mercoledì 30 dicembre 2015

Abida Parveen & Rahat Fateh Ali Khan




Abida Parveen è una cantante pakistana di origini Sindhi che viene considerata una delle esponenti più significative della musica Sufi contemporanea. Le sue canzoni sono essenzialmente "ghazals" cioè canzoni d'amore in Urdu e "Kafi" ossia canzoni in cui la voce è accompagnata solo dalle percussioni e dall’armonium sulla base di poesie Sufi. Parveen canta sia in Urdu che in Sindhi, Saraiki, Punjabi e Persiano, e insieme al grande Nusrat Fateh Ali Khan viene considerata una delle voci Sufi più belle di sempre.

In questo video Parveen viene accompagnata da Rahat Fateh Ali Khan che è un cantante pakistano soprattutto di Qawwali cioè di musica devozionale dei musulmani sufi. Egli è il nipote di Ustad Nusrat Fateh Ali Khan ed è il figlio di Ustad Farrukh Fateh Ali Khan, ma è anche il nipote del leggendario cantante Qawwali, Fateh Ali Khan. Oltre che nel qawwali, si esibisce anche nel ghazals e nella musica leggera. Due voci stupende eseguono insieme un brano di struggente bellezza. Questo è il testo della canzone tratta da una poesia scritta dal famoso poeta Sufi, Amir Khosrow, intitolata: "Ogni traccia di me"

Ho puntato tutto quello che ho –
la mia ricchezza, il mio corpo, la mia anima
e la fortuna ha riversato le sue benedizioni su di me
Ognuno fa un gioco di devozione

Devozione
Devozione
Devozione

Ognuno fa un gioco di devozione
Ma la vera devozione non viene raggiunta

Potrai conoscere il vero significato della devozione
Quando vi dedicate al vostro maestro spirituale
Maestro
O mio maestro

Khusrow, il gioco dell'amore
Se io gioco con il mio caro
Se vinco, il mio amore è mio
Se perdo, sono ancora con il mio caro

Hai portato via ogni traccia di me
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Hai portato via ogni traccia di me
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Hai portato via ogni traccia di me

Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli

O se non si accetta di parlare con me
O se non si accetta di parlare con me
O se non si accetta di parlare con me
o meno ...

O se non si accetta di parlare con me
O se non si accetta di ascoltare
non mi lascerà il tuo fianco, la mia amata bruna

Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli

Hai portato via ogni traccia di me
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Hai portato via ogni traccia di me

Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli

Hai portato via ogni traccia di me
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Mi hai intossicato con uno sguardo dei tuoi occhi incantevoli

Hai portato via ogni traccia di me
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
La notte di festa del Profeta è spuntata
La notte è spuntata
La notte è spuntata
La notte di festa del Profeta è spuntata

Venite e lasciare che la sua schiava si offra nella sua sfumatura di toni
Qualunque velo colorato lei abbia scelto
Beata divenne la sua fortuna
Khusrow perderà la sua anima per amore di Nizamuddin Auliya
per amore di Nizamuddin Auliya

Nizamuddin Auliya
Nizamuddin Auliya
Nizamuddin Auliya
Nizamuddin Auliya

Khusrow perderà la sua anima per amore di Nizamuddin Auliya
Tu mi hai reso una sposa radiosa
con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Hai portato via ogni traccia di me

Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli
Dei tuoi occhi incantevoli
dei tuoi occhi incantevoli
Con un solo sguardo dei tuoi occhi incantevoli."

(Amir Khosrow, 1253-1325)


Buon ascolto
Sharatan


Lacci psichici



“Vieni e guarda i fiori veri
di questo mondo doloroso.”
(Matsuo Basho)

“C’è un termine nella psicologia buddista che si può tradurre con ‘formazioni psichiche’, ‘lacci’ oppure ‘nodi’. Quando riceviamo uno stimolo sensoriale, a seconda del nostro modo di riceverlo si può formare un nodo dentro di noi. Quando qualcuno ci si rivolge in maniera sgarbata, se ne capiamo la ragione e non ce la prendiamo a male, non ci sentiamo affatto irritati e non si formerà alcun nodo. Ma se non capiamo il perché di quell’atteggiamento e ci irritiamo, si stringerà un nodo dentro di noi.

La mancanza di una chiara comprensione è la base di ogni tipo di nodo. Se coltiviamo una piena consapevolezza, saremo in grado di riconoscere le formazioni psichiche sul nascere, e scopriremo in che modo trasformarle. Per esempio, una moglie vede il marito che si pavoneggia a una festa e sente venir meno la sua stima per lui. Se ne parla con lui, potranno arrivare a un chiarimento e il nodo si scioglierà facilmente. Perché sia facile trasformarle, le formazioni psichiche devono essere investite di tutta la nostra attenzione nel momento stesso in cui emergono, quando ancora sono deboli.

Se non sciogliamo i nostri nodi non appena si formano diventeranno più stretti e più forti. La mente conscia, raziocinante, sa che i sentimenti negativi come la rabbia, la paura e il rimorso non sono del tutto accettabili, individualmente e socialmente, e quindi fa di tutto per reprimerli, per confinarli in un’area inaccessibile della coscienza dove poterli dimenticare. Spinti dal desiderio di evitare la sofferenza, noi creiamo meccanismi di difesa che negano l’esistenza di questi sentimenti e ci danno l’impressione di essere in pace con noi stessi.

Ma le nostre formazioni psichiche tendono costantemente a manifestarsi sotto forma d’immagini, sentimenti, pensieri, parole e comportamenti distruttivi. Per lavorare con le formazioni psichiche inconsce occorre innanzitutto prenderne coscienza. La pratica dell’attenzione al respiro è uno strumento per accedere ad alcuni dei nodi presenti dentro di noi. Nel diventare consapevoli di immagini, sentimenti, pensieri, parole e comportamenti, possiamo chiederci, ad esempio: perché mi sono sentito a disagio quando gli ho sentito dire quelle parole?

Perché gli ho detto questo? Perché penso sempre a mia madre quando vedo quella donna? Perché detesto il protagonista di quel film? A quale figura odiata del mio passato assomiglia? A poco a poco questa esplorazione puntuale potrà far emergere alla coscienza le formazioni psichiche sepolte nel profondo. Nel corso della meditazione seduta, quando le porte e le finestre della percezione sensoriale sono chiuse, può succedere che le formazioni psichiche emergano dal profondo sotto forma di immagini, sentimenti o pensieri. Noteremo una sensazione di ansia, di paura, o di disagio apparentemente inspiegabile.

Quindi la mettiamo sotto la lampada della consapevolezza e ci prepariamo a vedere l’immagine, il sentimento o il pensiero in questione in tutta la sua complessità. Quando inizia a uscire allo scoperto, potrà crescere di forza e intensità. Potrà sembrarci così forte da derubarci della pace, della gioia e del rilassamento che avevamo, e forse ci passerà la voglia di entrarci in contatto. Vorremo spostare la nostra attenzione su un altro oggetto di meditazione o addirittura interrompere la seduta; forse ci verrà sonno o concluderemo che è meglio rimandare a un altro momento. È quello che in psicologia si definisce resistenza.

Abbiamo paura di portare alla coscienza i sentimenti dolorosi sepolti dentro di noi, perché ci fanno soffrire. Ma se abbiamo qualche esperienza di pratica del respiro e del sorriso, avremo sviluppato la capacità di restare seduti tranquillamente a osservare le nostre paure. Senza perdere contatto con il respiro e continuando a sorridere, potremo dire: “Ciao, paura. Eccoti di nuovo.” Ci sono persone che praticano la meditazione seduta per molte ore al giorno senza arrivare mai a un confronto diretto con le proprie emozioni. C’è chi afferma che le emozioni non sono importanti e preferisce concentrarsi su argomenti metafisici.

