossilizzati a vedere solo la parte esterna della realtà fisica.

Per questo non comprendiamo che l’Io interno dirige tutte le nostre attività esterne, non vediamo che l'interno condiziona le informazioni che raggiungono i sensi fisici. Le dimensioni soggettive che potenzialmente potremmo vedere sarebbe molto più numerosa e più ampia di quella che nasce dalla realtà materiale oggettiva.

L'identità profonda è il nucleo e il seme psichico da cui sono nate tutte le personalità che abbiamo manifestato nel corso delle nostre vite passate. Il subconscio che è descritto dalla psicologia come oscuro è il punto d'incontro tra l’immutabile Io interno ed i mutevoli e diversificati Io esterni.

In realtà queste due dimensioni non esistono in modo separato, ma vengono impersonate come delle parti esterne e limitate di tutto ciò che siamo internamente e totalmente. Se vogliamo capire tutta la ricchezza della vita umana dobbiamo eliminare il concetto che la personalità sia limitata agli attributi di coscienza percepiti nel “qui e ora.”

Dobbiamo sapere che siamo troppo ancorati e concentrati sulla parte in cui viviamo credendo che non esista nulla che vada oltre i limiti percettivi che siamo abituati a usare. Abbiamo difficoltà a uscire dall'esistenza fisica e dalla residenza in forma materiale che è basata su strutture psichiche molto limitate e rigide.

La nostra coscienza possiede molte altre dimensioni di personalità che costruiscono un’identità molto più ampia di quella che pensiamo essere la nostra. Il sé che conosciamo è solo un frammento dell’identità che siamo veramente, e tutti questi frammenti sono collegati tra loro come le singole sfere di una collana di perle.

Ma quelle perle non vanno pensate solo come grani progressivi ma, contemporaneamente, come strati di cipolla inseriti uno nell’altro. Da questa complessa struttura emerge tutta la vitalità che è insita nella forma e nella materia, perché la forza vitale agisce dentro ogni atomo di materia che esiste in natura.

Dentro ogni forma di vita, sia essa minerale, vegetale, animale o umana c'è uno tipo di energia che crea uno certo tipo di coscienza. Non c’è nessuna forma di vita che non impersoni una forma di coscienza. La vita è fatta di cellule coscienti che conservano, in loro stesse, la memoria di come devono realizzare la loro identità. Queste cellule vive e coscienti cooperano con gioia alla creazione della loro struttura corporea.

Non esiste una materia che sia priva di coscienza, perché ogni materia ha la sua forma di coscienza dotata di sensibilità e creatività. Non possiamo comprendere bene il fenomeno della vita se non comprendiamo questa verità. Il sé interno non conosce mai dei limiti espressivi, ma è sempre il sé esterno che usa il camuffamento ed i limiti che la forma che assume gli impone.

Chiaramente la forma fisica è una realtà vera, ma è una realtà limitata. Avviene che la realtà venga organizzata e limitata dalla forma e dal modo specifico che la specie ha costruito. Per percepire la realtà in modo completo si richiede si organizzare una percezione che è più ampia e molto diversa da ciò che vediamo con i sensi fisici.

Percepire la realtà diventa molto difficile se restiamo chiusi nei limiti che noi stessi abbiamo costruito, perché non abbiamo alcuna cognizione di dimensioni diverse da quelle a cui siamo abituati. La personalità si può esprimere come un campo di percezione che può mutare nell'ampiezza e nella profondità, ma questo avviene solo a seconda dell’entità che percepisce.

La coscienza si può ampliare se la carica energetica dell’entità che percepisce si modifica. Se l’attenzione si focalizza in un certo modo diventiamo coscienti solo della porzione che entra in gioco, e che costruisce l'esperienza della percezione. Ognuno è consapevole solo di quello che la sua forma gli consente e di quello che presume di poter fare, perciò si conosce solo una piccola parte di noi stessi e del mondo.

L’entità manifesta solo la personalità che è la porzione indipendente e limitata della sua parte intera che resta indipendente dalla forma e che è eternamente presente e valida. Per questo motivo, la conoscenza conserva sempre l’impronta caratteristica della personalità che la possiede e che la trasmette. I sensi fisici sono dei canali che usano una visione deformata, perché essi vedono solo quello che corrisponde alla loro immagine.

Esiste solo la realtà percettiva che è consonante alla nostra coscienza, perché essa usa solo le strutture che appartengono alla realtà che conosce. La realtà è tutto quello che è creato da noi stessi e dai nostri simili, perciò il mondo diventa la materializzazione delle nostre concezioni. La nostra storia viene creata dalle nostre preferenze interne perciò anche il corpo assume l’aspetto e le caratteristiche che sono più gradite alla nostra coscienza.

La realtà viene fatta con le immagini termiche ed elettromagnetiche che assumono il simbolismo e il senso che è colmo di forza e intensità emotiva insita nelle nostre concezioni. Le sensazioni e le emozioni diventano materializzazioni che sono sensibili e consapevoli del clima emotivo da cui vengono create. Questo concetto ci fa comprendere come sia possibile una creazione di “forme-pensiero” individuali che sono condivise anche a livello collettivo.

La nostra identità non dipende solo dalla forma che assumiamo, però questa forma ci condiziona e regola anche il modo in cui strutturiamo tutto il nostro mondo. Il mondo in cui viviamo assume il significato che vogliono affermare le personalità che ci vivono, perché ogni forma di coscienza ha la necessità di creare una struttura che la connota e che la distingue dalle altre.

L’unica separazione che esiste tra gli esseri coscienti è quella che è inerente alla diversa capacità di percepire, e al modo diverso di manipolare la nostra energia. Tutta la differenza è posta all’interno di ciò che è chiamato "punto e momento" in cui avviene il pensiero, infatti la coscienza si caratterizza a seconda del punto di vista che assume nell’attimo.

L’identità deve acquisire e saper mantenere la stabilità e la solidità pur nella instabilità e nelle fluttuazioni degli stimoli dei sensi e delle emozioni. Per fare tutto questo è necessario fare molti sforzi, molto studio e molte esperienze che vengono sperimentate nel corso di varie vite che andrebbero vissute solo per deliziarci e per sperimentare interiormente tutte queste realtà.

La nostra completezza e interezza si evolve così, perché la vita è l'esperienza limitata della porzione maggiore che si deve arricchire di tante espressioni particolari. In ogni vita si sperimentano tante caratteristiche diverse ma tutte sono quelle più proprie e più assonanti al nostro modo di essere, di evolvere e di diventare sempre più consapevoli.

Mentre cambiamo la forma, l'aspetto e l'immagine dobbiamo restare saldi, spontanei e creativi sia pure vivendo il mutamento continuo in cui siamo inseriti. La mutevolezza della nostra coscienza e del mondo in cui viviamo può diventare destabilizzante se non conquistiamo quella stabilità interna che viene garantita da una equilibrata evoluzione.

