giovedì 14 febbraio 2019

Le tre dimensioni dell’amore



“…l’amore è una sorta di affinità
con l’essere più intimo dell’altro.”
(Osho)

Nella normale condizione mentale dell’uomo, l’amore è praticamente impossibile. È possibile solo quando si è raggiunto l’essere, non prima. Prima di quel momento si tratta sempre di qualcos’altro. Noi continuiamo a chiamarlo amore, ma qualche volta è stupido definirlo tale.

Una persona si innamora di una donna perché gli piace il modo in cui cammina, in cui dice:«Ciao», la sua voce, i suoi occhi … la gente si innamora di cose così trascurabili! L’aspetto, gli occhi… queste non sono cose essenziali. Infatti, quando vivi con una persona, non stai vivendo con una porzione del corpo, con le sopracciglia o con il colore dei capelli.

Quando vivi con una persona, quest’ultima è un fenomeno immenso e sconfinato… è praticamente indefinibile, e queste piccole cose superficiali, prima o poi perdono di significato; ma poi improvvisamente si resta sorpresi: cosa fare?

Ogni storia d’amore comincia in modo romantico. Ma dopo la luna di miele è tutto finito, perché non si può vivere sempre in una favola. Bisogna affrontare la realtà, e quest’ultima è completamente diversa. Quando vedi una persona non vedi la sua totalità, ma solo la superficie. È come se ti fossi innamorato di un’auto per il suo colore.

Non hai nemmeno guardato nel cofano, oppure qualcosa potrebbe non funzione. In ultima analisi, il colore non serve a nulla. Quando due persone si mettono insieme, le loro realtà interiori si urtano e le cose esteriori perdono di significato. A che servono le sopracciglia, i capelli e la pettinatura?

Cominci a dimenticarlo. Non ti attraggono più, perché li hai a portata di mano. E più conosci la persona più ti spaventi, perché ti rendi conto della sua follia, e lei a sua volta impara a conoscere la tua. Entrambi vi sentite ingannati e vi arrabbiate; cominciate a vendicarvi, a prendervi delle rivincite sull’altro, come se vi avesse raggirato o imbrogliato.

Nessuno sta ingannando nessuno, anche se tutti vengono ingannati. Questa è una delle cose più importanti da comprendere: quando ami una persona, l’ami perché non è disponibile: se quella persona diventa disponibile, come può sopravvivere l’amore?

Fai la corte ad una donna e la donna si tira indietro, scappa da te. Tu la brami sempre di più e la tua corte si fa più insistente. Quindi, prima l’uomo insegue la donna e la donna cerca di scappare. Una volta che l’uomo ha afferrato la donna, immediatamente la corrente si inverte…

Il problema sta nel fatto che erano attratti l’uno dall’altra perché non si conoscevano. L’ignoto, il non familiare era l’attrazione. Adesso si conoscono bene… sono annoiati e la favola è finita. Questo è il momento in cui bisogna capire se si trattava di amore oppure no. Ma non bisogna ingannare se stessi, bisogna essere chiari.

Se era amore, o se anche solo un frammento di quella relazione era amore, queste cose passeranno. In questo caso si dovrebbe capire che queste sono cose naturali; non c’è nulla per cui arrabbiarsi. E tu ami ancora l’altra persona; anche se la conosci, continui ad amarla.

In realtà, se c’è amore, l’ami di più perché sai. Se c’è amore, l’unione sopravvive; se non c’è scompare. Entrambi le situazioni vanno bene. Per una mente ordinaria ciò che io chiamo amore è impossibile. Accade solo quando hai un essere molto integro.

Non è una favola, non ha nulla a che vedere con simili stupidaggini.Va direttamente alla persona e guarda dentro l’anima. In quel caso, l’amore è una sorta di affinità con l’essere più intimo dell’altro… il che è qualcosa di totalmente diverso.

Tutte le storie d’amore potrebbero - dovrebbero - svilupparsi in questo modo, ma su cento storie d’amore, novantanove non arrivano mai a questo punto. I problemi e le difficoltà sono così grandi da distruggere ogni cosa.

È necessario restare all’erta e consapevoli. Se il tuo amore consiste solo in queste stupidaggini, scomparirà. Non vale la pena preoccuparsene. Ma se è autentico, sopravvivrà a tutte le difficoltà. Quindi osserva, semplicemente…

Il punto non è l’amore; il punto è la tua consapevolezza. Questa potrebbe essere una situazione grazie alla quale la tua consapevolezza aumenterà e diventerai più attento a te stesso. Forse questo amore scomparirà, ma quello successivo andrà meglio; sceglierai con una consapevolezza migliore.

Oppure questo amore, con una consapevolezza migliore, cambierà qualità. Quindi, qualsiasi cosa accada, si dovrebbe restare aperti. L’amore ha tre dimensioni. Una è quella animale: non è altro che lussuria, un fenomeno fisico.

