lunedì 31 agosto 2009

L’immortale albero Ashvatta


Secondo la filosofia indiana, la Natura Cosmica intrisa delle tre qualità (ascendente, discendente ed espansiva) dà vita all’etere vibratorio intelligente. L’etere dà vita all’intelligente energia vitale cosmica e ai vitatroni che, a loro volta, danno origine alle radiazioni cosmiche e agli elettroni, protoni ed atomi. Con la combinazione di certi atomi si ottiene l’acqua, quindi compaiono gli elementi gassosi che nascono dal legame tra l’acqua e l’energia, mentre dalle impurità presenti nell’acqua trae origine la terra. E’ così che ebbero origine l’etere, l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra, cioè i cinque Elementi Cosmici, dalle cui combinazioni nacquero tutti gli universi.

Lo Spirito e la Natura Cosmica materializzano l’Intelligenza, mentre le forze più sottili della forza vitale, più gli elettroni e gli atomi, materializzano i cinque Elementi Cosmici, da cui deriva la costituzione fisica dell’Universo mediante la quale essi vennero trasformati nell’Universo Macrocosmico e nel Microcosmo, cioè il corpo umano.

Il Macrocosmo è il corpo fisico di Dio, che sente attraverso l’etere, vede e opera attraverso la luce cosmica, respira attraverso l’aria cosmica o interplanetaria e che odora, gusta e tocca attraverso i cinque Elementi Cosmici originari: il corpo fisico umano è fatto con la stessa intelligenza e si comporta come un’onda elettromagnetica.

Gli yogi dell’India, afferma Yogananda, scoprirono che il corpo elettroatomico umano è fatto di sottilissimi vitatroni intelligenti, che sono condensazioni dei pensieri-troni di Dio, infatti la struttura dell’uomo e di tutta la creazione è il prodotto della Mente Divina, e il corpo umano è frutto della relatività del pensiero di Dio.

Nella Bhagavad Gita, il beato Sri Krishna dice a Arjuna: “Essi (i saggi) parlano dell’Immortale albero Ashvatta, con le radici in alto e i rami in basso. Le sue foglie sono gli inni vedici. Chiunque comprenda questo albero della vita Ashvatta conosce i Veda.” (15,1)

L’immagine dell’albero Ashvatta “quello che non dura fino a domani” rappresenta il transitorio corpo umano, in cui il tronco è la spina dorsale e le sue “radici in alto” sono i raggi di energia che emanano dal sahasrara, cioè dal “loto dai mille petali” sulla sommità del capo, che nutrono il cervello e il corpo umano tramite di esso. I “rami in basso” sono i dendriti del sistema nervoso umano con le sue numerose ramificazioni, e gli “inni vedici” sono le vibrazioni della coscienza sensoriale trasmesse al cervello tramite le afferenze sensoriali che vengono inviate al sistema nervoso.

Ciò che rende immortale l’umano Albero della vita è il sistema nervoso, la spina dorsale, e un cervello sufficientemente sviluppato e raffinato per realizzare Brahman. Per l’induismo la materia è una vibrazione di energia e nell’universo esistono multeplici forme di manifestazione energetica: le “radici” umane attingono la loro energia principalmente dal cosmo, ed attirano la forza vitale anche in risposta della coscienza di simpatia ed antipatia operante nel mondo.

L’energia mentale può essere paragonata all’elettricità perché come questa ha due poli, viaggia in correnti, agisce per induzione e possiede una natura vibratoria. L’energia mentale umana possiede energia radiante, cioè irradia energia attiva sotto forma di raggi, vibrazioni e onde, ed il cervello umano agisce come un accumulatore e trasmutatore dell’energia mentale universale, ossia converte questa energia in pensieri, desideri e volontà.

Siccome la mente non può agire direttamente sul corpo, deve necessariamente agire in modo diverso per cui, la volontà agisce sull’energia e poi l’energia agisce sul corpo, in un processo che è come una continua creazione cosmica. Come il flusso di energia universale dipende dalla Mente Divina, la forza del flusso vitale umano dipende dalla nostra forza mentale, secondo l’assioma di Yogananda: “Più forte la volontà, più forte il flusso di energia.” E’quindi evidente che la mente continuerà a controllare il corpo usando l’energia mentale, perciò il controllo dell’energia è il nucleo di tutte le dottrine yogiche, cioè costituisce il fulcro dell’azione perfetta che eleva la natura umana.

In ogni forma di energia mentale vi sono due poli che entrano in azione: un polo che agisce, sceglie e controlla, e un altro polo che prova le emozioni, i sentimenti e le passioni: il polo delle emozioni si manifesta nei desideri, e il polo del controllo e dell’azione si manifesta come volontà. Sono questi i due poli che vengono usati da coloro che usano delle forme di manipolazione mentale, perché sia la volontà che il desiderio possono essere potentemente condizionati, sia da noi stessi che da altri.

Ogni nostra azione viene generata da un forte desiderio, che ci spinge ad attuare determinati comportamenti. Il desiderio ha origine da parti inconscie dell’animo e spesso viene avvertito ancor prima che divenga cosciente, sotto forma di inquietudine e come sentimento di scontento: è soltanto quando prende forza che esso diventa cosciente. Sia che i nostri desideri siano orientati ai più infimi desideri come pure alle vette più elevate, comunque il meccanismo resta identico, perché è la forza del desiderio che attira o che respinge le cose verso di noi, e ciò avviene sia se ne siamo consapevoli, ma anche se non ne abbiamo la minima consapevolezza.

Il problema è che il desiderio esercita una forza molto dispersiva, mentre è la volontà che è in grado di operare delle trasformazioni durature nella nostra vita. E’ la volontà che rinforza i nostri desideri, ed è questa la chiave per aprire al potere dell’energia mentale, poiché l’energia mentale universale fluisce nelle menti particolari che ne possono usufruire, a condizione di saperle direzionare opportunamente. Tale forza può essere usata sia a fini benefici che malefici poiché possiede una polarità neutra tale da assecondare sia la natura positiva e quella negativa, ma un suo uso distorto, sarà la causa di una reazione negativa di ritorno di pari entità.

E’ il desiderio la radice di tutti i sentimenti e di tutte le azioni conscie ed inconscie della nostra vita, perché il pensiero razionale, che è freddo ed astratto, non possiede quella vitalità e quella energia propulsiva che è propria dei desideri e delle passioni. Ma può accadere che alcuni individui siano deboli anche nelle loro forme di manifestazione dei desideri, perché mancano di quella vigorìa e di quella determinazione che sono in grado di dar vita ai sogni; il desiderio che è disgiunto dalla volontà, è perciò condannato a rimanere un semplice capriccio egoistico, privo di ogni forma di determinazione.