Non troviamo mai un universo comodo e confortevole in cui potersi rifugiare, perché le forme di coscienza che incontriamo sono infinite così come lo sono le loro modalità percettive. Sono infinite anche le forme di mascheramento che quelle realtà usano, perché la coscienza può usare molti tipi di strutture, e può assumere sia forme fisiche che forme non fisiche.

Alcune strutture si evolvono su linee evolutive alternative e con strutture psicologiche assai diverse da quelle a cui siamo abituati. L’importante è essere sempre consapevoli e capire che, al di là di come la coscienza mostra la sua attività, nessun ambiente è strutturato in modo permanente. Ma, se lo pensassimo, sarebbe il segno che abbiamo ancora una scarsa consapevolezza.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 24 aprile 2014

L'energia creativa



“Tutta l'energia è potenzialmente creativa. Quel potenziale creativo assume dei limiti quando l'energia si esprime in una forma. E' la natura della forma a imporre dei limiti e delle costrizioni. Limitando il suo potenziale creativo, la forma incanala e dirige l'energia in modi specifici.

La forma limita certi potenziali d'energia, consentendo ad altri di esprimersi nella realtà tridimensionale. La forma opera delle scelte. Enfatizza certi aspetti e ne sminuisce altri. Stabilisce delle priorità. Compone un'immagine. Senza forma non ci sarebbero opere d'arte. L'energia sarebbe ovunque, e quindi invisibile o incapace di manifestarsi.

La manifestazione è un impegno d'energia verso una certa direzione o un certo obiettivo. E' il movimento dall'illimitato al limitato, dall'astratto al concreto, dal non visto al visto. Tutta la creatività manifesta è un dialogo fra energia e forma. Sul vostro piano di realtà non ha senso parlare di energia senza parlare anche di forma. Non ha senso parlare dell'espressione della vostra energia creativa senza parlare anche delle scelte che operate nella vostra vita.

Ciò che mangiate, ciò che bevete, il modo in cui respirate e parlate, tutto questo determina la maniera in cui l'energia si esprime attraverso il veicolo del vostro corpo/mente. Ogni scelta che fate nella vita ha un impatto sul vostro modo di dare o ricevere energia. Voi siete una forma animata, un corpo energetico.

La vostra coscienza corporea e mentale è un contenitore provvisorio per l'energia universale della creazione. Questa energia si esprime attraverso di voi in modo unico, sia mediante i vostri geni e cromosomi che per mezzo della struttura della personalità. A mano a mano che la vostra coscienza mentale/corporea si espande con l'amore, diventate più aperti a dare e a ricevere l'energia universale della creazione.

Viceversa, quando vi contraete nella paura, diventate meno capaci di dare e ricevere l'energia creativa. L'espansione è nella natura dell'energia. La contrazione è nella natura della forma. E' uno degli inevitabili paradossi con cui dovete convivere. L'energia della creazione vuole che vi apriate e la struttura della vostra mente e del vostro corpo oppone resistenza a questa espansione.

L'importante è capire che ogni struttura appartiene al passato, mentre l'energia esiste solo nell'attimo. E' come l'acqua che vi scorre accanto quando guardate dalla riva di un fiume. Non è mai la stessa acqua quella che vedete. Allo stesso modo, l'energia dentro di voi non è mai la stessa di cinque minuti fa. E' sempre nuova. In effetti è una fortuna, perchè vuol dire che non siete mai limitati al passato.

Ogni adattamento al presente fatto in coscienza ha una ripercussione immediata sull'energia in grado di attraversarvi. A mano a mano che il vostro corpo fisico diventa più sano e la struttura della vostra personalità diviene più flessibile e integrata, voi diventate sempre più in grado di dare e ricevere energia, fisicamente, emotivamente, mentalmente e spiritualmente.

Siete un dialogo costante tra energia e forma. Quando siete spaventati, vi contraete ad ogni livello del vostre essere. L'energia rimane intrappolata nel vostro corpo/mente e voi provate tensione fisica o dolore, confusione emotiva e angoscia mentale. Questi sintomi, se non vengono incanalati, possono portare ad altri più gravi: malattie fisiche, la rottura di una relazione, problemi di lavoro o economici.

Dall'altra parte, quando sentite che amate, l'energia fluisce senza difficoltà attraverso il vostro corpo /mente. Vi sentite bene fisicamente, forti e flessibili a livello emotivo e mentalmente aperti e vigili. Provate gratitudine per quanto c'è ora nella vostra vita e apertura verso le nuove opportunità.

Un atteggiamento pauroso nei confronti della vita conduce a comportamenti difensivi e di controllo che allontanano da voi l'amore e l'abbondanza. Un atteggiamento amorevole porta ad un comportamento fiducioso che onora gli altri e li stimola ad occuparsi di voi e aiutarvi.

L'amore apre la coscienza mentale/corporea al suo massimo potenziale energetico, permettendo agli altri di "sentire" l'energia di accettazione, gratitudine e gentilezza fluire direttamente verso di loro. Ciò apre i loro cuori e le loro menti al loro potenziale e dà loro la forza di condividere con gli altri i propri talenti creativi. E' così che si genera l'abbondanza nel mondo.” (Paul Ferrini, Il miracolo dell'amore, Macro)

martedì 22 aprile 2014

Commiato: vietando il lamento



Come uomini virtuosi trapassano miti
e sussurrano alle loro anime di andare,
mentre fra i loro amici c’è chi dice,
ora se ne va il respiro, e chi dice, no:

così sciogliamoci, senza far rumore,
non diluvi di lacrime, non tempeste muoviamo di sospiri;

sarebbe profanazione delle nostre gioie
rivelare ai laici il nostro amore.

Il sommovimento della terra reca danni e paure,
gli uomini calcolano cosa ha fatto e significato;
ma la trepidazione delle sfere,
pur di gran lunga maggiore, è innocente.

L’amore dei rozzi amanti sublunari
(la cui anima sono i sensi) non ammette
l’assenza, poiché essa sottrae
quelle cose che ne erano gli elementi.

Ma noi, per un amore così affinato
da non saper noi stessi cosa sia,
in reciproca certezza delle anime,
meno ci curiamo che occhi, labbra, mani manchino.

Le nostre due anime, perciò, che sono una,
benché io debba andare, non subiscono
una frattura, ma un’espansione,
come oro battuto ad aurea sottigliezza.

Se esse sono due, sono due come
le rigide gambe gemelle del compasso sono due:
la tua anima, il piede fisso, non mostra
di muoversi, ma lo fa, se l’altra lo fa;
e anche se nel centro siede,
quando l’altra va lontano errando,
si piega e a quella tende l’orecchio,
e torna eretta, quando l’altra rincasa.

Tale sarai tu per me, che devo,
come l’altro piede, correre inclinato:
la tua fermezza fa il mio cerchio esatto
e mi fa finire dove avevo cominciato.

