mercoledì 30 luglio 2014

L’amico immaginario



“I mostri sono una brutta cosa,
ma i mostri che non camminano
e non parlano come mostri
sono ancora peggio.”
(Budo, l’amico immaginario)

“Mi chiamo Budo.
Esisto da cinque anni.
Cinque anni è una vita lunghissima, per uno come me.

È stato Max a darmi questo nome.
Max è l’unico essere umano che riesce a vedermi.
I genitori di Max mi chiamano l’amico immaginario.

Voglio molto bene alla signora Gosk, la maestra di Max.
Invece l’altra maestra, la signora Patterson, non mi piace per niente.
Non sono immaginario.”

Budo è l’amico immaginario di Max e si ritiene molto fortunato. Un amico immaginario resta in vita solo fin quando l’immaginante lo mantiene in vita, ma quando finisce di crederci e non lo immagina più, l’amico immaginario sbiadisce e infine svanisce. Per questo gli amici immaginari, di solito, non hanno una vita lunga, anzi alcuni durano solo pochi giorni e poi…puff! Scompaiono!

Budo è fortunato perché si sente come un prezioso pezzo di antiquariato, nel suo ambiente. Max lo fa vivere perché ha bisogno di lui e crede in lui. Max è un bambino autistico di 9 anni che odia i cambiamenti, ma è un bambino con molta fantasia che ha immaginato un amico immaginario perfetto come un bambino reale, e questa è un’altra rarità nel mondo degli amici immaginari che spesso sono abbozzati in modo sommario e frettoloso.

Max invece è preciso e molto meticoloso, perciò lo ha dotato di tante qualità come quella di poter oltrepassare i muri e le porte. Poi Max non è un bambino appiccicoso, perciò Budo si può muovere liberamente mentre gli altri amici immaginari devono restare sempre attaccati agli amici umani, e qualcuno deve perfino portare un collare al collo.

Lui è un amico immaginario libero, perché Max non ama avere rapporti troppo stretti e asfissianti con nessuno. Budo si può allontanare e può girare da solo soprattutto quando l'amico reale dorme. Max lo ha immaginato più grande di lui forse già adolescente, ma di certo l’ha pensato molto più intelligente di lui. Già da appena nato Budo capiva e imparava molto più in fretta di Max, infatti ha imparato subito le tabelline e tanto altro che Max trovava troppo difficile da capire.

Budo studia mentre l’amico dorme perciò conosce molte cose che l’amico non sa, poi conosce anche quello che imparano insieme. Budo guarda la tv insieme ai genitori di Max, li ascolta parlare, e poi di notte esce a farsi un giro dal benzinaio dove lavorano Dee e Sally. Oppure passa da Doogies dove si fanno gli hotdogs, oppure fa un salto al commissariato di polizia o all’ospedale.

Quei posti sono sempre aperti e lì può fare anche amicizia con amici immaginari creati da altre persone. Ma, contrariamente a quello che avviene per gli amici immaginari delle persone normali, Budo ha la possibilità di coltivare le sue idee, i suoi pensieri e costruire il suo modo personale di vedere il mondo.

Anche se è vero che la sua vita dipende sempre dal fatto che l’amico reale conservi l'interesse per lui, Budo si sente libero di dire e di fare quello che gli pare, e di avere una sua vita autonoma. Nei suoi giri notturni conosce delle persone vere e si fa amici degli amici immaginari di altri bambini, come Graham che è un’amica immaginaria femmina dal nome maschile.

Tanta mobilità e libertà lo rendono l'amico immaginario più felice del mondo, e poi c’è la gioia della scuola. Budo e Max prendono il pulmino e vanno a scuola dalla signora Gosk che entrambi adorano. La signora Gosk è la maestra che tutti i bambini vorrebbero avere, mentre la maestra di sostegno di Max cioé la signora Patterson, è una maestra che Budo non sopporta.

Ma, non tutto il mondo è rose e fiori, perciò Max fa fatica a vivere nel mondo, perciò spesso si blocca e va in tilt! E il blocco è causato da cose che per gli altri sono banali come dover scegliere tra due cibi diversi, perché Max non sopporta i cambiamenti. Per fortuna l'amico invisibile lo aiuta sempre e gli da la conferma che tutto procede bene, ma soprattutto Budo non lo abbandona mai.

Per Max è difficile vivere la sua diversità, è molto difficile farsi accettare e uscire di casa sapendo che gli altri ti vedono come diverso. È difficile non sentirsi sbagliato se devi affrontare dei bulli come Tommy Swinden che ti minacciano e perseguitano. Vivere è un fatto complesso se vai in tilt con troppa facilità, ma la fortuna ha voluto che ci fosse Budo che lo aiuta a prendersi cura di sé.

Ma, un giorno, accade una cosa terribile, perché Budo vede che Max esce dalla scuola, sale sull'auto della signora Patterson e sparisce. Da quel momento, di Max non si hanno più notizie. Ma la cosa ancora più strana è che quando arriva la polizia per interrogare tutti gli insegnanti, la signora Patterson sembra sconvolta e finge di non sapere nulla.

Perciò Budo è l'unico a sapere che la signora Patterson ha rapito Max, e che sta mentendo alla polizia. Il problema diventa quello di farlo capire alla polizia oppure di farlo sapere ai genitori di Max, ma Budo è pur sempre un amico invisibile! Come potrà comunicare, salvare Max, farlo fuggire e tornare a casa?

Come può fare, se lui è invisibile e se ha solo amici che sono invisibili come lui? Come comunicare con il mondo reale? Forse c’è qualcuno che può aiutarlo e farlo, e lui lo deve trovare. Budo non ha molto tempo per trovare e salvare Max. Budo deve fare in fretta prima che tutto precipiti e che sia troppo tardi.

“L’amico immaginario” di Matthew Dicks è un romanzo emozionante e molto poetico. Uscito nel 2012 ha subito avuto un'ottima accoglienza e ora è pubblicato nelle edizioni tascabili Giunti. L’autore è un maestro di scuola elementare che conosce molto bene la realtà dei bambini autistici, perciò anche se il romanzo non è una storia vera insegna cose vere e reali.

Il titolo originale è “Memoirs of an Imaginary Friend” ed è l'originale punto di vista della tenera anima di Budo. Budo è l’amico immaginario che tutti vorremmo, è l'amico pieno di affetto e di abnegazione, di sensibilità e di tenerezza. Complimenti all'autore che ha saputo creare dei personaggi così belli e tanto veri anche se la storia è immaginaria. Tutti i personaggi ci diventeranno così cari che vorremmo fossero reali.

Il romanzo è un pretesto per ricordare la realtà a cui l'Uomo della Pioggia di Dustin Hoffman ci aveva avvicinato in passato. La realtà delle persone diverse dal normale come lo sono gli autistici è difficile. Questo romanzo è un bel modo per farci riflettere sui concetti di amicizia, normalità, affetto tra figli e genitori, e su tanto, tanto altro.

Budo ci insegna che, anche gli invisibili possono trovare il modo per comunicare. Il romanzo è ispirato all’amico immaginario che l’autore aveva nell’infanzia, e anche la maestra Gosk e altri personaggi sono ispirati a delle persone vere che lui ha conosciuto, però che la storia sia vera o immaginaria... ha un finale imperdibile!

Buona lettura
Sharatan

lunedì 28 luglio 2014

Sciogliere i nodi interni



“Quando la rabbia ti fa sputare verso il cielo,
finisci sempre per sputarti in testa.”
(Proverbio cinese)

“Immaginiamo la nostra coscienza come una casa. Vi possiamo identificare due parti: la cantina è la coscienza deposito, il soggiorno è la mente cosciente mentale o mente conscia. Le formazioni interne come la rabbia giacciono nella coscienza deposito (in cantina) sotto forma di seme, finché la persona non sente, vede, legge o pensa qualcosa che entra in contatto con quel seme.

