martedì 30 giugno 2009

Io sto con i mulini



Il 23 giugno scorso, sul Corriere della Sera, si riportava la notizia che l'umanità potrebbe sopravvivere utilizzando solo l’energia eolica, e che basterebbe un sistema efficiente sul territorio americano per coprire l'intero fabbisogno mondiale: lo prova uno studio pubblicato su “Pnas” la rivista dell'Accademia Americana delle Scienze, dal professor Michael McEllroy, docente della School of Engineering and Applied Sciences alla Harvard University di Boston.

Secondo il calcolo eseguito dagli esperti, “basterebbe una rete di turbine da 2,5 megawatt di potenza (posizionate in modo da non danneggiare l'ambiente, ovvero nei territori non forestali, dove non ci sono ghiacciai e in aree non urbane), che operino al 20% della loro capacità, per produrre un quantitativo di energia pari a oltre 40 volte il consumo globale corrente di elettricità, oltre 5 volte il consumo globale di energia in tutte le sue forme. L'energia in eccesso potrebbe anche farne scendere il prezzo, aprendo nuove prospettive ad altre tecnologie ecologiche, come le auto elettriche. Oggi l'eolico è pari al 42% di tutta la nuova capacità elettrica installata in Usa nel 2008, ma continua a costituire una frazione minoritaria della produzione complessiva di energia.

Lo studio è stato fatto sulla base di simulazioni dei campi di vento utilizzando dati forniti dal sistema Goddard Earth Observing System Data Assimilation System (GEOS-5 DAS). Sezionando il globo in aree di approssimativamente 3.300 chilometri quadri ciascuna, i ricercatori hanno calcolato la velocità dei venti in aree non urbane, non forestali e senza ghiacci. E così hanno individuato la quantità di elettricità potenzialmente prodotta dalle turbine, sulla base della velocità dei venti, della densità dell'aria, della distanza tra le turbine e della dimensione delle eliche. Dunque, conclude l'indagine, una rete di turbine da 2,5 megawatt di potenza che operino ad appena il 20% della loro capacità sarebbe sufficiente per produrre un quantitativo di energia sufficiente a coprire il fabbisogno globale.”

Il portale italiano dell’energia eolica, informa che per la EWEA (European Wind Energy Association), siamo al terzo posto in Europa per megawatt eolici installati nel 2008: Germania e Spagna si giocano il primato (rispettivamente 1665 e 1609 MW), ma noi arriviamo terzi con 1010 MW, davanti a Francia (950) e Gran Bretagna (840). A livello locale alcune regioni fanno resistenza e dimostrano opposizioni, come in Sicilia, dove grandi personaggi politici stanno avversando l'idea di turbine eoliche a largo delle coste e nella terraferma. Se invece calcoliamo che le turbine eoliche installate fino ad oggi assicurano il 4,2% della domanda di corrente elettrica della UE, evitando di emettere in atmosfera 108 milioni di tonnellate di C0 2 all'anno (come se si togliessero dalle strade europee più di 50 milioni di automobili), si comprende facilmente il tipo di rivoluzione che l’eolico indica, come pure gli interessi che si vanno a scomodare.

Fondamentalmente il Kw solare costa ancora troppo, l'energia che sviluppa è poca e generata discontinuamente, mentre il vento soffia 24 ore al giorno, anche di notte e con le nuvole. Anche il solare potrà occupare, in futuro, la sua nicchia di produzione energetica, ma il problema odierno è che ancora i costi sono alti, insostenibili per l'economia reale, anche se il sistema è estremamente vantaggioso dal punto di vista ambientale: dobbiamo ancora lavorare in questo senso. Intanto le potenzialità dell'energia eolica, per la produzione di grandi quantitativi di energia sono ormai assodate e immediate, si potrebbero avere da subito. Il suo vantaggio, con il sempre maggiore fabbisogno energetico, e con la drammatica situazione delle emissioni dei combustibili fossili, appare lampante.

Il 13 giugno scorso è comparso sui giornali, un intervento di James Lovelock, 90 anni, chimico, medico e biofisico, lo scienziato che ha ideato la teoria di Gaia, che descrive il pianeta come un organismo vivente, come un complesso sistema in cui tutti i componenti della biosfera e dell’atmosfera interagiscono per regolare e sostenere la vita. Lovelock gode di ampio riconoscimento presso la comunità scientifica, è titolare di almeno 50 brevetti d’invenzioni, tra cui i primi apparecchi per individuare i clorofluorocarburi, i gas responsabili dell’assottigliamento della cappa di ozono, e i residui di pesticidi nell’ambiente. Sul cambiamento climatico ha dichiarato:

“Non che non possa contare su scienziati eccellenti. Ma i suoi modelli informatici non rendono conto della risposta della biosfera all’aumento della temperatura causata dal riscaldamento globale, né registrano la risposta delle foreste o degli oceani alla maggiore concentrazione di biossido di carbonio. E non sono ancora in grado di tracciare un modello dell’autoregolazione della Terra. L’osservazione dei dati rivela che l’aumento del livello dei mari è di molto superiore, e che lo scioglimento dell’Artico procede ad un ritmo molto più elevato rispetto alle previsioni dell’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico).

La Terra si sta già muovendo verso una fase più calda, in risposta ai cambiamenti che abbiamo provocato trasformando gran parte della superficie del pianeta, e aggiungendo CO2 nell’atmosfera. Non dimentichiamo poi che un tempo la Terra era già ricoperta quasi interamente di foreste, che erano una parte importante del sistema regolatore della vita del pianeta. Secondo la teoria di Gaia, prima o poi in futuro si produrrà un cambiamento repentino verso un nuovo clima, che potrà essere di 5 o 6 gradi Celsius più caldo di oggi. Secondo le mie stime potremmo avere circa 20 anni per prepararci.

Le aree tropicali e subtropicali saranno troppo calde e secche per coltivare cibo o mantenere la vita umana. La gente sarà costretta ad emigrare verso i poli, verso luoghi come il Canada. Entro la fine del secolo ci sarà meno di un miliardo di persone. La mia speranza è che a quell’epoca saremo ormai civilizzati, e che gli abitanti del Nord del pianeta accetteranno di ospitare una quantità inimmaginabile di “rifugiati climatici.”

Siamo sopravvissuti all’ultima era interglaciale, quando il ghiaccio ricopriva gran parte dell’America del Nord e dell’Europa, e il livello dei mari era di 120 metri più alto rispetto ad oggi. Il primo passo è smettere di credere ciecamente che l’unica cosa che possiamo fare sia ridurre la nostra impronta di carbonio, e cominciare i preparativi per adattarci a quello che verrà.”

Alla fine dell’intervista aggiunge: “Il nucleare è l’unica fonte di energia pratica e a basso tenore di carbonio. La protesta degli ecologisti è insensata. Il biossido di carbonio è molto più pericoloso, come stiamo cominciando a capire. L’energia nucleare è più sicura di altre, e le preoccupazioni sullo smaltimento delle scorie sono infondate. In Francia, le scorie radioattive di 25-30 anni sono immagazzinate in un’area ben protetta, delle dimensioni di una piccola sala concerti.”

E’ dall’inizio degli anno ’70 che conosciamo le cattive condizioni dello strato d'ozono sopra l'Antartide, e i satelliti della Nasa rivelano le dimensioni del famoso “buco” nel prezioso ozono che protegge la vita sulla Terra. E se l'Antartide aumenta la perdita annuale dei ghiacci, da 112 miliardi di tonnellate nel 1996 ai 196 miliardi di tonnellate nel 2006, nello stesso periodo l'area occidentale della Groenlandia si riscalda e lo scioglimento dei suoi ghiacci cresce del 30% nei 10 anni suddetti. E’ chiaro che le zone polari si presentano come il più vulnerabile dei problemi ambientali del pianeta.

Una spinta aggiuntiva al disastro, deriva dalla crescente importanza economica e geopolitica rivestita dalle due regioni artica e antartica che hanno risorse minerarie (ferro, diamanti, oro, platino, nickel e il prezioso uranio) e petrolifere (40 miliardi di barili) che fanno gola a molti Paesi tenuti a freno momentaneamente, da una trattato sottoscritto nel 1959. Ora, però, gli interessi delle grandi potenze premono e, al Polo Sud gli americani hanno inaugurato nel 2008, un nuovo insediamento alla Amundsen-Scott South Pole Station, mentre i cinesi hanno stanziato 57 milioni di euro per la loro terza base a Dome A.

Al Polo Nord russi e americani hanno avviato esplorazioni dei fondali artici per rivendicare l'eventuale diritto di sfruttamento dei grandi giacimenti di idrocarburi (si calcolano circa 10 miliardi di tonnellate) che diventano ora sfruttabili grazie alla ritirata dei ghiacci, la stessa che ha appena aperto il passaggio a nord-ovest, prezioso alle rotte commerciali. La scomparsa del simbolico passaggio a nord-ovest diventa una disgrazia planetaria, mentre le popolazioni Inuit sono preoccupate per i possibili disastri ambientali, ma anche consce e forse sedotte delle opportunità economiche legate al turismo, che offrirebbero migliori condizioni economiche.

Mentre le estremità polari manifestano l’accellerazione dei mali ambientali del pianeta, dalla profondità della Terra sale un flusso enorme di energia, stimato fra i 30 e i 40 miliardi di kilowatt. È la forza geologica che riesce a spostare i continenti, a sollevare le montagne, a mantenere attivi i vulcani, e causare i terremoti. L’origine di tanta energia, non è del tutto chiara, e l’enorme quantità di energia emanata, purtroppo è dispersa e diluita su una superficie troppo vasta.

Nel 2006, un gruppo di fisici giapponesi impegnati nell’esperimento “Kamland” realizzato in un laboratorio sotto il monte Kamioka, sono riusciti a studiare e a misurare il contributo degli elementi radioattivi al flusso del calore terrestre, e hanno valutato che almeno 16 miliardi di kilowatt sui 30-40 emanati dal suolo terrestre derivano dal decadimento di uranio, torio e potassio 40. Queste ricerche sono interessanti anche dal punto di vista pratico, perché il prezzo dell’uranio è triplicato negli ultimi tre anni, in quanto le scorte note sono limitate e la stretta petrolifera spinge al rialzo tutte le fonti di energia.

Mi potrebbe dire, il professor Lovelock, un signore distinto e di ottima caratura mentale, dove mai potremmo trovare le sempre maggiori quantità di plutonio ed uranio di cui potremmo avere un bisogno sempre esponenzialmente superiore, laddove tutta la terra abbracciasse la sua teoria? Ma intanto io sto con i mulini, perché sono come Don Chisciotte, e perché conosco la soluzione alternativa e la considero un po’ troppo definitiva.
Buona erranza
Sharatan

sabato 27 giugno 2009

Il desiderio del pappagallo


Un ricco mercante della Persia era riuscito a procurarsi l’esemplare di una rara specie di pappagallo che aveva regalato a sua figlia. Il volatile fu sistemato in una gabbia bellissima, vezzeggiato e accudito con ogni premura, ma siccome era abituato a volare libero nel cielo, la vita nella gabbia ben presto gli divenne intollerabile. Così il pappagallo iniziò a deperire e arrivò quasi a rischio della vita, davanti agli occhi disperati ed impotenti della sua padrona.

Il mercante, che si era sinceramente affezionato all’animale, pensò allora di escogitare qualcosa per rendere meno crudele la prigionia, perciò andò dal pappagallo, e gli disse che poteva esprimere un desiderio che avrebbe esaudito; naturalmente non gli avrebbe potuto chiedere la libertà. Il pappagallo ci pensò un attimo e rispose: “Il mio desiderio è semplice. Voglio che tu vada nella giungla da cui provengo, e che trovi uno della mia specie. Devi soltanto dirgli che io sono racchiuso in una gabbia, e raccontare la mia penosa condizione di prigioniero. Poi osserva la sua reazione e torna a riferirmela. Ti chiedo solo questo.”