La volontà determinata è l’origine di ogni successo perché, tanto più ferma e decisa è la volontà, tanto più forte sarà l’influenza mentale che un individuo saprà emanare: è la determinazione che permette di superare i pericoli e le difficoltà della vita e che ci permette di conseguire i nostri migliori successi. E’ l’energia mentale che si manifesta nell’equilibrio di desiderio e volontà, che impedisce che i desideri prendano il sopravvento sulla ragione, che ci protegge dalle fascinazioni mentali esterne, e che ci permette di resistere agli assalti mentali di coloro che vorrebbero soggiogarci alle loro forme di pensiero.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 27 agosto 2009

L’energia dell’Oceano Cosmico


Le filosofie orientali credono che esista una forza naturale che si manifesta nell’attività della mente e che costituisce l’energia mentale. Essa costituisce un principio dinamico mentale che pervade lo spazio, ed è una prerogativa posseduta da ogni persona: chiunque può attingere a questa forma energetica, a condizione che l’individuo compia uno sforzo conscio o inconscio. Le attività di questo principio dinamico sono correlate al desiderio, alla volontà e alla immaginazione, sebbene l’energia mentale abbia le sue leggi, segua dei principi definiti, ed abbia delle modalità operative sue proprie.

L’energia mentale è dinamica perché può esercitare il suo potere, perciò essa è la forza attiva che è alla base dell’energia fisica e che ne costituisce la causa, quindi possiede tutte le caratteristiche della volontà. Lo stesso movimento di una mano, è il segno di una forma di energia volontaria che causa il movimento fisico e meccanico dell’arto. Cosa fluisce nei nervi? E’ elettricità, magnetismo, sostanza chimica o quel che si voglia, ma è sempre il prodotto della volontà della mente, ed è il frutto di una forza mentale manifestata dinamicamente.

Nell’universo la vita e l’energia mentale procedono con lo stesso passo, così come la scienza sta oggi dimostrando, e come i filosofi indù affermano da 51 secoli. Ogni atomo, ogni molecola, ogni pianta, ogni animale e anche ogni minerale sono tenute insieme da forze potenti dotate di una potenzialità attiva, in grado di sviluppare future energie ancora più profonde: perciò l’universo è vivo in ogni sua parte ed è un sistema dotato di un suo ordine armonico, come già sapevano gli uomini-medicina, gli sciamani e tutti i sacerdoti della sapienza antica.

Sappiamo che la vita è potenziale nella materia, perciò è ancora più evidente che la mente è potenziale nella vita. Sappiamo che l’ovulo fecondato si scinde per attuare la potenzialità del divenire un individuo e perciò un essere mentale, perché allora non concepire, per inferenza, che gli elementi dinamici e vitali della mente non siano anche negli elementi chimici che si trovano nelle cellule?

Ricorda Erwin Laszlo:” Tutto ciò che esiste è un sistema aperto. Nulla è completamente chiuso o indipendente, tutto è connesso in maniera molto sensibile. [...] ciò che accade a una parte dell’organismo accade contemporaneamente all’altra parte. Vi è una costante interazione su dimensioni multiple.”

L’universo è quindi una forza dinamica in equilibrio armonico, e la vita stessa è un movimento diretto e organizzato da una forza ordinatrice. Per la sapienza orientale, la materia non è l’origine di tutte le cose, poiché l’universo è un grande organismo controllato dal dinamismo psichico. Nelle cellule che compongono il nostro corpo, nel sangue e in tutta la materia organica ed inorganica sono presenti delle forme di vita: le concezioni induiste e l’occultismo occidentale hanno sempre creduto che la vita fosse presente sia nella materia organica come pure nella materia inorganica, solo con forme ed intensità diverse. La scienza moderna si sta ora spingendo verso queste stesse concezioni.

Nella scala delle forme di manifestazione energetica, abbiamo l’energia creativa ed equilibrante dei cristalli, che sono forme cristallizzata di vita minerale. Le piante assorbono i minerali della terra, e le convertono in cellule vegetali, quindi le piante vengono mangiate dagli uomini che producono le cellule animali che sono alla base dei nostri muscoli, del sangue e degli organi.

Tutte le forma di materia sono quindi composte di atomi o di particelle, che si combinano tra loro secondo forme di attrazione o repulsione, di simpatia o di antipatia, di odio o di amore, generando comportamenti conseguenti. Sappiamo che esiste energia dinamica in ogni atomo e in ogni particella della materia, poichè ogni protone e ogni elettrone funziona attraendo o respingendo altre particelle di materia.

L’esoterismo e l’induismo affermano che l’energia che pervade l’intero universo sia originata dall’etere, la sostanza tenue e sottile che è alla base dei fenomeni dell’universo, una sostanza immateriale che riempie tutto lo spazio, e in cui si racchiude la forza dinamica aggregante che è il Principio Spirituale superiore.

L’etere rappresenta l’unità delle forze e delle energie dalle quali derivano tutti i fenomeni fisici mentali e spirituali dell’uomo: l’etere è il mezzo attraverso il quale reagiscono mente e materia. La mente e l’energia mentale sono quindi i motivi che sono alla base dell’energia fisica, perché da un principio dinamico universale si origina la fonte dell’energia mentale che è nell’uomo e in tutte le forme viventi.

Secondo molti fisici, l'avvento della relatività avrebbe cancellato uno dei capisaldi della scienza ottocentesca: il concetto di etere dalla fisica, ma lo stesso Einstein cambiò più volte opinione su questo. Pochi sanno che negli ultimi 40 anni della sua vita, egli fu favorevole alla teoria dell'esistenza di un etere relativistico, anche se gli storici della scienza lo hanno sempre dipinto come il campione della lotta positivistica contro la fisicità dello spazio.

Oggi, in qualche modo, i fisici teorici sono d'accordo sul concepire il vuoto come un etere dotato di proprietà molto particolari e molto simile al vuoto descritto dai filosofi. I fisici teorici usano un vuoto ancora più estremo, quello in cui il recipiente è tutto l'universo, uno “stato dunque in cui neppure noi abbiamo il diritto di esistere.”

Scrive il fisico Tullio Regge: “Nella maggioranza delle teorie fisiche proposte finora […] in fondo non è assolutamente possibile distinguere un etere invariante sotto tutte le operazioni sopra descritte da un vuoto vero e proprio; la distinzione diventa semantica. La vecchia polemica pro o contro l'etere originava da una concezione troppo ristretta di etere; come fluido dotato di proprietà simili ai fluidi materiali conosciuti. Di qui la polemica sul “vento d'etere” […] E' dunque il vuoto che determina le proprietà della materia, e noi stessi siamo delle piccole fluttuazioni attorno al vuoto consueto”cosicchè “il vuoto parrebbe essere lo stato di massima simmetria di un sistema.”