La sua relativa formazione interna, allora, sale e si manifesta a livello della coscienza mentale, diciamo nel soggiorno, sotto forma di un campo di energia che rende l’atmosfera pesante e sgradevole. Quando in noi l’energia della rabbia sale al piano superiore, ci fa star male. Ogni volta che la rabbia si manifesta, il praticante invita immediatamente l’energia della presenza mentale a manifestarsi, a sua volta, impiegando per questo il respiro e la camminata consapevoli.

Si genera così un altro campo di energia, quello della presenza mentale. È importantissimo imparare a praticare il respiro e la camminata consapevoli, imparare a lavorare e a fare le pulizie di casa in presenza mentale, imparare a praticare la consapevolezza nella vita quotidiana. Ogni volta che si manifesterà un’energia negativa, allora, sapremo come generare l’energia della presenza mentale necessaria per abbracciarla e per prendercene cura.

Se il sangue non circola bene, in certe parti del corpo si accumulano tossine che il nostro organismo deve espellere se vuole mantenersi in buona salute. Il sangue che circola bene riesce a nutrire organi come i reni, il fegato, e i polmoni, e li aiuta a espellere le tossine dal corpo. Per questo è tanto importante avere una buona circolazione sanguigna.

Può essere utile stimolarla con i massaggi, anche bere molta acqua e praticare la respirazione profonda può aiutare a espellere le tossine dal corpo attraverso la pelle, i polmoni, con l’urina e gli escrementi. Tutte le pratiche che ci aiutano a espellere tossine dal nostro sistema sono importantissime.

Ora immagina di avere una zona del corpo molto dolente perché piena di tossine accumulate: ogni volta che la tocchi senti dolore. Lo stesso accade quando tocchi un nodo interno nella mente. Praticare la consapevolezza con l’energia della presenza mentale equivale a praticare un massaggio a una formazione mentale.

Se hai in te un blocco di sofferenza, di dolore, di dispiacere, di disperazione, questo ti avvelena spargendo tossine nella tua coscienza: occorrerà che tu pratichi la presenza mentale per abbracciare e trasformare le tossine. Abbracciare il tuo dolore e il tuo dispiacere con l’energia della presenza mentale è esattamente come massaggiare la coscienza invece del corpo.

La nostra coscienza potrebbe soffrire di cattiva circolazione. Quando il sangue non circola bene, gli organi non possono funzionare a dovere e ci ammaliamo; quando la nostra energia psichica non circola bene, la mente si può ammalare. La presenza mentale è un’energia che stimola e accelera la circolazione spingendola ad attraversare i blocchi di dolore.

Quando i nostri blocchi di dolore, di dispiacere, rabbia e disperazione si fanno più forti e più grossi, premono per salire nella coscienza mentale, nel soggiorno, per reclamare la nostra attenzione. Essi desiderano emergere, ma noi non li vogliamo - preferiremmo che se ne stessero a dormire in cantina - perché ci fanno star male anche solo a vederli, quindi blocchiamo loro il passaggio.

Non appena ci avanza una decina di minuti di tempo libero e non sappiamo che fare, i nodi interiori salgono in soggiorno a combinare disastri. Per evitarlo, non avendo nessuna voglia di affrontarli, usiamo riempire il soggiorno con altri ospiti: prendiamo in mano un libro, accendiamo la televisione, usciamo a fare un giro in macchina…qualunque cosa, pur di tenere occupato il soggiorno, così i fastidiosi nodi interiori non riescono a salire.

Le formazioni mentali devono tutte poter circolare, ma noi non permettiamo loro di manifestarsi, perché non vogliamo provare dolore. Anzi, ne abbiamo una gran paura, vorremmo che se ne stessero rinchiuse da qualche parte, convinti come siamo che, se permettiamo loro di uscire fuori ci faranno stare malissimo. Ecco perché abbiamo l’abitudine di riempire quotidianamente il soggiorno di ospiti come la televisione, i libri, le riviste, le conversazioni: per impedire a queste formazioni interne di venire alla superficie.

Quando togli l’embargo e i blocchi di dolore affiorano, ti tocca soffrire, almeno un po’, non c’è modo di evitarlo. Ecco perché il Buddha ha detto che occorre imparare ad abbracciare questo dolore. Ed ecco perché è così importante la tecnica della presenza mentale: per mezzo suo tu generi una potente fonte di energia che ti permette di riconoscere e abbracciare le energie negative e di prenderti cura di loro.

Dal momento che il Buddha è già dentro di te sotto forma di energia della presenza mentale, tu lo inviti a manifestarsi e ad aiutarti ad abbracciare i tuoi nodi interiori. Se questi non vogliono venire al piano superiore, puoi blandirli un po’ perché salgano; dopo che li avrai abbracciati per qualche tempo, torneranno in cantina e si ritrasformeranno in semi.

Ogni volta che immergi le tue formazioni interne in un bagno di presenza mentale, i blocchi di dolore in te si fanno più leggeri e meno pericolosi. Dunque, immergi quotidianamente la tua rabbia, la tua disperazione, la tua paura in un bagno di presenza mentale: è questa la tua pratica.

In assenza della consapevolezza, l’affiorare di questi semi è sempre molto spiacevole; ma se sai generarne l’energia, invece, la pratica di invitare i semi a salire ogni giorno per abbracciarli è molto salutare. Dopo svariati giorni o settimane di questa pratica - far salire i semi ogni giorno e poi aiutarli a ridiscendere - avrai generato una buona circolazione nella tua psiche e i sintomi di disagio mentale, pian piano, spariranno.

La presenza mentale funziona come un massaggio delle formazioni interne, dei tuoi blocchi di sofferenza. Questi devono poter circolare liberamente, dentro di te: possono farlo soltanto se non ne hai paura. Se impari a non aver paura dei tuoi nodi di sofferenza, puoi imparare anche ad abbracciarli con l’energia della consapevolezza, e a trasformarli.” (Thich Nhat Hanh, Spegni il fuoco della rabbia, Mondadori)

venerdì 25 luglio 2014

In silenzio



"Per cesellare la tua giada, usa la pietra
cavata da un'alta montagna."
(Xiao Ya, Il Classico della poesia)

Non è facile godere di condizioni di silenzio interiore, perché il mondo esterno ci sommerge di rumori, di contrasti e di agitazioni perciò il silenzio interiore è un vero sollievo. Molti credono che il silenzio sia un annullamento della persona oppure l’assenza di interessi, ma il silenzio ha un forte valore spirituale.

Solitamente siamo abituati a disperdere le nostre energie e ci comportiamo come se fossero inesauribili, ma noi sappiamo che una delle leggi spirituali più importanti è il fatto che il nostro destino dipende da un buon uso delle nostre risorse.

Non è vero che possiamo fare ciò che vogliamo con le nostre energie, perché dobbiamo imparare ad usarle in modo utile per il nostro prossimo. I Maestri insegnano che dovremo render conto di come usiamo le nostre risorse, in quale direzione e in che modo le abbiamo utilizzate.

Quando leggiamo le concezioni delle scienze iniziatiche si dovrebbe metterle subito in pratica, altrimenti crederemo che anche le più grandi verità siano solo parole prive di forza. Dobbiamo usare le nostre conoscenze spirituali e sperimentarle nella vita concreta per migliorare la nostra condizione e quella degli altri.