Il ricco mercante si mise in viaggio e andò nella giungla. Dovette fare delle ricerche assai lunghe e complesse ma alla fine, trovò un altro pappagallo rarissimo, della stessa specie del suo. Il mercante lo chiamò e gli disse: “Uccello, per favore, non avere paura, non voglio farti del male. Vengo come messaggero di un tuo simile, che ha espresso il desiderio di inviarti un messaggio. Il tuo fratello è prigioniero nella mia casa, chiuso in una gabbia e occupato a dilettare mia figlia. Voleva solo che tu sapessi della sua condizione, solo questo voleva che io ti dicessi.”

Appena il mercante ebbe pronunciato quelle parole, il prezioso pappagallo s’irrigidì, e cadde a terra come fulminato. Il mercante rimase sconvolto del decesso e pensò che quello era il volatile più sensibile che avesse mai incontrato, un’anima gentile o forse un parente del suo pappagallo, a cui la notizia della crudele prigionia aveva causato un’emozione fatale. Con quella notizia dolorosa si trovò di nuovo ad affrontare il viaggio di ritorno.

Una volta tornato a casa, il mercante andò dal suo pappagallo e gli raccontò l’episodio doloroso, senza tacere della morte del suo simile. Appena ebbe saputa la notizia, anche il suo pappagallo s’irrigidì e piombò a terra, come un povero ammasso di piume. Nuovamente il mercante restò scosso e pensò: “La morte dei loro simili li scuote nel profondo fino a fiaccargli il cuore. Che uomo insensibile sono stato a non avere compreso in tempo la nobiltà di questa indole, avrei dovuto offrirgli la libertà, ma ormai è troppo tardi. Non gli farò mancare almeno una dignitosa sepoltura, una tomba degna della grandezza del suo cuore.”

Mentre così diceva, il mercante trasse dalla gabbia il corpo inanimato del povero pappagallo, quindi lo adagiò su un drappo di seta per poterlo seppellire. Mentre lo osservava turbato e rifletteva sul misterioso decesso, il corpo del volatile si rianimò repentinamente e il pappagallo fuggì, volando fuori dalla finestra. Si trattenne per un momento sul davanzale, fuori dalla portata del mercante, per dire: “Ora avrai capito perché mio fratello, laggiù nella giungla, è stramazzato a terra? Quando gli hai detto che ero prigioniero lui, che non poteva parlare, mi ha inviato un messaggio e mi ha suggerito come fare per sfuggire alle tue grinfie: fingermi morto.” E quando ebbe risolto il mistero volò verso il cielo, finalmente libero.

Le storie didattiche sufi sono rivolte indifferenziatamente a tutti, non prevedono dei criteri di selezione che siano collegati a livelli progressivi di conoscenza. I concetti vanno in soccorso di colui che vuole intendere, per cui potrebbero rivelare diversi tipi di interpretazione, a secondo del livello di cognizione che siamo giunti ad investigare e rivelare. L’impatto della loro forza è correlato al livello di profondità a cui l’ascoltatore è disponibile a farne risuonare il messaggio.

Ognuno ne trae una morale o un messaggio, che è diverso, a seconda del punto del Sentiero a cui è giunti, e a seconda del livello di libertà dai luoghi comuni e dagli schematismi aridi a cui siamo pervenuti. Potremmo essere disturbati da una storia, o potremmo rifletterla senza poterla penetrare. E’ un buon segno! Significa che essa giunge a disturbare il livello interiore di cui abbiamo bisogno di avere buona cura, su cui dobbiamo maggiormente lavorare. Non ci mostrano delle nuove cognizioni, ma offrono solo una modalità diversa di vedere la nostra esistenza.
Buona erranza
Sharatan

giovedì 25 giugno 2009

La palestra di Epicuro


Che il mondo inizia nella testa non lo dicono solo le filosofie orientali, ma oggi lo dimostra anche la scienza. E’ il nostro cervello che elabora le informazioni che vengono inviate dagli organi di senso, affermano gli studiosi, e noi possiamo riprogrammare il modo con cui il nostro cervello lavora nell’elaborazione dei dati. Possiamo farlo con l’esercizio, con una palestra per la mente, perché la capacità di cambiamento del cervello umano è veramente straordinaria, così come possiamo affinare il nostro gusto e renderlo capace di apprezzare un delizioso vino passito da degustazione, o imparare a fregarcene del commento acido e velenoso di un falso amico.

Secondo gli studi del professor Gerhard Roth - direttore dell'Istituto di ricerca sul cervello dell'Università di Brema in Germania - che ha studiato il grado di affinamento delle risposte del cervello nelle varie specie animali, nei platelminti ossia i vermi piatti che posseggono il sistema nervoso più semplice tra le specie animali, ogni stimolo esterno è in grado di far reagire il cervello. Perciò il verme piatto è mosso come una marionetta dal mondo esterno, ma già le salamandre che hanno un sistema nervoso più complesso, sono in grado di avere una propria vita interiore e di non essere più guidate solo dall’istinto reattivo.

Roth ha perciò stimato che l’homo sapiens, dal sistema nervoso di complessità infinitamente maggiore, possa vedere in gioco un’infinità di impulsi interni tali da renderlo qualcosa di molto migliore di una marionetta. Diventa così molto più logica e plausibile l’ipotesi di John Eccles in “Come l’Io controlla il suo cervello” che il soggetto, cioè l’Io, per scrivere qualcosa debba “controllare il suo cervello.” Effettivamente il nostro cervello si occupa soprattutto di se stesso, e la maggior parte delle sue attività sono costituite dalla gestione della sua consapevolezza personale.

Per molti anni, siamo stati abituati a credere che la nostra scatola cranica contenesse una struttura complicata, che veniva determinata già prima della nascita e poi plasmata dall’educazione fino a restare invariata per tutta la vita. Non è affatto così, e sorprende sapere quanti studi sulle meravigliose capacità del cervello umano, sono in grado di sconfessare pienamente questa falsa concezione: il cervello è il sistema più plasmabile creato dalla natura.

Ogni volta che abbiamo imparato qualcosa, è stato perchè ci siamo appropriati di un modo nuovo di sperimentare o di fare qualcosa, così come quando abbiamo imparato ad apprezzare le differenti sfumature dei sapori di un buon vino passito, o quando abbiamo trovato il tempo per godere del sorgere il sole alle prime ore del mattino. Certamente per colui che è in grado di apprezzarlo, non è enorme il piacere che si prova per una nuova amicizia? Esso non è pari, se non superiore, a quello di un pur ottimo vino da meditazione?

Le nostre emozioni sono sempre “il modo” con cui il nostro organismo reagisce ad uno stimolo che giunge dall’esterno, per questo la psicoterapia insegna a dominare le emozioni negative a vantaggio di strategie per rafforzare i sentimenti positivi. Nell’antica Grecia i filosofi insegnavano l’ascesi, l'àskesis, cioè l’esercizio per divenire padroni dei propri sentimenti. Solo in età medievale il termine ascesi assunse il senso di mortificazione corporale e di privazione, suscitando immagini di pratiche di fustigazione e di digiuni mortificanti.

In realtà, l’antichità non richiedeva assolutamente l’uso di tali pratiche mortificatorie. Le scuole filosofiche antiche erano invece scuole in cui si apprendeva l’arte della felicità, insegnando il metodo con cui si potesse fondere lo slancio della nostra anima con ciò che si reputava giusto o buono.
L’obiettivo era quello di creare dei discepoli dal carattere plasmato in modo tale da consentirgli una vita più equilibrata e felice, e la via giusta era quella di ripetere deliberatamente le esperienze in grado di procurarci sentimenti positivi. Venivano definiti terapeutici gli esercizi usati per sconfiggere i sentimenti negativi come l’invidia, l’avidità e la paura della morte, e mentre il discepolo si ripeteva che questi sentimenti sono distruttivi, lentamente imparava a distaccarsene e iniziava a superarli.

Esistevano poi degli esercizi che insegnavano ad aprirsi ai sentimenti positivi e pensatori come quelli della scuola epicurea, che insegnavano a non differire le esperienze positive perché il futuro è colmo di incognite: quindi ogni sera i discepoli dovevano esaminarsi e valutare se avessero osservato o meno il precetto del “carpe diem.” Tramite altri esercizi si esaminava la propria condizione da un punto di vista diverso, così da poter verificare la relatività delle ansie e delle difficoltà, se viste da lontano, e con una prospettiva maggiormente distaccata e neutrale.

Nel giardino di Epicuro, cioè nella comunità di sapienti che ne seguivano i precetti, si simulavano le reazioni del grande maestro, laddove si fosse trovato ad affrontare certe determinate situazioni. La scienza moderna ha confermato come queste fossero tecniche estremamente efficaci e di estremo valote terapeutico, infatti i neurofisiologi hanno confermato che le immagini fantastiche possono plasmare il nostro cervello quasi come le esperienze realmente vissute. Diceva Albert Einstein che “L’immaginazione è più importante della conoscenza” e questo è il motivo.

La possibilità di plasmare il cervello è stata dimostrata nel 1999 dagli studi di Tobias Bonhoeffer - del Max Planck Institute of Neurobiology di Martinsried in Germania – che è stato in grado di documentare la formazione di una nuova connessione tra due sinapsi del cervello. Egli ha così osservato che la ripetizione dello stimolo è essenziale perché, tanto più spesso i neuroni vengono eccitati, tanto maggiore è la probabilità che sia attivata una connessione efficace e durevole.

E’ evidente poi che, più spesso compiamo un’azione e maggiore è la fissazione dell’operazione nella nostra memoria, così come una volta che essa sia stata memorizzata, tale memoria viene mantenuta se viene ripetuta una maggior numero di volte. Un altro elemento che fu provato dagli studi di Bonhoeffer è che l’apprendimento avviene in modo automatico, tanto che alcune connessioni si attivarono anche in neuroni distaccati dalla connessione generale col cervello.

Seppure isolati, i neuroni attivarono le connessioni senza ordini superiori, ma sulla scorta delle successive stimolazioni a cui venivano sottoposti: se ne conclude che ciò che pensiamo, ciò che sentiamo e ciò che percepiamo, tutto ciò è in grado di cambiare il nostro cervello, che noi siamo d’accordo o meno. Le sensazioni che proviamo e che viviamo di continuo, lavorano su di noi, così come una goccia che scava la pietra, e così come la goccia che appare come una traccia sottile ma potente così, nel tempo, si creano le abitudini che possono essere virtuose oppure viziose, sulla scorta delle sfumature che il nostro cervello è abituato a percepire. Così possiamo imparare ad essere sempre allegri e solari, ma anche a reagire sempre con rabbia ed acredine.

Questa è la spiegazione della scienza moderna all’invito di coltivare le emozioni positive e di evitare le emozioni negative, perché le nostre reazioni al mondo esterno si rafforzano con la ripetizione e l’abitudine. Seguendo questa linea di esame delle verità spirituali e sapienziali alla luce della scienza moderna, possiamo comprendere come sia falsa una delle più diffuse pratiche di reazione alla frustrazione, che suggerisce di sfogare la rabbia per avere una riduzione di questo sentimento distruttivo.

Se siamo stati vittime di una prepotenza, è vero che potremo avere un momentaneo sollievo se insultiamo e gridiamo oscenità contro il prepotente, ma lo scarico della rabbia sarà sciocco, perché abbiamo preparato la strada per essere, alla prossima occasione, ancora più violenti, volgari e rabbiosi. Se vogliamo combattere la rabbia con la rabbia, rischiamo solo di gettare altra benzina sul fuoco, e rischiamo di essere in futuro, ancora più vittime dei nostri sentimenti negativi!