Non dico che gli altri soggetti di meditazione non contino nulla, ma se restano avulsi dai nostri problemi concreti non sarà una meditazione veramente valida e proficua. Se sapremo vivere ogni istante con mente risvegliata, saremo consapevoli delle vicissitudini delle nostre sensazioni e percezioni del presente, e non lasceremo che si formino o si stringano nodi nella nostra coscienza. E se non sapremo osservare le nostre emozioni, potremo scoprire le radici delle formazioni psichiche più inveterate e trasformarle, anche quelle che sono diventate molto forti.” (Thich Nhat Hanh)

giovedì 24 dicembre 2015

The Power of Love





Buon Natale a tutti!
Sharatan

martedì 22 dicembre 2015

La raccolta della suprema energia



“Vi è un’antica teoria secondo la quale dio, la divinità, discende sull’uomo e lo aiuta a crescere, a evolversi e a vivere nobilmente. È l’antica tradizione dei paesi dell’Oriente e, in modo diverso, dell’Occidente. Credere a queste teorie arreca grande conforto; la sensazione di aver trovato finalmente la sicurezza in qualcosa; che vi è qualcuno che si cura di voi e del mondo. È una teoria antichissima e non ha alcun significato.

Quella teoria e quell’insegnamento danno una sorta di speranza in un’Utopia futura, determinata dal presente; una speranza che nasce dai limiti di ciò che uno è adesso. A meno che vi sia una trasformazione radicale, tale futuro è la continuazione modificata di “ciò che è”. Un individuo si rende conto che non vi è alcuna sicurezza nelle cose che il pensiero ha messo insieme, se approfondisce con sufficiente intelligenza e razionalità per scoprirlo.

Si accorge che in realtà non vi è una struttura, nel futuro, o nel passato o nel presente, filosofica, religiosa o ideologica, che possa fornire una qualunque specie di sicurezza. Si accetta con grande facilità la via più soddisfacente, più conveniente, più piacevole. È molto facile muoversi entro quel solco. E l’autorità impone, stabilisce, in un sistema religioso o psicologico, un metodo mediante il quale vi sentite dire che troverete la sicurezza.

Ma se si capisce che non vi è sicurezza in tale autorità, allora si scopre se è possibile vivere senza guida, senza controllo, senza sforzo psicologico. Perciò si indaga per scoprire se la mente può essere libera di trovare la verità al riguardo, in modo da non conformarsi mai, in nessuna circostanza, a nessuno schema di autorità, psicologicamente.

Quando uno si conforma a un modello religioso o psicologico, o a un modello che si è proposto, c’è sempre una contraddizione tra ciò che uno è effettivamente e lo schema. Vi è sempre un conflitto, e questo conflitto è interminabile. Se uno rompe con un modello, passa a un altro. Viene educato a vivere in questo campo di conflitto a causa di questi ideali, schemi, conclusioni, credenze e così via. Conformandosi a un modello, uno non è mai libero; non sa cos’è la compassione, ed è sempre in lotta, e perciò dà importanza a se stesso; l’io diventa straordinariamente importante con l’idea dell’auto-miglioramento.

Dunque, è possibile vivere senza un modello? Ora, come può un individuo, quale essere umano, rappresentante totale di tutta l’umanità, come può scoprire la verità a questo proposito? Perché se la sua coscienza viene cambiata radicalmente, profondamente - no, rivoluzionata, più che cambiata - allora l’individuo influisce sulla coscienza di tutta l’umanità. Come si affronta questo problema? Con quale capacità si può indagare?

Per indagare, ci deve essere la libertà dalla motivazione. Se uno vuole indagare sul problema dell’autorità, il suo background dice: “Io devo obbedire, devo seguire”; e durante il processo, questo background proietta continuamente, e distorce continuamente l’indagine. Ci si può liberare del proprio background, in modo che non interferisca nell’indagine? L’impulso di cercare la verità, l’immediatezza, l’esigenza, pongono nel dimenticatoio il background; l’intensità è così forte che il background smette di interferire.

Sebbene il background, il condizionamento, l’educazione, sia così forte - si è accumulato per secoli: consciamente è impossibile combatterlo o respingerlo; non si può lottare con esso, e ci si rende conto che combattendo il background si riesce soltanto a rafforzarlo - eppure l’intenso impulso di scoprire la verità dell’autorità allontana di molto il background, che così non influenza più la mente. È necessario possedere un’immensa energia per scoprire la verità a questo proposito.

Questa energia va quasi tutta dissipata nel conflitto tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”. L’individuo comprende che “ciò che dovrebbe essere” è un’evasione dal fatto di “ciò che è”. Oppure il pensiero, incapace di affrontare “ciò che è” , proietta “ciò che dovrebbe essere” e lo usa come leva per rimuovere “ciò che è”. Quindi è possibile guardare e osservare “ciò che è”, senza un movente per cambiarlo o trasformarlo, o per fare in modo che si adegui al modello particolare che avete stabilito voi o che ha stabilito un altro ... qualunque cosa accada alla conclusione?

Se si fa così, il background si dissolve. Se si desidera intensamente capire, si dimentica se stessi, si dimentica di essere un hindu, un cristiano, un buddhista, si dimentica il proprio background; perciò tutto sparisce, il background, il movente, tutto, perché vi è la presente necessità e l’urgenza di scoprire. L’intensità necessaria può venire posta in essere solo quando non vi è causa, né effetto, e quindi non vi è reazione. Questo implica che l’individuo deve essere completamente solo nella sua indagine.

Solitudine non significa isolamento, non significa che uno si è ritirato e ha costruito una muraglia intorno a sé. Solo significa che uno è tutto uno. Allora uno è un essere umano totale, rappresentante tutta l’umanità; la sua coscienza ha subito un cambiamento attraverso la percezione, che è il risveglio dell’intelligenza. Questa intelligenza rompe per sempre con l’autorità psicologica: influisce profondamente sulla coscienza. È possibile vivere una vita senza alcun modello, senza alcuna meta, senza alcuna idea del futuro, una vita senza conflitti?

È possibile quando si vive completamente con “ciò che è”. “Ciò che è” significa ciò che avviene effettivamente. Vivere con questo: non tentare di trasformarlo, non tentare di superarlo, non tentare di dominarlo, non tentare di sottrarvisi, semplicemente guardarlo e coesistere. Se siete invidiosi, o avidi, o gelosi, o avete problemi di sesso, di paura, quali che siano, vivete con essi senza alcun movimento del pensiero che voglia allontanarsene. Che cosa significa?

Non si spreca l’energia per dominare, sopprimere, lottare, resistere, fuggire. Tutta quell’energia veniva sprecata; ora la si è raccolta. Poiché ci si rende conto dell’assurdità, della falsità, dell’irrealtà, ora si ha l’energia per vivere con “ciò che è”; si ha l’energia di osservare senza alcun movimento del pensiero. È il pensiero che ha creato la gelosia, è il pensiero che dice: “Devo fuggirne, devo sottrarmi, devo sopprimerla”. Se ci si rende conto della falsità della fuga, della resistenza, della soppressione, allora l’energia che veniva convogliata nella fuga, nella resistenza e nella soppressione viene raccolta per osservare. E allora che cosa avviene?

L’individuo non sfugge, non resiste, e allora è invidioso, poiché l’invidia è il risultato del movimento del pensiero. L’invidia nasce da confronti, misure... io non ho, tu hai. E il pensiero, poiché è stato educato a fuggire, fugge da questo. Ora, poiché ne vede la falsità, l’individuo si ferma e ha l’energia di osservare questa invidia. La parola stessa “invidia” è la propria condanna. Quando uno dice “Sono invidioso”, c’è già il senso del rifiuto. Perciò, un individuo deve essere libero dall’influenza della parola, per osservare.