(John Donne)

martedì 15 aprile 2014

Le nostre tracce



“Difficile non è sapere,
ma saper far uso di ciò che si sa.”
(Han Fei - Han Fei Tzu)

Tutto quello che facciamo lascia una traccia, infatti i nostri pensieri, le emozioni, i sentimenti e le azioni agiscono al di fuori di noi lasciandosi dietro le tracce di tutto questo. Queste tracce non restano disperse nel vuoto, ma sono registrate nel grande libro dell’etere cosmico. La conoscenza di questo fenomeno è uno degli elementi fondamentali della vita spirituale e mentale degli uomini, perché è necessario che sappiamo che tutto ciò che pensiamo e facciamo non è privo di conseguenze. E questo non riguarda solo l’aspetto negativo collegato comunemente con l’implicita minaccia di venir colpiti dal castigo se non ci comportiamo come gli altri vogliono.

La regola che tutto viene registrato è utile per rendersi consapevoli dell’uso che facciamo del corpo di carne che ci è stato dato. La nascita in un organismo fisico umano è una incredibile opportunità che non va mai sprecata. Naturalmente per molti, il concetto è noioso o retorico, ma non è così per chi conosce la vera natura dell’uomo. Molto spesso avviene di potersi stupire di incontrare una persona gentile, amorevole e affabile, perché incontrare una persona disinteressata è una magnifica sorpresa e una rarità. Ma questo non dovrebbe essere l’eccezione, perché la natura umana è quella che si coltiva con la mente del risveglio, ed è la Mente che è concessa a tutti gli esseri umani.

La natura ha la capacità di registrare tutto, perché nel mondo invisibile che circonda le cose avvengono registrazioni di tutto quello che accade. Chiaramente si tratta di registrazioni molto sottili e riguardano ciò che gli uomini riescono a fare. La natura registra tutto e la traccia si imprime con più forza nel caso della registrazione della memoria della terra che è la più potente. Perciò non può avvenire che la memoria della natura sia cancellata. La memoria della natura si spiega con il fatto che tutto quello che esiste nel mondo fisico cioè le stelle, le rocce, le piante, gli animali e gli uomini possiedono un doppio eterico. Per ogni nostra azione esiste una copia eterica, perché l’originale resta nel mondo fisico per agire e la copia eterica viene inserita nel grande archivio cosmico.

Il mondo spirituale è come un’amministrazione scrupolosa che conserva tutto in doppia copia, perché nulla sia perduto. Perciò tutto ciò che si fa resta, nel bene e nel male, tutto resta registrato. Quando si compie una buona azione o si coltiva un buon sentimento, l'originale compie il suo percorso ma, di tutto questo, nell’archivio cosmico resta l'impronta sempre viva che continua ad agire. Se facciamo un’azione negativa, in sé, il male raggiunge l'obiettivo ma lascia, in colui che ha agito, la traccia indelebile dell'atto. Di tutto resta l'impronta eterica a livello cosmico, perciò la contaminazione del male è un concetto assai concreto nel mondo spirituale.

All’atto della morte, l’uomo porta via con sé le sue tre copie cioè la fisica (con le azioni), l’astrale (con i sentimenti) e il mentale (con le idee). Gli originali seguono altri percorsi, infatti il fisico torna alla terra, l’astrale e il mentale restano nei grandi serbatoi cosmici omonimi, e al singolo individuo resta il duplicato fedele e veritiero di tutto ciò che è stato. Nulla va perduto, perciò l’anima si presenta con le tracce della vita che ha appena concluso. Poi avviene la proiezione del film di quella vita, anche se l’Assemblea degli Spiriti Eletti non avrebbe affatto bisogno di assistere al film per sapere il valore dell’individuo che è presente al loro cospetto.

I maestri sanno leggere nell'essere e vedere il grado di evoluzione che ha raggiunto. L’unico ignorante è l’uomo che non conosce se stesso, perciò è necessario che egli riveda tutta la sua vita per comprendere come ha vissuto e cosa ha fatto di buono e come ha migliorato la sua entità. Nulla di ciò che facciamo va perduto, perché le cose restano scritte nell'etere. Chi conosce la regola fa attenzione a ciò che fa e ai sentimenti che prova, perché sa che tutto causa delle impressioni eteriche. Il pensiero e il sentimento creano un’impronta ossia un clichè di abitudini che tracciano lo schema di comportamento che può ripetersi all’infinito.

Dobbiamo stare attenti a tutto quello che facciamo agire al nostro interno. Dobbiamo stare attenti a imprimere solo buone impressioni interiori, dobbiamo eliminare le pessime abitudini che ci trasciniamo dal passato. Non si tratta di condannare o reprimere il carattere, ma di osservare e riconoscere la qualità dei nostri sentimenti. Si tratta di rafforzare le cose migliori della persona e di rinforzare solo le buone qualità, e di riconoscere e gioire dei nostri piccoli successi. Dobbiamo essere amorevoli e costruttivi verso noi stessi, perché tutte le nostre deformazioni sono il risultato del lavoro distruttivo che è avvenuto in passato: la distruzione va fermata!

Il fatto positivo è che siamo profondamente coinvolti su questo lavoro, perciò siamo ispirati e impegnati a migliorare e vogliamo scoprire la fonte della gioia interiore. Tutti i maestri illuminati dicono che non c’è lavoro migliore che costruire un ricettacolo di materiali preziosi in cui lo spirito possa dimorare. Perciò noi siamo abitati dai materiali preziosi dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni più nobili e disinteressate. Omraam Mikhael Aivanhov diceva che la differenza tra una scuola iniziatica e le altre scuole è che nelle scuole si acquisiscono conoscenze che servono per capire, ma esse non ci trasformano. Tutto quello che leggiamo accresce il sapere ma, poi, conta solo il lavoro che facciamo su noi stessi.

Se le idee non diventano azioni concrete restano solo delle idee con cui accresciamo l’importanza dell’ego: le conoscenze devono scatenare le forze della trasformazione interna. Chiaramente tutti hanno le loro preferenze e preferiscono pensarsi come esseri deboli, o malati, o potenti e così via. Siamo animali diversi chiusi in un caravanserraglio e abbiamo tante animalità diverse per pelliccia, piumaggio, scaglie o altro. Ognuno ama il suo nutrimento e preferisce un habitat diverso trovandolo stupendo, perciò non dobbiamo pensare che siamo inclusi in una classificazione, e registrati a nostra insaputa. Effettivamente è avvenuto che ci siamo sentiti affini a una certa classe, perciò siamo stati messi nella categoria in cui noi stessi ci siamo inquadrati.

In questo modo si afferma di essere predestinati a subire il destino che abbiamo plasmato noi stessi, e il nostro destino diventa quella classificazione. Questo modo di capire le registrazioni è molto diverso da quello che viene narrato da alcuni maestri, ma è il modo più utile perché è un modo concreto per capire in modo da usare la comprensione per migliorare. Forse nella presente incarnazione, almeno per chi ci crede, ereditiamo una registrazione pesante e faticosa che ci trasciniamo dolorosamente. La novità positiva è che sappiamo che ogni giorno possiamo fare una registrazione nuova e migliore che si va a sovrapporre alle vecchie registrazioni fino a cancellarle.