Per questo dobbiamo imparare a dominarci, anche quando siamo in preda all’ira e alla paura, perché questa è una reazione molto più vantaggiosa. Se impariamo a praticare l’autocontrollo, non solo possiamo rieducare il nostro cervello in modo più positivo, ma così addestriamo il nostro cervello a interagire molto più armoniosamente con le emozioni: questo addestramento positivo modifica permanentemente le strutture cerebrali e ci rende molto più felici.

Buona erranza
Sharatan

martedì 23 giugno 2009

Un grande maestro zen


Nansen, il grande Maestro zen, stava invecchiando ed era alla ricerca del suo successore. Di fatto era già pronto a lasciare il suo corpo, ma era trattenuto dall’attesa di un adeguato discepolo a cui lasciare il frutto della sua vita, e a cui consegnare l’essenza del suo insegnamento. Nansen era circondato da migliaia di allievi, per cui la sua attesa sembrava molto strana e molti si chiedevano cosa aspettasse a consegnare la chiave della sua saggezza ad uno dei tanti sapienti che lo circondavano.

Nansen sapeva che, tra i suoi discepoli, vi erano dei grandi studiosi, uomini molto acuti ed intelligenti, delle persone stimate per la loro attività intellettuali, persone in grado di ragionare e destreggiarsi con la logica, ma che erano assolutamente incapaci di capire il vero amore. E l’amore è del tutto incomprensibile a coloro che lo vogliono comprendere solo con la forza della loro mente. Erano studiosi esperti di matematica, ma del tutto alieni all’arte della metafora, tutti i suoi migliori allievi erano degli esperti nella prosa, ma completamente inadatti ad aprirsi ai misteri della poesia.

Così Nansen giaceva a letto, ammalato e vecchio, e cercava di sostenere il suo corpo fiaccato dalla vecchiaia per farlo rimanere ancora in vita un altro poco. Un giorno entrò nella sua stanza il suo futuro successore, Joshu. All’ingresso di lui, nessuno dei due profferì parola. Nansen non aprì bocca e tantomeno Joshu, ma al suo ingresso qualcosa avvenne egualmente. Era un forestiero e uno sconosciuto, eppure il solo modo con cui era entrato era stato sufficiente perché entrambi divenissero più vigili.

Il Maestro Nansen gli chiese: “Da dove vieni?” e lo fece con un filo di voce perché era tanto vecchio e malato che voleva risparmiare le sue energie ad ogni costo. Dopo giorni di silenzio, questa fu la frase che riuscì a dire a Joshu. Alla domanda Joshu rispose: “Dal tempio di Zuizo” che, nel buddismo zen, indica in forma retorica, il sommo della beatitudine. A quella risposta, Nansen rise di cuore, anche se non rideva più da mesi, e gli chiese: “Hai visto raffigurata la beatitudine?” Ma Josho spiegò meglio: “Non ho visto la figura della beatitudine, ho visto un Buddha incarnato”.

A quelle parole Nansen si alzò dal suo letto, dopo che per più di un anno vi era rimasto immobile, e andò vicino a Joshu. Gli chiese: “Hai già un Maestro?” Joshu rispose senza esitazione: “Ho un Maestro!” Nansen chiese: “Chi è il tuo Maestro?” E intanto si sentiva come se tutte le sue malattie fossero scomparse e come se fosse tornato giovane e vigoroso. La sua voce era tornata giovane e squillante, e vibrava chiara, piena di energia e vitalità, per cui chiese: “Dimmi chi è il tuo Maestro.”

Joshu scoppiò in una bella risata e disse: ”Sebbene l’inverno abbia superato il culmine, fa ancora molto freddo. Mio maestro, posso suggerirti di prenderti buona cura del tuo corpo?” E questo fu tutto. Allora Nansen disse: “Ora posso morire in pace. E’ arrivato un uomo che riesce a comprendere il mio linguaggio. E’ arrivato un uomo in grado di avere incontri non superficiali, ma in profondità." Joshu ripetè ancora: “O mio Maestro, ti prego, prenditi buona cura del tuo corpo.”

Con queste semplici parole era avvenuta una iniziazione, perché il modo con cui Joshu aveva detto: ”Sebbene l’inverno abbia superato il culmine, fa ancora molto freddo” dimostrava che sapeva parlare per metafora, e che comprendeva l’arte della poesia, ma Joshu conosceva anche le vie dell’amore, per questo aveva aggiunto.” Mio maestro, posso suggerirti di prenderti buona cura del tuo corpo?” Per questo aveva invitato Nansen a coricarsi di nuovo, perché non era opportuno che si strapazzasse prendendo freddo e trascinandosi fuori dal letto, essendo un uomo dall’età ormai avanzata. La ricerca era finita, il Maestro ed il discepolo si erano incontrati.

Esistono due modi per ascoltare le cose. Un tipo di ascolto è quello di colui che critica, di colui che nel suo intimo continua a pensare, a valutare, a soppesare se una cosa sia giusta o meno al proprio carattere, se sia in accordo alla sua cultura, se sia adeguata a lui, se entra in sintonia con il suo modo di essere. Ma questo non è il modo giusto per ricevere un insegnamento.

Esistono poi coloro che riescono a sentire con l’empatia, ci sono coloro che entrano in sintonia con le cose, che si aprono e sanno ascoltare in modo totale; solo questi sanno arrivare oltre il cuore fisico e giungere nel cuore spirituale, che è nascosto in profondità.

Entrare in empatia con le cose è il solo modo per comprendere qualcosa di esoterico, perché il divino è gentile e non fa rumore, arriva in modo silenzioso e delicato, e solo restando ricettivi all’ascolto ne siamo consapevoli. C'è una bella frase di un mistico sufi, Bayazid-al Bistami, che dice: “La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano.”

Buona erranza
Sharatan

domenica 21 giugno 2009

Il barcaiolo di Dio


Voglio condurre la mia barca, molte volte,
attraverso il golfo della morte
e tornare alle spiagge della Terra
dalla mia casa in Paradiso.

Voglio caricare sulla mia barca
coloro che aspettano, gli assetati,
coloro che sono stati lasciati indietro,
e portarli alla piscina d’opale,
iridescente di gioia,
dove mio Padre distribuisce
la sua pace liquida che tutti i desideri soddisfa.

Oh, io tornerò ancora ed ancora!
Scalando milioni di vette di sofferenza;
con i piedi sanguinanti io verrò,
se ce ne sarà bisogno,un trilione di volte,
finché saprò, di un fratello disperso rimasto indietro.

Io voglio Te, o Signore,
per poterTi dare a tutti.

Liberami allora, Oh Dio,
dalla schiavitù del corpo,
così che io possa mostrare agli altri
come liberare sé stessi.

Voglio la Tua benedizione eterna,
solo per poterla condividere con gli altri;
per poter mostrare a tutti i miei fratelli
la via per la felicità eterna,
per sempre, in Te.

(Paramahansa Yogananda)

giovedì 18 giugno 2009

Un cammello in cima al minareto



Se un merito va dato sicuramente ai sufi, deve essere ascritto al fatto di avere parlato esplicitamente, mentre tanti altri hanno preferito tacere e lasciare nell’ignoranza la maggioranza delle persone. Lo stesso Rumi si chiese quale vantaggio se ne potesse trarre dalle loro parole, dalla loro esperienza, ma si rispose che non era importante che si capisse tutto il senso delle cose, ma che se ne intuisse il succo, l’essenza ed i principi, affinchè si diffondesse “la fragranza dell’Amato e di Colui che si ricerca.”

Si chiese ancora:”Un uomo non vede un cammello in cima al minareto, come potrebbe, allora, vedere la punta di un pelo nella bocca di quel cammello?” Infatti non tutti sono in grado di vedere un cammello che è in cima ad un minareto, poiché questo è un fatto inaspettato che si rifiuta anche concettualmente, e ancor più è impossibile vedere il particolare del pelo nella bocca del cammello: nonostante ciò, le storie sufi cercano di farci vedere cammelli in luoghi in cui non ci aspetteremo di trovarne.

Molti hanno detto che le storie sufi sono simili ai koan del buddismo zen. I koan sono delle frasi o storie paradossali usate per aiutare la meditazione e risvegliare una natura più profonda nel discepolo. Forse le storie sufi ed i koan sono simili nell’intento, ma sono del tutto diverse nel risultato finale: lo zen deflagra l’intelligenza umana, mentre i sufi la glorificano come riflesso della sapienza divina.

Entrambi sono narrate per scuotere le certezze intellettuali e gli schemi cognitivi dell’allievo, ed entrambi presentano situazioni che vanno in contrasto con ogni senso comune e con le vie della logica ordinaria. Le possiamo definire delle tecniche di spiazzamento, perché invadono degli spazi interni con sostanze che ne spingono altre alla superficie, un po’ come avviene per lo stesso fenomeno fisico, qualora dei gas e dei liquidi vengono usati allo stesso modo.

Nello zen però, vediamo che l’assurdo, il paradosso e il non-senso, rimangono tali, mentre nelle storie sufi, una situazione, che è apparentemente paradossale, si rivela estremamente razionale. La storia zen resta illogica e porta alla negazione della logica delle cose, mentre la storia sufi si mostra “superlogica.” Comunque sia, entrambi i tipi di storia, sono contrarie alla logica comune.

Una storia sufi racconta che un uomo molto ricco si mise alla ricerca della felicità. Investì una enorme parte delle sue sostanze per acquistare dei diamanti rarissimi e altre pietre preziose meravigliose, che mise in una borsa. Partì dunque, in sella al suo cavallo, alla ricerca di un grande maestro che gli permettesse di avere ciò che desiderava. Ovunque andasse e qualunque maestro incontrasse, gli poneva davanti la borsa con quel tesoro favoloso, e gli faceva la sua richiesta: “Questa ricchezza sarà tua se saprai donarmi la felicità.”

Ma ogni maestro che aveva interpellato si era dimostrato incapace di dargli ciò che chiedeva, e la borsa con il favoloso tesoro era diventata famosa ovunque. Un giorno gli dissero che c’era un maestro sufi di saggezza meravigliosa e allora, l’uomo ricco, andò dal grande maestro, smontò da cavallo, e gli rinnovò la sua richiesta. Il saggio sufi lo fissò, poi, con una mossa repentina, afferrò la borsa con il tesoro e se la diede a gambe. Il riccone rimase un attimò interdetto e incredulo, poi balzò in piedi e cominciò a rincorrere il maestro, gridando a piena voce che era stato derubato.

Entrambi correvano con molta velocità, solo che il sufi conosceva molto meglio le stradine della sua città. Il ricco urlava che non era un saggio sufi ma un ladro e che era un truffatore travestito da santo. Urlava e correva ma, ben presto, perse ogni traccia del truffatore. Allora si gettò a terra e iniziò a piangere disperato. Intanto una folla si era radunata, attirata dalle grida e gli chiesero cosa fosse successo. L’uomo ricco raccontò di essere stato depredato dal sufi, che si era dato alla fuga con un tesoro di pietre preziose che lui aveva acquistato con la maggior parte delle sue sostanze.

Mentre tutti cercavano di consolarlo, lui piangeva disperato e si lamentava della sua rovina. Non era mai stato più infelice di quel momento, solo e disperato in una città straniera, senza neppure il cavallo con cui tornare a casa. Allora, qualcuno tra la folla lo consolò e si offrì di riaccompagnarlo nella piazza dove aveva lasciato il suo cavallo, perché potesse almeno ritornare a casa in groppa al destriero. Una volta che furono giunti nella piazza dove il riccone aveva incontrato il maestro sufi, trovarono il cavallo che brucava beatamente l’erba ed il saggio sufi, seduto tranquillamente sotto l’albero presso il quale il riccone l’aveva incontrato.