Nell’induismo, si crede che l’intero universo sia un grande, vivente e pulsante Oceano di Energia mentale dinamica. Nella profondità di questo Oceano vi è infinita calma, quiete e pace che rappresentano il potere latente e l’energia creativa potenziale. Sulla superficie di questo Oceano vi sono delle increspature, onde, grandi movimenti energetici, correnti e vortici. L'Oceano di Energia Cosmica manifesta la sua attività con lo scatenarsi di terribili tempeste alternate a fasi di calma repentina.

Nell'immagine di Vishnu Narayana, cioè di Vishnu che riposa sulle acque, si rappresenta il dio creatore induista che si riposa, per tutto il periodo che intercorre tra la dissoluzione di un universo e la creazione di un altro, in un sonno contemplativo nelle spire di Shesha Ananta "residuo di colui che è senza fine" il Re dei Serpenti, il bianco serpente cosmico, custode dell’energia vitale universale.

Il dio viene rappresentato con la sposa Laksmi, devi dell'abbondanza, della luce, della saggezza e del destino, ma anche della fortuna, bellezza e fertilità, Madre del Mondo. Il risveglio di Vishnù darà origine ad una nuova era del mondo e ad un altro ciclo universale, e dal suo ombelico sorgerà Brahman, che è il dio della manifestazione, e sua diretta emanazione. Terminata questa fase creativa, Vishnù riprenderà il suo sonno contemplativo sul Serpente del mondo.

Dall'Oceano Cosmico sorge quindi un’enorme potere sia fisico che mentale, che nasce dal profondo e al profondo dovrà tornare, e che si esprime con un pulsare ritmico, simile a quello di un enorme cuore il quale, al ritmo delle sue sistole e le sue diastole, si dilata e si comprime. In questo pulsante Oceano vi è una fonte infinita di energia alla quale possono attingere tutti i centri umani di coscienza e potere, una volta che ne abbiano penetrato il segreto, poiché ognuno di noi è un centro di potere dell’Oceano di energia mentale dinamica, e ogni “Io” è un maestro di tale potere. Gli esoteristi e gli induisti affermano che il segreto per attingere al grande Oceano Cosmico, sia quello di essere pronti ad allargare il nostro canale ricettivo, e di aumentare la nostra frequenza vibratoria.

Buona erranza
Sharatan


martedì 25 agosto 2009

Uno sguardo sul nuovo mondo


Il fondamento dell'universo nella concezione induista è l’interazione tra essere e divenire, tra azione e quiete, perchè la materia primordiale è composta di energia, e perché vi è una totale identità tra la materia ed l’energia, come anche la fisica moderna ha scoperto all’inizio del Novecento. E’ essenziale sentire internamente le energie che costituiscono il significato del mondo, interiorizzandolo, al fine di realizzare l'identità fra lo spirito universale (Brahman) e quello individuale (Atman). L’uomo è parte di Brahman che è il principio cosmico eterno, infinito ed inconoscibile, fondamento di ogni cosa, principio e fine, perciò l'Atman (Anima, respiro vitale, soffio) che è la percezione del divino che si cela nelle più intime profondità dell'essere umano, è il riflesso del Brahman.

Secondo Shrii Shrii Anandamurti, la consapevolezza psichica umana è ritmica, perché il mondo interiore si adatta a ciò che accade nel mondo esteriore. Quando il ritmo psichico interno è in disaccordo con il ritmo del mondo esteriore, allora proviamo una forma di angoscia, mentre quando i due mondi sono armonici, allora siamo a nostro agio. Ma il mondo esteriore non possiede una linea di condotta tale da aiutare le persone a mantenersi in equilibrio: perciò molti lamentano questo senso di squilibrio, e il senso di disarmonia con il mondo esteriore, perciò molti perdono il loro equilibrio mentale.

La nostra struttura interiore divina è una struttura così tenera che va tutelata con un adeguato recinto difensivo interiore, in grado di poterla difendere dagli assalti del mondo materiale; dobbiamo quindi costruire una filosofia adeguata che stabilisca una giusta armonia tra il mondo interiore ed esteriore: trascurare questa essenziale strutturazione ci rende fragili e schiavi, e ci espone indifesi alle sollecitudini squilibranti del mondo esteriore. Il sentimento devozionale, secondo Shrii Shrii Anandamurti è il sentimento che infonde questa potente forza difensiva. Ricordiamo, quindi, che qualsiasi ideologia che propugna la finalità di mantenere le persone in condizione di povertà, di deprivazione e di limitazione, qualsiasi pensiero che ci vuole poveri e sprovveduti, è causa di enormi danni alla società e all’ambiente naturale.

Tutte le ideologie che implicano la degradazione umana devono essere considerate come causa di enormi spargimenti di sangue, come causa di dispersione, come origine della divisione degli uomini in fazioni, e come forme meschine di pensiero dogmatico. Queste forme di pensiero producono una crescente oscurità e ignoranza, e creano una realtà umana infelice e ingiusta. I dogmi chiudono i fiumi che scorrono lungo i sentieri della vita, e trasformano l’esistenza in una pozza stagnante, dice Shrii Shrii Anandamurti. I dogmi sono i limiti che poniamo al continuo divenire dell’esistenza, mentre il sentimento devozionale ha il ruolo di trasformare il senso dell’esistenza terrena nel supremo atteggiamento spirituale.

I sentimenti umani devono sempre tener conto di tutte le forme di vita che coabitano sul pianeta, perciò l’interesse per il flusso vitale che pulsa in tutte le creature deve spingere l’individuo sulla via di un nuovo umanesimo. Quando il sentimento della sacralità della vita avrà incluso ogni forma vivente, allora l’esistenza umana avrà compiuto la sua piena realizzazione, perché il processo di espansione del nostro amore interiore verso tutte le creature, il sentimento di vibrazione amorosa esteso in tutte le direzioni, arriverà a toccare tutte le creature viventi. Tutta la materia che osserviamo è la vera espressione della stessa Coscienza Suprema, e tutti coloro che lo ricordano sempre e che tengono saldo questo principio nei loro cuori sono dei veri devoti; per merito loro, sarà possibile fondare un nuovo mondo futuro.