Forse all’inizio non sapremo fare come vorremmo, perciò faremo qualcosa che non è perfetto. Soprattutto all’inizio saremo trascinati da quello che già conosciamo perché le abitudini si modificano con difficoltà. Forse registreremo qualcosa di negativo ma dobbiamo reagire prontamente facendo qualcosa di positivo e luminoso. Prendiamo coscienza di ciò che facciamo e proviamo e facciamo il possibile per rimediare. Facciamo del nostro meglio per stare meglio. Può succedere a tutti di non essere perfetti, ma l’importante è prenderne atto al più presto e rimediare come meglio possiamo.

Lasciamo andare ogni senso di colpa e il senso del fallimento se non riusciamo subito. I maestri celesti ci amano anche un po’ imperfetti e anomali se ci dimostriamo sinceri e volenterosi. Il cielo valuta le persone per i loro atteggiamenti e per il loro vero valore interno, e non perché l’individuo conosce a menadito tutte le sacre scritture. Conservare un elenco in doppia copia di tutto ciò che siamo e abbiamo fatto non serve a rinfrescare la memoria del Cielo. La registrazione cosmica serve a far ricordare la vita all’essere che è ignorante e immemore.

Buona erranza
Sharatan

domenica 13 aprile 2014

Riconoscenza



“State camminando per strada e, senza una precisa ragione, all’improvviso vi sentite pervasi da una sorta di dilatazione che rende il vostro passo più leggero. Allora, non solo provate un interesse, un fascino in tutto ciò che fino a quel momento non avevate neppure notato, ma inoltre i passanti vi sembrano così simpatici che avete voglia di sorridere per condividere con loro quella gioia e l’allegria improvvisa che è venuta a visitarvi.

Non cercatene la causa, perché la gioia senza una causa è la vera gioia, così come la tristezza senza una causa è la vera tristezza. Non dico che non ci siano delle ragioni obiettive per essere allegri o per essere tristi, ma la vera allegria è una disposizione dell’anima la quale, al di là delle difficoltà, degli ostacoli e dei dispiaceri, sente la vita come un dono di Dio e trabocca di riconoscenza, la vera tristezza, invece, è una disposizione psichica che rende l’essere cieco a tutte le cose belle e buone, a tal punto che egli trova ovunque unicamente dei motivi per affliggersi.

Se volete ricevere spesso questa visita dell’allegria, coltivate la riconoscenza: riconoscenza verso il Creatore, verso la natura e gli esseri umani. Allora, anche se non avete alcun motivo per rallegrarvi, la gioia verrà a cogliervi di sorpresa, come quando degli amici vi fanno una bella sorpresa di una visita inaspettata.

Direte che per provare il bisogno di ringraziare bisogna avere un motivo. No. Ringraziate… e basta, senza porvi domande sulle ragioni di quel “grazie.” Se volete provare quella gioia senza causa che dà alla vostra esistenza un sapore, un colore e una luce, imparate a ringraziare anche senza motivo.

Sicuramente i motivi per ringraziare non mancano: potete ringraziare Dio per la vita che avete ricevuto, quella vita che vi permette di scoprire tante ricchezze: potete ringraziare per la gioia di avere la salute, una famiglia, degli amici … Pronunciando la parola “grazie” è come se faceste scaturire una sorgente di luce, di pace e di gioia dalla vostra anima, e quella sorgente inonda tutte le vostre cellule.

A poco a poco sentite che qualcosa in voi si vivifica, si fortifica, si rischiara; e se un giorno doveste affrontare grandi prove, non solo non crollerete ma sarete ancora capaci di continuare a ringraziare, e sarà questa capacità di ringraziare nelle prove che vi aiuterà a superarle. Quante buone cose provengono da un sentimento di riconoscenza, e quante cose cattive derivano dall’ingratitudine!

Perché tutto questo va molto più al di là del sentimento che provate in un dato momento. Dall’istante in cui introducete in voi un sentimento di riconoscenza e lo conservate per accrescerlo, esso non si limita ad esistere passivamente. A causa della legge di affinità, con le sue vibrazioni attira delle impressioni, delle sensazioni che gli assomigliano. Tutte le benedizioni vi giungeranno dunque da questa piccola cosa: un moto di gratitudine.

In tutto ciò che vi accade, nelle pene come nelle gioie, c’è qualcosa da scoprire per la vostra evoluzione, per la vostra comprensione della vita; e la gratitudine è la chiave che apre le porte del vero sapere. […] La verità è che nel momento in cui gli avvenimenti si verificano, non possiamo sapere se questi col tempo si riveleranno per noi buoni o cattivi. Quante circostanze, che le persone ritenevano fortunate, sono state alla fine la causa della loro rovina, mentre certe prove, alla lunga, si sono rivelate assai benefiche!

Non è immediatamente che possiamo giudicare della fortuna e sfortuna; per pronunciarsi, bisogna aspettare le conseguenze a lungo termine di ogni avvenimento. La saggezza consiste dunque nel considerare le difficoltà e le prove come degli inseguitori che sono mandati dalla Provvidenza, e che ci stanno alle calcagna per obbligarci a percorrere dei sentieri lungo i quali faremo grandi scoperte. Senza questi inseguitori non ci muoveremmo, e resteremmo ignoranti e deboli. Quanti tesori ci attendono così!

Chi di fronte ad ogni inconveniente inizia a lamentarsi o a ribellarsi, passerà accanto a quei tesori senza vederli. Questa filosofia deve diventare la vostra seconda natura. Di fronte ad ogni situazione sgradevole o dolorosa, prendete l’abitudine di dire a voi stessi che forse, in fondo al cammino, c’è una gioia che vi attende. Siccome per ora non sapete quale sarà il seguito, non perdete il vostro tempo a lamentele e ribellioni, ma ringraziate piuttosto il Cielo.

Dicendo “grazie” liberate in voi stessi delle energie che vi aiuteranno a tener testa. Ecco la potenza del ringraziamento: esso già attacca l’ostacolo che stava sorgendo e neutralizza i veleni che la vostra tristezza e il vostro scoraggiamento cominciavano a distillare. Niente è più difficile a pronunciarsi sulla natura di avvenimenti che si stanno verificando.

Ciò è vero sia per quello che capita a noi che per quello che capita agli altri, perché non conosciamo né il passato né l’avvenire. […] Siccome non conoscete le ragioni di ciò che vi accade, prendete l’abitudine di ringraziare il Cielo. Bisogna che questo vi venga naturalmente, senza che dobbiate far intervenire la vostra volontà, esattamente come respirate.

Coscientemente o meno, ringraziate perché in ogni caso questo si registra. Ringraziando, purificate e rischiarate l’atmosfera in voi e intorno a voi. Perciò, ringraziate subito, spontaneamente, automaticamente; avrete in seguito tutto il tempo di ricordarvi perché e come avete ringraziato. Sì, ringraziate sempre e per tutto … anche per il bene che fate.

Vi dicevo che non dovete mai aspettarvi che le vostre buone azioni vengano riconosciute. A volte è difficile: anche se non vi aspettate di ricevere qualcosa in cambio, sperate almeno che venga riconosciuto il fatto che avete agito bene. Tuttavia, non sempre è così; anzi, talvolta si fa di tutto per rivolgervi dei rimproveri.