L’altra è quella umana: è più elevata della lussuria, della sessualità, della sensualità. Non è un semplice uso dell’altro come mezzo.La prima è solo uno sfruttamento: l’altro viene usato come mezzo. Nella seconda l’altro non viene usato come uno strumento, ma è uguale a te.

L’altro è fine a se stesso come te, e l’amore non è uno sfruttamento, bensì una reciproca condivisione del vostro essere, della vostra gioia, della vostra musica, della vostra pura poesia della vita. È qualcosa di mutuo e reciproco.

La prima dimensione è possessiva, la seconda non possessiva. La prima crea una schiavitù, la seconda dona libertà. E la terza dimensione dell’amore è religiosa, divina: accade quando non c’è un oggetto d’amore, quando l’amore non è affatto una relazione ma diventa uno stato del tuo essere.

Sei semplicemente in amore, ma non verso qualcuno in particolare. Sei in uno stato d’amore, per cui qualunque cosa fai, la fai con amore; chiunque incontri, lo incontri con amore. La prima dimensione usa l’altro come un mezzo; nella seconda l’altro non è più uno strumento; la terza va al di là di entrambe: è la trascendenza di ogni dualità.

Non esiste né il soggetto, né l’oggetto d’amore, ma solo l’amore in sé. Questo è lo stato finale dell’amore, lo scopo che dobbiamo realizzare in vita. La maggior parte delle persone resta confinata alla prima dimensione.

Solo pochissimi accedono alla seconda, e ancora più raro è il fenomeno che io definisco della terza dimensione. Soltanto un Buddha e un Gesù.. ci sono pochissime persone che hanno conosciuto la terza dimensione dell’amore; è possibile contarle sulle dita della mano.

Ma se tieni gli occhi fissi sulla stella più lontana, può succedere. E quando succede, sei appagato. A quel punto nella tua vita non manca nulla, e in quell’appagamento c’è una gioia eterna. Nemmeno la morte può distruggerla. (Osho, Con te e senza di te, Mondadori)

giovedì 7 febbraio 2019

Tribalismo



“Poiché il principale nemico è la disumanizzazione,
la soluzione deve essere la nuova vivificazione e
la restaurazione della natura umana.
La fonte deve essere una filosofia dell’umanismo.”
(Daisaku Ikeda)

Di norma, le tribù sono profondamente legate da un totem (una bandiera, un libro un’icona), da qualcosa che simboleggi la loro unità e che faccia appello ai loro sentimenti. Un tempo il tribalismo consentiva a piccoli gruppi di unirsi come effettive unità sociali e forniva agli individui motivi forti, non altruistici, per accantonare o risolvere le proprie divergenze competitive per il bene del gruppo: è più semplice per ciascun individuo prosperare se ha aiutanti e alleati fidati.

Per essere membro di una qualche tribù, si deve essere disposti a disumanizzare i membri delle altre tribù. Ed è qui che il tribalismo smette di essere conduttore del progresso umano. Il potere positivo del tribalismo ci ha fatto scendere dagli alberi e ci ha condotti fino alla civiltà, ma a costo di rinforzare pregiudizi irrazionali e di fomentare guerre.

Quando il tribalismo sfugge di mano può causare danni colossali. È uno dei motivi fondamentali per cui noi non riusciamo ad andare d’accordo. Le tribù primitive erano poco numerose e tutti i membri si conoscevano bene. La tecnologia ha reso le tribù sempre più grandi, così da poter comprendere un’intera nazione politica o un’intera nazione religiosa.

Aumentando le dimensioni delle tribù è aumentata anche la portata del danno che può essere inflitto quando i suoi membri sono eccessivamente zelanti nel loro tribalismo. Anche se i membri di queste tribù così grandi non si conoscono più di nome - o nemmeno di viso - possono e potranno essere mobilitati grazie al potere unico del linguaggio umano per odiare altre tribù grandi, composte da un numero ancora maggiore di persone che loro non conoscono.

I bambini imparano a sentirsi desiderati, amati e accolti non soltanto dai propri genitori e dalle rispettive famiglie, bensì dalla tribù alla quale appartengono. Gli attaccamenti emozionali che i bambini sviluppano nei confronti della propria tribù sono tanto profondi e duraturi quanto quelli che formano nei confronti dei loro genitori e delle loro famiglie.

Vi è una sola differenza sostanziale: i genitori e le famiglie sono composte da persone che possono essere amate oppure odiate in maniera personale, mentre le tribù sono formate da credenze condivise - fra le quali storie e tradizioni- che possono essere amate oppure odiate, soltanto in maniera impersonale. L’odio è un attaccamento negativo a qualcuno: a una persona specifica, che ha nome e identità.

Anche il razzismo e il sessismo - chiari esempi di identificazione con il proprio gruppo fino al punto di non riuscire più a scorgere l’elemento umano nell’altro - rappresentano un attaccamento negativo, ma non a qualcuno in particolare. Sono piuttosto un attaccamento negativo ad un intero gruppo di persone che non si conoscono nemmeno.