E questo richiede un’immensa vigilanza, un’immensa consapevolezza, per non fuggire e per vedere che la parola invidia ha creato il sentimento; perché senza la parola, c’è il sentimento? Se non c’è la parola, e perciò non c’è movimento del pensiero, allora c’è invidia? La parola ha creato il sentimento, perché è associata al sentimento, impone il sentimento. Si può osservare senza parola? Ora, le parole sono il movimento del pensiero usato per comunicare comunicare con se stessi o con gli altri: quando non vi sono parole, non vi è comunicazione tra il fatto e l’osservatore.

Perciò il movimento del pensiero, come invidia, è giunto alla fine; è giunto alla fine completamente, non temporaneamente: si può guardare una bella macchina e osservare la bellezza della sua linea, e tutto finisce lì. Vivere completamente con “ciò che è” non implica alcun conflitto. Perciò non vi è futuro quale sua trasformazione in qualcosa d’altro. La sua fine è la raccolta dell’energia suprema, che è una forma d’intelligenza.” (Jiddu Krishnamurti)

domenica 20 dicembre 2015

Khara-Gyrgan sfida il Creatore



I Buriati dicono che Esege Malan è l’Essere Supremo, che è il Grande Mistero. Dicono che è uno e trino, perché è fatto da tre spiriti. Dal primo spirito sono nati 55 dei, dal secondo sono nate 44 divinità e dal terzo, sono nati 7 figli e 7 figlie. Costoro sono i Tangri, gli dei celesti, che assistono Esege Malan che li ha distribuiti lungo le 4 direzioni del mondo e lungo l’albero cosmico che unisce i tre mondi. Tutti gli dei soprassiedono alla creazione ma, in cambio, gli uomini li devono nutrire con le loro offerte.

Un giorno, i Tangri dell’Est che erano molto esigenti e permalosi ritennero che gli uomini non li trattassero con la dovuta considerazione e li vollero punire per la loro ingratitudine, perciò inviarono gli Spiriti Malefici sulla terra e tormentarono l’umanità con i Demoni delle malattie. Così gli uomini iniziarono a morire di malattia dopo aver sofferto a lungo. Allora i Tangri dell’Ovest che erano delle divinità molto compassionevoli si riunirono in consiglio per trovare il modo di aiutare l’umanità.

Gli dei decisero di inviare uno di loro sulla terra. Inviarono lo Spirito-Aquila, e gli diedero l’incarico di combattere contro i demoni che tormentavano l'umanità. Il volatile divino discese sulla terra e iniziò a frequentare e conoscere gli uomini mentre scacciava gli spiriti maligni e li guariva. Ma gli uomini avevano dimenticato il linguaggio della natura e non capivano più il linguaggio dei fratelli animali perciò lo Spirito-Aquila era scacciato. Spesso veniva preso a sassate quando si avvicinava agli esseri umani per insegnare o per guarirli.

Gli uomini non lo capivano perciò lo tenevano lontano, finché la divinità scoraggiata decise di ritornare in cielo. Lo Spirito-Aquila davanti all'Assemblea Celeste disse che la situazione era più grave di quanto si potesse credere. E, sull’istante, il Consiglio degli Dei decretò che era necessario creare uno sciamano cioè un essere umano che fosse capace di scacciare gli spiriti maligni, che sapesse comprendere il linguaggio degli animali e che potesse spiegare ai suoi simili quello che stava facendo.

Fu presa la decisione di spedire lo Spirito-Aquila sulla terra per portare al termine la missione. Lo Spirito-Aquila non sapeva bene cosa dovesse fare, perciò iniziò a volare sopra ai villaggi finché la sua attenzione non fu attirata dalla visione di una fanciulla di rara bellezza che dormiva sotto una betulla. Lo Spirito-Aquila, si fermò sul ramo della betulla per guardarla e ammirare la bellezza del volto che rispecchiava lo splendore del cuore che vedeva splendere puro e luminoso. Lo Spirito-Aquila fu estasiato dalla purezza e si lasciò ispirare dalla bella fanciulla.

Allora scivolò dolcemente nel suo sogno travestito da essere umano. Gli comparve sotto forma di un bel principe per non spaventarla, e la corteggiò con soavi parole finché non la sedusse. La fanciulla, dopo una notte d'amore, restò incinta. Infine diede alla luce un bambino a cui il genitore divino gli trasmise i suoi poteri divini, e così venne creato Khara-Gyrgan, il primo sciamano, narrano gli anziani. Invece, le donne anziane, dicono che la prima sciamana fu sua madre, perché il contatto con la divinità gli causò una folgorazione così potente che la sua anima venne illuminata istantaneamente.

La fanciulla ebbe il dono di poter vedere nell’Altro Mondo degli Spiriti perciò lo cullò con i primi canti magici. Poi le donne più sagge della tribù predissero anche che un bambino nato da un’unione così prodigiosa avrebbe avuto più potere del padre essendo composto con il Seme celeste e con lo Spirito della Terra che è celato in ogni donna. Fin da ragazzo Khara-Gyrgan, lo sciamano primordiale, si dedicò completamente alla missione che il padre gli aveva trasmesso insieme ai poteri, perciò sconfiggeva i Demoni della Malattia.

Khara-Gyrgan andò alla ricerca dell’anima dei morenti nell’Altro Mondo spingendosi fino al regno di Erlik Khan, il Signore degli Inferi. Ma non si accontentò solo di braccare gli spiriti, ma addestrò 176 sciamani di cui 99 sciamani maschi e 77 sciamane donne da cui si fece coadiuvare. E ben presto, Esege Malan, il Grande Spirito, fu molto soddisfatto di averlo creato per quello scopo perciò lo invitò nel Palazzo Celeste dove gli fece tutti gli onori. E gli donò un libro di divinazione nel quale erano contenute tutte le leggi e i segreti dell’universo.

Khara-Gyrgan si dedicò con molta passione anche allo studio e cercò di decifrare tutti i misteri dell’universo. Così lo sciamano primordiale accumulò una conoscenza e un potere incredibili. Ma un giorno una coppia di sposi che non aveva figli venne a chiedergli di aiutarli ad avere quel figlio che non avevano mai avuto. Lo sciamano accettò di intercedere presso gli dei del cielo. Prese una betulla e la piantò al centro della sua tenda in modo che la cima dell’albero uscisse dal buco che serviva per fare uscire il fumo del fuoco.

Assicurò l’albero con 8 corde fissate negli 8 punti cardinali e vi pone alla base 3 zolle di terra. Infine appese ai rami dell’albero tanti sonagli e nastri colorati poi intonò i suoi canti al ritmo del tamburo. L’albero addobbato a festa è stato l’antenato dell’Abete di Natale e funzionava come un grande captatore di anime che doveva attirare verso la terra lo spirito di un bambino. L’albero vibrava e sussultava tutto mentre Khara-Gyrgan faceva più volte il suo rito propiziatorio, ma non ebbe alcun risultato.

Quando lo sciamano vide la disperazione di chi sperava nel suo aiuto decise di fare a meno della benedizione del cielo. Da molto tempo stava accarezzando un sogno ambizioso che non osava tradurre in pratica. Ormai aveva accumulato una sapienza che gli permetteva di creare l'essere umano e adesso aveva l’occasione che gli permetteva di tradurre il pratica il suo progetto. Khara-Gyrgan decise che avrebbe corretto l’imperfezione di Esege Malan e che avrebbe visto brillare di gioia gli occhi della coppia.

Si mise al lavoro, impastò l’argilla con l’acqua e modellò il corpo di un bambino. Per creare lo spirito della creatura colse 70 fiori diversi, ne distillò l’aroma e cantando gli incantesimi magici versò la magica essenza sul bambino d'argilla. Il bambino d’argilla si animò perciò fu consegnato alla coppia dei neo-genitori che erano al settimo cielo, perché non c'era un bambino più bello e amabile di quello. Passò il tempo finché un giorno, sui tre anni, il bambino si ammalò gravemente.