In tal caso supererete la delusione e la tristezza che potete provare, sentendovi riconoscenti per aver potuto rendervi utili. Quindi, quando fate qualcosa di buono per gli altri, non sono tanto questi ultimi a dovervi ringraziare: siete voi a dover ringraziare loro per avervi dato l’occasione di manifestare non solo la vostra bontà e la vostra generosità, ma anche la vostra saggezza, la vostra intelligenza e ancora altre qualità e capacità che devono essere messe in atto allorché si vuole rendere un servizio.

Saper ringraziare è la prova che si è coscienti, che si è visto, che si è compreso. Ecco perché la gratitudine è una virtù così essenziale. Se gli esseri umani non sanno ringraziare è perché sonnecchiano, perché non hanno imparato a guardare, ad ascoltare, a sentire gli esseri e le cose. Psichicamente, i loro cinque sensi sono addormentati. […]

Tutti gli esseri che vivono accanto a voi, come quelli che incontrate, sono là per farvi riflettere, per affinare la vostra sensibilità. Quando imparerete a gioire e a ringraziare per tutte le inesauribili ricchezze della vita, così da diventare voi stessi più vivi? Chi sa gioire raccoglierà un sasso lungo il cammino e dirà: “Guardate cosa ho trovato!”

Per lui, quel sasso è un testimone della creazione del mondo: stringendolo nella sua mano, egli sente i miliardi di anni che sono trascorsi e le forze che hanno agito su di esso fino a farlo diventare quella pietra lungo la via. Ecco le esperienze da fare!” (Omraam Mikhael Aivanhov)

mercoledì 9 aprile 2014

Sto vivendo




Sto vivendo. Il mio sangue
sta consumando bellezza.

Vivendo. Il mio duplice sangue
sta esalando tenerezza.

Sto vivendo. Il mio sangue
sta distillando coscienza.

(Juan Ramon Jiménez)

martedì 8 aprile 2014

Equilibrismi



“Più sei attaccato al passato, o più hai investito nei risultati futuri, più ti sarà difficile accettare “ciò che è” e lavorare con questo. Quello che è accaduto in passato ti può influenzare nei confronti del presente. Può impedirti di aprirti pienamente al presente. Per esempio, se in passato sei stato ferito da qualcuno, potresti avere paura di entrare di nuovo in una relazione.

Alcune cose appartengono al futuro, non al presente. Per esempio, potresti avere in mente di sposarti in futuro. Ma se vedi la tua relazione attuale solo come potenziale matrimonio, potresti non lasciarle l’opportunità di svilupparsi in modo naturale. La verità è che non sai bene cosa accadrà in futuro.

Potresti avere una sensazione generale riguardo al futuro basata su quello che sta avvenendo nel presente. Potresti sapere quale sarà il passo successivo, ma ora come ora non puoi sapere di più.

Per essere nel presente hai bisogno di rimanere centrato in quello che sai, accantonando passato e futuro. Se continui a ritornare al passato, o cerchi di pianificare il futuro, ti troverai indietro o avanti rispetto a te stesso. Seminerai semi di conflitto dentro e fuori. Quindi questa è un’azione equilibratrice. Devi camminare sulla fune tesa tra passato e futuro.

Non puoi aspettarti di camminare senza inclinarti da un lato o dall’altro. Ma quando lo fai, devi controbilanciarti, in modo da poter ritornare al centro. Centrarsi significa essere presente, significa stare con ciò che si sa e lasciar perdere quello che non si sa. Non sai che il passato ripeterà se stesso.

Non sai che l’esperienza presente si estenderà nel futuro. Le cose potrebbero cambiare o rimanere uguali. Vecchie strutture potrebbero dissolversi o riapparire; non sai nulla di queste cose. Sai solo come ti senti riguardo a ciò che sta avvenendo ora. Se riesci a rimanere qui e ora, allora puoi essere onesto con te stesso e con gli altri riguardo la tua esperienza. Puoi dire su cosa puoi prendere un impegno e su cosa no.

In futuro le cose potrebbero cambiare, ma non puoi vivere adesso nella speranza che cambieranno. Devi essere dove sei, non dove vorresti essere. È un lavoro difficile. Il passato ti dice: “Non aprirti. Fa troppa paura. Non ti ricordi cos’è accaduto quando … ?” e il futuro dice: “Ci stai mettendo troppo. Perché non fai un bel salto e lo fai?” Il passato cerca di trattenerti e il futuro di spingerti, un dilemma interessante, non credi?

La verità è che devi ascoltare le due voci e rassicurarle del fatto che le hai sentite. Tu puoi ritrovare l’equilibrio e ritornare al centro. E solo dopo trovare il ritmo giusto per te qui e ora. È esattamente questo che deve fare un funambolo. Non può preoccuparsi di aver perso l’equilibrio in passato.

Non può sognare di fare una prestazione perfetta in futuro. Deve concentrarsi su quello che succede adesso. Deve mettere un piede davanti all’altro, e ogni passo è un atto di equilibrio, ogni passo è un atto spirituale.” (Paul Ferrini, Io sono la porta, Macro ed., 2009)

sabato 5 aprile 2014

Un canto del Sogno



All'origine c'era un tempo che gli aborigeni australiani chiamano Tempo del Sogno. Era un tempo in cui la Terra giaceva in uno stato che somiglia a quello dell'uomo tra veglia e sogno. In quel tempo scesero gli Spiriti sulla terra, i Tjukurrpa. Mentre le potenti divinità erano in cammino lasciavano le loro impronte nei luoghi in cui passavano, perciò quei luoghi conservano il ricordo di chi li ha percorsi e su di loro si possono leggere delle storie.

Gli dei cantavano per creare il mondo e riordinare l'universo con la Legge. Il canto impregnava la terra e l'altro mondo rispondeva a quel richiamo. Così gli dei riunirono tutti gli uomini, le terre, gli animali, gli spiriti degli antenati e le costellazioni. Il canto creatore ancor oggi crea, conserva e governa la terra con delle relazioni che infondono un senso a tutto ciò che esiste.

Con il canto si conservano le tracce degli dei lungo le piste sacre. E, in quei tempi, si viaggiava nei deserti, sui fiumi e nelle enormi distese dei deserti seguendo le impronte che gli Spiriti lasciavano. Ogni luogo diceva se era adatto per camminare o per riposare meglio. Ma ancora oggi ogni cosa può parlare se conosci quel canto: questa è la Legge!

A quei tempi si poteva vedere uno spirito che fischiava avanzando con il corpo tutto coperto di disegni che vediamo ancora oggi disegnati sulla roccia, sulla pelle e sugli scudi dei clan più antichi. Anticamente il Pitone Arcobaleno uscì dalle viscere della terra e la percorse per lungo e per largo. Poi quando fu stanco del suo vagare si addormentò tutto arrotolato.