Se ti fermi a riflettere, è piuttosto incredibile che si possa odiare qualcuno che non si conosce. Ma se la tua tribù ha un’idea radicata e accettata pedissequamente da tutti - per esempio che i membri di qualche altra tribù sono nemici - allora, che ti piaccia o no, per essere accettato, dovrai condividere anche questa idea. E la maggior parte degli esseri umani ritiene essenziale essere accettato dalla propria tribù.

Così facendo, però, crei un attaccamento negativo all’altra tribù, fino al punto che, ogniqualvolta ne senti pronunciare il nome, sei condizionato a reagire con emozioni negative. Questi pregiudizi vengono spesso rinforzati da tradizioni tribali o propaganda, o telegiornale della sera, che narrano di atti eroici, per esempio omicidi violenti, commessi da membri della propria tribù e di vili atrocità per esempio omicidi violenti commesse da membri delle altre tribù.

Se mai incontrerai qualcuno che appartiene all’altra tribù, sarai predisposto a considerarlo comu un nemico implacabile, cattivo per natura. Naturalmente hai anche la possibilità di amare coloro che non conosci di persona, riconoscendo e rispettando l’idea della loro natura umana. Ma amarli richiede molto più coraggio che odiarli.

Poiché se ti rifiuti di ricambiare il male con il male - come ha insegnato Socrate - o se ami i tuoi nemici - come ha insegnato Gesù - o se cerchi di conferire potere agli individui - come ha insegnato Nichiren - o se ti rifiuti di avere nemici - come ha insegnato Gandhi - allora, con tutta probabilità, sarà proprio la tua tribù a rivolgersi contro di te, perché se ami persone che non conosci, anziché odiare tribù immaginarie, sembri minare la forza di coesione della tua tribù.

Platone si è occupato di questo argomento nel Mito della Caverna. Metteva in guardia dai pericoli mortali che si era trovato ad affrontare un qualsiasi essere umani illuminato fuggito dalla grotta, e che era ritornato volontariamente per liberare gli altri dalla prigionia, fatta di credenze basate su informazioni errate, per condurli fuori dall’oscurità nella luce del bene, della verità e della giustizia. «E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli fuori; se mai potessero averlo tra le mani?»

Hai il coraggio di amare l’umanità a qualsiasi costo? Un numero considerevole di persone che possiede questo coraggio rappresenta l’unico modo che abbiamo per andare avanti pacificamente. Siamo molto più legati gli uni agli altri di quanto non crediamo. E quando un numero ancora maggiore di persone arriverà a considerare se stesse come esseri umani unici e non come membri di questa o quella tribù, le cose andranno nettamente meglio. (Lou Marinoff, Le pillole di Aristotele, Piemme ed.)

giovedì 31 gennaio 2019

Il linguaggio della politica



“A me sembra che tutti, con pochissime eccezioni,
facciano un cattivo uso del potere e di conseguenza,
la cosa più importante è distribuire il potere quanto più si può,
e non dare un immenso potere a una piccola cricca.”
(Bertrand Russell)

Gli studiosi di scienze sociali mettono l’accento sul fatto che, nell’ultima parte del 20° secolo la comunicazione politica si è modificata soprattutto a causa dei mezzi di comunicazione di massa e per mezzo della televisione. L’impiego della televisione ha trasformato la comunicazione politica influenzandone il tono, infatti il messaggio politico è slittato verso la personalizzazione, la drammatizzazione, la frammentazione e la normalizzazione del suo contenuto.

Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso abbiamo visto che le ideologie vengono messe al margine a favore della valorizzazione delle qualità del leader e dei suoi comportamenti. Non viene evidenziato più il valore politico del leader ma vengono enfatizzate le sue caratteristiche fisiche o sociali. Inoltre cambiano anche le tattiche usate per comunicare la politica, perché si assiste ad una sorta di campagna elettorale permanente.

La preoccupazione primaria è quella di persuadere i cittadini a votarci o di recuperare voti convincendo le persone ad andare a votare. Le logiche si spostano sul versante del conflitto tra ideologie invece che sul versante del consenso dell’elettore nei riguardi di una determinata ideologia. Sono stati gli stessi politici che hanno voluto adattare il loro stile a quello usato dai media che prediligono l’intrattenimento e la tecnica pubblicitaria.

La comunicazione della politica ha adottato una narrazione spettacolarizzata per rendere più efficace il messaggio che vuole veicolare. Le caratteristiche di questo nuovo linguaggio sono l’immediatezza, la persuasività, la banalizzazione e l’emotività. Molto studiosi hanno notato che le volontà di essere sempre più persuasivi è andata a scapito dell’argomentazione politica così che il linguaggio dello spettacolo ha preso il posto del linguaggio politico.

La televisione ha influito su questo fenomeno, perché ha sostituito la centralità delle parole con quella delle immagini. La costruzione dell’immagine è basilare nel costruire il dato politico, perché il partito deve essere sicuro di captare un determinato grado di consenso. Nella politica è diventato prioritario creare una serie di attese a cui il leader deve dare soddisfazione.