I genitori disperati chiamarono Khara-Gyrgan e quando lo sciamano fu giunto al suo capezzale, il bambino era già moribondo. Khara-Gyrgan iniziò subito il rituale della ricerca dell’anima del malato. Inforcò il tamburo e scese nell’Altro Mondo degli Spiriti dove non poté trovarlo. Allora scese fino agli inferi ossia fino al regno di Erlik Khan perciò visitò tutti i luoghi più tenebrosi ma non riuscì a trovarlo. Allora andò vagando sulla terra esplorando le steppe infinite dove le anime, a volte, si perdono e vanno errando senza riuscire a trovare il cammino che devono fare i morti.

Ma tutto fu inutile finché pensò che uno spirito puro come quello di un bambino era andato in cielo. Allora risalì l’albero cosmico che è la colonna vertebrale del mondo e andò a esplorare i nove cieli. Bussò alla porta della divina dimora del Creatore, bussò da Esege Malan, che lo accolse dicendo: “Ti aspettavo Khara-Gyrgan. Quello che stai cercando l’ho io. Tengo chiusa in questa otre l’anima dell’essere che hai avuto l’orgoglio di creare. Hai avuto la presunzione di creare la vita contro il volere degli dei e in disprezzo delle leggi che ho stabilito per la mia creazione.”

Il Signore Supremo gli mostrò l’otre che teneva chiusa con la mano: “Adesso voglio vedere se hai il coraggio di sfidarmi ancora e di riprendermela.” Il viso del Creatore era molto scuro perciò lo sciamano non ebbe il coraggio di sfidarlo e fuggì per sottrarsi alla sua collera. Ma la sua mente ingegnosa non aveva rinunciato a riprendere l’anima del bambino. Ogni volta che aveva combattuto contro gli spiriti recalcitranti, dopo aver finito i mezzi leciti, aveva sempre usato anche trucchi e sotterfugi per vincere.

Decise di giocare il tutto per tutto, si trasformò in vespa e penetrò nel palazzo celeste. Punse la mano del Creatore e mentre Esege Malan la succhiava per estrarre il veleno della puntura, riprese la forma umana, ingoiò l’anima del bimbo e fuggì. Riuscì a rianimare il piccolo e ridarlo ai suoi genitori, ma il Signore Supremo era furioso e fu calmato a stento dai Tangri dell’Ovest che lo convinsero a non ucciderlo perché aveva sempre fatto del bene. Dissero che Khara-Gyrgan era prezioso e che non poteva essere sostituito perché era il guaritore più bravo. In Asia si stava diffondendo la dottrina del saggio Buddha, ma gli sciamani erano guaritori più bravi dei lama.

Con le sue doti di chiaroveggenza, con la sua potenza e con la sua astuzia, Khara-Gyrgan, era invincibile contro i demoni delle malattie. La scomparsa di quel grande capo avrebbe rischiato di indebolire il bene che faceva con i suoi seguaci perciò era sufficiente punirlo in modo esemplare. Alla fine - e solo per merito della sua grande benevolenza - il Sommo Creatore si fece convincere e si limitò a dimezzargli i poteri. Poi lo fece legare ad una roccia nera e lo condannò a cavalcarla finché non l'avesse ridotta in polvere.

Esege Malan ordinò di toglierli il libro della divinazione e mandò lo Spirito-Aquila a eseguire l'ordine. Ma, nella lotta che ne seguì, il libro cadde in un campo e fu divorato da una pecora. Lo sciamano mangiò la pecora e ritrovò quasi tutta la conoscenza tranne un po’ che restò imprigionata nelle scapole della pecora che furono usate, da allora, dagli sciamani per leggere il futuro. La sorte di Khara-Gyrgan è oscura perché i lama dicono che egli morì stritolato dalla pietra nera, mentre gli adepti dell’antica religione dicono che il loro antenato è immortale perché si è forgiato un corpo di metallo perciò, dopo aver logorato la pietra, sarà libero e riavrà i suoi poteri.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 17 dicembre 2015

Lettera dalla Kirghisia



…basta saper immaginare un’isola,
perché quest’isola
incominci realmente a esistere

Kirghisia, 3 luglio

Cari amici,
non sono venuto in Kirghisia per mia volontà o per trascorrere le ferie, ma per caso. Improvvisamente ho assistito al miracolo di una società nascente, a misura d’uomo, dove ognuno sembra poter gestire il proprio destino e la serenità permanente non è un’utopia, ma un bene reale e comune. Qui sembra essere accaduto tutto ciò che negli altri Paesi del mondo, da secoli, non riesce ad accadere.

Arrivando in Kirghisia ho avuto la sensazione di “tornare” in un luogo nel quale in realtà non ero mai stato. Forse perché da sempre sognavo che esistesse. Il mio strano “ritorno” in questo meraviglioso Paese, è accaduto dunque casualmente. Per ragioni tecniche, l’aereo sul quale viaggiavo ha dovuto fare scalo due giorni nella capitale.

Qui in Kirghisia, in ogni settore pubblico e privato, non si lavora più di tre ore al giorno, a pieno stipendio, con la riserva di un’eventuale ora di straordinario. Le rimanenti 20 o 21 ore della giornata vengono dedicate al sonno, al cibo, alla creatività, all’amore, alla vita, a se stessi, ai propri figli e ai propri simili.

La produttività si è così triplicata, dato che una persona felice sembra essere in grado di produrre, in un giorno, più di quanto un essere sottomesso e frustrato riesce a produrre in una settimana. In questo contesto, il concetto di “ferie” appare goffo e persino insensato, qui dove tutto sembra essere organizzato per festeggiare ogni giorno la vita.

L’attuale concetto occidentale di ferie, invece, risulta feroce, quanto la concezione stessa del lavoro, non soltanto perché interferisce in modo profondo con il senso della libertà, ma perché ne trasforma e deforma il significato. Nel periodo delle ferie, milioni di persone sono obbligate a divertirsi, così come nel resto dell’anno sono obbligate a lavorare senza tregua, a sognare di trovare un lavoro o a guarire dai guasti e dalle malattie, causate da un’attività lavorativa coatta e quotidiana.

Questo meccanismo delle otto ore di lavoro ogni giorno, produce da sempre tensioni sociali, nevrosi, depressioni, malattie e soprattutto la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita. La proposta risanatrice di questi invisibili errori, si è risolta nello Stato della Kirghisia, dove sono state realizzate una serie di riforme che in pochi anni hanno modificato le abitudini e i comportamenti dei suoi cittadini.

La corruzione politica si è azzerata perché in questo Paese, chi appartiene all’apparato governativo, esercita il proprio ruolo in forma di “volontariato” semplicemente continuando a mantenere per tutta la durata del mandato politico lo stesso stipendio che percepiva nella sua precedente attività.

Quando ho saputo che ogni realtà politica nasce da una forma di volontariato, ho finalmente capito perché, ogni volta che vedo un rappresentante del parlamento italiano parlare alla televisione, c’è qualcosa sul suo volto che rivela un’incolmabile lontananza da ciò che sta dicendo.

Ecco, ora mi è chiaro che chiunque abbia, come i nostri deputati occidentali, uno stipendio che sommando le varie voci si aggira intorno ai 20.000 euro al mese, non può in alcun modo essere convincente, in ciò che dice, pensa o fa.

Qui in Kirghisia, la possibilità di dedicare quotidianamente alla vita almeno mezza giornata ha consentito la realizzazione di rapporti completamente nuovi tra padri e figli, tra colleghi di lavoro e vicini di casa. Finalmente i genitori hanno il tempo di conoscersi veramente tra loro e di frequentare i propri figli.