Sulla terra restano ancora le orme sinuose dei suoi vagabondaggi e resta anche l'impronta del suo corpo che giace addormentato. Il canto del Tempo del Sogno mantiene in vita il mondo perciò viene dipinto ancora oggi sulle rocce e sulla terra. Se quel canto tacesse ci sarebbe la scomparsa delle acque, degli animali e di tutto il resto, perciò chi lo farebbe tacere sarebbe il solo responsabile di questa immane sciagura.

Gli uomini che vedono le Vie dei canti le seguono perché sanno che il Sogno è Tutto. Essi sanno che la Terra è una creatura viva che va mantenuta sempre in vita. Il canto del Sogno può cambiare nell'apparenza ma resta sempre lo stesso, perciò chi lo ascolta diventa Sogno: e così può tracciare una pista. Ci sono tante piste ma sono tutte vie parenti tra loro. Sono piste che seguono il corso del canto e sono vie che cantano.

C'è il canto del Sogno della formica, il canto del Sogno del Pitone colorato, il canto del Sogno del Canguro e il canto del Sogno dell'emù. I canti del Sogno si possono annusare, si possono ascoltare, danzare e si possono narrare. Infatti ci sono le cose che si raccontano, altre cose che si cantano, e poi ci sono altre cose che si danzano.

I canti sacri creano e proteggono i luoghi della terra perché sono potenti, ma sono anche così intimi e penetranti che si può restare scossi in modo traumatico. Non tutti i canti del Sogno possono essere ascoltati, perché i serpenti mitici possono trasformare un uomo in un fiume o in una terra. Ma ci sono anche delle storie del Sogno che possono essere raccontate senza problemi.

In una storia aborigena si narra di un capo-clan che non pensava che a fare tjiki-tjiki. Il problema era che il capo-clan amava le donne, che non è poi un problema, se non fosse che lui le amava tutte. Amava le donne più della caccia all’emù, più della corsa del canguro, più della pesca sul fiume e molto più del piacere di fare due chiacchiere tra amici.

Ne aveva conosciute tante quante le stelle e tutte disponibili a favorirlo, perciò poteva trovare ogni notte una nuova amante. Il capo-clan ragionava come un uomo che è stato colpito alla testa da un boomerang e che è stato lesionato dal trauma. Ragionava nel modo strano che non voleva la stessa donna per due notti di seguito. Lui se ne fregava della Legge aborigena e pensava solo a divertirsi.

Una mattina si svegliò con una donna e si accorse, costernato, che le sue noci di uomo erano sparite. Durante la notte le noci si erano stancate della vita frenetica a cui le costringeva perciò erano fuggite mettendosi a correre veloci lungo la pista del deserto. Il capo era furioso e scacciò la sua amante in malo modo perché doveva mettersi subito in viaggio per trovare le tracce dei gioielli di famiglia.

Sentì riemergere l'indole del nomade cacciatore e iniziò a cercare tra le rocce, gli arbusti e lungo le sponde del fiume. Doveva trovare una traccia, perché le due fuggitive avevano già una notte di vantaggio. Lui sapeva per esperienza che erano veramente due lavoratrici instancabili, perciò iniziò a correre a perdifiato lungo la pista del deserto quando trovò la scia della loro corsa.

Infatti le due noci correvano veloci verso il nord finché giunsero vicino alla caverna dove il Pitone Arcobaleno s'infila nelle viscere della terra per deporre gli spiriti dell'acqua e chiamare la pioggia. Le noci non erano esperte di Legge aborigena e non sapevano che il Pitone Arcobaleno aveva un'indole molto irascibile perciò rotolarono imprudentemente dentro la sua grotta.

Ma, va saputo che, da quando le figlie maggiori del Pitone gli avevano inquinato, per fargli dispetto, la sua pozza di acqua, il Pitone Arcobaleno aveva preso la prudente abitudine di sbarazzarsi degli intrusi sconosciuti. Infatti quel giorno il Pitone fece proprio in questo modo, e quando sentì avvicinarsi il rotolare delle due noci prima aprì un occhio per sbirciare e poi le inghiottì in un sol boccone.

Il Pitone tornò a schiacciare il suo pisolino, ma al risveglio sentì che non aveva digerito. Siccome aveva un peso sullo stomaco andò verso l’ingresso della caverna e vomitò le noci che tornarono alla luce trasformate in pietra. Il capo era arrivato sul posto giusto in tempo per vedere la lunga coda del serpente variegato sparire nella caverna.

Il capo guardò a terra e vide due sfere di pietra in cui gli parve di ravvisare le sue noci. Quando le ebbe guardate e soppesate fu certo che fossero le sue noci sebbene diverse. Le pietre erano uguali alle sue noci come due gocce d'acqua, ma erano due pietre pesanti che non sapeva come rimettere.

Non sapendo cosa fare le mise nella borsa di canguro che portava a tracolla e tornò al suo villaggio. Quando fu tornato andò dallo stregone sciamano a chiedere aiuto. Il saggio le esaminò con attenzione, le soppesò, le rigirò da ogni parte, le annusò, e infine confermò la loro origine dopo aver parlato a voce bassa con le due pietre.

Dopo quel misterioso consulto lo sciamano gli consegnò le pietre e gli disse: "Le puoi rimettere a posto senza problemi. All'inizio ti sembreranno pesanti, ma poi ti abituerai. Però vedrai che saranno strane rispetto al passato, perché adesso sono più vicine al mondo del Sogno di quanto tu possa essere.”

Il capo restò perplesso per quel discorso e ringraziò lo sciamano poi andò a rimettere le noci al loro posto. Nei giorni seguenti fu tutto come lo sciamano aveva avvertito. I primi giorni furono un po' fastidiosi ma poi tutto sembrò tornato normale. E siccome era già da un bel po’ di tempo che non si dedicava al suo sport preferito, il capo sentì che quel passatempo gli mancava molto.

Era da molto tempo che non conosceva una bella forestiera che veniva a vendere e comprare nel mercato del villaggio. In verità si sentiva un pochino titubante e timoroso di fallire e di poter guastare la sua fama amatoria. Ma, infine prevalse il desiderio e una sera, finalmente, decise di cercarsi una donna.

Ne adocchiò una proprio bella e iniziò la manovra di avvicinamento, ma non appena le fu vicino e stava per parlarle sentì che le noci parlavano. Come detto dallo sciamano avevano ritrovato la loro tendenza naturale, ma avevano sviluppato anche delle pepite di quarzo chiacchierino mentre erano nel ventre del Pitone Arcobaleno.

Il capo sentì che una noce diceva all'altra: "Ma l'hai vista la tipa che ha trovato? Secondo me è meglio stargli lontano: è piena di vermi!" L'altra rispose: "Hai ragione sorella. Se vuol fare tjiki-tjiki con lei, almeno dovrebbe spurgarla con le foglie di thé!" Il capo non voleva noie e non volendo ammalarsi si allontanò velocemente dalla preda potenziale. Mentre si guardava intorno e cercava altre prede vide una bella fanciulla.