Si costruiscono le campagne politiche cercando di fare in modo che il pubblico non deve notare la mancanza di argomentazioni razionali, ma deve premiare i tratti personali del leader con cui deve identificarsi. Gli esponenti politici tramite le immagini comunicano le loro azioni, i loro valori estetici, i loro tratti caratteriali come insieme di caratteristiche che pilotano l’attenzione e l’interpretazione del pubblico nella direzione che vuole il politico.

La politica degli ultimi anni ha anche enfatizzato la personalizzazione perché i prodotti che vengono messi in vendita sono i politici stessi. L’elettorato viene studiato e suddiviso in segmenti di consenso per poter agire con maggiore efficacia, ossia per avere più voti. L’elettore è diventato un consumatore e il suo voto somiglia sempre più all’acquisto. Le regole del marketing commerciale sono entrate nella politica indicando ai politici come comportarsi e come comunicare con i cittadini basandosi sui profili dei bisogni di consumo.

Con il tempo appare con maggiore evidenza che l’ascoltatore giudica l’oratore (in politica e in altro) in base al principio di identificazione. Da qui partono gli sforzi dei politici per convincere che essi sono come i loro elettori, infatti i politici usano concetti e termini simili a quelli di una certa fascia di elettori. A ciò si unisce la semplificazione della realtà costruita sulle dicotomie degli opposti “noi e loro”, “bianco o nero” e “buono o cattivo”.

Questo schema binario viene dato per scontato e naturale, perciò avviene una polarizzazione che semplifica in modo radicale la molteplicità degli atteggiamenti possibili e la qualità dell’offerta politica. Il meccanismo illustrato attinge alla semplice opposizione tra “chi ha ragione e chi ha torto”, e - guarda caso - la ragione è sempre dalla parte dell’oratore mentre il torto è sempre dalla parte dell’avversario: questa tecnica rende facile - e scontata - la scelta che dovrà fare l’elettore.

Il linguaggio politico, affermano gli studiosi, tende a mascherare e confondere invece che a chiarire quello che si vuole comunicare. Tutto ciò impedisce il coinvolgimento dell’elettore nel giudicare le azioni del politico, e comporta la disaffezione per la politica. L’inizio degli anni ’90 e l’inchiesta di “mani pulite” e poi “tangentopoli” e la discesa in campo di Berlusconi mostrano il carattere della comunicazione politica della Seconda Repubblica.

Vediamo che, da quel tempo cambia il voto degli italiani che dal voto di appartenenza passa al voto di opinione che viene formato attraverso i mass media. Per raggiungere le grandi masse, i politici usano un linguaggio semplice e più vicino alla gente comune. Si usano dei toni colloquiali con prevalenza di frasi brevi e semplici per rinforzare il rispecchiamento e l’identificazione del potenziale elettore: il gentese.

Il gentese è netto e semplice, per cui offre un’immagine in cui è facile riconoscersi. Non è secondario il fatto che si ricorra sempre di più all’insulto e all’aggressività con cadute di stile che non sono stigmatizzate, ma imitate. Nei politici della Seconda Repubblica osserviamo l’uso degli elementi tipici della lingua parlata con il frequente ricorso agli slogans e all’immagine più che al significato del messaggio. Per rendere più oscuro il messaggio si ricorre a termini attinte da espressioni angloamericane come Jobs Act o labour day, ecc.

I linguaggi di vari settori entrano nei discorsi politici in varie metafore usate in campo calcistico, bellico, religioso o sportivo. Tale scelta linguistica e stilistica dimostra che i politici mirano a rafforzare il fattore emotivo e non cercano la persuasione che fa leva sulla ragione. Alcuni termini vanno in disuso come il termine “compagni” che è sostituito da un generico “cari amici elettori” più opportuno in tempi di crisi delle ideologie.

Negli anni ’90 vediamo la delusione e il rifiuto della politica a cui segue la sfiducia verso la politica, per cui si affermano politici che affermano di presentarsi come “il nuovo e il diverso” della politica. Da qui parte l’abbandono delle formule passate che vengono contrassegnate come “il vecchio”. Viene affermato il passaggio dall’ideologia al programma o al progetto e l’impegno fattivo e concreto contrapposto all’inerzia e all’incapacità dell’avversario.

Gli anni ’90 segnano il vero passaggio di boa per le nuove tendenze della politica in cui la personalizzazione del leader prevale sul messaggio. Molte parole della lingua comune vengono rafforzate e utilizzate in modo nuovo per rafforzare l’effetto della comunicazione. In alcuni casi, parole importanti come 2democrazia” vengono rovesciate e svuotate del loro valore semantico e politico.

Si possono notare gli effetti dei mass media, in particolare la televisione, sulla spettacolarizzazione della vita politica quando vediamo i politici partecipare ai talk-show e ad altri programmi di intrattenimento. Il palcoscenico della politica e quello dello spettacolo si confondono: l’attenzione si sposta sulle caratteristiche fisiche, sui passatempi e sui fatti privati dei politici. Non è più possibile distinguere i caratteri delle ideologie per cui enfatizzare i tratti del leader serve a dare una garanzia di affidabilità.