I parchi sono ogni giorno ricolmi di persone e il traffico stradale è oltre quattro volte inferiore, dato il variare degli orari di lavoro. Le fabbriche sono in attività produttiva continua, ma chi fa i turni di notte lavora solo due ore.

Già al terzo anno di questa singola esperienza è stato rilevato un fenomeno molto importante. Il consumo di droghe, sigarette, alcolici è diminuito in modo quasi totale e i farmaci rimangono in gran parte invenduti.

Certo, tutto ciò può sembrare incredibile a chi, come voi cari amici, è costretto a credere che l’attuale organizzazione dell’esistenza in occidente sia la sola possibile

In Kirghisia, la gestione dello stato, oltre a essere una forma di volontariato, si esprime in due governi, uno si occupa della gestione quotidiana della cosa pubblica, l’altro si dedica esclusivamente al miglioramento delle strutture.

Ho incontrato il Ministro del Miglioramento delle Attività lavorative che ha un progetto, nel prossimo quinquennio, di ridurre ulteriormente per tutti il lavoro obbligatorio a due ore al giorno invece delle attuali tre.

Il Ministro è convinto che solo un’Umanità liberata dal lavoro possa essere veramente produttiva. È anche certo che si possa scoprire l’operosità del fare, solo realizzando, nel tempo libero, ciò che si desidera.

Ho fatto bene a decidere di rimanere in Kirghisia, e non me ne andrò finché continuerò ad avere questa strana sensazione che in questo paese sto vivendo, all’interno di un sogno comune. Un abbraccio a tutti. Silvano Agosti

(Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, Edizioni L’Immagine, 2012)

martedì 15 dicembre 2015

Il respiro della terra



“L’uomo è rimasto isolato nel cosmo.
Non è più parte della natura e ha perso
la sua partecipazione emotiva agli eventi naturali.
Le cose non gli parlano più ed egli non può
parlare a pietre, sorgenti, piante e animali.”
(Carl Gustav Jung)

Vi sono molte forme di sensibilità che l’anima umana possiede ancora a livello molto debole, ma che sarà chiamata a sviluppare in futuro. Ci sono alcune qualità che avranno un migliore affinamento e questo riguarda i sentimenti che non possiamo percepire perché la loro intensità sarebbe insopportabile per l’uomo moderno. Il nostro intellettualismo prevale e limita la nostra visuale, infatti lo sviluppo dell’intelletto ha comportato la scomparsa di alcuni sentimenti che, gli uomini antichi, ancora potevano sentire: il legame tra l’uomo e la terra fa parte dei sentimenti ormai dimenticati.

L’intellettualismo moderno rende aridi e incapaci di percepire molte sfumature del mondo esterno. Da questo punto di vista, la vita spirituale del passato era molto più ricca perché si veniva addestrati a percepire il ciclo delle stagioni ottenendo una percezione spirituale molto raffinata. Il rapporto tra l’uomo e il mondo è condizionato da un confine perché l’uomo è un essere chiuso non solo dal punto fisico, ma anche da quello spirituale. Dobbiamo immaginare che tra l’uomo e il mondo esterno esista un passaggio di correnti che pulsano andando dall’interno dell’uomo verso il mondo, e immaginare altre correnti che scorrono nel mondo spirituale del cosmo e penetrano nell’uomo.

Dobbiamo immaginare che, dal cosmo, fluiscono alcune forze che spesso vengono paragonate ad un oceano pulsante di molte forme di energia. La componente spirituale dell’uomo fluttua nell’oceano, perciò la componente spirituale si estende verso l’esterno finché non trova una zona oscura. La zona è oscura perché costituisce una parte di realtà che l’uomo non sa come raggiungere. Questo spiega perché l’uomo sa percepire del mondo esterno, solo la visione di quello che riesce a sostenere. L’uomo possiede una forza interiore che gli proviene dalla forza della sua visione del mondo.

Questa forza trova un ostacolo insormontabile quando essa incontra un limite alle sue rappresentazioni, perciò l’anima umana non sa entrare in relazione con l’esterno. Le onde universali si avvicinano all’uomo perché lui le attira in proporzione a quante onde può contenere e così qualcosa scorre nella sua interiorità. Poi l’onda si ritrae e si allontana. Questo è il modo con cui veniamo impregnati dall’aura che fluttua nel cosmo e che resta nella coscienza diventando l’elemento aurico universale che vive all’interno dell’uomo.

L’elemento aurico universale fluisce nella nostra parte subcosciente che contiene anche un’altra componente che fa parte dell’universo, perché anch’essa è stata ricavata dalla sostanza universale. E dove si incontrano le due componenti universali si formano dei blocchi che corrispondono ad un’onda di energie che irrompono nell’uomo. L’onda energetica interna segue la direzione seguita dai nervi motori e da quelli sensori. Da ciò si determina il contrasto dell’uomo con l’ambiente energetico e spirituale in cui egli vive, e condiziona gli elementi che si possono ricavare dall’ambiente in cui si vive.

All’interno dell’uomo c’è una barriera che protegge e nasconde quello che non possiamo sostenere, perciò la barriera interna ci nasconde anche le impressioni del mondo esterno che non sappiamo sostenere. In passato e nelle fasi evolutive delle epoche passate era possibile che la parte subcosciente potesse emergere e agire sopra la parte cosciente. L’antica chiaroveggenza si basava su questo fenomeno di anticipazione delle qualità o caratteristiche che dovremo sviluppare in futuro.

Si crede, erroneamente, che l’evoluzione sia un processo lineare e progressivo e prosegua con ritmo costante e sempre nel medesimo modo. Ma andrebbe immaginato un corso che, in contemporanea con una linea di sviluppo di qualità generali, esista pure una linea di sperimentazione di caratteristiche che sono anticipate per essere “testati” su alcune personalità. La tendenza si mostra in modo molto sottile solo nell’osservazione di alcuni spiriti che sembrano avere i residui delle qualità del tempo antico, ma che sono l’anticipazione di caratteri e qualità che svilupperemo naturalmente, ma in futuro.

In queste personalità osserviamo che non si esprime l’aspetto più evidente della loro coscienza, ma che si esprimono delle forze potenti che emergono dal loro subcosciente. Tra questi sentimenti ormai dimenticati vi è la capacità che avevano gli uomini del tempo passato di sentirsi inseriti nella vita del cosmo e di saper guardare nell’universo sentendo che anche l’essere umano ne faceva parte. In passato si sapeva guardare nel mondo, nel cosmo e anche negli altri sistemi planetari ma l’uomo non riusciva a valorizzare quello che aveva dentro se stesso cioè il suo io, dice Steiner.

In passato si veniva predisposti a imparare per mezzo di un addestramento specifico che favoriva la capacità di guardare all’interno della materia . Si veniva addestrati a vedere non solo quello che si percepisce alla superficie delle cose, ma a guardare anche nel substrato spirituale che si nasconde all’interno della materia. E molti sforzi erano dedicati al ciclo di osservazione della grande natura e della percezione del variare del ciclo della terra. Alcuni discepoli spirituali erano educati affinché la loro anima potesse percepire il trascorrere dei ritmi stagionali della terra. Un sentimento simile vive ancora oggi, ma solo in persone che sentono il susseguirsi delle stagioni perciò sentono cose diverse a seconda che sia la primavera oppure l’autunno.

Nella loro anima si riversa il senso della speranza quando vede che la natura, in primavera, mette le prime gemme e la speranza della primavera diventa l’esultanza gioiosa dell’estate. Sentiamo delle sensazioni molto diverse se vediamo lo sfiorire della natura e le foglie ingiallire con l’avanzare dell’autunno. Se vediamo gli alberi spogli sentiamo che la malinconia dell’autunno è diventata la tristezza dell’inverno. I discepoli dei misteri nordici erano addestrati a raffinare la loro percezione del trascorrere dell’anno, perciò nel solstizio d’estate, la notte di s. Giovanni che cade il 23 giugno, si accendevano dei fuochi per rappresentavano la gioia della natura che risplendeva di vita durante l’estate.