Questo culto devozionale, e tutti i sentimenti che vengono ispirati da esso, diverrà un universale culto dell’Amore per tutti gli esseri che vivono nell’universo: perciò il culto devozionale è sia intimo che teorico ma, sempre, essenzialmente pratico. Il vero dovere degli esseri umani è quello di avere un continuo avanzamento soggettivo, cioè psicospirituale verso la Coscienza Suprema e nel contempo, quello di stabilire una struttura sociale umana basata sull’universalismo. Questa ricchezza devozionale è il più grande tesoro dell’essere umano, dice Shrii Shrii Anandamurti, perciò deve essere protetta, altrimenti l’uomo perderà il suo bene più prezioso. Il sentiero della devozione non è un semplice culto o una concezione filosofica, ma è la missione dell’esistenza umana.

Le persone intelligenti non possono stare in silenzio e in disparte, mentre questi sentimenti squilibranti si diffondono sempre più nel mondo, propagandati da individui scaltri, motivati solamente dai loro interessi particolari, da personaggi che infondono l’ignoranza nelle menti dei popoli, al solo fine di farli rimanere ottusi, passivi, divisi e disgregati. Laddove vengano viste, vanno sempre denunciate tutte quelle forme di pensiero che coltivano l’ignoranza, che è amica della schiavitù e nemica del progresso umano sociale e spirituale.

Le persone devono divenire consapevoli delle cause dei molti squilibri che opprimono il nostro mondo, tra cui il principale sentimento squilibrante costituito dal geosentimento, cioè dal legame particolaristico che gli uomini hanno per il loro territorio e per la loro località, a tutto scapito di quella altrui. Questo territorialismo, equivale al primitivo comportamento animale, che consiste nel limitare le attività in zone ben definite, che vengono ferocemente difese dall'ingresso di animali della stessa specie. Detto questo, s’intuisce bene come il nostro moderno credere che si possa restare chiusi in un recinto fortificato, totalmente isolati e protetti dal mondo esteriore, equivale a voler vivere il presente con la mente dell’uomo delle caverne.

Per combattere i geosentimenti, e tutti i sentimenti negativi che nascono su questa falsariga, è necessario essere molto vigili, perché l’arma migliore resta sempre quella razionale. Tutti quelli che hanno capito, poi, hanno l’obbligo di aiutare gli altri a capire. Secondo Shrii Shrii Anandamurti, i geosentimenti sono di vario genere, e fomentano tutti i sociosentimenti che promuovono gli interessi della propria società a discapito delle società altrui. Lo stesso meccanismo distorsivo è dimostrato dal sociopatriottismo, dalla socioreligione, dalla socioeconomia, e così di seguito.

Per fare l’esempio in campo religioso, la socioreligione afferma che il proprio Dio è quello giusto, e che i suoi fedeli sono gli Eletti e gli Unti del Signore: tutte le altre religioni sono maledette e vanno combattute: questo è l’esempio delle prediche amate delle socioreligioni. Distruggere le altre nazioni per poterne usurpare le risorse, a solo vantaggio della propria, queste sono le azioni dei sociopatriottismi o fascismi. Rovinare gli interessi economici di una nazione a solo vantaggio della propria, scatenando delle crisi dalle dimensioni planetarie, queste sono le azioni delle socioeconomie e delle lobbies economiche, che perseguono il benessere di pochi e l’oppressione di molti.

Per combattere tutti questi sociosentimenti sarà necessario, secondo Shrii Shrii Anandamurti, realizzare una mentalità protospirituale che creda nel principio dell’uguaglianza sociale, perché la base del dharma è la marcia collettiva di tutti gli uomini all’unisono. E’ certo che l’evoluzione della mentalità spirituale si sta muovendo fin dall’inizio dei tempi, con un cammino inesorabile che nulla potrà mai arrestare. La Coscienza Cosmica vuole che ciò avvenga, e “vuole che questo movimento peristaltico protospirituale continui all’infinito fino a che, finalmente, ci si immergerà in Lui.”

Questo percorso di consapevolezza umana viene alimentato da una fonte costante di ispirazione dotata di forza e di determinazione, che dal punto di vista sociale e politico, diventerà la missione di perseguire la giustizia sociale e la felicità sulla Terra. In futuro, dice Shrii Shrii Anandamurti, la spiritualità diverrà il solo culto, e la Terra diverrà un Paradiso colmo di beatitudine, così vivremo in uno stato di supremo appagamento: questo è lo stato più alto a cui può giungere la vita umana. Quelli che marciano su questo sentiero rendono la loro vita gloriosa e luminosa, e la loro luminosità potrà illuminare tutte le altre menti dell’universo. Con qualsiasi cosa verranno a contatto nel mondo materiale, essi sapranno distinguere l’oro vero dai falsi metalli, e su tali persone si potrà veramente fare conto ed affidamento. La loro vittoria finale è assicurata!
Buona erranza
Sharatan

sabato 22 agosto 2009

Il paradosso della servitù volontaria


Étienne de La Boétie nasce nel 1530. Rimasto orfano, viene allevato dallo zio e avviato agli studi di giurisprudenza. Vive in Francia nel periodo delle guerre di religione tra cattolici e ugonotti, che si concluderà con la decisa repressione di questi ultimi. La Boétie denuncia gli errori della repressione violenta e si dichiara favorevole ad un cattolicesimo riformato, nel quale cattolici e protestanti potessero convivere. Si trova ad interpretare molto fruttuosamente il ruolo di mediatore in alcuni conflitti religiosi, ma proprio quando la sua carriera politica è in forte ascesa, si ammala gravemente e muore all’età di soli 33 anni nel 1563. Sul letto di morte, affida all’amico Michel De Montaigne tutti i suoi scritti, tra cui “Il Discorso sulla servitù volontaria,” il breve componimento che aveva scritto a soli 16 anni, nel 1546.

Nel “Discorso sulla servitù volontaria”, La Boétie afferma che la tirannia non è mai imposta, ma è consensualmente accettata dal popolo, che accetta di sottomettersi volontariamente al tiranno, perché accanto al naturale e innato desiderio di libertà vi è, nell’animo umano, anche un oscuro desiderio di servire: “… è davvero sorprendente, e tuttavia così comune che c’è più da dispiacersi che da stupirsi nel vedere milioni e milioni di uomini servire miserevolmente, col collo sotto il giogo, non costretti da una forza più grande, ma perché sembra siano ammaliati e affascinati dal nome solo di uno, di cui non dovrebbero temere la potenza, visto che è solo, né amare le qualità, visto che nei loro confronti è inumano e selvaggio. […] Vedere un numero infinito di persone non obbedire, ma servire; non essere governati, ma tiranneggiati; senza che gli appartengano né beni né parenti, né mogli né figli, né la loro stessa vita!”