Quando si legge che i pensieri ed i sentimenti collettivi formano una forza enorme detta “eggregora” noi ci dobbiamo immaginare la creazione di un essere spirituale dotato di grande potenza. Quando meditiamo e ci raccogliamo nel silenzio interiore anche noi lavoriamo per formare una eggregora che è fatta di luce e di pensieri gioiosi, positivi e benefici.

Il silenzio contribuisce a rinforzarci e ci aiuta a creare questa realtà di luce e di amore. Quando sentiremo veramente nostra questa realtà sapremo che il tempo che abbiamo passato in meditazione nel silenzio della nostra mente sono stati momenti preziosi che hanno contribuito al benessere generale.

Abbiamo bisogno di silenzio per disintossicarci dal rumore e dalla disarmonia del mondo, ma soprattutto abbiamo bisogno di passare più tempo nella natura, perché la natura è la nostra vera radice. Se passeggiamo in mezzo alla natura facciamo un tuffo nel più remoto passato degli uomini, quando sapevamo ancora vedere e comunicare con le forze degli spiriti della natura.

Adesso il nostro occhio spirituale è diventato ottuso, ma sentiamo ancora il benessere interiore che il contatto con il sole, con l’acqua e con gli altri ambienti naturali ci offrono. I suoni della natura non sono suoni sgradevoli come il frastuono del traffico, perché lo scorrere di un ruscello aumenta il nostro silenzio e la tranquillità interiore.

Molti confondono il silenzio con la solitudine, perché temono il silenzio avendo paura di restare soli con se stessi. In realtà, il vero silenzio è sempre pieno di presenze, perché tutto è abitato da forze spirituali. Se non vogliamo restare mai da soli dobbiamo amare il silenzio, perché questa condizione è la migliore per le forze spirituali che scappano dal frastuono e dal rumore.

La nostra mentalità materialistica ha posto le condizione peggiori per un rapporto con lo spirito. Le entità spirituali scappano dai luoghi dove vivono persone che non hanno rispetto, che sono grossolane e prepotenti, perché lo spirito ama i miti, i modesti e chi non ostenta il valore di se stesso.

Le mitologie che rappresentano la montagna come la sede degli dei affermano questi concetti. È chiaro che c’è sempre anche un significato simbolico ma, sostanzialmente, il fatto è vero. Più saliamo in alto e più aumenta il silenzio interiore, perché il silenzio aiuta a riflettere su cose profonde e complesse.

Le cime dei monti sono come grandi antenne, perché sono il luogo in cui il cielo e la terra sono vicini. Per questo motivo esistono luoghi che sono impregnati di luce e di potere spirituale in cui si può attingere il benessere fisico e psichico. L’ascensione al monte è sempre il simbolo dell’ascensione alle maggiori altezze spirituali.

Salire è come levare il peso di ciò che ci ingombra e ci limita finché, arriviamo al silenzio e alla pace del divino, dice il maestro Aivanhov. Discendere è l’immagine del ritorno al rumore, alla confusione e alla disarmonia dei conflitti interiori.

Quando siamo in mezzo alla natura possiamo avvertire la presenza di forze eterico-spirituali a cui dobbiamo avvicinarci con rispetto, amicizia e amore. Queste forze sentono l’atteggiamento interiore di chi le avvicina e lo ricambiano offrendo la pace, la luce e la loro energia.

Le forze della natura sono molto generose, perciò ritornando alla vita di tutti i giorni riporteremo con noi tanto benessere. E così non soltanto avremo guadagnato nuove energie, ma avremo anche contribuito a trattenere quegli esseri luminosi e potenti in mezzo a noi.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 23 luglio 2014

Verso il mare



Ho lasciato la mia casa tanto tempo fa
che ora non saprei riconoscere la mia faccia.
Ho costruito la Barca della Mia Vita
e mi incammino
verso il mare aperto
salutando tutti quelli che conoscevo
che il mare mi avrebbe dato
tutto quello che potevo gestire
e tutto ciò che non ho potuto
eppure li saluto, e io li ho stabiliti
in mare aperto
nella Barca della Mia Vita:
costruita dall’Anima, realizzata dal Cuore
e con grande innocenza mi sono spinta fuori,
verso il mare aperto,
e sono stato lontana da
casa mia così tanto tempo
che non riconoscerei la mia faccia
ma io so che Casa,
Casa
mi ricorda.

(Em Claire, 2006)

domenica 20 luglio 2014

Il tempo è un ruscello



“Il tempo non è che il ruscello dove vado a pescare.
Vi bevo; ma mentre bevo ne scorgo il fondo sabbioso
e vedo come sia poco profondo.
La sua corrente scorre via, ma l’eternità resta.
Vorrei bere profondamente e pescare nel cielo,
il cui fondo è ciottoloso di stelle.”
(Henry David Thoreau - Walden)

“I due anni trascorsi da Henry David Thoreau a Walden Pond sono stati soprattutto un esperimento personale di consapevolezza. Thoreau decise di mettere a repentaglio la sua vita per godere della magia e della semplicità dei momenti presenti. Ma voi non dovete cambiare la vostra vita o trovare un luogo particolare per praticare la consapevolezza. È sufficiente ritagliarvi un poco di tempo per stare tranquilli e per “non-agire” e per armonizzarvi con la vostra respirazione.

Tutto Walden Pond è nel vostro respiro, così come il miracolo del mutare delle stagioni, come i vostri genitori e i vostri bambini, il vostro corpo al mondo esterno. È la corrente vitale in cui non vi sono altro che pesciolini dorati. Per vederli occorre solo la lente della consapevolezza. Thoreau l’ha compreso con estrema chiarezza a Walden Pond. Il suo messaggio finale è stato: “Per noi spunta solo il giorno al cui sorgere siamo svegli.”

Per cogliere la realtà della nostra vita, dobbiamo essere vigili nel momento in cui la viviamo. Altrimenti giorni interi, forse tutta l’esistenza, potrebbero trascorrere inosservati. Un modo pratico per riuscirvi è quello di guardare gli altri e chiedervi se li vedete davvero o se li immaginate solamente. A volte i pensieri funzionano come occhiali dell’immaginario.

Quando li inforchiamo vediamo bambini, marito, moglie, lavoro, colleghi, soci e amici immaginari. Possiamo vivere in un presente immaginario rispetto a un futuro immaginario. Inconsciamente, coloriamo tutto, conferendovi la nostra impronta. Eppure, benché nell’immaginazione le cose possono cambiare e dare l’illusione di essere vive e reali, siamo pur sempre coinvolti in un sogno. Ma se togliamo gli occhiali, forse, proprio forse, potremo vedere con maggiore precisione che cose esiste veramente.

Per far questo Thoreau aveva sentito l’esigenza di ritirarsi in solitudine per un periodo di tempo prolungato (rimase a Walden Pond per due anni e due mesi). “Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare i fatti essenziali della vita e per vedere se non fossi capace d’imparare quanto aveva da insegnarmi e per non scoprire, solo in punto di morte, di non aver vissuto.” La sua convinzione più profonda: “Incidere sulla qualità del giorno è l’arte più degna … Non ho ancora incontrato un uomo che fosse completamento desto. Come potevo guardarlo in volto?”

(Jon Kabat-Zinn, Dovunque tu vada, ci sei già, Corbaccio ed.)

giovedì 17 luglio 2014

In fondo al pensiero



In fondo al pensiero
nei giardini della fantasia
ove non giunge un momento,
della notte che c'è, né del giorno,

passi, figura di sogno, dimentichi,
e sempre stai passando;
e sento un poco ridente
il mio viso pensoso ...