Alcuni leader come Bossi e Berlusconi hanno fondato il loro messaggio politico al loro linguaggio peculiare, per cui quel linguaggio è diventato il simbolo dell’ideologia che rappresentano. Dei loro movimenti, essi divennero i fondatori e le figure carismatiche per eccellenza. I politici di questo genere usano un linguaggio che usa espressioni gergali o dialettali, per la loro immediatezza e perché sono facilmente riconoscibili dal loro elettorato.

Il partito di Berlusconi fu fondato come partito-azienda e fu creato da istituti di ricerca e dagli esperti di marketing. Essi volevano comunicare che, una persona esterna al mondo politico ed estraneo alla politica, più conosciuto come imprenditore di successo poteva conquistare la fiducia delle persone, e portare l’Italia ad una rinascita economica e industriale.

Per mezzo il lavoro dei pubblicitari, Berlusconi ricorse ad una accorta pianificazione della sua strategia con il ricorso alle tecniche pubblicitarie e con un accorto sfruttamento della sua immagine. Seppe adeguarsi le sue azioni alle esigenze e ai desideri degli italiani, seppe agire sui loro sentimenti, e capì i meccanismi dell’uomo comune. Per raggiungere gli elettori usò le caratteristiche buone e cattive dell’elettore e indicò un percorso che, nella Terza Repubblica, sembra ancora efficace.

Buona erranza
Sharatan

martedì 29 gennaio 2019

Il karma del giovane monaco



“La virtù della meditazione,
anche durante un breve zazen,
elimina gli innumerevoli errori
accumulati nelle vite passate.
Perché continuare a errare
sui sentieri dell’Inferno
quando siamo così vicini
alla Terra Pura del Buddha?”
(Hakuin)

Un piccolo tempio sorgeva in una radura, nel cerchio di una foresta di pini odorosi di resina. Nel piccolo tempio di montagna viveva un venerabile monaco insieme al piccolo gruppo dei suoi discepoli. Il monaco aveva raggiunto un tale livello di Risveglio che riusciva a vedere oltre l’illusorio specchio del lago delle apparenze.

Una mattina, dopo la consueta seduta di meditazione, riconobbe sul volto di un suo giovane discepolo, il segno della morte imminente. Comprese che il giovane monaco non aveva più molto tempo da vivere e fu mosso a compassione per il suo aspro destino. Di certo la sua morte prematura era dovuta a delle azioni funeste compiute nelle esistenze precedenti.

E oggi, il karma negativo accumulato in passato esigeva di essere scontato con la morte precoce del giovane. Il venerabile bonzo ebbe compassione del ragazzo e gli concesse un mese di congedo dalla vita monastica affinché il ragazzo potesse tornare a casa e stare qualche giorno con i suoi genitori.

Il giovane monaco fu affidato ad una carovana di pellegrini che passavano dal monastero e che, per una fortunata coincidenza, andavano proprio verso la città natale del ragazzo. Dopo un mese, così come si era convenuto, il giovane monaco fece ritorno al monastero e andò a rendere i suoi omaggi al vecchio maestro.

Il vecchio monaco gli chiese come era andato il suo soggiorno in famiglia. Il ragazzo affermò che era stato molto bene insieme ai suoi parenti che lo avevano ricoperto di affetto e di doni per il tempio: era giunto a presentare gli omaggi della sua famiglia.

In effetti, il monaco lo vide pieno di vita e sprizzante di gioia da ogni poro. Ogni traccia di morte sembrava scomparsa dal suo viso, e il vecchio maestro non riuscì a capire come potesse essersi sbagliato perciò gli chiese come fosse andato il suo viaggio.

Il ragazzo rispose: «Il viaggio è stato bellissimo. Abbiamo attraversato alte montagne con un paesaggio bellissimo, abbiamo fatto una marcia estenuante per arrivare in tempo, ci siamo fermati per riposare la notte sotto le stelle risplendenti, ma la bellezza del paesaggio e la gioia di rivedere la mia famiglia mi hanno ripagato di tutti i disagi.»

A quel punto il vecchio saggio gli chiese: «Bene, mi fa piacere che tutto sia andato così bene, Ma non avrai per caso dimenticato di raccontarmi qualcosa? Hai compiuto qualche buona azione che hai fatto? Hai mantenuto un comportamento virtuoso?»

Il ragazzo sembrò riscuotersi ed esclamò: «Ma certo, lo dimenticavo! Durante la marcia e per tutto il viaggio ho sempre tenuto presenti i vostri insegnamenti e sono stato attento a non schiacciare nemmeno il più piccolo insetto. I pellegrini si sono lamentati perché non andavo abbastanza veloce!»