Secondo La Boétie, il carattere volontario della servitù è dimostrato dal fatto che è sufficiente volere essere liberi per diventarlo: “Sono dunque i popoli stessi che si lasciano o piuttosto si fanno tiranneggiare, poiché smettendo di servire ne sarebbero liberi. È il popolo che si assoggetta, che si taglia la gola e potendo scegliere fra l’essere servo e l’essere libero, lascia la libertà e prende il giogo; che acconsente al suo male, o piuttosto lo persegue […]

Colui che tanto vi domina non ha che due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di più dell’uomo meno importante dell’immenso ed infinito numero delle nostre città, se non la superiorità che gli attribuite per distruggervi. […] Come fa ad avere tanto potere su di voi, se non tramite voi stessi? Come oserebbe aggredirvi, se non avesse la vostra complicità? Cosa potrebbe farvi se non foste i ricettatori del ladrone che vi saccheggia, complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?”

Ma il tiranno non è solo il re della monarchia assoluta, ma è qualsiasi corpo politico che elimini il carattere pubblico del potere per utilizzarlo in modo da imporre agli altri la propria volontà ed i propri interessi. E tale dominio è tirannico, indipendentemente dal modo con cui il potere è stato ottenuto: “Vi sono tre tipi di tiranni: gli uni ottengono il regno attraverso l’elezione del popolo, gli altri con la forza delle armi, e gli altri ancora per successione ereditaria. Chi lo ha acquisito per diritto di guerra si comporta in modo tale da far capire che si trova, diciamo così, in terra di conquista.

Coloro che nascono sovrani non sono di solito molto migliori, anzi essendo nati e nutriti in seno alla tirannia, succhiano con il latte la natura del tiranno, e considerano i popoli che sono loro sottomessi, come servi ereditari; e, secondo la loro indole di avari o prodighi, come sono, considerano il regno come loro proprietà. Chi ha ricevuto il potere dello Stato dal popolo […] è strano di quanto superino gli altri tiranni in ogni genere di vizio e perfino di crudeltà, non trovando altri mezzi per garantire la nuova tirannia che estendere la servitù ed allontanare talmente i loro sudditi dalla libertà, che, per quanto vivo, gliene si possa far perdere il ricordo. A dire il vero, quindi, esiste tra loro qualche differenza, ma non ne vedo affatto una possibilità di scelta; e per quanto i metodi per arrivare al potere siano diversi, il modo di regnare è quasi sempre simile.”

La Boétie avvisa sui mezzi che i tiranni usano per suscitare la volontà di servire tra cui, primariamente, l’abitudine: “È vero che, all’inizio, si serve costretti e vinti dalla forza, ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianti e fanno volentieri quello che i loro predecessori avevano fatto per forza. È così che gli uomini che nascono sotto il giogo, e poi allevati ed educati nella servitù, senza guardare più avanti, si accontentano di vivere come sono nati, e non pensano affatto ad avere altro bene né altro diritto, se non quello che hanno ricevuto, e prendono per naturale lo stato della loro nascita.

Non si può dire che la natura non abbia un ruolo importante nel condizionare la nostra indole in un senso o nell’altro; ma bisogna altresì confessare che ha su di noi meno potere della consuetudine. […] La natura dell’uomo è proprio di essere libero e di volerlo essere, ma la sua indole è tale che naturalmente conserva l’inclinazione che gli dà l’educazione.”

Quando l’abitudine diventa insufficiente, si persegue l’abbrutimento del popolo poiché la servitù implica l’infiacchimento dell’individuo, perciò i tiranni, che ne sono consapevoli, agiscono per aumentarne l’abbrutimento. A tale scopo, ostacolano la diffusione della cultura, perché i libri e l’istruzione contribuiscono a diffondere la consapevolezza di sé e l’odio per la servitù. I tiranni amano gli spettacoli grossolani, infatti:

“… i teatri, i giochi, le farse, gli spettacoli, i gladiatori, le bestie esotiche, le medaglie, i quadri ed altre simili distrazioni poco serie, erano per i popoli antichi l’esca della servitù, il prezzo della loro libertà, gli strumenti della tirannia. Questi erano i metodi, le pratiche, gli adescamenti che utilizzavano gli antichi tiranni per addormentare i loro sudditi sotto il giogo. Così i popoli, istupiditi, trovando belli quei passatempi, divertiti da un piacere vano, che passava loro davanti agli occhi si abituavano a servire più scioccamente dei bambini.”

Inoltre il potere tirannico impedisce ogni forma di aggregazione e comunicazione sociale tra coloro che hanno conservato la passione per la libertà, piuttosto consente le associazioni che non contestano la tirannia, ma che la sostengono perché è essenziale, secondo La Boétie, creare ogni meccanismo che coaguli il massimo consenso intorno al culto della persona del tiranno, usando tecniche di accrescimento ed enfasi della sua persona.

Quindi La Boétie indica la pratica di “insinuare nei popoli il dubbio che fossero in qualche cosa più che uomini” e poi la “favola” dell’origine divina del re, da cui derivare le sue naturali capacità taumaturgiche: “ Così si garantivano che il popolo si fidasse di più di loro, come se dovesse sentirne il nome e non invece gli effetti. Oggi non fanno molto meglio quelli che compiono ogni genere di malefatta, anche importante, facendola precedere da qualche grazioso discorso sul bene pubblico e sull’utilità comune.”

Infine, La Boétie indica il vero fondamento della tirannia nella sua stratificazione gerarchica: “sono sempre quattro o cinque che sostengono il tiranno, quattro o cinque che mantengono l’intero paese in schiavitù. È sempre successo che cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno, che si siano avvicinati da sé, oppure chiamati da lui. […] Questi sei ne hanno seicento che profittano sotto di loro, e fanno con questi seicento quello che fanno col tiranno. Questi seicento ne tengono seimila sotto di loro, che hanno elevato nella gerarchia, ai quali fanno dare o il governo delle province, o la gestione del denaro pubblico.”

La Boétie crede che vi sia una vera contrapposizione tra la servitù e la libertà: “Credo che sia fuori dubbio che, se vivessimo secondo i diritti che la natura ci ha dato e secondo gli insegnamenti che ci rivolge, saremmo naturalmente obbedienti ai genitori, seguaci della ragione e servi di nessuno. […] di sicuro, se mai c’è qualcosa di chiaro ed evidente nella natura, che è impossibile non vedere, è che la natura, ministro di Dio, la governatrice degli uomini, ci ha fatti tutti della stessa forma, e come sembra, allo stesso stampo, perché possiamo riconoscerci reciprocamente come compagni o meglio come fratelli.