Perditi in chiaridiluna e viali
libera dalla mente in cui abiti,
dove fioriscono le ultime dalie
lontano dalle uniche ore.

(Fernando Pessoa)

martedì 15 luglio 2014

Esaltazione dell'ego



“In chi sa essere umile, la vampata d’orgoglio
si dissipa come bruma mattutina.”
(Dilgo Khyentse Rinpoche)

“L’orgoglio, esaltazione dell’io, consiste nell’infatuarsi di qualche qualità che abbiamo o pensiamo di avere. Sbarra il passo ai progressi personali, perché per poter imparare bisogna essere consapevoli della propria ignoranza. Come recita un adagio tibetano: “L’acqua delle qualità non rimane sulla roccia dell’orgoglio” al contrario: “L’umiltà è come un recipiente posato a terra, pronto a ricevere la pioggia delle qualità.”

L’umiltà è un valore trascurato nel mondo contemporaneo. Le riviste ci istruiscono continuamente su come apparire, affermarci e avere un atteggiamento vincente, tutto a scapito dell’essere. Questa ossessione dell’immagine che offriamo di noi è tale che non ci interessa quanto sia pertinente con la nostra persona, ma solo come ci fa sembrare agli occhi degli altri. Ora, quale immagine dare di noi stessi?

I politici e le persone di spettacolo dispongono di consulenti per la comunicazione, incaricati di costruire un’immagine che abbia successo presso il grande pubblico; a volte i consulenti insegnano persino come sorridere! Non importa se la facciata è il contrario di quello che si è veramente: l’importante è essere eletti, famosi, ammirati, adulati. I giornali dedicano sempre più spazio al mondo dello spettacolo , ai vip, alle cose in e a quelle out. Di fronte a questa orgia di frivolezza dell’io, che spazio ha l’umiltà? È una qualità da museo delle virtù desuete?

Il concetto di umiltà è spesso associato a una scarsa considerazione di sé e dei propri mezzi, alla depressione e al senso d’impotenza, se non a un complesso di inferiorità o alla sensazione di non meritare nulla. In questo modo si sottovalutano però i benefici dell’umiltà. Se la boria è l’appannaggio dello sciocco, l’umiltà è infatti la virtù di chi comprende quello che deve ancora imparare e il cammino che deve ancora percorrere.

Gli umili non sono persone belle e intelligenti che si danno da fare per sembrare brutti e stupidi, ma solo individui che non danno importanza al loro io. Non considerandosi l’ombelico del mondo, si aprono agli altri ponendosi nella giusta prospettiva dell’interdipendenza.

Sul piano collettivo, l’orgoglio si esprime con la convinzione di essere un popolo o una razza superiore, detentore degli autentici valori della civiltà, con il diritto di imporre il modello dominante ai popoli ignoranti. È questo un buon pretesto per “valorizzare” le risorse dei paesi sottosviluppati privandoli completamente di quel poco che possiedono. […]

Ma per quale motivo l’umiltà sarebbe una componente della felicità? L’arrogante e il narcisista si nutrono di fantasie lontane dalla realtà, quindi le inevitabili delusioni cui vanno incontro li portano a odiare se stessi per non essere stati all’altezza delle proprie aspettative, e danno un senso di vuoto interiore.

L’umiltà evita invece questi inutili tormenti grazie a una saggezza che allontana le sciocchezze dell’ego. A differenza dell’ostentazione, che ha bisogno di riscontri per sopravvivere, l’umiltà va di pari passo con una grande libertà interiore.

L’umile non ha nulla da perdere né da guadagnare. Se viene lodato, la considera una lode all’umiltà, e non alla sua persona. Se viene criticato, riflette che chi svela i suoi difetti gli rende il più grande dei servizi… e i saggi tibetani ci ricordano che “la migliore istruzione è quella che smaschera i nostri difetti nascosti.”

L’umile, senza speranza né timori, mantiene un’indole spensierata. L’umiltà, inoltre, è un atteggiamento fondamentalmente rivolto agli altri e al loro benessere. Alcuni studi di psicologia sociale hanno dimostrato che le persone con una stima eccessiva di sé presentano una tendenza all’aggressività superiore alla media.

È stato anche evidenziato un nesso tra umiltà e capacità di perdonare: chi si considera superiore giudica con maggiore durezza gli errori degli altri e non perdona facilmente. Per paradossale che possa sembrare, l’umiltà influisce positivamente sulla forza di carattere: l’umile decide in base a ciò che ritiene giusto e vi si attiene, senza preoccuparsi né della sua immagine né dell’opinione altrui. Come dice un detto tibetano: “Esteriormente è dolce come un gatto accucciato in grembo, ma interiormente è difficile da piegare quanto un collo di yak.”

Questa determinazione non ha nulla a che vedere con l’ostinazione e la testardaggine. È la lucida percezione dello scopo che ci siamo prefissati: inutile cercare di convincere un tagliaboschi che conosce perfettamente la sua foresta, a fare una strada che conduce al precipizio. L’umiltà è una qualità che ritroviamo immancabilmente nei saggi. È paragonata ad un albero carico di frutti, i cui rami si piegano verso il suolo.

Il vanesio, invece, assomiglia di più a un albero spoglio i cui rami si protendono orgogliosamente verso l’alto. L’umiltà non tratta mai nessuno dall’alto in basso. […] Spesso gli occidentali si sorprendono nel sentir dire a grandi eruditi e saggi orientali: “Non so niente, non ne suo nulla.”

Credono che si tratti di falsa modestia o di un’abitudine culturale. In realtà nessuno di questi saggi oserebbe mai pensare: “Sono un erudito.” Lo spontaneo disinteresse che hanno per la propria persona non gli impedisce però, quando viene posta loro una domanda specifica su un aspetto filosofico complesso, di rispondere volentieri e senza ostentazione, con la competenza delle loro conoscenze e della loro saggezza. Si tratta di un atteggiamento naturale che, se ben interpretato è toccante e talvolta anche comico, come dimostra un episodio di cui sono stato personalmente testimone.

Un giorno due dei più grandi eruditi del Tibet andarono a far visita a Dilgo Khyentse Rinpoche, che si trovava in Nepal. L’incontro di quelle persone straordinarie era piacevole, gioioso e vivace. Durante la conversazione, Khyentse Rinpoche chiese a entrambi di donare degli insegnamenti ai monaci del nostro monastero.

Uno dei due saggi rispose con candore: “Oh, ma io non so niente!” per aggiungere subito dopo, riferendosi al suo collega: “E nemmeno lui sa niente!” Aveva dato per scontato che anche l’altro erudito avrebbe risposto così! Cosa che fece annuendo con grande vigore.” (Matthieu Ricard, Il gusto di essere felici, Sperling Paperback, 2008)

sabato 12 luglio 2014

La pillola del risveglio



Il prefetto Dong non aveva compiuto 40 anni quando una febbre maligna lo portò alla morte in pochi giorni, e quella non fu che l’ultima disgrazia di tutte quelle che si erano accanite su di lui. La prima sventura fu la morte della moglie avvenuta durante il parto del primo figlio deceduto con la madre.

Il prefetto si era risposato con una giovane che si era rivelata un’amabile moglie, ma ora il matrimonio finiva prematuramente con la sua morte. La giovane vedova era inconsolabile, perché la morte del marito la colpiva in modo doppio. Non solo perdeva un uomo eccezionale ma anche un marito piacente, buono e virtuoso che la lasciava senza avere avuto un erede.

Per i cinesi di quei tempi non c’era disgrazia maggiore di morire senza lasciare degli eredi che coltivassero il culto degli antenati e mantenessero dei buoni rapporti con il Mondo dell’Aldilà. Per tutto il giorno e la notte la giovane vedova aveva vegliato sulla salma piangendo tutte le sue lacrime.