Invece, al solstizio d’inverno, si celebrava la fecondazione che ha portato la nascita del Bambino Gesù. Gli antichi discepoli ottenevano il potere di guardare oltre la materia, perciò la materia diventava completamente trasparente in modo che - attraverso di essa – potevano capire i grandi misteri cosmici che si nascondono dietro il susseguirsi delle stagioni. Le stagioni sono il modo con cui la terra partecipa e contribuisce alla vita del cosmo, perché sono il modo con cui la terra si rigenera continuamente.

Alcuni popoli educavano la loro anima a vedere l’ordine cosmico nascosto nei ritmi delle stagioni. Perciò vedevano che, alla tristezza dell’autunno segue il mese dei morti che è la festa caratteristica del ritirarsi della vita della natura che culmina nel Natale in cui si celebra la nascita del Bambino Gesù e che coincide con il morire del cosmo che culmina con il risorgere della luce che accade nel solstizio d’inverno. Anche la vita dell’anima segue le stesse fasi evolutive dell’anno, perciò le tappe della vita spirituale dei popoli pagani furono importate nelle festività cristiane.

All’equinozio d’autunno e all’equinozio di primavera, la durata del giorno e della notte si equivalgono. Però, a giugno, la proporzione aumenta in favore del giorno, mentre in dicembre prevale la durata della notte e il tempo in cui il sole è nascosto. Questo è il rapporto tra la terra e il sole di cui ci curiamo poco e che teniamo in minima considerazione. I popoli primitivi dicevano che la terra è un organismo vivente che segue il suo ritmo. Durante l’autunno sentiamo che la terra inizia la sua inspirazione perciò richiama tutti gli spiriti elementari al suo interno. Invece, in primavera, la terra inizia il suo processo di espirazione perciò la vita si diffonde sulla terra e si diffonde verso tutto il cosmo.

In estate, l’espirazione della terra è terminata perciò inizia a verificarsi l’inspirazione che vedrà il ritiro delle forze naturali verso l’interno della terra. I popoli primitivi conoscevano questi processi respiratori perciò dicevano che la terra è un essere vivente e che il suo respiro è il ciclo delle stagioni che è anche il modo con cui la terra partecipa alla vita del cosmo. L’autunno vede l’inizio dell’inspirazione che - dal punto di vista spirituale - inizia con la notte delle stelle cadenti cioè la notte di s. Lorenzo quando cade sulla terra il ferro meteorico in cui è nascosta l’arma degli dei contro Arimhan.

Steiner dice che Arimhan vuole vincere gli esseri spirituali superiori che contrastano le forze della morte che aumentano in autunno. L’autunno inizia fin dalla metà d’agosto e infatti, nel mondo contadino, lo si faceva iniziare la notte di s. Bartolomeo ossia il 24 agosto quando si sente che si è già invertito il respiro della terra. L’equinozio d’autunno è collegato al mito di s. Giorgio che uccide il drago che è simile a Perseo che uccise il mostro marino e che sposò Andromeda. In autunno, il fuoco dell’estate è diventato la cenere che sarà il cibo della terra che custodisce il seme da cui nascerà la nuova vita. Questo è il modo in cui dovremmo pensare alla terra se - fin da bambini - fossimo educati a pensare.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 3 dicembre 2015

È possibile per noi esseri umani?



"È possibile per noi esseri umani, esseri umani che vivono nel mondo terribile che abbiamo creato, trasformarci radicalmente? Il problema è tutto qui. Alcuni filosofi e altri hanno affermato che il condizionamento umano non si può cambiare radicalmente. Lo si può modificare, rifinire e migliorare, ma la qualità fondamentale del condizionamento non si può alterare. Sono in molti a pensarla così, gli esistenzialisti, ad esempio. Perché accettiamo questo condizionamento? State seguendo, spero, il ragionamento. Perché accettiamo il nostro condizionamento, che ha prodotto un mondo letteralmente folle, dissennato?

Dove vogliamo la pace e vendiamo armamenti, dove vogliamo la pace e creiamo divisioni nazionalistiche, economiche, sociali, dove vogliamo la pace e tutte le religioni, le organizzazioni religiose, ci fanno sentire separati come lo sono loro. C’è un’enorme contraddizione tanto all’esterno che dentro di noi. Mi chiedo se ci rendiamo conto di tutto questo dentro di noi, non di quello che succede fuori. La maggior parte di noi sa cosa sta succedendo fuori, non occorre un’intelligenza particolare, basta osservare. E la confusione esterna è in parte responsabile del nostro condizionamento.

Ci chiediamo: è possibile trasformare radicalmente questa situazione dentro di noi? Perché solo allora avremo una buona società, dove non ci si ferisce a vicenda psicologicamente o fisicamente. Quando ci poniamo questa domanda, che risposta c’è nel profondo? Siamo condizionati, non solo in quanto inglesi, tedeschi o francesi, ma condizionati anche da varie forme di desiderio, credenza, piacere e conflitto, ivi compreso il conflitto psicologico. Tutto questo e altro contribuisce al condizionamento. Prenderemo in esame l’argomento.

Ci stiamo chiedendo, stiamo riflettendo insieme, mi auguro, se questo condizionamento, questa prigione umana fatta di pena, di solitudine, di angoscia, di affermazione personale, di pressioni, di soddisfazione, e tutto il resto... questo è il nostro condizionamento, la nostra coscienza, e la coscienza è il suo contenuto... se tutta questa struttura possa essere trasformata. Altrimenti non ci sarà mai pace in questo mondo. Interverrà forse qualche piccola modifica, ma l’uomo continuerà a combattere, a scontrarsi, in perpetuo conflitto con se stesso e con l’esterno. Dunque questa è la nostra domanda. Possiamo rifletterci insieme?

Allora sorge la domanda: “Che fare?”. Ci si rende conto di essere condizionati, si è consapevoli, coscienti, di esserlo. Questo condizionamento ha origine dai propri desideri, dalle attività egocentriche, dalla mancanza di un giusto rapporto con gli altri, dal proprio sentimento di solitudine. Si può vivere in mezzo alla gente, si possono avere rapporti intimi, ma c’è sempre questo senso di smarrimento e di vuoto dentro di sé. Tutto questo è il nostro condizionamento, intellettuale, psicologico, emotivo, e anche fisico, naturalmente. Ora, è possibile trasformarlo completamente? Questa, io credo, è la vera rivoluzione. Una rivoluzione senza violenza. Allora, possiamo farla insieme?

Oppure, se uno di noi la fa, se comprende il condizionamento e risolve quel condizionamento mentre l’altro è condizionato, la persona che è condizionata ascolterà l’altro? Forse qualcuno non è condizionato. Lo ascolterò? E cosa mi spingerà ad ascoltare? Quale pressione, quale influenza, quale ricompensa? Cosa mi spingerà ad ascoltarlo con il cuore, la mente, tutto il mio essere? Perché se si ascolta così completamente, forse una soluzione c’è. Ma a quanto pare non ascoltiamo.

Perciò ci chiediamo: cosa porterà un essere umano, che è cosciente del proprio condizionamento, come lo è la maggior parte di noi, se siamo consapevoli in maniera intelligente... cosa lo porterà a cambiare? Per favore, ponetevi questa domanda, scoprite cos’è che porta ciascuno di noi a realizzare un cambiamento, una libertà dal condizionamento. Non a saltare in un altro condizionamento. Per esempio, lascio il cattolicesimo e divento buddhista: lo schema è identico. Quindi cosa porterà ciascuno di noi... e sono certo che tutti noi vogliamo costruire una buona società... cosa ci farà cambiare?