E se, dividendo i doni che ci faceva, ha avvantaggiato nel corpo o nella mente gli uni più degli altri, non ha inteso per questo metterci al mondo come in recinto da combattimento, e non ha mandato quaggiù né i più forti né i più furbi come briganti armati in una foresta, per tiranneggiare i più deboli. Ma, piuttosto, bisogna credere che la natura dando di più agli uni e di meno agli altri, abbia voluto lasciar spazio all’affetto, perché avesse dove esprimersi, avendo gli uni potere di dare aiuto, gli altri bisogno di riceverne.

[…] Non bisogna dubitare che siamo naturalmente liberi, perché siamo tutti compagni, e a nessuno può venire in mente che la natura abbia messo qualcuno in servitù, dopo averci messo tutti insieme. […] Se ne deve concludere che la libertà è un dato naturale, e per ciò stesso, a mio avviso, che non solo siamo nati in possesso della nostra libertà, ma anche con la volontà di difenderla.”

Scritto più di 240 anni prima della rivoluzione francese, lo scritto di La Boétie indica una futura e ideale società fondata sulla libertà e sull’uguaglianza, contrapposta alle dominazioni tiranniche, e realizzata attraverso una relazione sociale basata sull’amicizia. I disonesti non sono mai amici ma complici, non si amano ma si temono, mentre invece l’amicizia “ha il suo vero terreno di coltura nell’eguaglianza, che non vuole mai contravvenire alla regola, anzi è sempre uguale”. Ormai vecchio di 460 anni, il “Discorso sulla servitù volontaria” non dimostra i suoi anni e appare ancora attualissimo per l'invito alla disobbedienza civile ai regimi ingiusti, e per il monito agli apprendisti libertari: “Siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi.”

Buona erranza
Sharatan


giovedì 20 agosto 2009

Nelle officine dei falsi idoli


“Trovo esecrabile la menzogna
perché è un’inesattezza”
(Fernando Pessoa come Ricardo Reis, 1931)

La nostra società di massa è contraddistinta sia dalla violenza che dalla menzogna. Ogni giorno viviamo in mezzo a tali menzogne da giustificare l’affermazione del filosofo Alexandre Koyré, secondo il quale “è certo che l’uomo ha sempre mentito.” Seppure la politica sia certamente il migliore palcoscenico della menzogna, la menzogna è anche il tema centrale di tutti i messaggi che ci vengono ripetuti dai media. Per questi motivi sarebbe opportuno che riconoscessimo di essere immersi in una società che vive di menzogne e in cui la sincerità di colui che parla, si basa sulla critica e sullo smascheramento delle menzogne degli altri.

Nella nostra società, molte scelte vengono fatte in base alla parzialità d’informazioni di cui si dispone, e sulla base delle parziali verità di cui siamo a conoscenza: quindi molto di ciò che facciamo si basa sulla menzogna. Chiaramente colui che mente non ammette le sue menzogne, anzi il contesto politico della menzogna ha come scopo ultimo la sua invisibilità e la completa impunibilità, infatti la menzogna politica è molto accorta nel nascondere le sue impronte.
Spesso si offrono delle allusioni a fenomeni come l’immigrazione, la disoccupazione o la prostituzione, ma in maniera da non permettere che il problema o il fenomeno sia inquadrato e compreso nella sua genesi: si afferma che quello è un problema, come se un problema potesse nascere da un buco nero o da un punto definito, come se non avesse una sua origine sociale.

Queste informazioni che eliminano il fondamento storico, e che offrono solo dei frammenti di realtà sociale, corrispondono all’offerta di briciole avulse da ogni contesto che permetta di analizzare le cause della loro comparsa nella nostra realtà sociale. E se all’informazione si toglie il contesto storico essa diventa, come affermava il filosofo Walter Benjamin, un’informazione che porta con sé la menzogna dell’oblio e dell’occultamento della sua storicità. Quindi ogni oblio della menzogna corrisponde ad una difesa dei bugiardi. Nella politica contemporanea le accuse lanciate contro l’avversario, la menzogna, che pure è palpabile, che è evidente ed è indiscutibile non viene mai completamente stigmatizzata, perché colui che mente cerca sempre di giustificare le sue menzogne e così la bugia si riveste di grettezza.

E’ a causa della crescente grettezza che si riesce a convivere con la menzogna politica, che è una menzogna insulsa, perchè si sottrae alla sua parte di responsabilità, ed è proprio la menzogna irresponsabile che domina la scena politica, come già affermava Platone che avvisava come il diritto al falso fosse offerto ai governanti nell’interesse dello stato. Infatti questa formula è stata ampiamente utilizzata nel corso dei secoli, cosicchè “la sincerità non è mai stata annoverata tra le virtù politiche” come amaramente notava Hannah Arendt. E forse oggi siamo ad un altissimo livello di politica, poichè questa formula è osannata da tempi come quelli in cui viviamo, in cui il vantaggio personale è potentemente ricercato, anche a scapito di quello altrui.

Così la menzogna è il cinico gioco della modernità, il rifugio precario al quieto vivere sociale, un modo per ricreare la realtà con l’obiettivo di poter vivere meglio. La menzogna diventa una corazza utile per salvaguardare ogni possibilità di senso, e largamente usata perché facilita la vita con la costruzione di comode anche se illusorie concezioni.
Quindi il bugiardo diviene un essere la cui condotta affascina e repelle, perché la menzogna usa una parola falsa che riesce a falsare i rapporti con gli altri, fino a rendere quei rapporti oscuri e torbidi, fino alla distruzione delle relazioni sociali. E questa menzogna non ha una faccia unica, ma offre un’infinità di forme e di aspetti, perché non sappiamo mai dove finisce la menzogna e dove inizia la verità.

Per sua natura la menzogna non si può racchiudere in compartimenti stagni, ma richiede sempre un approccio cauto e circospetto, in modo da saperne cogliere tracce ed orme. La capacità di fingere è infinita come lo sono le sfumature emotive degli esseri umani, ed essa diventa un rifugio multiforme alle difficoltà del vivere sociale. La menzogna diventa un modo di rapportarsi con gli altri e diventa anche un’interpretazione di possibili modi del vivere, perché esiste anche una “politica della verità” come diceva Foucault, per cui si definisce come verità tutto ciò che viene unanimamente ritenuto ed accettato come tale.

Nella verità vi è sempre un convincere per poter vincere, così che il “concetto di verità appartiene alla retorica della lotta per la conquista del potere” avverte Zygmunt Bauman (Il disagio della modernità, 2002) perciò la verità non è presistente, ma nasce da un sistema di valori creati da processi sociali. Ragionando così allora, per avere una verità effettiva, dovremmo ipotizzare un osservatore neutrale, cioè un soggetto avulso da ogni sedimento sociale e in grado di affermare una verità non ingannevole.