All’alba si era appisolata accanto al corpo del defunto, ma quando i primi raggi di sole penetrarono tra le imposte della finestra, il morto emise un gemito e poi il cadavere si mise a sedere. La donna si svegliò di soprassalto e vide che il morto la stava fissando, perciò urlò di terrore credendo di vedere la possessione del corpo da parte di uno spirito maligno.

Al frastuono e alle grida della vedova che avevano spezzato il silenzio del mattino accorse tutta la casata. Davanti agli occhi sbalorditi dei familiari e dei servi accorsi, il morto disse: “Ho tanta sete, datemi da bere!” L’uomo si sistemò meglio sui cuscini quando i servi gli portarono un the al ginseng.

Mentre stava sorseggiando la bevanda, il risorto chiese che si prendesse nota di quello che avrebbe detto, perché avrebbe raccontato uno strano sogno. Il prefetto raccontò che la notte passata, all’incirca verso la terza veglia, aveva sentito qualcuno che lo chiamava dall’esterno. Era uscito sulla veranda e aveva visto che le sentinelle giacevano addormentate, poi aveva visto un uomo in giardino.

Lo sconosciuto era vestito come un funzionario di rango elevato e stava accanto ad una carrozza bianca trainata da cavalli dal manto candido come la luce della luna. Il funzionario gli aveva detto che lo chiamavano per una convocazione ufficiale, perciò doveva andare subito con lui. Senza dargli neppure il tempo di mutarsi di abito, l’aveva afferrato per un braccio serrandolo con una stretta di ferro.

L’aveva fatto salire nella carrozza che era partita veloce come un fulmine. Avevano superato il portone aperto della prefettura e si erano lanciati a folle velocità nel buio della notte. Appena fuori, era sorta una nebbia lattiginosa che aveva coperto la vista del paesaggio fuori dal finestrino.

Avevano viaggiato a lungo, e quando la nebbia si era dissipata Dong aveva visto che la carrozza era arrivata ai piedi di un’alta muraglia color grigio ferro che cingeva una grande città. Quando erano arrivati davanti a un grande portone vide che era affiancato da due alte torri in cui vi erano infilate delle lance con teste mozzate e pelli umane scorticate che sventolavano come macabri vessilli.

Il portone si era aperto e fecero ingresso nella città che era disposta lungo grandi strade su cui si affacciavano molte abitazioni, templi, palazzi e uffici pubblici. Il carro si era fermato davanti ad un palazzo che sembrava un tribunale dove il prefetto dovette salire lungo uno scalone monumentale, sempre accompagnato dalla sua misteriosa guida.

Quindi fu accompagnato nel salone delle udienze dove c’era una lunga scrivania dietro alla quale sedevano tre giudici e uno scriba che prendeva nota delle udienze e leggeva i grandi registri. Un giudice disse rivolto all’impiegato: “Cancelliere, leggeteci il registro nero alla pagina del prefetto Dong funzionario dell’Impero di Mezzo!”

Il cancelliere iniziò a consultare un volume che sfogliò più volte, girando e rigirando le pagine, ma senza successo. Allora il giudice sbottò: “Allora cosa aspetti? Sbrigati che oggi siamo pieni di casi!” L’attesa divenne eccessiva perfino per la burocrazia e la pazienza celeste, perciò il magistrato divenne più nervoso: “Cancelliere, allora? Vuoi farti un sonnellino sulle pagine di quel registro?”

E mentre il giudice gridava faceva svolazzare nervosamente l’ampia manica della tunica contro il pover’uomo che rigirava le pagine senza trovare il nome del prefetto. Il giudice diventò amichevole: “Se non lo trovi, allora guarda nel registro dei Casi Controversi. Il tribunale è pieno di lavoro perciò la pratica sarà fuori posto!”

Il cancelliere consultò un libro rosso e disse: “Eccolo! L’ho trovato finalmente, Vostro Onore! Il Prefetto Dong è stato funzionario onesto e integerrimo dell’Impero di Mezzo. Uomo virtuoso, onesto, marito esemplare e personaggio notevole per compassione e gentilezza. È un caso raro di integrità morale nell’amministrazione del potere. Ha fatto sempre del bene come ha potuto e si è prodigato per aiutare senza discriminare nessuno e senza premettere il vantaggio personale. Muore prima di aver celebrato il 40° compleanno e senza lasciare eredi.”

Dopo la lettura della nota, i giudici parlarono tra loro poi il presidente disse in tono solenne: “Deve esserci un errore! Siamo davanti alla negligenza imperdonabile di un funzionario dello Stato Civile del Destino. È chiaro che c’è un’ingiustizia! Un uomo meritevole non può morire senza lasciare eredi, e per giunta nel fiore degli anni. Se non poniamo rimedio al caso si rischia di creare un precedente negativo per tutta l’umanità, perché si può dissuadere dal fare il bene. Abbiamo deciso di presentare una mozione a Sua Maestà Yan Luo, il Re degli Inferi. Intanto che attendiamo l’esito, si porti il prossimo caso!”

In quel mentre il prefetto pensò bene di chiedere qualche delucidazione alla sua guida: “Perdonatemi per la mia curiosità, ma adesso che succede? Da come capisco siamo nel tribunale infernale. Devo pensare di essere morto? E adesso cosa mi vogliono fare, voi credete che mi succederà qualcosa di male?”

Il messaggero gli mise una mano sul braccio e gli rispose: “State tranquillo, per voi va tutto al meglio. Siete un uomo fortunato. La vostra pratica è capitata nelle mani giuste. Siete davanti al migliore dei 24 tribunali infernali, perché questi sono giudici molto benevoli e onesti. Siete stato inserito nel registro rosso in cui sono messi gli uomini virtuosi che sono in condizioni irregolari rispetto al destino. Qui non servono le monete d’oro, gli incensi, le preghiere o le raccomandazioni, perché nulla influenza questi giudici. Avete le migliori speranze di tornarvene a casa.”

Mentre gli diceva questo, le guardie portarono un mandarino che vestiva con una veste di seta rossa e che ostentava i dischi di giada che attestavano il rango di alto funzionario. Il presidente del tribunale celeste ordinò allo scriba: “Cancelliere, illustrateci la pratica!”

Il cancelliere aprì il registro nero e lesse una nota: “Zhen Li, ministro della giustizia dell’Impero di Mezzo. Ha tramato per allontanare i suoi colleghi e per fare carriera. Ha approfittato della sua carica per arricchirsi e per aumentare il suo potere. È colpevole di corruzione, concussione, falsa testimonianza, diffamazione, atti di lussuria, rapimento, tortura e condanna a morte di innocenti. Morto nel suo letto senza mostrare il minimo rimorso.”

I giudici si consultarono e sentenziarono: “Avendo disonorato il sacro ufficio dei doveri assegnati dal Figlio del Cielo, il presente Zhen Li viene condannato a subire tutte le torture che ha inflitto agli altri. Sarà rinchiuso per 4 cicli terrestri nel 9° cerchio inferiore degli Inferi. In quel soggiorno potrà purificare i suoi 5 elementi, poi dovrà reincarnarsi sotto forma di cane poi come asino e infine in una famiglia povera!”