Sul volto del venerabile saggio fiorì un sorriso radioso, perché aveva compreso. Quando aveva scorto sul viso del ragazzo i segni della morte imminente, non si era sbagliato. Con la sua prova di continua attenzione e di compassione, il giovane monaco era riuscito a trasformare il suo karma; aveva ripagato il male riversando solo il bene lungo il suo cammino.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 25 gennaio 2019

Giudizi e pregiudizi



“Non smettete mai di protestare;
non smettete mai di dissentire, di porre domande,
di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni,
i dogmi. Non esiste la verità assoluta.
Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro.
Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.”
(Bertrand Russell)

Riflettiamo raramente su quello che pensiamo illudendoci di essere più liberi e consapevoli di quanto effettivamente siamo. In realtà siamo limitati da una serie di influenze di cui non abbiamo consapevolezza. Finché non sappiamo nulla delle forze che ci dominano non possiamo imparare a conoscerle, dominarle e usarle a nostro vantaggio.

È molto importante capire come un certo tipo di influenze possono farsi strada nella nostra mente e dominare le nostre azioni e la nostra volontà. In senso contrario, ossia se ci ostineremo a negarle esse agiranno ugualmente, e la loro azione procederà indisturbata, per cui saremo trascinati - anche nostro malgrado - a seguire un determinato modo di pensare o un determinato comportamento senza poterci opporre.

Ci illudiamo di essere liberi, perché la libertà è una delle più grandi illusioni dell’essere umano. In realtà siamo condizionati da una serie di limitazioni. Veniamo condizionati per restare limitati soprattutto a livello mentale perché viene mortificata l’elasticità del cervello. Siamo abituati a valutare gli altri solo dal punto di vista esteriore, perciò accettiamo i pregiudizi che riguardano la nazione, la razza, la religione, la condizione sociale, la scelta sessuale e de caratteristiche esteriori simili.

Se coltiviamo dei pregiudizi subiamo una restrizione della mente, perché formare un giudizio prima di conoscere non usiamo le strutture cerebrali coinvolte nella osservazione, discriminazione e decodifica del mondo. Le limitazioni agiscono su di noi in due modi: in primo luogo modificando la nostra opinione sulle cose e sui fatti e, in secondo luogo, modificando le nostre azioni.

Vedendo la questione in modo più semplice, il pregiudizio ci danneggia perché ci impone di vedere le cose non per come sono, ma per come le vedono gli altri. Siamo costretti a vedere il mondo come lo pensano gli altri, perciò non possiamo farci una nostra opinione. Non possiamo creare un pensiero imparziale su quello che viviamo. Uno dei pregiudizi più pericolosi è quello che riguarda la nazione e sui luoghi comuni che riguardano le persone che fanno parte di una determinata nazionalità.

Gli italiani ne sanno qualcosa poiché, in passato, non potevano entrare nei locali pubblici in cui era vietato l’accesso “ai cani e agli italiani” e perché erano identificati con lo stereotipo di “italiano: mafia, pizza e mandolino”. E allora cosa pensano quelli che gridano contro gli “stranieri” che giungono a chiederci aiuto? Molto spesso l’opinione pubblica di una nazione crea lo spauracchio, l’insulto o il capro espiatorio ai danni di un altro popolo.

Nei casi estremi si attribuisce allo “straniero” o al “diverso” qualche aberrante comportamento o una malvagità funzionale al fatto di rinforzare il disgusto che si vuole rivolgere contro di lui. Il pregiudizio verso un certo popolo o una certa etnia può diventare tanto intenso che è necessario molto tempo perché sia superato. E spesso - dietro molti luoghi comuni come quella dell’ebreo usuraio, del tedesco mangia patate, dell’italiano mafioso, goloso e musicante si nasconde un pregiudizio difficile da estirpare.

E se ci illudiamo che una persona più colta sia immune dal coltivare pregiudizi, si sappia che non è così, sebbene sia certo che le persone più ignoranti hanno pregiudizi più forti e più radicati, ma soprattutto molto più irragionevoli. Non è il caso di sentirsi superiori, perché tutti dobbiamo fare sempre molta attenzione a non cadere vittime dei pregiudizi. Non è facile restare immuni dai pregiudizi che sono profondamente radicati nella nostra cultura come quello che accusa gli zingari di rapire i bambini.

Il fatto è che siamo circondati da correnti di pensiero che agiscono su di noi e che reagiscono ai nostri pensieri. Alimentate da queste energie mentali si formano delle masse energetiche, le forme-pensiero, che tendono a riprodursi trasmettendo la loro vibrazione a qualsiasi corpo mentale che incontra o con cui entra in contatto. Nel piccolo possiamo osservare questa azione nelle questioni che coinvolgono la politica dove le opinioni si dividono tra varie fazioni in opposizione tra loro.

Ma, in queste questioni, le idee non restano discordi e il pensiero della maggioranza inizia a segue una certa fazione e afferma una idea che viene condivisa da molti e che riscuote il consenso dell’opinione pubblica. Il consenso crea e alimenta una forma-pensiero potente che esercita una forte pressione sulla mente delle persone. E maggiore è il numero dei soggetti che aderiscono all’idea più aumenta la forza della forma-pensiero che è stata prodotta e che entra in azione.