Il sufi sedeva tranquillo e rilassato e la borsa con il tesoro di pietre preziose, giaceva ai suoi piedi, proprio dove il ricco l’aveva depositata quando l’aveva offerta al saggio. Il riccone corse ad afferrarla e se la strinse al petto, tirando un sospiro di sollievo e dicendo:”Grazie a Dio l’ho ritrovata!” A quel punto, il saggio sufi gli chiese:”Allora sei felice o no? E’ questa la chiave della felicità. Dimmi, sei felice? Voglio saperlo.” Il ricco sorrise e rispose: “Sono felice, non lo sono mai stato tanto, e questo è il giorno più bello della mia vita.”

Questa storia ci insegna che la natura stessa delle cose ci impedisce di vedere la realtà. Le cose sono belle o brutte ma è necessaria la consapevolezza affinchè possiamo capirne il loro vero essere. Essere sani ci impedisce di capire quanto sia grande il dono della salute, e spesso ci accorgiamo di questo dono, solo quando la nostra salute è messa a rischio.

Le cose hanno bisogno dei loro opposti, così come una tesi si dimostra valida solo esaminando la fondatezza della sua antitesi. Spesso è necessario perdere le cose che avevamo e che non stimavamo affatto, perché solo così ci accorgiamo del loro vero valore e sappiamo stimarle per il loro essere reale. Solo così diventiamo consapevoli di ciò che abbiamo perso e, se riusciamo a riconquistarlo, allora godiamo della perfetta felicità.
Buona erranza
Sharatan

martedì 16 giugno 2009

La mappa delle sette valli


“Quando cerchi Dio,
Dio è lo sguardo dei tuoi occhi”
Motto sufi

Osho dice che l’uomo è un essere paradossale, ed è tale perché è un essere unico: il paradosso è nella sua unicità. L’uomo vuole sempre superare se stesso, si sente sempre un progetto, si sente sempre un essere in divenire: l’uomo è un ponte sospeso tra il suo passato ed il futuro, ed entrambi sono delle eternità. Per questo l’uomo non è mai contento di ciò che è, poiché sente di esistere per quello che era, ma tende a trascendere verso un suo essere futuro: perciò l’uomo è un viandante, è un pellegrino che per tutta la vita è in continua erranza.

Tutti gli esseri hanno una loro essenza specifica, osserva Osho, mentre l’uomo è esattamente l’opposto: prima avviene la sua esistenza e poi nasce la sua coscienza. Negli animali, esistenza ed essenza coincidono pacificamente, mentre nell’uomo vi è la tensione del “volere” essere. L’uomo è tutta potenzialità realizzativa, ed è in questo che consiste la sua libertà e il suo libero arbitrio ma, in forza di questo, prova l’ansia e l’angoscia del suo essere vuoto e unico: così la libertà diventa fonte dell’infelicità umana a causa della vertigine del vuoto.

Il grande maestro sufi Al-Ghazali scrisse che, sulla via della realizzazione si incontrano sette valli e che, per realizzarci, è necessario attraversarle. L’atteggiamento corretto per compiere il cammino, è quello di attraversare ogni valle per raggiungere la vetta, e non lasciarci deviare lungo il territorio che stiamo attraversando, e così procedere sempre nel corso, senza dimenticare che l’obiettivo è la vetta: alla fine della settima vetta siamo giunti alla buddhità o allo “stato di essere Cristo.” Alla fine della settima valle, all’ultima vetta, si raggiungere l’orgasmo cosmico e ci dissolviamo nel respiro di Dio, tra le braccia di Brahman.

Il senso dell’aforisma delle sette valli, è che la reintegrazione all’essere divino, che dorme nel cuore umano, si ottiene solo facendo il percorso delle sette valli e che, se non si raggiungono le sette vette, non saremo mai Dio. Ogni valle possiede delle particolari lusinghe in grado di attrarci ed intrappolarci, per impedirci di abbandonarle per cui, fermarci nella valle significa rinunciare a percorrere il cammino e non raggiungere la vetta. Queste sono le sette valli dei sufi, un percorso adatto per i ricercatori e non per i curiosi, un insegnamento pratico e non filosofico, pieno di suggerimenti per la nostra vita, offerti dai fratelli sufi in forma di storia, perché solo così la nostra mente presuntuosa è disposta a lasciarsi possedere dalla conoscenza.

La prima valle è la valle del sapere, perché l’uomo inizia ad essere consapevole quando vuole sapere, ed il primo passo della sua mente bambina, avviene con la conoscenza erudita. Il rischio che corriamo in questa valle è quello di diventare una persona colta ma arida nella sua erudizione, perché accumulare cultura e divenire un grande studioso, non significa acquisire saggezza.
Nel sapere vi è conoscenza, che è l’aumento delle cognizioni e delle informazioni, ma esse sono ben poca cosa se non vengono unite alla consapevolezza. Se diventiamo troppo ansiosi al contenuto del sapere, alla quantità delle nozioni, anziché alla facoltà del conoscere finiremo prigionieri della valle.

Continuando ad accumulare il sapere e le nozioni, registreremo una serie di concezioni e di contraddizioni, che potranno ingenerare confusione e disorientamento, che potranno confonderci, per cui assumeremo milioni di punti di vista senza accrescere la facoltà conoscitiva. E’ necessario perciò divenire testimone attento e consapevole, saper conoscere sempre più, ma in modo consapevole, meditato ed intimo, in maniera da essere un sapiente saggio e non un erudito. La voce delle convinzioni a cui ci sentiamo affini, ci parla nel nostro cuore, e le sue parole non risuonano nelle nostre orecchie ma vibrano nella nostra anima.

La seconda valle è quella del pentimento, perché quando iniziamo a vederci per come siamo, proviamo un senso di pentimento per tutto quello che abbiamo fatto di sbagliato e per tutto quello che non abbiamo fatto. Ricordiamoci però che la coscienza che si sta destando è quella sociale, quella che ci agiva occultamente, quella che è stata creata artificialmente, ed è lei che ci grida ciò che la gente crede sia giusto o sbagliato.
Ancora non sappiamo molto, ma dopo la prima valle crediamo di conoscere tutto, per cui ricordiamoci che la “coscienza del giusto/sbagliato” non ci aiuterà a fare le cose migliori perché, anche sapere che non dobbiamo essere possessivi non ci impedirà di volere dominare sia le cose che le persone, e la frustrazione di tale desiderio ci causerà delle enormi sofferenze.

L’aspetto insidioso della valle, è che il pentimento che genera troppi sensi di colpa rischia di paralizzarci, mentre l’aspetto migliore è costituito dall’insegnamento che bisogna sempre guardare verso il futuro e saper tagliare con i rimorsi il nostro passato.
Superare questa valle significa imparare ad agire secondo ciò che riconosciamo giusto sin da subito, per un moto istintivo che viene dal cuore, e poi continuare in questo retto agire per il futuro, e non sentire mai amarezza per il passato perché può divenire un ostacolo per il nostro futuro. Questa valle ci dona la nostra coscienza, perché vi nasce Shila, la vera moralità.

La terza valle è quella degli impedimenti, perché la coscienza ci fa conoscere gli ostacoli che troveremo sul nostro cammino, lungo le vie del mondo. Al-Ghazali ci indica i 4 impedimenti del mondo, di cui il primo è la seduzione che ingenera lussuria e brama di possesso. Per i sufi, tutte le cose sono sempre buone perché provengono da Dio, ma la loro bellezza è tale, che ci distolgono dalla ricerca dell’Altissimo.

Il secondo impedimento è l’attaccamento alle persone, che ci impedisce di accettare che siamo in perpetuo viaggio, che siamo erranti e che siamo destinati solo ad incrociarci nel corso della vita. Staremo insieme per un breve periodo e poi continueremo nella nostra erranza, perché ognuno deve fare la sua strada. Nulla è mai per sempre, per cui dobbiamo essere riconoscenti per l’opportunità di esserci incontrati. E’ necessario essere sempre affettuosi con gli altri, i nostri fratelli nella ricerca, ma non dobbiamo attaccarci a loro, altrimenti non avremo più il coraggio di lasciarli per andare oltre e progredire.

Il terzo ostacolo è Satana, cioè il nostro ego, la nostra mente. E’ il meccanismo della vecchia coscienza che non è stato ancora debellato e che ribolle in attesa della rivalsa, pronto a riemergere improvvisamente. Per sgominare questi meccanismi mentali, sono necessari tanto tempo e tanta pazienza, perché le vecchie abitudini sono lunghe a morire. Esse tendono a riemergere per prendere possesso della nostra volontà, perché la mente non ammette di essere detronizzata, perciò i sufi chiamano Satana la nostra mente, perché è tentatrice con le sue ambizioni e la sua voglia di dominio.

Perciò il quarto impedimento è l’ego, prodotto dalla mente, che è il più grande ostacolo alla ricerca spirituale, perché un ego gigantesco sorge dal nulla e si convince di costituire un essere straordinario, un illuminato, un Messia universale. Sarebbe un grosso errore cercare di combattere frontalmente l’ego, perchè è una lotta che ingenera solo altre inimicizie.
Combattere contro noi stessi equivale ad operare delle repressioni, e noi non possiamo reprimere ciò che fa parte della nostra essenza, però possiamo raffinarla ed elevarla. Potremmo reprimere l’attaccamento alle cose e alle persone, potremmo reprimere il nostro ego e anche i demoni della nostra mente, ma non avanzeremo in questa valle.

Non dobbiamo combattere il nostro ego ma osservarlo, comprenderlo, guardarlo in faccia per capire come è fatto; così possiamo iniziare a conoscere il meccanismo con cui funziona. Per capire come funziona, dobbiamo usare un’osservazione rilassata, senza antagonismi o volontà di giudizio, cioè usare un’attenzione ricettiva. Così possiamo capire come lui gioca con noi, e potremo iniziare a giocare noi con lui, così l’ego sarà rilassato e ci rivelerà come riesce a legarci alle persone e alle cose; facendolo di rivelerà le potenzialità da migliorare.

Ma se vuoi sfidarlo e diventi avversario, allora sei giocato, perché avrai paure ed incertezze e sarai preso in trappola. La gente conosce solo due vie: ti è amica o ti è nemica, e questo è quello che sa fare il tuo ego. Sarà d’aiuto essere sempre vigile e agire come testimone imparziale: non amico e non nemico, bensì testimone imparziale, cioè neutrale ed indifferente a ciò che vediamo. Ogni emozione diventerebbe ostacolo, dimostrerebbe attaccamento e noi siamo molto attaccati sia ai nostri nemici che ai nostri amici. Perciò è opportuno non farsi né amici né nemici, e diventare un osservatore assolutamente scientifico.

La quarta valle è quella delle tribolazioni, perché vi sono solo ostacoli e dolore: è la valle dell’ingresso nell’inconscio. Da ora diventa più difficile andare da soli, perché più si sale verso l’alto più si va in profondità. Finora si procedeva alla luce del sole, adesso si entra nelle tenebre della buia notte dell’anima; questo è l’ingresso al pazzo mondo che è nascosto dentro noi stessi, l’accesso ad un territorio bizzarro ed imprevedibile.