Il condannato protestò furiosamente e professò la sua innocenza affermando di essere vittima di un errore giudiziario. Poi urlò che aveva diritto di ricorrere in appello contro l’ingiusta condanna e arrivò a minacciare i giudici, perciò accorsero le guardie infernali e alcuni demoni con teste di porco, di cavallo e di rettile che immobilizzarono il forsennato perché si dibatteva come un ossesso. Quando lo ebbero legato e imbavagliato per bene, il giudice gli disse:

“Sappiate che ogni particolare della vostra vita è esatto. Vita, morte e miracoli di ogni vita sono scritti nei nostri registri. A noi non sfugge nulla di quello che fanno gli uomini. La lista delle azioni umane è minuziosamente verificata prima che si istruisca il processo della vita che si è conclusa. La nostra giustizia è implacabile ma è giusta, perché il merito viene premiato e il delitto è sempre punito. Ma, ora per rinfrescarvi la memoria e porre fine alle proteste che venga portato lo Specchio della Verità!”

Un addetto portò uno specchio in cui il condannato dovette rivedere gli orrori e gli odiosi crimini di cui si era reso colpevole. Poi, con un ampio svolazzo della sua manica il giudice fece portare via il condannato. In quel momento arrivò un messaggero con un plico che consegnò al giudice. Il magistrato aprì il messaggio, lo lesse e poi fece cenno al prefetto Dong di avvicinarsi per ascoltare la sentenza:

“Ricevo la risposta di Sua Maestà Yan Luo, il Re degli Inferi. Sua Maestà mi informa che ha mandato il vostro dossier al Celeste Imperatore in persona, e che la Sua Serenissima Grandezza nella sua Immensa Benevolenza e Saggezza ha deciso di rimandarvi indietro. Avete una proroga di vita di 2 cicli di 12 anni da vivere ancora nella presente incarnazione, e poi vi si concede anche una degna discendenza.” Dong concluse il racconto dicendo: “Dopo quelle parole sono svenuto e mi sono risvegliato nel mio letto con mia moglie che urlava!”

Dopo un anno dalla resurrezione, il prefetto ebbe la gioia di avere la nascita di un figlio che, a sentire l’indovino, aveva i segni di un alto destino. E, in omaggio allo strano sogno del padre, al bimbo fu messo il nome di Dono del Cielo. Il prefetto Dong fece di tutto perché quel figlio tanto desiderato fosse degno erede delle sue aspirazioni, perciò cercò di inculcargli i più alti e nobili principi. Ma il rampollo si mostrò allergico allo studio dei classici e poco amante della pratica delle virtù paterne.

Il giovane Dono del Cielo preferiva frequentare le taverne e gozzovigliare con i vagabondi. Invece di studiare si ubriacava insieme ai poeti libertini e ai giocatori da bisca. Aveva un carattere impulsivo e arrogante, perciò teneva testa ai rimproveri del padre che cercava di richiamarlo al dovere. Il genitore lottava ma poi cedeva, perché amava troppo quel figlio così lungamente atteso.

Con il dispiacere di tutta la famiglia, il ragazzo fu bocciato agli esami di letterato, perciò il dono del cielo si dimostrò essere, con il tempo, un dono avvelenato. Il prefetto restò vittima del suo buon cuore e fu troppo debole perciò non riuscì a fronteggiare le maldicenze dei colleghi invidiosi.

Quindi cadde in disgrazia, perse l’incarico prestigioso e fu trasferito in una remota provincia per svolgere un incarico più oscuro e meno remunerato. Il figlio finì per rovinarlo facendo ingenti debiti di gioco che il padre volle onorare perdendo così anche le ultime sostanze. E come era stato promesso, quando furono trascorsi 24 anni dalla misteriosa resurrezione, il prefetto passò a miglior vita.

Divenuto capofamiglia, Dono del Cielo pensò che fosse meglio correggere il suo tenore di vita. Ormai era troppo povero per riprendere gli studi perciò pensò che fosse meglio cercare un lavoro per mantenere la famiglia. Cercò e bussò a tutte le porte ma la sua cattiva fama era diffusa e nessuno gli diede un lavoro, neppure modesto.

Una notte vagava solitario e disperato quando incrociò un anziano eremita dai capelli bianchi. Il vecchio sembrava un taoista errante che camminava appoggiato ad un bastone tutto ritorto. Quando si incrociarono, lungo la strada, il vecchio lo fissò e poi lo chiamò per nome e gli disse:

“Io vi riconosco! Un tempo vostro padre, il prefetto Dong, mi salvò la vita. Io mi chiamo Tan Jinxuan e non l’ho dimenticato. Vedo che siete messo male, perciò andate nella capitale dello Shanxi e presentatevi a mio nome dalla famiglia Huang. Là vive una fanciulla chiamata Fiore di Giada. Io sono suo padre e so che vi è stata destinata e che vi porterà fortuna. Sarei onorato se divenisse vostra sposa.”

Dono del Cielo restò immobile per lo stupore. Quando si riscosse vide che lo sconosciuto era scomparso nel buio di un vicolo. Il giovane prese la strada che lo portava nella ricca famiglia degli Huang, i cui membri furono molto stupiti di sapere che il ragazzo aveva incontrato l’anziano Tan che si era ritirato sulla montagna sacra degli Immortali ormai da molto.

Non avevano più sue notizie da tanti anni che lo credevano morto, ma la descrizione che il ragazzo fornì era esatta. Dono del Cielo, per pudore, omise di rivelare la promessa di sposare Fiore di Giada. Passarono i mesi e, non volendo deludere i suoi ospiti, il ragazzo si applicava con scrupolo nell’assolvere ai suoi doveri. Si conquistò la stima generale tanto da farlo apparire come il perfetto marito della figlia maggiore che sembrava in età giusta per maritarsi.

La ragazza si chiamava Fenice e rispondeva perfettamente ai canoni di bellezza validi in quei tempi. Era un esempio di virtù e di bellezza, di grazia e di premura. Era dolce ma anche vivace e affettuosa, e poi si muoveva come un flessuoso salice. La sua pelle era bianca come una pesca vellutata, le sue labbra erano rosse e aveva piccoli denti candidi come perle. I suoi occhi erano neri e profondi come due perle nere rubate dal tesoro del re Drago dei Mari del Sud.

I due giovani sembravano avere attrazione reciproca e sembravano intendersi a meraviglia. I genitori aveva fatto degli accenni velati su un parere favorevole, perciò c’era stata più di un'allusione velata alla loro possibile unione. Dono del Cielo faceva gli orecchi da mercante perché si sentiva obbligato alla promessa fatta al suo benefattore, cioè di sposare Fiore di Giada.

La cosa procedeva così, finché si arrivò alla cena di una sera in cui il discorso cadde apertamente sul matrimonio. A quella cena era presente tutta la casata degli Huang perciò Dono del Cielo si trovò incastrato, e fu costretto a svelare il suo segreto. Alla rivelazione scoppiò una risata generale, e poi la bella Fenice spiegò: “Scusaci tanto Dono del Cielo se ridiamo così, ma la cosa è troppo curiosa. Devi sapere che il mio vero nome è Fiore di Giada e che io sono la figlia di Tan Jinxuan. Dopo la morte di mia madre, mio padre era diventato troppo povero per allevarmi e mi fece adottare da suo cugino Huang che mi ha cambiato nome per allontanare la sventura che sembrava accanirsi sulla mia famiglia. Come vedi il nostro matrimonio è veramente predestinato!”

E il matrimonio avvenne in pompa magna per accrescere la felicità di tutti. L’unione con Fiore di Giada segnò la svolta positiva per Dono del Cielo a cui la nuova posizione economica permise di riprendere gli studi. Il risultato fu che venne sempre promosso con ottimi voti, perciò si classificò primo dei diplomati della provincia.