La promessa di un cambiamento si è servita di ricompense: il paradiso, un nuovo tipo di carota, una nuova ideologia, una nuova comunità, una nuova serie di gruppi, di nuovi guru. Oppure di punizioni: se non fai questo andrai all’inferno. Quindi tutto il nostro modo di pensare si basa sul principio di ricompensa e punizione. “Lo farò se ne ricavo qualcosa”. Ma quel tipo di atteggiamento, quel modo di pensare, non produce un cambiamento radicale. E un cambiamento del genere è assolutamente necessario. Sono certo che tutti ne siamo consapevoli. Perciò, cosa fare?

Alcuni di voi hanno ascoltato chi vi parla per molti anni; chissà perché. E dopo aver ascoltato, diventa un nuovo tipo di “mantra”. Sapete cosa significa quella parola? E una parola sanscrita il cui vero significato è non essere egocentrici, riflettere sul non divenire. Ecco cosa significa. Abolire l’egocentrismo e riflettere, meditare, osservare se stessi, in modo tale da non diventare qualcosa. Il vero significato di quella parola è stato sciupato da assurdità come la meditazione trascendentale. Quindi alcuni di voi hanno ascoltato per molti anni. Ma ascoltiamo davvero, e di conseguenza cambiamo, oppure ci siamo abituati alle parole e ci limitiamo a tirare avanti?

Cosa spinge un essere umano che ha vissuto per milioni di anni ripetendo le stesse vecchie abitudini, ereditando gli stessi istinti di autoconservazione, paura, sicurezza, importanza personale con il grande isolamento che produce... cosa lo spingerà a cambiare? Un nuovo dio, una nuova forma di spettacolo, una nuova edizione religiosa della partita di calcio, un nuovo circo equestre con annessi e connessi? Cosa ci farà cambiare? Il dolore, a quanto pare, non ha cambiato l’uomo, dato che abbiamo sofferto tanto, non solo individualmente ma anche collettivamente. Come genere umano abbiamo sofferto in misura enorme: guerre, malattia, afflizione, morte.

Abbiamo sofferto enormemente, e a quanto pare il dolore non ci ha cambiati. Nemmeno la paura ci ha cambiati, dato che la nostra mente va costantemente a caccia, alla ricerca del piacere, e anche quel piacere e sempre lo stesso in forme diverse, e non ci ha cambiato. Quindi, cosa ci farà cambiare? Non sembriamo capaci di fare nulla di nostra spontanea iniziativa. Facciamo le cose dietro pressione. Se non fossimo pressati da qualcosa, se non ci fosse l’idea di una ricompensa o di una punizione... ma è ridicolo anche solo pensare a ricompense e punizioni!

Se non ci fosse l’idea di un futuro... non so se avete riflettuto su questa faccenda del futuro, che forse è il nocciolo del nostro autoinganno di tipo psicologico, ce ne occupiamo fra un attimo. Se abbandonate idee del genere, che qualità avrà una mente che si confronta senza riserve col presente? Capite la mia domanda? Stiamo comunicando? Vi prego, rispondete sì o no, non so a che punto siamo. Non sto parlando da solo, spero? Ci si rende conto di aver creato da sé la propria prigione?

E per “sé” intendo il risultato del passato, genitori, nonni, e così via... la prigione psicologica ereditata, acquisita, imposta in cui viviamo e, ovviamente, l’istinto è quello di evadere dalla prigione. Ci si rende conto di questo, non in teoria, non concettualmente, ma come dato di fatto, un fatto psicologico? Quando si guarda in faccia quel fatto, perché anche allora non c’è alcuna possibilità di cambiamento?

Capite la mia domanda? Il problema è stato affrontato da tutte le persone serie che hanno a cuore la tragedia umana, la sofferenza umana, e che si chiedono perché non cominciamo a fare luce dentro di noi, non diamo spazio alla libertà, alla nostra bontà fondamentale. Non so se avete notato che gli intellettuali, i letterati, gli scrittori, e i cosiddetti leader mondiali hanno smesso di parlare di come costruire una buona società.

L’altro giorno parlavo con alcune di queste persone, e il commento è stato: “Sciocchezze, è un’idea antiquata, lascia perdere. L’idea di buona società è superata. È roba vittoriana, ingenuità, sciocchezze. Dobbiamo accettare le cose come sono e conviverci”. E probabilmente per la maggior parte di noi è così. Perciò noialtri, voi e io, che ne parliamo come fra amici, cosa dobbiamo fare? L’autorità di un altro non produce questo cambiamento, giusto? Se ti accetto come mia autorità perché voglio realizzare una rivoluzione dentro di me, e così realizzare una buona società, l’idea stessa di io che seguo e tu che mi istruisci è la morte della buona società. Capite cosa voglio dire?

Non sono buono perché mi dici di essere buono, o perché ti accetto come autorità suprema in fatto di rettitudine e ti seguo. L’accettazione stessa dell’autorità e dell’obbedienza è di fatto la distruzione di una buona società. Non è così? Capite cosa voglio dire? Possiamo approfondire l’argomento? Se ho un guru... grazie al cielo non ce l’ho, ma se ho un guru e lo seguo, che servizio ho reso a me stesso? Cosa ho fatto per il mondo? Niente.

Mi insegnerà qualche sciocchezza sulla meditazione, su questo e quell’altro, e io avrò un’esperienza meravigliosa, leviterò o altre sciocchezze del genere; mentre quello che voglio è costruire una buona società dove si può essere felici, dove c’è posto per l’affetto, per relazioni senza barriere, questa è la mia aspirazione. Ti scelgo come guru, e che ho fatto? Ho distrutto proprio la cosa che volevo, perché, lasciando da parte l’autorità della legge e simili, l’autorità psicologica divide, per sua natura è separativa. Tu là sopra e io qua sotto, tu sali sempre più in alto e anch’io salgo sempre più in alto, per cui non ci incontriamo mai!

È ridicolo, certo, ma facciamo davvero così. Quindi, mi rendo conto che l’autorità, con il suo corollario organizzativo, non mi può liberare? L’autorità dona un senso di sicurezza. “Non so, sono confuso, però tu sai, o almeno penso di sì e tanto basta; investo la mia energia e il mio bisogno di sicurezza su di te, su quello che dici”. Poi attorno a questo creiamo un’organizzazione, e l’organizzazione stessa si trasforma in prigione. Capite cosa voglio dire? Ecco perché non bisognerebbe appartenere a nessuna organizzazione spirituale, per quanto promettente, per quanto affascinante, per quanto romantica. Possiamo convenirne, constatarlo insieme? Capite la mia domanda?

Constatare insieme il fatto, per cui una volta che l’abbiamo constatato, finisce lì. Constatare che - per loro stessa natura - autorità e obbedienza, e l’organizzazione che ne deriva, religiosa o quant’altro, sono separative, tengono in piedi un sistema gerarchico, come appunto accade nel mondo, e dunque fanno parte del carattere distruttivo del mondo: constatare la verità di questo e farla finita. Possiamo farlo? Così che nessuno di noi... mi dispiace... che nessuno di noi faccia più parte di un’organizzazione spirituale, cioè di organizzazioni religiose: cattoliche, protestanti, induiste, buddhiste, nessuna esclusa.

Appartenere a qualcosa ci dà un senso di sicurezza, è chiaro. Ma appartenere a qualcosa produce invariabilmente insicurezza, perché è per natura separativo. L’uno segue un certo guru, una certa autorità, è cattolico, protestante, e l’altro è qualcos’altro. Perciò non si incontrano mai, anche se tutte le religioni organizzate dicono di collaborare al servizio della verità. Quindi è possibile, ascoltandoci a vicenda, ascoltando il fatto, bandire dal nostro modo di pensare ogni forma di accettazione dell’autorità, dell’autorità psicologica, e quindi le organizzazioni che vi ruotano attorno? Allora cosa accade?