In questo modo per il singolo diventa molto difficile resistere all’urto di quella potente onda di pensiero e diventa inevitabile farsi trascinare dalla corrente dell’opinione prevalente. Anche se il singolo è molto resistente, la lotta è sempre presente, perché la pressione è continua. Anche se restiamo sempre all’erta è molto facile lasciarsi convincere dal pensiero condivisa dalla maggioranza.

A livello metaforico, il pregiudizio si può definire come un indurimento della nostra facoltà mentale, perché nelle stesse zone passano sempre le medesime vibrazioni che mandano in risonanza sempre le stesse ramificazioni dendritiche, che attivano sempre le stesse risposte umorali e che scatenano sempre le stesse reazioni psico-fisiche.

Un cervello ripetitivo diventa sempre più limitato e sclerotico, noioso, poco creativo e condizionabile. Il soggetto che ha un organo cerebrale simile è incapace di vedere le cose per come sono realmente, perché le sue strutture mentali sono abituate a fare sempre la stessa strada e non conoscono altre vie. Il pregiudizio attiva una percezione errata, perché limita i dati percettivi facendo vedere solo quello che credevamo di vedere. E così si finisce per vedere solo quello che si vuole vedere e si finisce per credere solo a quello che già si crede.

La politica è il classico caso in cui le opinioni non vengono maturate per convinzione personale, perché l’adesione ad un credo politico non è dovuta ad una matura riflessione dopo aver valutato il pro e il contro di una certa idea o linea politica. Le opinioni politiche scelte per seguire la maggioranza possono diventare molto pericolose come si vide nell’adesione al nazismo che ebbe il potere di coinvolgere un’intera nazione.

Da ciò si vede come un’idea aberrante possa catalizzare una forza in grado di creare una forma-pensiero temibile. Anche in questo caso sarebbe stato utile conoscere come riuscire a distinguere la differenza tra pregiudizio e convinzione personale. Le convinzioni ci creano in modo personale e autonomo, infatti sono basate sull’osservazione di fatti oggettivi valutati con ragioni logiche dopo un’approfondita riflessione.

Uno dei metodi più validi per distinguere tra pregiudizio e convinzione è quello di esaminare le ragioni e la logica su cui basiamo le nostre idee. Nell’essere umano - che è un animale sociale - prevale la tendenza ad accodarsi dietro l’opinione generale, dietro il pensiero prevalente, invece che coltivare idee che provengono da un ragionamento autonomo e originale.

Il “così fan tutti” giustifica le insicurezze personali e spinge a farsi complici di azioni che non condividiamo ma che facciamo perché seguire la corrente è più facile che remare nel verso contrario. Non è necessario essere psicologi per capire che le opinioni della maggioranza non sono sempre vere o condivisibili. Molto spesso pensiamo che è ingiusta e non condivisibile, ma non abbiamo la forza per affermare le nostre idee e difendere le nostre ragioni.

Anche i pregiudizi di classe sono insidiosi, perché tutti amano sentirsi superiori e migliori degli altri. Per questo è così facile disprezzare quelli che fanno parte di una classe inferiore. Anche in questo caso il rimedio migliore sarebbe di usare il cervello aumentando la conoscenza, e il cuore aumentando la compassione per quelli che hanno meno di noi.

Da molti esempi si evince che il pregiudizio è la causa e la conseguenza di una compressione delle facoltà pensanti, perché è sufficiente conoscere le persone per capire che siamo tutti esseri umani quindi siamo molto più uguali di quanto pensiamo. Anche a livello spirituale si sviluppano pregiudizi soprattutto quando si crede di far parte di una classe di ego molto elevati e si millanta una grande nobiltà spirituale.

Ma la nobiltà spirituale si dimostra con la comprensione per le creature che devono ancora evolvere, e con la compassione per noi stessi che crediamo di essere già realizzati. Il fatto è che anche le persone migliori corrono il rischio di cadere vittime dei pregiudizi, perché è difficile sfuggire alla forza attrattiva della “mente del gregge”.

In molti casi non è vero che l’idea è dannosa perché è sostenuta dall’opinione pubblica. Si possono fare degli esempi in cui un’idea deriva dall’esperienza delle generazioni passate per cui va difesa e sostenuta perché offre una base minima del buon senso comune. L’opinione pubblica ha ragione se condanna il lavoro dei bambini o il femminicidio, perciò ha ragione se pensa che un paese in queste cose accadono è un paese molto triste e incivile.

In un paese dove accadono queste cose si è formata una mente collettiva troppo primitiva, perciò in paesi come quello non è bello vivere perché sono è poco piacevole e troppo arretrato. Lo stesso discorso si può fare in tutti i contesti in cui la violenza, il conflitto e la demagogia atta e seminare divisioni socialei e discordia sono i fattori che determinano la ragione. La pressione che può fare l’opinione pubblica non è sempre una colpa, perché la folla può usare la sua forza per fermare le ingiustizie.

Buona erranza
Sharatan

domenica 20 gennaio 2019

Il mercato di sementi



Potete forse trovare un altro mercato come questo?
Dove, con la vostra unica rosa,
potete comprare centinaia di giardini di rose?