Questo successo gli permise di andare nella capitale per tentare il concorso da mandarino che superò con le congratulazioni di tutta la commissione. Ebbe un parere così encomiabile che fece carriera fino a essere notato dal Figlio del Cielo che gli affidò il ministero della Giustizia. Ma la sua carriera era avanzata in modo tanto veloce che lui fu travolto dall’ebbrezza del potere.

La posizione che aveva conquistato rinvigorì la sua presunzione e gli ridestò l’antica arroganza. Una volta che ebbe ritrovato l'orgoglio e la prepotenza passate volle vendicarsi di chi aveva rovinato il padre. Perseguitò chi lo avevano perseguitato, li rovinò a sua volta e li fece destituire, esiliare o condannare a pene capitali.

Molti di quelli che lui rovinò, si suicidarono. Le persecuzioni gli fecero nascere il timore di restar vittima di complotti o cospirazioni. Voleva la carica di Primo Ministro perciò si mise a complottare arruolando una squadra di spie che si infiltrò in tutti gli ambienti tenendolo informato sui segreti di tutti.

E senza esitazione, usò ricatti e manipolazioni di ogni tipo finché il giovane ministro si trasformò in un’abile volpe della politica. La sua influenza si estese al punto che entrò nelle simpatie dell’Imperatrice e del gineceo imperiale. Più si sentiva vicino alla carica che voleva più fingeva disinteresse, perché sfruttava l’arma della retorica mandarina di dissimulare sempre i propri obiettivi.

E venne il giorno in cui un mendicante si presentò alla porta del suo palazzo e chiese una udienza, ma le guardie lo volevano cacciare. Però quello, mentre era scacciato vide che Dono del Cielo usciva in cortile e stava per salire in carrozza. Lo chiamò urlando: “Ehi, Dono del Cielo! Guardami, sono io, sono il tuo vecchio amico! Ti voglio parlare e questi sbirri mi vogliono cacciare!” Il ministro si girò per guardare chi fosse quello che aveva gridato e vide un misero accattone, perciò fece un gesto infastidito per cacciarlo.

Ma il mendicante urlò ancora più forte: “Sei diventato troppo famoso vero? Il figlio di Dong non ha tempo per parlare con un vecchio amico. Cosa fai, ora ti puoi permettere di disprezzare le vecchie conoscenze, e solo perché sei famoso? Mi fa male vedere come la nostra vecchia amicizia sia rinnegata. Vostra Eccellenza è diventata un ministro con la veste rossa e la cintura di giada! Ti ricordavo più modesto quando si beveva e si rideva insieme!”

Il ministro credeva di avere incontrato un compagno di bisbocce di cui non si ricordava, ma quel passato non era molto adatto da riportare in vita nella sua attuale posizione perché non voleva scandali. Allora decise che era meglio lasciar passare il seccatore e cercare di liquidarlo senza fare troppo rumore. Credeva di poterlo liquidare con qualche moneta d’oro senza far sapere gli affari suoi a tutti.

Quando lo vide meglio, Dono del Cielo vide un uomo strano che usava un ramo ritorto come bastone. Il suo viso era incorniciato da una barbetta sale e pepe e dal ciuffo di una capigliatura tutta impolverata che era coperta da un rozzo berretto che teneva inclinato verso una tempia. Il suo vestito era logoro e polveroso, perciò Dono del Cielo pensò che fosse un povero diavolo caduto in miseria.

Lo sconosciuto gli rivolse un sorriso complice e poi disse: “Vedo che l’oblio è un nettare per questo mondo così mutevole. Eccoti incastrato in una situazione molto incresciosa. Non c’è che dire, non te la passi bene. E no, proprio per nulla! Hai proprio preso un pessimo andazzo che rischia di portarti fuori strada.

Puoi ringraziare il tuo vecchio amico che è accorso in tuo aiuto. Io ho ritrovato la strada, anche se ho impiegato due terzi del tempo che ho vissuto. Ma non restiamo qui dove ci possono vedere.” Lo strano mendicante si guardò intorno e poi lo trascinò in un angolo della veranda dove riprese a parlare:

“Ecco qui siamo al sicuro da occhi e orecchie indiscrete! Travestito così sono irriconoscibile, ma lo sai il rischio che sto correndo in nome della nostra vecchia amicizia? Per te sto infrangendo un divieto celeste, perché in linea di diritto, non dovrei aiutarti. Ma io non vedo l’ora che ti risvegli alla vera Realtà e che tiri fuori la testa dalla melma delle illusioni e compia la tua missione. Adesso rischi di dover vivere molte vite per salvarti, e ci vorrà troppo tempo prima che torniamo a gozzovigliare al Banchetto degli Immortali. Senza di te rischierei di annoiarmi troppo, perciò eccomi qui!”

Il ministro guardava lo stravagante personaggio con molta compassione per via di quella follia generosa e affettuosa. Il timore dello scandalo lo frenava dal farlo scacciare in malo modo. Poi vide che il mendicante estraeva una scatoletta da cui prese una pillola rossa e continuò: “Ecco guarda, l’ho fabbricata nel mio forno alchemico, apposta per te! È una Pillola del Risveglio, fatta con cinabro purissimo. Non devi fare altro che prenderla e l’occhio del tuo Spirito si aprirà. Forza, mandala giù!”

Dono del Cielo guardò le sue dita sporche e poi farfugliò un cortese rifiuto. L’uomo gli disse: “Ma quanto sei scemo! Il tuo Spirito è così ottenebrato da rifiutare il consiglio di un vecchio amico?" Il ministro aprì allora le sue labbra disgustate come se volesse dire qualcosa, e il mendicante ne approfittò per lanciargli in bocca la pasticca.

La pillola gli si sciolse subito in bocca, e Dono del Cielo sentì un fuoco liquido che scendeva in tutto il corpo. Sembrava che un magma incandescente gli scorresse nelle sue vene, finché venne l’esplosione! Poi tutte le cose furono diverse. Tutto diventò così chiaro e luminoso che lui si ricordò chi era veramente e quello che doveva fare su questa terra.

Riconobbe il suo vecchio amico e insieme scoppiarono in una bella risata mentre si abbracciavano felici. Avevano le lacrime agli occhi per la gioia di essersi ritrovati, poi il ministro invitò l’amico a cena in casa sua e trascorsero la notte a ricordare i bei tempi in cui vivevano nel Palazzo di Giada che è il più gradevole soggiorno dei Beati.

I frutti della terra sono dolci ma non possono eguagliare l’ambrosia contenuta nelle Pesche dell’immortalità. Dono del Cielo e il suo amico erano stati due giovani Immortali addetti al servizio dell’Imperatore Celeste. Il primo come ciambellano di corte e il suo amico come coppiere. Insieme si erano ubriacati e avevano riso e corteggiato tutte le dame celesti superando i limiti della convenienza.

Avevano folleggiato senza posa tra le Dame dell’Imperatrice di Giada, finché il loro servizio divino ne aveva risentito. L’Imperatore, indignato, li aveva esiliati e condannati a incarnarsi nel mondo per compiere una sacra missione, e non sarebbero potuti ritornare senza avere assolto a quel compito.

La missione del ciambellano ora ministro era quella di aiutare il Figlio del Cielo a restaurare l’amore della virtù e della giustizia nel Paese di Mezzo. La missione del suo amico era quella di dover accompagnare al risveglio e alla fusione nel Tao tre dozzine di mortali. Lui aveva concluso la sua missione, ma prima di partire aveva visto dov'era il suo amico.

Aveva visto che l'amico era rimasto intossicato dalle emozioni umane e che quei veleni lo stavano lentamente sommergendo. Se continuava in quel modo rischiava di errare a vuoto per molte vite. Per questo aveva deciso di aiutarlo prima di tornare nella corte celeste. In effetti, dopo la visita dello strano mendicante, Dono del Cielo rinunciò alle sue trame e fece carriera in modo onesto.