Aveva appena provato ad avvicinarsi che sentì la noce indignata: "E ora cerca le moribonde? Questa ha due bronchi malati e non ha la forza neppure di respirare, figurati se può farci un tjiki-tjiki decente." L'altra concordò: "Senza meno è vergognoso! Mi rifiuto di fare qualcosa se prima non la guarisce con decotti d'eucaliptolo. Sarebbe un miracolo se non gli restasse morta stecchita durante la notte!"

Ormai le noci avevano il potere di contrattare sulle questioni che le riguardavano. Ogni volta che il capo sceglieva una donna le vedevano ogni difetto, perciò non trovarono nessuna adatta per il tjiki-tjiki. E la cosa non migliorò nei giorni seguenti, perciò il capo decise che se voleva godersi la gioia delle donne doveva curarne qualcuna per averla compagna.

Per questa ragione iniziò a preparare i rimedi per curare seguendo i consigli delle noci. Si mise a cercare erbe e scavare radici, poi si affannò a triturare, impastare e bollire le piante medicinali. Mentre mescolava ripeteva incantesimi e scongiuri creati per allontanare gli spiriti delle malattie. Bisogna dire che le noci furono insegnanti competenti e che lui era motivato a imparare veloce.

Lavorò con passione per riavere le donne, ma poi continuò perché iniziò ad amare il suo compito di guaritore. Inventò delle misture azzeccate con cui fece meraviglie e non trovò più il tempo di pensare al tjiki-tjiki. Le sue cure furono risolutive anche nei casi più gravi. La sua fama si diffuse talmente che dovette prendere degli aiutanti. Ormai non poteva più fare da solo, perché troppe persone richiedevano i suoi rimedi.

A ogni modo, nella sua nuova vita mise più impegno che nella vecchia vita spesa a far felici due noci. Adesso amava tutte le persone e la nuova vita di apprendista stregone-sciamano si rivelò appagante e gioiosa. E quando, alla morte del vecchio stregone-sciamano venne eletto al suo posto per volere di tutto il villaggio ebbe la più grande soddisfazione della sua vita.

Buona erranza
Sharatan

martedì 1 aprile 2014

Riflessi



“La Via veramente Via non è una via costante.”
(Tao Te Ching)

Secondo Yogananda la coscienza è come un fiore di loto dai mille petali. La coscienza è un armonioso assieme e non è una somma di parti, perciò l’uomo non vive scisso nella mente e separato dalla sua vera natura se impara a unire le sue caratteristiche e funzioni in modo armonico. La somma di tutto il nostro essere reintegrato nella sua totalità diventa Coscienza Suprema, perciò anche la più piccola coscienza individuale è una cosa molto importante e preziosa.

La coscienza individuale aumenta in modo progressivo, perché ogni esperienza la fa espandere e gli fa comprendere a includere sempre più qualità e prerogative differenziate. Quello che tiene separata la nostra coscienza individuale da Satchiananda ossia dalla Beatitudine divina è il fatto che la coscienza individuale diventa un agglomerato composto da tanti “elementi” che diventano dissonanti.

Tra gli “elementi” di fondo che formano la coscienza degli uomini vi è l’irrequietudine, il desiderio che le cose siano diverse da ciò che sono, i desideri che vengono dalla sensazione interna di essere incompleti e le simpatie o antipatie per le cose e le persone. Se risaniamo gli “elementi” che sono divenuti dissonanti possiamo trasformarci e possiamo entrare in Brahman.

Yogananda dice che i maestri sono in grado di immergersi nel grande oceano della beatitudine da cui riemergono, poi, per assumere di nuovo le spoglie dell’essere individuale. L’ego sa immettersi in modo sottile in questo meccanismo per cui, anche i più grandi illuminati possono illudersi di riuscire a fare da soli il grande salto nell’oceano della beatitudine. Ogni forma di presunzione può impedire il raggiungimento del perfetto stato di coscienza in cui tutto è gioia e beatitudine.

Un devoto della conoscenza dopo tante vite di lotta e di duri sforzi ha acquisito la natura del guerriero spirituale che è deciso a eliminare ogni debolezza interiore. Il guerriero dello spirito è spinto a conoscere e combattere, per primo, contro la sua stessa natura. Vorrà primariamente dominare il prevalere degli “elementi dissonanti” finché ogni illusione su se stesso e verso il mondo sarà crollata.

La prima mossa contro l’ego è il riflettere che neppure le nostre qualità e le debolezze ci appartengono, ma sono manifestazioni di forze cosmiche che agiscono tramite la struttura della natura umana. Solo questo dovrebbe mostrare quanto sia fragile l’orgoglio dell’ego, perciò l’uomo può fare solo due scelte cioè scegliere di nuotare verso l’oceano cosmico o scegliere di nuotare verso il flusso di maya.

L’uomo deve eliminare dal suo cuore ogni orgoglio, egoismo e indifferenza se vuole salvarsi. L’uomo deve coltivare un cuore devoto, puro e incondizionato e, alla fine, vedrà che ogni fatica è stata fatta alla presenza del Supremo, dell’Unico e dell’Amato. Yogananda dice che il fiume d’energia che scorre nella spina dorsale va spinto verso l’alto, e la via superiore spingerà verso la verità suprema che ognuno trova con i suoi tempi e metodi.

Dobbiamo avere il massimo rispetto per l’evoluzione spirituale altrui. Non dobbiamo imporre a nessuno le nostre verità anche se sappiamo che sono giuste. Il maggior dovere è amare la conoscenza e coltivare un cuore devoto, generoso e aperto. Ognuno possiede un suo passo e procede con i suoi tempi, perciò chi non sa controllarsi può sentire offensivo l’invito a farlo.

Se una persona non è pronta ad affrontare le sue debolezze reagisce con risentimento se viene toccata nel suo punto dolente. In quel punto sente dolore, perché ricorda che la mancanza di controllo ha già procurato dolore e problemi. Il riconoscimento inconscio della difficoltà ci fa reagire malamente contro chi offre consiglio.

Alcuni hanno perso la devozione e la purezza, perciò il loro cuore è arido. Costoro sono contenti di accudire solo se stessi, sono cinici e materialisti e pensano in modo gretto ai fatti concreti e all’interesse materiale. Poi c'è chi non prende parte a nessuna fazione, perché non vogliono essere scomodi con nessuno. Tutto quello che hanno lo tengono e anche le simpatie e le premure sono rivolte alla loro persona.

I loro cuori sono gusci vuoti e privi di sentimento, perciò anch'essi reagiscono male se sono invitati a tener conto dei bisogni degli altri. Tutte queste persone restano da sole, perché non sanno vivere in modo armonioso con gli altri. Star soli permette di riflettere e imparare ad accettare il dare e il ricevere.

Poi ci sono altri che credono di meritare di più e incolpano un Dio o un destino ingiusto di averli trattati duramente. Anch'essi non accettano nessun discorso alla responsabilità personale. La condizione preliminare per arrivare alla verità è avere la comprensione sufficiente per riconoscerla, perciò per offrire qualcosa ricordiamo che le persone devono chiedere il nostro aiuto.