Fino alla terza valle si procedeva da soli, ora è necessario avere un maestro, perché si sprofonda nell’oscurità più assoluta in cui è opportuno avere la luce di qualcuno che conosca la strada nel buio. La parte negativa della valle è l’enorme dubbio, il dubbio di tipo esistenziale che entra nella carne e sconvolge la mente, fino a fiaccare l’anima. E’ il dubbio su Dio,una profonda desolazione, che è percepita perché siamo partiti per cercare la luce, e ci ritroviamo soli e disperati in una valle desolata; intorno vi è la notte più oscura e non sappiamo più la strada.

Persino le vecchie certezze non esistono più, anche i valori in cui credevamo, sono divenuti delle idee vuote e prive di significato. Abbiamo fatto un viaggio assurdo, e accantonato ogni altra ambizione terrena per seguire questo ideale, e ci ritroviamo illusi e desolati.
Ma attento, se scappi adesso - avvisa Al-Ghazali - non conoscerai mai il fascino della notte, perché se la luce del sole è bella, non esiste un paragone con la fascinazione che è in grado di offrire l’oscurità: è un fascino estremo, perché la notte è bella, è rilassata e profonda. Se non sai apprezzare il fascino della notte, non saprai accettare la morte.

Sia nella morte come per l’abbraccio della notte, è necessario essere rilassati e non avere paura, sapere accettare ed accogliere ciò che giunge. E’ questo il primo bagliore di Dio, perché abbiamo aperto gli occhi alla sua luce, e il suo bagliore ci ha reso ciechi. E’ il suo splendore che ci ha abbacinati, perciò ora siamo al buio. Solo un maestro può aiutarci, prenderci per mano e guidarci, convincendoci che non è buio, che siamo affatto ciechi, ma che siamo solo sgomentati per il primo incontro con il Divino.

Coloro che tornano indietro, sconfitti dalla quarta valle, saranno sempre vittime della paura: avranno paura di amare, di provare piacere, di essere discepoli di una via, temeranno di abbandonarsi e avranno timore di avere fiducia. Questa è la valle centrale in cui si impara ad arrendersi e ad accettare.

La quinta valle è la valle terribile, perché si penetra la morte ovvero, psicologicamente parlando, si entra nell’inconscio collettivo, mentre nella precedente si entrava nell’inconscio individuale. Dalla precedente consapevolezza presuntuosa di essere un individuo speciale, si sperimenta ora la volontà di essere riconosciuti come tali anche dagli altri e, se essi non lo fanno, allora soffriamo il mancato riconoscimento. Nello zen vi è la raccomandazione di “diventare ordinari” perché se sappiamo essere ordinari e comuni, sappiamo stare al centro di noi stessi e siamo capaci di attraversare indenni la valle.

La sesta è la valle abissale, in cui si scompare e non si è più: la morte è già avvenuta e si prova il più assoluto annullamento. Tutte le vecchie e presuntuose idee divengono irrilevanti perché nasce un nuovo sé e si scompare completamente. Si muore e non giunge alcun aiuto perché dobbiamo solo arrenderci alla volontà divina, pensando alla saggezza del disegno divino che traccia la nostra vita.

Nella settima valle vi sono inni e celebrazioni, perché abbiamo la nostra resurrezione, e il corpo umano rinasce nel corpo divino, nel corpo della luce. Ora non esiste più il negativo ed il positivo, non esiste più dualità ma solo unità armoniosa. Il viaggio è finito e siamo tornati a casa. E’ il giorno in cui scopriamo che siamo sempre stati ciò che abbiamo scoperto, perchè le sette valli sono le tappe della scoperta del tesoro nascosto nel nostro cuore.
Buona erranza
Sharatan

venerdì 12 giugno 2009

A che serve la spiritualità?


Il mondo è pieno di gente arrogante e aggressiva, perciò a che serve la spiritualità? Perché tanta fatica per un’ideale inutile?
La risposta è che spirito e materia sono la stessa faccia della medaglia, perché ciò che possiamo misurare è la materia, e quello che noi proviamo è lo spirito: la materia è la nostra quantità, e lo spirito è la nostra qualità. Senza materia lo spirito non si potrebbe manifestare, ma è lo spirito che offre il significato alla nostra materia: senza lo spirito la materia non può avere vita, perciò noi siamo insieme sia spirito che materia.

Se esiste un problema è nello spiritualismo e nel materialismo, nei due “ismi” che costituiscono le esasperazioni dei concetti, che sono la base del pensiero dualistico, del pensiero miope e monoculare che è incapace di fare delle sintesi. Quando gli estremi assumono la forza dell’assoluto, allora nasce il problema, altrimenti vediamo nell’universo solo l’armonia delle iridescenti manifestazioni dell’Ineffabile.

L’universo, per gli orientali e per i popoli che sono chiamati primitivi, è un insieme di infinite forme che danzano nell’armonia, che trovano il loro equilibrio e che continuano l’evoluzione, mentre esso mantiene la sua interezza ed suo ordine superiore. Come la luce ed il buio, così la materia e lo spirito sono complementari l’uno all’altro.

La cultura moderna è una cultura che idolatra il pensiero duale, che inneggia alla natura violenta e spietata, in cui soccombe il debole, il timido e la persona onesta. Essa idolatra le forme mentali di scissione e di discordia, di spaccatura e di conflitto, i sentimenti in cui vige la separazione e la solitudine.

E’ questo il modo di pensare che è colpevole di avere abusato della natura e della terra, sfruttandole come se fossero una nostra assoluta proprietà, da usare e piegare alle nostre inflessibili ed egoistiche regole. Se proteggiamo qualcosa, lo facciamo solo perché pensiamo che possa servirci, così persino l’ecologia diventa una falsa risorsa.

Con questo pensiero schizoide, l’uomo pensa anche se stesso. Se tutto è solo materia, allora la terra, le foreste, l’acqua, il lavoro, la letteratura e anche l’arte, tutto si può immettere sul mercato mondiale, sul mercato azionario, sul libero mercato ed essere mercificato ad un prezzo definito.

Tutto entra nel mercato del profitto concorrenziale, in un sistema di spietata concorrenza che vede il trionfo del più scaltro e la sconfitta dei deboli. Questo è un mondo nel quale lo spirito non esiste, ha un commercio senza compassione, ha un sistema industriale disinteressato al rispetto ecologico del pianeta, ha una realtà di finanza e di economia senza equità e giustizia, che potrebbe portare il mondo al collasso.

Anche la politica governata dal materialismo, diviene la lotta competitiva di nazioni, il controllo egemonico dei territori, l’influenza ed il controllo della mente tramite le tecniche della propaganda, il controllo delle risorse naturali e dei mercati economici.
Il motto “essere con noi o contro di noi” è il pensiero dominante della politica senza spirito, che non vede il governo come cooperazione dei cittadini nelle nazioni, e delle nazioni tra loro, ma vede il mondo come un campo di scorribande e di dominio. Ed il dominio è sempre del più forte.

I politici parlano di grandi ideali ma perlopiù perseguono interessi personali, perché la politica materialistica è la faccia della politica priva dello spirito, che non conosce compassione e rispetto, perché esse sono qualità spirituali. La politica materialista, si fa beffa dei valori dello spirito, e li addita negativamente come valori vaghi, nebulosi, utopistici, idealistici, irrazionali ed irreali. Colui che li persegue è un povero illuso!

La religione che dovrebbe ospitare i valori dello spirito, è invece un sistema che deve preoccuparsi di conservare i suoi apparati e le sue ritualità, così cerca di collegare i valori spirituali ad un credo particolare, a cui vuole legare l’anima ed il corpo dei fedeli. La religione non ama gli spiriti liberi, perché posseggono un’anima che non accetta tutele e che preferisce cercare da sola il suo dio.

Lo spirito è volo dell’aria, è spazio infinito, è libertà, è respiro di spiriti indipendenti, è luce che tocca il cuore e rinfresca l’anima, e se le menti sono troppo chiuse, diventano come stanze in cui respiriamo aria viziata, e questi sono luoghi in cui lo spirito viene soffocato.

Quindi noi non dobbiamo aspettare dei profeti, dobbiamo trovare le nostre radici spirituali nel modo maggiormente confacente alla nostra mente, perchè ognuno dovrebbe cercare lo spirito a modo proprio. Solo a noi è concesso di aprire il nostro cuore e la nostra mente, solo noi possiamo permettere alla compassione, alla generosità, alla divinità, alla sacralità, di risvegliarsi nel nostro cuore e di prendere il timone della nostra vita.

Le varie religioni sono come una serie di fiumi che vanno allo stesso oceano. Non c’è conflitto tra i fiumi, ma vengono creati dei conflitti tra le religioni, perché il dogmatismo religioso oggi vincente, causa la morte dello spirito.

Anche la scienza ha bisogno della spiritualità, perché la scienza senza spiritualità ha prodotto le tecnologia nucleare, le armi, l’ingegneria genetica, la clonazione umana e animale, e tutti i prodotti chimici che stanno avvelenando la terra. La scienza oggi ha il controllo di mercati finanziari enormi, è entrata nel sistema industriale, negli affari, nell’educazione e nella politica, ed alcune scelte scientifiche sono talmente inumane, che la spiritualità è oggi assolutamente necessaria, per moderare i suoi eccessi a spese del libero arbitrio.

Ma anche la spiritualità deve trovare un conforto scientifico, perché senza un adeguato livello razionale, analitico ed intellettuale, la ricerca spirituale può diventare molto rischiosa. Quando essa diventa irrazionale, diviene uno spiritualismo vuoto e superstizioso, un pensiero debole e sottoposto alle influenze di falsi guru e di pseudo-messia.

La vera spiritualità si ritrova in ogni cosa che facciamo, come ci insegnano gli orientali, per cui ricerchiamola e portiamola in tutte le nostre azioni e nei nostri contesti, siano essi l’esistenza quotidiana, la politica, gli affari, l’educazione e gli affetti; facciamola diventare una pratica consueta.

Dobbiamo iniziare a chiederci, quando siamo arrivati ad un livello sufficiente di benessere, e poi dobbiamo saperci fermare. Abbiamo la necessità di lavorare per vivere, ma abbiamo anche la necessità di stare con gli altri, di amare, di leggere, di meditare, di stare a pensare, di momenti in cui esercitiamo la nostra immaginazione, di momenti in cui vogliamo sviluppare la nostra creatività. Abbiamo bisogno di creare qualcosa di nostro, abbiamo bisogno di tranquillità e di arte e bellezza.

Continuare a servire la religione del materialismo, con il suo pensiero ottuso da ciclope, ben presto diventerà insostenibile. Sarà opportuno imparare a vivere in modo più sobrio, e dobbiamo pensare che le risorse della terra devono essere condivise in modo più equo: dovremo fare maggiori risparmi, per poter lasciare risorse anche a coloro che verranno dopo di noi.

Per scongiurare la nostra solitudine e le incertezze moderne, abbiamo riempito la nostra vita di oggetti e di ingombri, senza scoprire alcuna felicità, ma solo ulteriore scontento e conflitta. Siamo dei consumisti infelici e insoddisfatti, ed oggi siamo anche in crisi economica, per cui ci scopriamo sempre più divisi e nemici.

La spiritualità ci aiuta a liberare la mente, ci svincola dal nostro piccolo io, libera il nostro cuore ingabbiato ed avvilito. Con la spiritualità ci apriamo alla mente universale, e al cuore della condivisione, ci offriamo per la cura e per la compassione di noi e degli altri; essa può divenire l'ultima risorsa per un secolo tanto freddo di solidarietà e conforto umano

L’autotrasformazione è il primo passo per la nostra evoluzione, la trasformazione personale, quella sociale e quella politica procedono poi di pari passo, quando siamo liberi dalla paura e dall’ansietà, quando siamo a nostro agio nei nostri panni. Allora siamo in grado di avere un rapporto equilibrato e spirituale con gli altri, e possiamo migliorare la vita di tutti.