La storia ci insegna che molte verità hanno conservato brandelli di menzogna, e che molti uomini hanno creato delle verità verosimili o credibili, ma è una diatriba che risale agli antichi sofisti, i filosofi dei molteplici modi di essere che portavano a delle molteplici verità.
Molte bugie sono state camuffate da verità inconfutabili, per cui la verità è un’illusione ammantata dalla forza con cui viene imposta, come già voleva Nietzsche.

Nietzsche diceva che il punto non è tanto il fare uso della menzogna, piuttosto il modo con cui questo avviene, perché qualora la menzogna sia ripetuta senza sosta, qualora tali menzogne vanno continuamente smentite, si rivela nel mentitore il carattere dell’uomo senza volontà, dell’ultimo uomo, dell’uomo del gregge. Nell’officina in cui sono fabbricati gli idoli, scrive Nietzsche in “Genealogia della morale” vi sono sempre menzogne, perciò essa “esala unicamente il fetore della menzogna.”

Nelle officine dei falsi idoli, le menzogne hanno sempre abitato perché in quei luoghi mancano gli individui veri, cioè mancano di coloro che aspirano ad un fine teleologico, di coloro che credono che vi sia un progetto, uno scopo, una direttiva o una finalità nelle opere e nei processi naturali. Nelle officine dei falsi idoli abitano solo quelli che aspirano alla menzogna per spirito di sottomissione, vivono coloro che mentono per debolezza, che mentono per impotenza, per viltà o per codardia: tutti costoro depauperano il senso della Terra ed impoveriscono la vita.

Da tutto ciò si desume che la menzogna è una risorsa fin troppo facile, che è una strategia vigliacca, e che senza dubbio la sincerità è da preferibile, non per scrupolo morale, ma solo per le ragioni che dichiara Joseph Conrad in “Cuore di tenebra”: “Sapete che odio, detesto, non posso tollerare le bugie, e non perché sia più retto degli altri, ma semplicemente perché mi spaventa. C’è un’ombra di morte, un’effluvio di mortalità nelle menzogne; proprio ciò che odio e detesto al mondo, ciò che voglio dimenticare. Mi rende infelice e mi disgusta, come dare un morso a qualcosa di marcio.” Forse anche Conrad percepiva il profondo disprezzo per la sofferenza altrui di cui la menzogna si ammanta?
Buona erranza
Sharatan

venerdì 14 agosto 2009

Che il cielo entri dal tetto

Dice un proverbio cinese: “Se non cambiamo direzione, con tutta probabilità arriveremo dove siamo diretti” e se il detto sarà applicato dall'umanità di oggi, sicuramente l'esito sarà disastroso. Senza cambiamenti di direzione andremo verso un mondo caotico in cui crescerà la pressione demografica e la povertà, un mondo violento in cui aumenteranno i conflitti sociali e politici, e dove fioriranno le guerre, un mondo ostile in cui aumenteranno i cambiamenti climatici e dove soffriremo per la scarsità di alimenti, d’acqua e di energia.

Se non ci fermiamo, arriveremo ad avere un mondo in cui peggiorerà l’inquinamento industriale, urbano e agricolo, un mondo futuro in cui si accellererà la riduzione della biodiversità, dove l'ossigeno atmosferico diminuirà e lo strato di ozono si distruggerà sempre più: un mondo spaventoso! Abbiamo ancora una finestra decisionale aperta, dice Erwin Laszlo, ma non può durare a lungo.

Nel volume "Il punto del caos" (2007) Laszlo avverte: "Noi abbiamo 6-7 anni per venire a capo di tendenze insostenibili che ci condurrebbero a un "punto di svolta" oltre il quale non c’è possibilità di ritorno; dopo il quale, o ci siamo evoluti verso una maggiore sicurezza, pace e mondo sostenibile oppure i sistemi economico, sociale ed ecologico che incorniciano la nostra vita si distruggono. Questo è il Punto Caos e coincide con le profezie Maia, Cherokee e di Nostradamus della fine del 2012 come fine del mondo. [...]

Comunque "Le tendenze non sono il destino: possono essere cambiate. Come possiamo cambiarle? Può essere utile ricordare il famoso motto di Einstein: non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha provocato il problema. Noi stiamo facendo proprio questo. Stiamo combattendo il terrorismo, la povertà, la criminalità, il conflitto culturale, la degradazione ambientale, la salute malata, anche l’obesità e altre "malattie della civiltà" con lo stesso modo di pensare, gli stessi mezzi e metodi che hanno prodotto i problemi in primo luogo." E' chiaro che così non andremo lontano!

Erwin Laszlo, è un filosofo ungherese, esperto di filosofia della scienza e teoria dei sistemi, e sostenitore della "teoria del caos". Laszlo è stato un bambino prodigio, un pianista brillante e precoce che ha condiviso la sua mente tra la musica e l’interesse per la scienza, finchè si è dedicato completamente alla ricerca scientifica. Già presidente della Società Internazionale per la Scienza dei Sistemi, Consigliere del Direttore Generale dell’Unesco, Ambasciatore del Concilio Delfico Internazionale, membro dell’Accademia Internazionale delle Scienze, dell’Accademia Mondiale delle Arti e Scienze e dell’Accademia Internazionale di Filosofia.

Laszlo è fondatore e presidente del Club di Budapest, un'associazione culturale che opera in tutto il mondo per il risveglio di una nuova consapevolezza umana e planetaria. Il Club di Budapest è sostenuto in questo compito da sei premi Nobel per la Pace tra i quali Mikhail Gorbaciov, il Dalai Lama, Nelson Mandela, Desmond Tutu, e da personaggi di rilevanza internazionale nelle scienze, nelle arti e nella spiritualità come l'ex-vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore, l'ideatore del microcredito Muhammad Yunus, il coreografo Maurice Béjart, gli scrittori Paulo Coelho e Arthur C. Clarke, l'ex presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel, il musicista Peter Gabriel, il filosofo Edgar Morin, il direttore d'orchestra Zubin Metha, l'etologa degli scimpanzé Jane Goodall, e molti altri.

E' anche codirettore del World Wisdom Council, ha insegnato in varie università negli USA, in Europa e in Estremo Oriente, si occupa in particolare di teoria dei sistemi e teoria generale dell'evoluzione. E’ stato candidato al Premio Nobel per la Pace, ed ha ottenuto il Premio internazionale Mandir per la Pace (Assisi 2005), oggi vive in Toscana, ma continua a tenere conferenze in tutto il mondo. Ha scritto circa 80 libri tradotti in tutto il mondo e tantissimi articoli.