E anche questo va fatto in prudenza, infatti Yogananda avverte che anche tentare d’imporre la saggezza è un atto di prepotenza. Nulla ci appartiene e neppure l’ego è una cosa nostra. Perciò dobbiamo ridere delle cose che ci tengono legati all’ego, perché la morte uccide l’ego ma non tocca ciò che siamo veramente.

Impariamo a vivere senza l'attesa dell’approvazione esterna e della considerazione degli altri. Non viviamo più aspettando quello che non abbiamo, perché abbiamo tutto quello che ci serve per essere felici. Dobbiamo imparare a restare centrati nel Sé anche se è un sé minuscolo, e dobbiamo sentirlo presente come siamo presenti alla nostra realtà esterna.

Ogni cosa ruota intorno al nucleo del Sé, perciò qualsiasi cosa facciamo per vivere non è importante quell'azione se noi viviamo rettamente e con un atteggiamento interiormente libero. La libertà interiore è la virtù morale suprema, dice Yogananda, e la pratica più importante del guerriero spirituale è quella di eliminare i coinvolgimenti dell’ego.

Per molti il “non fare” è un'astenersi dall'agire, infatti essi pensano di poter passare davanti alle cose peggiori guardando altrove per non vedere. Ma il “non fare” fa accumulare karma negativo, perché il rifiuto ad agire è un’attività di violenza contro la volontà che ha carattere attivo perciò questo implica il compimento di un’azione negativa.

Yogananda dice che l’ego è come la luna che si riflette in molti recipienti pieni di acqua. Anche se ogni vaso riflette lo stesso riflesso lunare ognuno pensa di essere un riflesso unico, individuale. Se volessimo guardare verso il cielo notturno vedremmo che c'è un’unica luna che si riflette in molti vasi diversi.

Ogni recipiente è diverso per forma e per caratteristica. Un vaso può essere calmo, un altro può essere agitato, e un altro può avere acqua inquinata o colorata con colori diversi. L’anima di ogni essere è fatta in modo di riflettere Satchiananda, la Beatitudine divina, ma la beatitudine riflessa viene filtrata dalla coscienza individuale, perciò l'apparenza e la manifestazione può diventare diversa.

Se la mente è agitata anche la sua beatitudine naturale è agitata, se essa è molto distorta e disturbata anche la sua natura rifletterà il dolore e la sofferenza. I nostri sentimenti hanno tutte le “impurità” dei desideri e degli attaccamenti che la nostra mente subisce, perciò anche la beatitudine che rifletteremo sarà distorta e disturbata sebbene quella distorsione sia presente solo nel riflesso.

Ricordiamo che la luna è una ed è immobile nel cielo, perciò avviene la stessa cosa per la consapevolezza che è colorata con le sfumature dell’acqua colorata contenuta nei vasi. La consapevolezza può essere offuscata dai colori dei desideri e degli attaccamenti, perciò la naturale beatitudine è offuscata dai riflessi dell’ego e viene distorta dalle sue imposizioni.

Se i sentimenti hanno impurità e distorsioni condizionano la chiarezza fondamentale dell’anima che potrebbe risplendere limpida nella sua coscienza. In realtà il progresso spirituale non è raggiungere un qualcosa di ambizioso, ma è saper eliminare i riflessi dell’ego che ci impediscono di vedere uno spicchio di luna.

Il corpo fisico è come una bottiglia che contiene acqua, perciò il liquido contenuto all’interno della bottiglia è il modello originario del corpo astrale che è fatto di luce e di energia. Finché il corpo astrale resta “inquinato” dai desideri materiali deve creare un corpo fisico che lo contenga nuovamente.

Chiaramente nulla è perfetto, ma se restiamo legati solo alla bottiglia restiamo legati agli elementi esterni. A livello spirituale, la coscienza che è legata al corpo è la coscienza più lontana dal contatto con lo Spirito Supremo. Se viviamo coscientemente nel nostro corpo astrale andiamo sempre più verso quel contatto finale.

Yogananda dice che il corpo astrale di energia ha ancora un involucro interno che è il corpo causale fatto di idee. Il corpo fisico è fatto di carne, ossa e sangue perciò è composto da 16 elementi. Confrontando il corpo astrale e quello causale con il corpo fisico vediamo che il corpo astrale contiene 19 elementi che consistono di varie forme di energia.

L'astrale governa i 5 sensi e il potere che è inserito nei sensi, la mente, l’intelletto, l’ego e il sentimento, perciò vediamo che l’ego è un elemento del corpo astrale. Il corpo causale consiste di 35 elementi che sono l’insieme dei 16 elementi fisici e dei 19 elementi astrali. Poiché la materia si manifesta originariamente come vibrazione che si propaga nell’etere vediamo perché dello yogi che raggiunse il dominio dei suoi corpi si disse che ha il potere di governare gli elementi.

Si dice che possono diventare inamovibili come una roccia, che possono camminare sull'acqua o sul fuoco, che possono levitare o espandere la loro coscienza facendo viaggiare il corpo astrale mentre il corpo fisico è altrove. Il filosofo Henri Bergson dice che ci sono due modi di conoscere una cosa. Il primo modo implica di girarle intorno mentre il secondo cerca di penetrarla. Il primo modo dipende dal punto di vista che scegliamo e dai simboli che usiamo, mentre il secondo modo non dipende da nessun punto di vista e non poggia su alcun simbolo. La prima forma di conoscenza si ferma al relativo, mentre la seconda cerca di raggiungere l’assoluto.

Tutta la realtà è come un oceano infinito chiamato l’infinità dello Spirito. Nell’oceano dello Spirito appaiono le onde che si manifestano in forma individuale. Ogni ego è rappresentato da un’onda diversa, perciò l’obiettivo della pratica spirituale è ritirare la nostra onda per riportarla verso l’infinito. Yogananda narrò una storia per far capire come l’ego ritorna e viene riassorbito nello Spirito infinito.

La storia narrata è quella di John che fu un uomo che si era manifestano per eoni di tempo in forma di onde multicolori fluttuanti nell’oceano dello spirito. Era sempre stato spirito manifesto calato nella forma, ma lui si era sentito sempre come essere separato. Quando l’individualità detta John si fuse con l’Oceano dello Spirito non fu più onda ma seppe di essere Dio che è divenuto John per molte incarnazioni, finché comprese che la separazione era solo illusione.

Ma, tornando a essere Dio, l’individualità di John non fu cancellata: il ricordo di ciò che era restò, e non smise di essere. Nulla va mai perso perciò, grazie alla memoria, anche l’ego resta e continua ad esistere dentro la Coscienza Cosmica, perché può ritorna a esistere ogni volta che l’Infinito lo vuole.

La realtà delle onde non è fissa, perché tutto ciò che galleggia, s'innalza e ricade. L’onda è reale solo come vibrazione, perciò resta anche l’ego che esprime le caratteristiche di una vibrazione che è una diversa forma di manifestazione dell’infinito.

Buona erranza
Sharatan