Iniziamo a fare dei piccoli passi, coltivando le qualità che sono propriamente spirituali. La prima qualità è la fiducia dopo la rimozione della paura, che è la paura di non possedere, di non controllare, di non riuscire ad essere vincente; paradossalmente tutti questi meccanismi, funzionano solo accrescendo la paura da cui nascono. Siamo una scintilla di Dio e dovremmo avere la certezza che la nostra vita sarà sempre protetta, che tutti sono nella stessa barca e che nulla di male ci può succedere. Coltiviamo questa fiducia, imparando a visualizzarci come felici e tranquilli: uniamo un ben pensare ad un retto agire.

La seconda qualità spirituale è la partecipazione alla vita, e la gioia di viverla per come viene, senza volerla dirigere o manipolare. Ma dobbiamo farlo imparando un agire più lento e ponderato; impariamo a saper vivere con prudenza e non con diffidenza! Partecipare veramente significa essere in armonia con noi e gli altri, e questo richiede del tempo, richiede la costanza di perseguire il miglioramento e la pazienza, cioè saper aspettare per ottenere dei risultati positivi.

Impariamo poi ad essere maggiormente grati delle cose che ci sono state date, e impariamo ad apprezzare le benedizioni ricevute, quindi diventiamo più umili e meno arroganti, diventiamo più rispettosi di noi e degli altri. Impariamo a ricucire la scissione tra lo spirito e la materia, perché tenendo diviso ciò che non lo è, continueremo a distruggere la terra sfruttandola selvaggiamente, e opprimeremo i nostri simili, perpetuando ingiustizie e sofferenze di cui dovremo rendere conto. Se fossimo maggiormente intelligenti, la domanda giusta per sopravvivere ai nostri giorni, dovrebbe essere: perché non iniziamo a coltivare il nostro spirito?

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 10 giugno 2009

L’elogio del buon senso



“Elogio del buon senso” dello scrittore e giornalista uruguaiano Eduardo Galeano, pubblicato nel Settembre 2004:

Il nostro mondo malato di instabilità e di isolamento risente di un'altra ben crudele afflizione: la mancanza di ampi spazi aperti al dialogo e alla ripartizione del lavoro. Dove sono gli spazi aggregativi in cui sarebbero ancora possibili l'incontro e lo scambio? Non potremmo iniziare a cercarli nel senso comune? Quel buon senso ormai tanto prezioso e tanto raro.

Prendiamo ad esempio le spese militari. Ogni giorno, il mondo devolve 2, 2 miliardi di dollari in produzione di morte. Più precisamente, il mondo destina questa cifra astronomica alla promozione di gigantesche partite di caccia in cui il cacciatore e la preda sono della stessa specie, e da cui risulta vincitore colui che avrà ucciso il maggior numero di propri simili. Basterebbero nove giorni di spese militari a procurare cibo, educazione e cure a tutti i bambini della Terra che ne sono sprovvisti.

A priori, questa dissolutezza finanziaria rappresenta una evidente violazione del senso comune. E a posteriori, che cosa ne risulta?
La versione ufficiale giustifica questo sperpero per via della guerra contro il terrorismo. Ma il buon senso ci dice che il terrorismo gliene è profondamente grato. Non bisogna essere dei geni per constatare che le guerre di Afghanistan e Iraq hanno prodotto sul terrorismo un considerevole effetto dopante. Le guerre dipendono dal terrorismo di stato, e il terrorismo di stato si alimenta del terrorismo non organizzato, e viceversa...

Di recente sono state pubblicate le stime: l'economia americana è in ripresa e torna a crescere a un ritmo soddisfacente. Secondo gli esperti, senza le spese connesse alla guerra in Mesopotamia, questa crescita sarebbe decisamente meno energica. In qualche modo, la guerra contro l'Iraq rappresenta un'eccellente novità per l'economia. E per i morti? Il senso comune si fa sentire attraverso delle statistiche finanziarie, o per bocca di questo padre straziato, Julio Anguita (1), quando afferma: «Sia maledetta questa guerra e tutte le guerre»?

I cinque maggiori fabbricanti e commercianti d'armi (Stati uniti, Russia, Cina, Regno unito, Francia) sono gli stati che godono del diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Che i garanti della pace mondiale siano allo stesso tempo i più importanti fornitori d'armi del pianeta non è un insulto al buon senso?

Al momento opportuno, sono questi cinque paesi a comandare. E sono sempre loro a dirigere il Fondo monetario internazionale (Fmi). La maggior parte di loro compare fra gli otto stati che prendono le decisioni determinanti in seno alla Banca mondiale, così come all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) in cui il diritto di voto è previsto ma mai utilizzato.
La lotta per la democrazia nel mondo non dovrebbe iniziare dalla democratizzazione dei sedicenti organismi internazionali?

Che ne dice il senso comune? Non è previsto che esprima un parere. Il buon senso non ha diritto di voto, né quasi più diritto di parola. La gran parte dei crimini più atroci e dei pregiudizi peggiori commessi su questo pianeta sono perpetrati per il tramite di questi organismi (Fmi, Banca mondiale, Wto) che si definiscono internazionali.

Le loro vittime sono i «dispersi»: non coloro che si sono smarriti nella notte e nella nebbia dell'orrore delle dittature militari, ma i «dispersi della democrazia». In questi ultimi anni, in Uruguay, il mio paese, come in tutto il resto dell'America latina e delle altre regioni del mondo, abbiamo visto scomparire gli impieghi, i salari, le pensioni, le fabbriche, le terre, i fiumi, e sono scomparsi anche i nostri stessi figli, costretti ad emigrare alla ricerca di ciò che hanno perduto, rifacendo all'inverso il cammino dei loro avi.

Il buon senso ci obbliga forse a sopportare questi evitabili sofferenze? Ad accettarle, incrociando le braccia, come se fosse l'opera fatale del tempo o della morte? Accettazione, rassegnazione ? Siamo costretti ad ammettere che, a poco a poco, il mondo sta diventando sempre meno giusto.

Per fare un esempio, la differenza fra il salario della donna e quello dell'uomo non è più tanto abissale come una volta. Ma alla velocità con cui vanno le cose, cioè non molto celermente, la parità salariale fra uomini e donne avrà luogo fra 475 anni!

Che cosa suggerisce il buon senso? Di aspettare? Non esiste alcuna donna, a mia conoscenza, in grado di vivere così a lungo. La cultura autentica, quella che promana dal buon senso e che conduce al buon senso, ci insegna a lottare per recuperare quello che ci è stato usurpato.

Il vescovo catalano Pedro Casaldaliga (2) ha una lunga esperienza degli anni trascorsi nella foresta brasiliana. E sostiene che, se è vero che insegnare a pescare è meglio che offrire un pesce, d'altro canto, è inutile insegnare la pesca se i corsi d'acqua sono stati inquinati o venduti.

Per far danzare gli orsi nei circhi, il domatore li addestra: a ritmo di musica, colpisce loro la groppa con l'aiuto di un bastone munito di punte. Se danzano correttamente, il domatore smette di batterli e dà loro del cibo. Altrimenti, la tortura continua e, scesa la notte, gli orsi fanno ritorno nelle loro gabbie a stomaco vuoto. Per paura, paura dei colpi, paura della fame, gli orsi danzano. Dal punto di vista del domatore, questo è semplicemente puro buon senso. Ma dal punto di vista dell'animale sfinito?

Settembre 2001, New York. Quando l'aereo sventrò la seconda torre, e questa iniziò a vacillare e poi a crollare, le persone si sono precipitate scendendo le scale a tutta velocità. Gli altoparlanti allora hanno intimato l'ordine a tutti gli impiegati di ritornare al proprio posto di lavoro. Chi di loro ha agito con buon senso? Si salvarono soltanto quanti disobbedirono. Per salvarci, dobbiamo raggrupparci. Come le dita di una stessa mano.

Come le anatre di uno stesso stormo. Tecnologia del volo collettivo: la prima anatra si lancia ed apre la strada alla seconda, che indica il percorso alla terza, e la spinta della terza fa spiccare il volo alla quarta, che trascina la quinta, e lo slancio della quinta provoca il volo della sesta, che fa coraggio alla settima...

Quando l'anatra esploratrice si stanca, raggiunge la coda dello sciame e lascia il posto ad un'altra, che risale alla punta di questa V capovolta che le anatre disegnano in volo. Tutte a turno prenderanno la testa e la coda del gruppo. Secondo il mio amico Juan Diaz Bordenave (3), che non è un «palmipedologo» ma che se ne intende, nessuna anatra si considera una superanatra se vola davanti, né una sottospecie di anatra se si trova in coda. Le anatre, almeno loro, non hanno smarrito il proprio buon senso.

Note:

(1) Julio Anguita, uomo politico spagnolo, storico dirigente d'Izquierda Unida (la Sinistra unita) il cui figlio, Julio Anguita Parrado, giornalista, corrispondente del quotidiano madrileno El Mundo e che accompagnava («embedded») la 3a Armata americana al momento dell'invasione in Iraq, è stato ucciso da un missile iracheno a sud di Bagdad il 7 aprile 2003.

(2) Pedro Casaldaliga, nato nel 1928, teologo della liberazione, vescovo titolare da 35 anni nella curia di Sao Felix de Araguaia, una delle più povere del Brasile, sperduta nello stato del Mato Grosso. Nel 1992, il suo nome è stato proposto per il Nobel.

(3) Juan Enrique Diaz Bordenave, saggista paraguaiano, specialista della comunicazione, autore tra l'altro di Communicacion y Sociedad, Busqueda, Buenos Aires, 1985.

martedì 9 giugno 2009

Libertà


Alcuni hanno paura
della luce della ragione,
altri hanno paura
della luce irrazionale dell’anima.

Si sentono sicuri
solo nella prigione dogmatica
che si sono costruiti.

E li si sentono importanti
davanti a sé stessi
e davanti agli altri.

Presumono di sapere e di potere,
lottando tra loro,
rinunciando ad essere umani,
nel fondamento dell’intelligenza
e del cuore.

Uccelli in gabbia senza saperlo.

Eppure la gabbia è sempre aperta,
qualcuno è volato via,
e solo lui sa.

Shaykh Nuru-d-Din

domenica 7 giugno 2009

In viaggio come uno straniero...



“L’Universo è un grande uomo,
e l’uomo è un piccolo universo”
Detto sufi

Nella cosmologia sufi si narra che quando il tempo non esisteva, Dio creò il mondo: “Ero un tesoro nascosto; ho voluto essere conosciuto, e allora creai il mondo” (Hadith 70). La prima cosa creata fu dunque, lo Spirito e nel Corano (18, 84) è detto: “ Ti interrogheranno riguardo allo Spirito. Rispondi: lo Spirito procede dal Comandamento del mio Signore.”

Secondo una leggenda sufica di origine persiana, Dio creò lo Spirito nella forma di un pavone e gli mostrò la sua immagine nello specchio dell’Essenza divina. Intimorito dalla possente immagine, il pavone emise delle gocce di sudore da cui nacquero tutti gli altri esseri, e la ruota del pavone imita il dispiegamento cosmico dello Spirito. Lo Spirito è il Calamo supremo, con cui Dio registra tutti i destini sulla Tavola custodita, che corrisponde all’Anima Universale, in cui è scritta tutta la storia della creazione, dall’origine fino alla fine dei tempi.

L’uomo fu creato per ultimo, perciò racchiude in sé la perfezione ed è il simbolo delle forze che ci accostano alla natura divina: questo spiega perchè egli sia il fine ultimo delle cose, perchè sia il rappresentante della divinità ed il naturale fruitore della Creazione.
Ciò avvenne, dice il Corano, perché l’uomo accettò di portare “il pegno della fede” che cielo e terra avevano rifiutato; tale pegno è costituito dal deposito dei segreti divini che costituiscono la conoscenza esoterica.