Diventò il Primo Ministro e il primo consigliere dell’Imperatore di Mezzo onorando la memoria del padre. Perseguitò i favoritismi e la corruzione, risollevò l’amministrazione statale e la consolidò con il cemento della giustizia, dell’equità e dell’integrità. Per molti decenni il Paese di Mezzo fu un santuario di pace, giustizia e prosperità.

Furono favoriti i poeti, i pittori e gli artisti, perciò Dono del Cielo trasformò in realtà la promessa del suo nome. Il ciambellano riebbe l'amico, e siccome l’avventura terrestre gli aveva dato quella briciola di saggezza che gli mancava, riuscì a fare carriera. Secondo certi medium, sembra che ora sia primo ministro e che viva con Fiore di Giada nella loro casa stellare sulla riva del Fiume d’Argento che è il nome cinese della Via Lattea.

Buona erranza
Sharatan

martedì 8 luglio 2014

Un percorso di guarigione



“Il dolore è un messaggero. Porta consapevolezza. Ti dice dove e come hai tradito te stesso. Ciò è molto importante. Finché non ti rendi conto del male che ti sei fatto, il viaggio di guarigione non può avere inizio. Il dolore non è una punizione; è un richiamo a diventare consapevoli, a portare la sofferenza nascosta al livello della coscienza.

Non è facile riconoscere il proprio dolore e la richiesta di amore che vi sta dietro. Ma è così che si guarisce. Diventi consapevole degli aspetti oscuri e reietti del tuo sé e li porti al livello della consapevolezza. Li redimi. Porti il buio verso la luce.

La maggior parte di voi proietta quello che non gli piace o teme sugli altri. Se hai paura del tuo potere, lo proietti su qualche potente figura carismatica attraverso la quale cerchi di vivere. Quando quella persona si approfitta di te o ti tradisce, dimentichi che sei stato tu a rinunciare al tuo potere per darlo a lei.

Rivendicare tutto di te significa affrontare le parti di te di cui hai paura o ti vergogni. Gli altri che incarnano queste qualità si limitano ad aiutarti a scoprirle in te stesso. Per questo la relazione è uno strumento così importante nel lavoro verso l’integrazione interiore.

Accusare gli altri ti impedisce di guarire. Se vuoi guarire, prenditi la responsabilità del tuo comportamento e riconosci la struttura di abuso in cui sei occupato. Arriva a comprendere il modo in cui la tua scarsa autostima invita la violazione e impara a valutare e apprezzare te stesso.

Ricorda, ogni relazione malata ti offre l’opportunità di dire no a ogni mancanza di rispetto. Dire no a un’altra persona, naturalmente, implica la consapevolezza di avere avuto la tendenza a dire “sì” nel passato. Sei tu che crei le condizioni per l’abuso accettando un amore condizionato. Dici di sì alla denigrazione di te stesso in cambio della sicurezza e dell’approvazione che desideri. Dici di sì alla paura in cambio dell’amore. Ora sai che non funzionerà.

L’amore non può diventare una merce di scambio. Quando l’amore ti viene dato senza condizioni, lo sai. Non ti chiede più di quello che puoi dare. Non manipola né ha pretese. Ti accetta come sei e ti benedice. Se non se capace di creare questa benedizione per te stesso, come puoi riceverla dagli altri?

Mettila in pratica. Pratica l’accettazione di te stesso per come sei. Solo dopo saprai cos’è l’amore e lo riconoscerai quando entrerà nella tua vita. Se ti ami senza condizioni, attirerai altri nella tua vita che faranno lo stesso. Non puoi ricevere dagli altri quello che non sei capace o non sei disposto a concedere a te stesso. […]

Rifiuta tutte le condizioni con cui ti offrono amore e attenzione. Aggrappati alla verità del tuo cuore, e non accettare mai meno di quello che ti sei promesso. Con il tempo arriverà, perché sei rimasto fedele a te stesso. Dato che hai ascoltato il richiamo del tuo cuore, l’amato apparirà senza farsi annunciare alla tua porta.

Questa non è una formula magica, ma il frutto di una pratica spirituale consapevole. Agli occhi dello Spirito tutte le persone sono uguali. Il ricco non ha più felicità del povero. Il dolore è un grande uguagliatore. Ti mette in ginocchio. Ti rende più umile e sensibile ai bisogni degli altri. Erode tutte le gerarchie.

Se hai toccato il dolore nel profondo, lo sai. Provi compassione nel vedere gli altri che soffrono. Non hai bisogno di spingerli via e neppure di tentare di salvarli. Puoi limitarti a tenerli nel tuo cuore. Offri loro un abbraccio e parole di incoraggiamento, sai cosa stanno passando.

Se non sei entrato in contatto con il tuo dolore, stai solo rimandando l’inevitabile; è solo questione di tempo prima che tu debba riconoscere con te stesso, se non con gli altri la tua biancheria sporca: i tuoi giudizi, le tue paure, il tuo bisogno degli altri, i tuoi pensieri suicidi.

Per molte persone è più facile lasciare che gli altri vedano la maschera che si sono appiccicate addosso piuttosto che il volto contorto che essa nasconde. Sono orgogliose dell’adulto spirituale, ma si vergognano del bambino ferito. Tuttavia, quelli che hanno il coraggio di affrontare la loro paura si tirano giù la maschera. Si danno il permesso di essere autentici e di crescere. La loro disponibilità a essere presenti alle emozioni con quello che sentono apre un passaggio sacro.

Cuori chiusi cominciano a battere, i corpi a respirare e le energie bloccate vengono liberate. Questo è il primo passo nel processo di guarigione. Altri passi seguiranno, perché la guarigione significa movimento. Non significa innamorarsi del dolore, aggrapparvisi o costruirci intorno la propria identità.

Il dolore è il grande uguagliatore. Ti permette di essere onesto e autentico. Ti dà la forza di chiedere amore incondizionato e sostegno dagli altri, e la volontà di offrire lo stesso in cambio. Ti mette in contatto con la comunità guaritrice degli esseri umani il cui guscio di negazione si sta spaccando.

L’attaccamento al dolore è malato quanto la sua negazione. Eppure alcune persone vedono che il loro dolore procura loro attenzione. Costruiscono tutta a loro identità attorno al loro essere vittime. Tuttavia, la persona autentica non è un affabulatore professionista. E non è un artista della confessione. Non ha bisogno di essere al centro dell’attenzione per sentirsi bene con se stesso.

La persona autentica racconta la sua storia perché il raccontarla è un atto di guarigione. La racconta e arriva a una comprensione più profonda e ad un’accettazione di quanto è avvenuto. Mentre guarisce, con lui guariscono anche gli altri. Nel momento in cui hai integrato la tua esperienza non hai più bisogno di raccontare la tua storia.

Se insisti nel farlo, essa diventa una stampella su cui appoggiarsi, anche se le tue gambe sono guarite. L’accettazione del dolore genera un movimento di allontanamento dal disagio verso un maggiore agio. Ti permette di fare il prossimo passo del tuo viaggio. Mentre il dolore e la sofferenza sono fenomeni universali, essi sono tuttavia temporanei.

Toccano ogni vita prima o poi, ma non sono compagni costanti, sono messaggeri. Dire che il messaggero non c’è quando sta davanti alla tua porta, è vera stupidità. Devi aprire la porta e sentire quello che ha da dirti. Ma, dopo che il messaggio si è sentito, il messaggero se ne può andare. Il suo lavoro è finito.” (Paul Ferrini - Io sono la porta – Macro ed.)