Scrive ancora in "Il punto del caos": "Nei prossimi anni dovremo abbracciare un nuovo modo di pensare; nella sua assenza i nostri sistemi diventerebbero in modo critico instabili. Che cos’è pensare nuovo? Comincia con una conoscenza interiore più profonda nella trasformazione che potrebbe condurci a un mondo più pacifico e sostenibile. Che cosa è effettivamente coinvolto in una trasformazione cosí fondamentale?

Per sapere ciò che succede quando un sistema complesso raggiunge il livello di instabilità che spinge alla trasformazione fondamentale, dobbiamo andare oltre estrapolando le tendenze attuali, abbiamo bisogno di sapere qualcosa delle dinamiche di sviluppo del sistema in cui le tendenze appaiono (e possono scomparire. Tale conoscenza è fornita dalla teoria dei sistemi moderna, soprattutto il ramo popolarmente conosciuto come "la teoria del caos."

A causa dell’insostenibilità di molti aspetti del mondo d’oggi, la dinamica di sviluppo che applicheremo alle nostre societá non è la dinamica lineare di estrapolazione classica ma la dinamica non lineare del caos nell’evoluzione di sistemi complessi. […] Mentre ci muoviamo verso questi limiti, ci avviciniamo a un punto di caos. A questo punto alcune tendenze deviano o scompaiono, e nuove realtà appaiono al loro posto.

Questo non è insolito: la teoria del caos mostra che l’evoluzione di sistemi complessi coinvolge sempre periodi di stabilità e instabilità, di continuità e di discontinuità, di ordine e caos, che si alternano. Quando si tratta di una fine, e raggiungiamo il punto di caos, il “punto” stabile e gli attrattori “periodici” dei nostri sistemi saranno uniti dagli attrattori “caotico” o “strano”. Questi appariranno improvvisamente, come dicono i teorici della teoria del caos, “fuori del blue”. Guideranno i nostri sistemi al punto di rovesciamento dove questo sceglierà una o l’altra delle vie di sviluppo che sono disponibili per esso.”

Sarà allora necessaria “una nuova visione del mondo, con nuovi valori adatti alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo su questo pianeta. L’aumento della spiritualità e l’aumento delle tecniche di meditazione, e il rapporto con la crescita interiore, fa tutto parte di questo fenomeno. E sta già accadendo, ma è un processo che deve essere accelerato. E’ possibile arrivare a questa nuova visione del mondo attraverso mezzi razionali o intellettuali.

È possibile arrivarci intuitivamente, attraverso l’arte, la spiritualità, o la religione. E ci si può arrivare attraverso la scienza. Se guardiamo agli sviluppi nel campo della scienza, scopriremo che la scienza sta diventando sempre più consapevole del fatto che tutto è strettamente connesso a tutto il resto. Tutto ciò che esiste è un sistema aperto. Nulla è completamente chiuso o indipendente – tutto è connesso in maniera molto sensibile.

Le implicazioni sono enormi ovunque si guardi. Così, ad esempio, noi non siamo soltanto ammassi di cellule, come un edificio è un ammasso di mattoni. Ancora più importante, il nostro tessuto vitale non è costituito di elementi dal nocciolo duro - atomi e molecole - è costituito di onde. Pertanto, noi siamo sistemi viventi che ricevono e trasmettono informazioni costantemente.

Questa trasmissione delle informazioni è più rapida di qualsiasi meccanismo biochimico concepibile, perché ciò che accade a una parte dell’organismo accade contemporaneamente all’altra parte. Vi è una costante interazione su dimensioni multiple. È una cosa notevole andare ben oltre qualsiasi concetto tecnico, biologico, meccanicistico e materialistico dell’organismo.

Come affermano gran parte degli scritti spirituali: non siamo limitati a cinque aperture nella torre, intendendo che non ci limitiamo a vedere il mondo attraverso i cinque organi di senso. Per quanto mi riguarda, è assolutamente ovvio che la consapevolezza non è un sottoprodotto del cervello, fabbricato da un insieme complesso di neuroni. È qualcosa che pervade l’intero universo. È lì in tutto il corpo, in tutti i sistemi viventi, probabilmente lungo tutto il percorso, giù fino al livello quantico.

Viviamo in un universo che è esso stesso consapevole. E perciò, possiamo lasciare che il cielo entri dal tetto. La creatività porta a schiudersi, offre la possibilità di lasciare che il cielo entri dal tetto. E in quel momento non saremo più soli. Ho vissuto momenti come questi durante i concerti quando ero un giovane musicista, la sensazione di essere parte di un universo più grande. Di essere unito a qualcosa più grande di te.

Credo che queste cose ci daranno un nuovo paradigma di un universo che è connesso. Siamo molto più interconnessi l’uno all’altro e a tutti gli elementi di quanto potremmo mai immaginare. […] Pertanto, se questo paradigma comincerà a penetrare nella società, ci sarà più solidarietà, più umanità e un rapporto migliore con la natura e tra gli esseri umani, perché riconosceremo quello che William James ha detto in “Le varie forme dell’esperienza religiosa” che siamo separati in superficie ma connessi in profondità. O ciò che sanno i buddisti – che siamo connessi al cosmo.

È anche ciò che intendeva Gesù quando disse “Amatevi come io vi ho amato perché voi siete una cosa sola.” Tutti i grandi profeti lo hanno affermato. Ma noi abbiamo perso questa interconnessione, ammaliati dalla tecnologia, dall’economia e dal potere. Riconoscere il sottile elemento che connette la natura tutta e l’effetto che esso ha sulla nostra mente, la nostra consapevolezza, potrebbe aiutarci a divenire più umani e, per inciso, aiutarci a sopravvivere alla crisi che ci troviamo oggi ad affrontare.

Siamo ancora a una finestra decisionale, perché la maggior parte delle tendenze che potrebbero determinare il nostro futuro non hanno raggiunto ancora un punto di irreversibilità. […] Piuttosto che cadere nel pessimismo, o far pressioni per linee di condotta che hanno un valore semplicemente temporaneo di rimedio, dovremmo lavorare per alzare il livello di consapevolezza che i nostri sistemi sono criticamente instabili e nel bisogno urgente di trasformazione fondamentale.

Dovremmo favorire un’evoluzione tempestiva nella mentalità di una massa critica nella società. […] Ma questa non é necessariamente la fine del mondo, ma soltanto la fine di una fase del mondo oltre la quale emergerà un nuovo mondo. Sta a noi concepire un nuovo mondo: nella finestra decisionale di oggi noi abbiamo un’unica possibilità di crearla … Dove siamo diretti adesso non è dove vogliamo andare.”

Buona erranza
Sharatan