Per questo l’uomo è molto più che la sua forma esteriore, e la sua essenza più intima è velata dalla corporeità: nell’uomo sono racchiusi tutti i mondi divini e naturali, perché egli è come un libro in cui sono illustrati i segreti delle cose. Dio ha bisogno dell’uomo per conoscere Sé stesso, e l’uomo ha bisogno di Dio per conoscere la sua essenza.

Ciò implica che egli si dovrà reintegrare alla sua primitiva unità, facendo ritorno alla purezza e all’innocenza che rappresentano la condizione celeste, così come insegna Cristo, quando disse che, se non saremo come fanciulli, non avremo accesso al Regno dei Cieli. Il fine del sufismo è il conseguimento di questa reintegrazione, mediante l’integrazione di corpo, mente e spirito, ognuno al suo livello.

L’uomo è vicario di Dio sulla terra, e può raggiungere la felicità rimanendo fedele alla sua natura, ed essendo veramente se stesso. Così l’uomo deve trarre profitto da ogni cosa materiale in modo da avvicinarsi al mondo spirituale: il corpo è il ponte ad un’altra forma di esistenza, perché “l’apparenza è il ponte verso la Realtà”. Perciò l’uomo sa che ogni cosa del mondo è il simbolo di una realtà più elevata, ma che i segni possono essere letti solo se conosciamo le chiavi per interpretarli.

Così l’uomo vive come uno straniero ed un viandante, e la vita umana è una condizione temporanea, poichè la natura umana è teomorfa e deve tornare alla sua fonte originaria: è questa la questione che sta più a cuore al sufismo. La sola Via è quella di coloro che tendono al ritorno alla loro Essenza Divina, perché, afferma Rumi: “ Nell’istante in cui tu fosti dato a questo basso mondo, sorse la scala per la quale tu potessi ascendere.”

L’etica sufi vuole realizzare l’uomo perfetto, perciò deve eliminare gli ostacoli che ottundono la visione della Realtà autentica e divina. Il centro di tali impedimenti è il nafs, l’anima o “se individuale” da cui derivano passioni ed impulsi egocentrici. Più l’uomo si affida al suo nafs, maggiore diviene il senso di separazione dai suoi simili e dalle cose, perché l’uomo, dicendo “Io” ignora il filo sottile che lo unisce all’Eterno. I sufi lo chiamano il se dispotico, perché esso è autoritario ed impone all’uomo la resa incondizionata alle sue passioni e ai suoi desideri.

Spesso non siamo consapevoli di coltivare certe tendenze negative nel nostro intimo, come l’orgoglio, l’arroganza e l’invidia, e le imputiamo al mondo esterno e alle circostanze. Se facciamo autocritica invece possiamo riconoscerle come nostre, come prodotte dal se dispotico, che è il peggiore nemico dell’uomo: sradicare tali tendenze, affermano i sufi, è come muovere le montagne, perciò il nostro se dispotico va addomesticato ed utilizzato, fino a distruggere la falsa individualità, per fare emergere quella vera, quella divina.

L’intera via sufica si potrebbe riassumere come un viaggio alla conoscenza di se stessi, perciò comporta, necessariamente, una scienza dell’anima. Le passioni umane vanno eliminate, in modo che il nafs non possa esercitare la sua influenza, e il dolore ed il piacere non possano più di dare sofferenza: avviene una vera e propria “morte nella vita” o piuttosto un “morire prima della morte.”

Così l’uomo si trova in Dio e la sua essenza si discioglie nel Creatore, così si realizza l’unità e l’illuminazione. In seguito l’uomo dovrà ridiscendere nel mondo materiale, pur restando sempre in compagnia di Dio. Allora un sufi può compiere qualsiasi lavoro, senza fare intuire la sua maturità spirituale a coloro che non ne saprebbero trarne vantaggio, ma dovrà fornire a tutti un modello di purezza e di nobiltà di spirito.

Sul ruolo dell’elemento tentatore, Shayṭān o Satana, il ribelle, l’avversario, il nemico, il Corano narra che Iblis si rese colpevole di disobbedienza nei riguardi di Dio: infatti si rifiutò di inchinarsi davanti ad Adamo, dicendo che una nobile creatura di fuoco come lui non si sarebbe inchinato mai davanti ad una creatura di fango. Dio lo fece precipitare negli inferi, perché Adamo era l’immagine di Dio.

Nel Corano si chiede aiuto a Dio “contro il male del sussurratore furtivo che sussurra nel cuore degli uomini” che è Iblis, il simbolo delle pulsioni e degli istinti corporei. Questo tentatore non va soppresso ma addestrato ed addomesticato, perché le trappole della via sufica sono costituite dal nostro se dispotico e dalla nostra attrazione per il mondo materiale.
Se sappiamo bene imbrigliare i nostri istinti e le nostre passioni, anche la materialità del mondo ci apparrà in modo diverso. Il mondo svela e copre nel contempo, ed è pronto a nascondere i misteri agli stolti e a rivelarli ai sapienti amanti della conoscenza, diventerà diverso se cambiamo prospettiva.

Anche la ricerca affannosa dei valori spirituali può divenire un velo che ci ottunde la vista, al pari dei desideri materiali, perché colui che procede nel sentiero può divenire presuntuoso ed orgoglioso, e ritenersi superiore agli altri, al punto che il desiderio bramoso del divino può essere pericoloso come il desiderio delle cose materiali.

Uno dei veli più insidiosi è la conoscenza intellettuale, frutto dello studio libresco, se non diviene anche un vissuto pratico, perciò anche lo studioso, che polemizza e discute a vuoto, diviene vittima di Shayṭān. La vera conoscenza avviene primariamente nell’interiorità, come dice Rumi: “Il libro dei sufi non è composto di inchiostro e lettere; non è nient’altro che un cuore bianco come la neve”.

Gli eruditi, come “bestie da soma cariche di libri” credono di poter dominare tutta la conoscenza materiale, ma non si può fingere di “conoscere il fuoco senza essere il fuoco” e questo avviene quando di vuole conoscere la divinità usando solo la mente. Dio non è il mondo ma lo trascende, pur essendovi contenuto: questo, che appare un paradosso logico, è invece la verità della realtà divina, e dimostra come sia insufficiente ogni approccio mentale, perciò la simpatia dei sufi va alla conoscenza pratica imbevuta di valori spirituali.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 5 giugno 2009

Il fuoco dell'Amore Divino



Ho bisogno d'un amante che,
ogni qual volta si levi,
produca finimondi di fuoco
da ogni parte del mondo!

Voglio un cuore come inferno
che soffochi il fuoco dell'inferno
sconvolga duecento mari
e non rifugga dall'onde!

Un Amante che avvolga i cieli
come lini attorno alla mano
e appenda, come lampadario,
il Cero dell'Eternità.

Che entri in
lotta come un leone,
valente come Leviathan,
non lasci nulla che se stesso,
e con se stesso anche combatta

E, strappati con la sua luce i
settecento veli del cuore,
dal suo trono eccelso scenda
il grido di richiamo sul mondo.

E quando, dal settimo mare si volgerà
ai monti Qàf misteriosi da
quell'oceano lontano spanda
perle in seno alla polvere!

Maulānā Gialāl al-Dīn Rūmī

giovedì 4 giugno 2009

A ciascuno secondo il grado di comprensione


“A ciascuno si parla
secondo il grado di comprensione”
Motto sufi

Secondo i sufi, qualsiasi metodo didattico deve tener conto dei fattori di tempo, luogo e persone. Si deve sempre tener conto del contesto storico, geografico e delle caratteristiche delle persone a cui ci si rivolge, per cui dei metodi molto efficaci in alcuni contesti, possono divenire inutili in una società industriale avanzata come la nostra, in cui l’individuo possiede delle caratteristiche precise e peculiari.

Sarebbe assai ridicolo suggerire la pratica dei dervisci rotanti diffusa in Anatolia, oppure un programma didattico improntato sulle storie umoristiche o sulle liriche d’amore, a delle società del tutto disinteressate a questo tipo di espressione artistica. Per questo i sufi vedono il contesto storico-culturale, come pure quello geografico, come elementi di grande rilevanza educativa. Alcuni luoghi posseggono una forte capacità magnetica ed evocativa, per questo alcuni riti riescono ad essere molto efficaci in tali contesti, ed inopportuni in altri.

Anche le disposizioni personali sono elementi essenziali da considerare, qualora si voglia tracciare un percorso educativo per l’adepto, perciò l’insegnamento è personalizzato. Ciascun adepto deve essere seguito in modo particolare per poterne rispettare le disposizioni intime e personali, così si intende perché non tutti i riti e le pratiche siano considerate adeguate indiscriminatamente. Comunque per tutti è possibile giungere l’illuminazione, infatti Rumi afferma che per l’uomo di conoscenza, ogni pietra grezza equivale ad una perla.

Non tutti siamo uguali e non tutti possiamo fare gli stessi percorsi, ma l’uomo può avvalersi di ogni espediente del mondo materiale per poter attingere al mondo dello spirito. E’ pure possibile l’uso di vari rituali, ma il loro valore è secondario: i riti sono come delle zattere che servono per fare le traversate, e che devono essere abbandonate, una volta giunti sulla terraferma.

L’assunto fondamentale sufi è che ogni cosa può divenire un espediente come veicolo dell’insegnamento, e che ogni avvenimento ha un valore pedagogico, persino quello che giunge e che non sembra affatto tale.

Secondo la didattica sufi, l’allievo non deve essere sotto tensione per potere apprendere, ed è più facile addestrarlo se l’allievo non si accorge che il maestro impartisce una dottrina. Molte persone non sono disposte ad essere addestrate, perciò il metodo suddetto è essenziale. Stupirà sapere che queste concezioni pedagogiche sono di attualità e modernità eccezionale!

Due soli requisiti sono richiesti all’allievo per essere ammessi alla Via: essere disposto a ricevere un’istruzione, ed essere disposto ad imparare non aspettandosi risultati pianificati e tangibili. Entrambi le richieste sono in contraddizione con la nostra logica lineare.

Nel primo requisito si rientra, se non siamo illusi di avere acquisito la verità e nel secondo, se non crediamo che, ad uno stato di esecuzione tecnica ideale si ottenga un contesto di manifestazioni spirituali eccezionali. Ancora sul primo requisito si agisce facendo un ampliamento percettivo, che ci pone in grado di recepire le informazioni dei maestri e sul secondo, con la ribellione alla concezione della realtà spirituale in una ottica meccanicistico-causale, di tipo utilitaristica.

“Le azioni valgono soltanto per le loro intenzioni” affermano i sufi, per cui la predisposizione all’apprendimento è un vero dono di Dio, offerto a colui che ospita un sublime amore per la sapienza. Per questo i sufi credono nel dhikr, cioè nella “riminescenza” nel “ricordo” nella “menzione” che è costituita dalla ripetizione dei Nomi di Dio, accompagnata da movimenti ritmici del corpo e da opportune forme di respirazione controllata.

Viene recitato mentalmente (Dhikr del cuore), oppure a voce alta o bassa (Dhikr della lingua), e va recitato dopo le rituali abluzioni purificatrici. Viene recitato da soli o in collettività, e può essere attuato in qualsiasi momento della giornata, sebbene la notte sia il momento migliore per applicarsi alla pratica di recitazione.