Ho lasciato cadere l’autorità perché me lo hai detto tu, o perché vedo la natura distruttiva delle cosiddette organizzazioni? E lo vedo come fatto, e quindi con intelligenza? O mi limito a un’accettazione generica? Non so se mi state seguendo. Se si vede il fatto, la percezione stessa di quel fatto è intelligenza, e in quell’intelligenza c’è sicurezza, non in qualche sciocchezza superstiziosa. Capite cosa sto dicendo? Ditemi, vi prego, ci stiamo incontrando?

No, non a parole. A parole è facilissimo perché parliamo tutti l’inglese, il francese, o quel che volete. Se è intellettuale, a parole, non è un incontro. L’incontro c’è quando si vede il fatto insieme. Ora, possiamo... è una domanda... possiamo osservare il fatto del nostro condizionamento? Non l’idea del nostro condizionamento. Essere inglesi, tedeschi, americani, russi, indiani, orientali, o quel che volete, è una cosa. Il condizionamento fisico, prodotto da cause economiche, dal clima, dal cibo, dal vestiario, e così via. Ma oltre a questo c’è una grossa dose di condizionamento psicologico. Possiamo osservarlo come fatto? Prendiamo la paura. Potete guardarla?

O se al momento non ci riuscite, possiamo guardare le offese che abbiamo subito, le ferite, le ferite psicologiche che abbiamo accumulato, che abbiamo ricevuto fin dall’infanzia. Guardare, non analizzare. Gli psicoterapeuti tornano indietro a esplorare il passato. Ossia, cercano la causa delle ferite ricevute, esaminando e analizzando il movimento globale del passato. Quello che in genere si chiama analisi, in psicoterapia. Ma scoprire le cause serve a qualcosa?

E c’è voluto molto tempo, magari anni, è un gioco che facciamo tutti perché non vogliamo mai affrontare il fatto ma preferiamo dire: “Cerchiamo di capire da dove vengono i fatti”. Non so se mi state seguendo. Quindi si investe una gran quantità di energia, e probabilmente di denaro, nell’esame professionale del passato; o nell’esame in proprio, se si è capaci di farlo. E stiamo dicendo che un’analisi di questo tipo è separativa, perché l’analizzatore crede di essere diverso dalla cosa analizzata. Mi seguite? Quindi la divisione è tenuta in piedi dall’analisi, laddove il fatto ovvio è che l’analizzatore è l’analizzato. Capite?

Nel momento in cui si riconosce che l’analizzatore è l’analizzato... perché se sei arrabbiato lo sei... l’osservatore è l’osservato. Quando è presente la realtà di fatto, l’analisi non ha più senso, c’è solo una pura osservazione del fatto che accade ora. Capite cosa voglio dire? Potrebbe risultare difficile, perché in generale siamo condizionati al processo analitico, all’autoesame, all’investigazione introspettiva, siamo talmente abituati a questo, condizionati da questo, che la prima reazione di fronte a un’idea nuova può essere di immediato rifiuto o di chiusura. Quindi vi chiederei di esplorare, di esaminare la questione.

Ci stiamo chiedendo: è possibile guardare il fatto così come accade ora... la rabbia, la gelosia, la violenza, il piacere, la paura, quel che sia. Guardarlo, non analizzarlo, semplicemente guardarlo; e in quell’osservazione, l’osservatore si limita a osservare il fatto come qualcosa di separato da “sé”, oppure è il fatto? Non so se è chiaro. Riesco a spiegarmi? Capite la differenza? Generalmente siamo condizionati a credere che l’osservatore sia diverso dalla cosa osservata. Sono stato avido. Oppure, sono stato violento. Al momento della violenza non c’è divisione, è solo dopo che il pensiero ci torna su e si separa dal fatto.

Quindi l’osservatore è il passato che guarda quello che succede adesso. Perciò, si può guardare il fatto... che sei arrabbiato, avvilito, solo, quel che sia... guardare il fatto senza l’osservatore che dice: “Sono separato”, e che lo guarda come fosse diverso? O invece riconosce che il fatto è lui, non c’è divisione fra il fatto e lui stesso? Il fatto è lui stesso. Non so se capite. E cosa accade, perciò, quando si rivela il dato di fatto? Badate, la mia mente è stata condizionata a guardare il fatto, la solitudine, ad esempio... No, siamo partiti dalle ferite dell’infanzia, restiamo su quello. Sono portato, sono stato abituato a credere di essere diverso dalla ferita, giusto?

Di conseguenza il mio modo di trattare la ferita sarà o soffocarla o ignorarla circondarla di una barriera difensiva per non essere ferito di nuovo. Per cui quella ferita mi rende sempre più isolato, sempre più timoroso. Quindi la divisione si è prodotta perché mi credo diverso dalla ferita. Mi state seguendo? Ma la ferita sono io. Il “me” è l’immagine di me stesso che ho creato, e che è ferita, giusto? Quindi ho creato un’immagine sulla base dell’educazione, la famiglia, la società, sulla base di tutte le idee religiose riguardo a un’anima, all’essere separati, all’individuo, e via discorrendo. Ho creato un’immagine di me stesso, e quando calpesti l’immagine mi sento offeso.

Poi dico che la ferita non sono io, che devo cercare di rimediare a quella ferita. Quindi tengo in piedi la divisione fra la ferita e me stesso. Ma il fatto è che l’immagine sono io che sono stato ferito. Giusto? Perciò, posso guardare quel fatto? Guardare il fatto che l’immagine è me, e che fino a quando ho un’immagine di me è destinata a essere calpestata. È un fatto. Ma la mente può liberarsi da quell’immagine? Perché è chiaro che fino a quando esiste l’immagine le verrà fatto qualcosa, verrà punzecchiata, e da ciò nascerà una ferita, da cui l’isolamento, la paura, la resistenza, il muro che mi costruisco attorno... tutto questo ha origine dalla divisione fra l’osservatore e l’osservato, ossia la ferita.

Questa non è teoria, badate. Non è altro che comunissima osservazione di “sé”, quella che all’inizio abbiamo chiamato “consapevolezza di sé”. Allora cosa accade quando l’osservatore è l’osservato... nei fatti, non in teoria... cosa accade? Sono stato ferito fin dall’infanzia, dalla scuola, dai genitori, dagli altri bambini e bambine, capito... sono stato ferito, offeso, al livello psicologico. Mi porto dietro quella ferita per tutta la vita, nascosto, ansioso, spaventato, e so quali sono le conseguenze. E ora vedo che fino a quando l’immagine che ho creato, che è stata costruita, esisterà, ci sarà una ferita. Quell’immagine sono io. Posso guardare quel fatto?

Non guardarlo in teoria, ma guardare il fatto concreto che l’immagine è ferita, l’immagine sono io. È chiaro questo? Possiamo incontrarci, riflettere insieme, se non altro su questo punto? Allora cosa accade? Prima, l’osservatore cercava di rimediare in qualche modo. Ora l’osservatore è assente. Perciò non può far nulla per rimediare. Chiaro? Capite che cos’è successo? Prima, l’osservatore si sforzava di soffocarla, di tenerla sotto controllo, di non venire ferito, di isolarsi, resistere, e via discorrendo: faceva un enorme sforzo.

Ma quando si vede il fatto che l’osservatore è l’osservato, cosa accade? Volete che ve lo dica io? Allora non siamo approdati a nulla, allora quello che vi dico non avrà senso. Ma se ci siamo incontrati, se riflettiamo insieme e arriviamo a questo punto, allora scoprirete da soli che fino a quando c’è sforzo resta in piedi la divisione, giusto? Quindi nella pura osservazione non c’è sforzo, per cui la cosa che è stata prodotta in forma di immagine comincia a dissolversi. Tutto qua." (Jiddu Krishnamurti, Discorso tenuto a Brockwood Park il 25 agosto 1979)