Recitare il dhikr rende il cuore tranquillo, ed i 99 nomi divini islamici, sono la splendida ripetizione della gamma delle qualità divine: Il Misericordioso, Il Compassionevole, Il Fedele, Il Fiero, Colui che modella, Colui che perdona, Colui che provvede, Colui che dà potenza, Colui che tutto ascolta, Il Giusto, Il Sottile, L'Amabile, Il Paziente, L'Immenso, il Sublime, Colui che perdona, L'Altissimo, Colui che vigila, Il Maestoso, Il Forte, L'Irremovibile, Colui al quale tutto ritorna, L'Assoluto, l'Eterno, l'Impenetrabile, L'Amorevole, L'Uno e Il Testimone. Queste sono solo alcune delle divine prerogative, che vanno benissimo anche per il nostro Dio, e che si adattano ottimamente anche al Dio che tutti noi vorremmo.

Da tutte le prerogative si trae lo spunto per immedesimarsi nella relativa qualità, e tale meditazione a scopi mimetici è in grado di fornire dei determinati poteri soprannaturali, poiché nel dhikr, soprattutto le vocali lunghe vengono usate come “suoni di potere,” così come avviene nell’induismo.

Per ottenere il massimo profitto, la pratica si attua facendo la contemporanea visualizzazione dei “centri sottili” del corpo umano, cioè dei punti del corpo che sono carichi di energia. Si scandiscono i nomi, segnando il passo con lo scorrere del rosario tra le dita, mentre ci si identifica sempre più con la qualità recitata ed evocata, così si attinge in una sfera preverbale e archetipa priva di ogni concetto materiale.

Il dhikr inizia con la lingua e finisce con il cuore: questo è l’aforisma sufi, che dimostra come inutile ogni distinzione tra i due tipi di recitazione; essa recupera l’adepto alla realtà divina, perciò i sufi la ritengono una pratica essenziale, superiore alle altre orazioni quotidiane.

Altro esercizio essenziale è quello della consapevolezza, che consiste nel rendersi conto dell’ambiente e del contesto in cui siamo, il “qui ed ora” della nostra vita, perché dobbiamo sempre fare un’autocritica delle nostre azioni e compiere delle purificazioni del nostro essere. Viene praticata soprattutto la purificazione del cuore, in cui s’inspira immaginando una grande luce bianca che inonda il petto, e si espira usando la luce, per rimuovere le sporcizie ed impurità che ci offuscano, come se fossimo uno specchio ricoperto di polvere che va spolverato.

L’uomo moderno si è abituato ad usare la sua mente come un computer, afferma il filosofo Shaykh Fadhlalla Haeri, per cui è schiavo del pensiero lineare e dualistico che vede la realtà come un sistema di contrapposizioni: la mente computer va messa a tacere in favore del recupero delle facoltà intuitive umane.

Il metodo del lavoro è utile alla tacitazione della mente duale, infatti l’affaccendarsi in attività manuali, come le faccende domestiche, i lavori di giardinaggio, la passione culinaria, etc., permette di attivare nuove energie che potremo valorizzare. Mentre si attende alle faccende quotidiane si ottiene la tacitazione delle ossessioni mentali, così come ci insegna anche il buddismo zen.

Per interrompere il computer mentale, è essenziale creare dei corto circuiti con cui si sospende l’attività della mente, e tale interruzione permette l’apertura dei centri sottili, quei centri di energia del corpo insegnati dallo yoga induista, solo che nel sufismo non è importante che l’apertura avvenga come tale, ma solo se viene conseguita in seguito ad un’effettivo e parallelo sviluppo spirituale. Diversamente si dovrebbe gestire un’energia che non si sa come impiegare e che potrebbe danneggiarci: il requisito essenziale resta l’interiorità integra ed equilibrata.

Nel sufismo si discute sull’acquisizione di poteri paranormali che vengono acquisiti dall’adepto sulla via della conoscenza, tra cui la chiaroveggenza, la premonizione, la capacità di leggere il pensiero altrui anche in assenza della persona, le doti taumaturgiche, la levitazione, la facoltà di parlare con i defunti e l’invisibilità. La spiegazione che i sufi offrono di tali poteri è semplice: quando l’adepto ha raggiunto un livello di maturazione elevato, tutte le creature dell’universo gli obbediscono.

Tutto è possibile per colui che si è annullato in Dio e i poteri paranormali, come quelli normali, sono soltanto degli strumenti e mai dei fini. La capacità della “lettura dell’anima”, e la capacità di compiere dei prodigi seduce solo l’immaturo, colui che vuole far colpo sugli altri. I miracoli sono anche loro dei veli, sono delle trappole, ed un’eccessiva attenzione al sensazionale riesce a distoglierci dal Sentiero.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 1 giugno 2009

Non guardare l’aspetto esteriore


“Non guardare il mio aspetto esteriore,
ma prendi ciò che ho in mano. “
Jami

Dall’addestramento sufi è possibile ricavare dei consigli pratici per condurre una vita armoniosa e priva d’inquietudini.
L’assunto principale dei sufi è che bisogna indebolire l’egocentrismo umano, perché è fonte di ogni problema personale e interpersonale.
Il vero sufi non si dichiara tale, perchè celare la nostra più intima e autentica natura serve a non peccare di superbia, egli si muove con un’atteggiamento schivo e riservato. Una eccessiva considerazione di sé sarebbe in contrasto con l’umiltà, così la perfezione morale non va esibita e la considerazione altrui non andrebbe sollecitata, né in senso positivo, né in senso negativo.

Di solito gli uomini tendono a procedere in base ad automatismi e convinzioni più o meno salde che sono delle idee fisse, vere e proprie ossessioni che ci impediscono di vedere la realtà. Avvicinandosi alla realtà con il solo pensiero lineare, si rischia di continuare ad alimentare l’equivoco: per questo i sufi ricorrono a delle storielle didattiche, che ci insegnano a ragionare diversamente, a sviluppare una nuova mentalità. Il sufismo cerca una concezione logica con la quale la mente si possa liberare dagli automatismi mentali e iniziare a coltivare un atteggiamento critico ed accorto.

Se non si rinuncia alla logica abituale il pensiero non saprà abbandonare le vie consuete, inibendosi a qualsiasi ulteriore sviluppo. La realtà è molto ricca e possiede molteplici sfumature, perciò il sufi non coltiva la logica di senso comune, né i timori abituali degli altri uomini. Lo stesso itinerario spirituale umano è privo di logica, perché si è alla ricerca di un’unità da cui non siamo mai stati divisi, e ci muoviamo verso una meta già ottenuta, alla ricerca di Colui che ci è sempre stato accanto, e soffriamo di una falsa mancanza del Divino.

Un sufi è innamorato di Dio ed entra in contatto con Lui tramite l’amore, perciò egli vive ossessionato dal desiderio di questa unione. Ogni conoscenza logica e teorica viene accantonata perché il mondo intero è oggetto di passione. L’amore per la divinità non è carnale e materiale, bensì è un sentimento più elevato, tanto da fare impallidire l’amore terreno e carnale.
L’amore terreno è di tipo narcisistico e cerca solo l’appagamento dall’oggetto della sua passione, esso non vede l’altro come è veramente, ma lo vede come in un’allucinazione, perciò come lo vorrebbe. L’amore terreno è agognato perché si vuole uno scambio di amore e di considerazione: si ama qualcuno per il piacere che ci può dare e non per il suo essere.

Esiste invece un amore più elevato, che investe la sfera dello spirito, in cui si desidera l’oggetto per sé stesso, celebrandone la vera essenza e senza aspettarsi nulla in cambio: questo amore vuole solo il ricongiungimento con la persona amata, abiurando a tutte le inclinazioni egoistiche ed egocentriche.
Esso è un gusto, un anelito con cui si pone l’amato sopra ogni altra cosa. Senza di lui non possiamo godere delle gioie della vita finchè non diveniamo noi stessi l’oggetto del sentimento e della passione, cioè fino alla fusione totale con l’oggetto amato. Questo è l’amore della Creatura per il suo Creatore, questo è l’amore dell’uomo nei confronti di Dio.

Un giorno l’anima dell’uomo si è staccata dalla sua Matrice per fare un viaggio nel mondo materiale, perciò ha assunto un involucro che dovrà infrangere per ritornare all’Origine. La vita materiale è un transito ad una dimensione superiore, e l’amore svolge un ruolo essenziale per farci giungere a questa consapevolezza: allora le qualità umane cedono il passo alle qualità divine, quando avremo riscoperto queste qualità nel nostro cuore. L’amore per il signore viene dal Signore stesso: è Lui ci spinge ad amarlo, perché egli si serve dell’uomo per amare se stesso, infatti è Dio che va in cerca di Se, bramando Se stesso.

Il sufi è in preda ad un atto di intossicazione divina che invalida ogni altra realtà, e si riconosce completamente solo nell’oggetto del suo amore, per questo alcuni di loro hanno affermato che l’amore tra un uomo e una donna, non è paragonabile al sentimento che si dedica al Divino: l’amore comune è incompleto ed inappagabile perché in esso si vuole sempre manipolare l’altro, affinché diventi ciò che noi vogliamo e non ciò che egli è. Ma altri sufi ritennero che anche l’amore terreno fosse una via per scoprire quello divino, quando si riesce ad amare l’altro rispecchiandolo completamente e celebrando il suo essere.

Tutte le cose materiali vanno apprezzate perché create da Dio affinchè l’uomo possa godere della sua Creazione, perciò ogni ambito della vita deve essere valorizzato, cosicchè l’amore terreno diviene auspicabile e addirittura necessario, con la valenza sublime di assimilare l’intesa con il partner a quella futura con la Divinità.

Perciò l’amore per Dio inizia con l’amore per il prossimo, anche se ci si deve astenere dal proselitismo, affinché nessuno vada forzato ad abbracciare dei modi di pensare a cui non è ancora preparato ad avvicinarsi. I rapporti vanno improntati alla più assoluta correttezza, quindi sono inconcepibili dei sentimenti quali vendetta, odio, risentimento, gelosia e l’invidia, come pure va esercitata la più grande compassione per tutte le forme viventi, cioè gli animali, le piante e anche il mondo minerale, perché sono tutte creature di Dio.

L’uomo per vivere i suoi rapporti sociali, ricorre a due meccanismi di difesa essenziali, cioè l’immaginazione e la proiezione. La prima è la causa di un’atteggiamento anticipatorio rispetto alle cose, ed è questo che ci fa vivere male: l’essere umano s’illude di poter prevedere e di prevenire gli avvenimenti ma, facendo così, rischia di costruire una realtà fittizia che non ci fa vivere autenticamente: l’apparenza è sempre ingannevole, affermano i sufi, e non dovremmo mai farci condizionare da pregiudizi e da anticipazioni mentali.

Tramite il secondo meccanismo, quello della proiezione, vi è la mancata percezione delle esigenze degli altri, a cui si vanno ad attribuire le nostre aspettative e i nostri timori. Chi imputa i difetti agli altri, in realtà non fa altro che condannare i difetti da cui è afflitto, perciò bisogna astenersi da ogni critica negativa riguardo agli altri, perché stiamo in realtà solo giudicando noi stessi.

Anche la malattia ha un ruolo evolutivo, perciò essa non deve condizionare negativamente l’esistenza, ma va accettata facendo tesoro dell’insegnamento che ci viene ad impartire. Siccome non dobbiamo attendere passivamente l’evolvere delle cose, il sufismo sviluppa l’arte della terapia fisica, perché la vita deve vedere il nostro ruolo attivo e fattivo e non dovremmo mai restare inattivi di fronte le avversità. Il sufismo è un’arte di alchimia interiore, in virtù della quale l’uomo passa attraverso il negativo per scoprire tutte le sue potenzialità e caratteritiche positive.

Buona erranza
Sharatan