Dove,
con una sola semente,
ottenete un’intera foresta?

Con un debole respiro,
il vento divino?

Avete avuto paura
di essere assorbiti dal terreno,
o di essere soffiati via dall’aria.

Ora, la vostra goccia d’acqua se ne va
e si getta nell’oceano,
da dove proviene.

Non ha più la forma che aveva,
ma è pur sempre acqua.
L’essenza è la stessa.

Rinunciare non vuol dire pentirsi.
Vuol dire onorare
profondamente voi stessi.

Quando l’oceano viene a voi
come un amante, sposatelo subito,
fate presto, per l’amore di Dio!

Non rimandate!
L’esistenza non ha in serbo doni migliori.
Nessuna ricerca potrà trovarli.

Un falco perfetto, senza un motivo preciso,
vi si è posato sulla spalla,
e diventa vostro.
(Jalal-ud-Din Rumi)

Secondo una credenza molto diffusa, noi “veniamo al mondo”, di conseguenza continuiamo a far nostra l’idea che il nostro essere e la nostra provenienza siano completamente diversi … ma non siamo separati dal mondo, e invece di “venire al mondo” come un progetto di costruzione, in realtà, deriviamo dal mondo stesso.

Diamo un’occhiata a un susino ed esaminiamo come le susine compaiono al mondo. Si pianta un seme e l’albero cresce, poi fiorisce e infine dà frutti. L’intelligenza che c’è nella susina è anche in questo mondo, non solo, ma è anche nel seme, nel fiore, nella corteccia, nei rami e nelle radici. Ogni singolo elemento del susino ha in sé l’intelligenza della susina.

Così come un susino dà le susine, anche voi avete origine da questo mondo, con la medesima energia che è in ogni aspetto del vostro essere. Se guardaste la Terra da una certa distanza, osservereste che ha rocce, oceani, vegetazione e gente. Voi siete un frutto di ciò che l’universo sta facendo a livello conscio, così come l’onda nasce dall’oceano e la susina dal susino.

Siete un’intelligenza che, sebbene invisibile, è presente in ogni fase della vostra creazione ed esperienza di vita, e si trova, identica, anche in tutte le persone e in tutte le cose del mondo fisico. Alla maggior parte di noi è stato insegnato esattamente il contrario.

Quando si pensa alla creazione, in genere si tende a distinguere il regno spirituale dell’invisibile da quello fisico della materia. Si ritiene, inoltre, che noi siamo il risultato di un atto di costruzione, dunque qualcosa che non deriva dall’universo, ma viene invece introdotto in esso.

Quando riuscirete a vedere voi stessi come un frutto di questo mondo, vi risulterà chiaro che l’intelligenza innata contenuta nel seme della vostra procreazione è un’energia che fluisce attraverso ogni cosa nel vostro mondo. Voi e l’ambiente di quel processo di crescita siete distinti ma contemporaneamente legati.

Siete inseparabili come il vostro respiro e l’aria che respirate, il vostro atto di camminare e il suolo su cui camminate, il vostro pensiero e l’organismo con cui pensate. Come potete notare, tutti respirano la stessa aria, camminano sullo stesso suolo e pensano come un organismo, al pari di voi. E voi siete legati a tutti questi esseri.

Non è un caso che un individuo che vive in un paese lontano, con diverse caratteristiche fisiche esteriori, che parla un’altra lingua, possa, morendo, donare a voi il proprio fegato o i reni o la cornea, ristabilendo così il flusso dell’energia vitale in voi.

Se riteniamo che ciò che è al di fuori di noi non sia noi, e che noi non facciamo parte del processo di popolazione della Terra, coltiviamo un atteggiamento di estraneità e di ostilità. Questa mentalità ci conduce a parlare della nostra conquista dell’ambiente, il che significa che non possiamo trarre vantaggio dalla consapevolezza di essere legati a tutto ciò che esiste. Il bisogno di conquiste ci mette in contrasto con il mondo.

Gli Indiani d’America hanno un detto particolarmente profondo:«Nessun albero ha rami così sciocchi da combattere tra loro». Eppure questo è esattamente ciò che facciamo quando vediamo noi stessi come divisi da tutti gli altri che condividono con noi la stessa intelligenza divina.

Noi deriviamo da questo mondo e siamo il risultato di ciò che la divina intelligenza sta compiendo, e non possiamo mai perdere questo contatto. Potreste pensare a voi stessi come un sintomo dell’universo invece che a un estraneo di questo universo.

Ciò a cui tutti noi pensiamo come allo spirito che dimora dentro di noi, in realtà è la divina, invisibile intelligenza che è causa della nostra stessa esistenza e della nostra origine del mondo. È anche separabile dalla nostra essenza fisica, dal nostro ambiente, da chiunque e da qualsiasi altra cosa in questo universo. Nel momento in cui capite che avete origine da questo mondo come una mela nasce da un melo, vi identificate con l’essenza spirituale …

Non siete un lampo improvviso e momentaneo di consapevolezza incarnata in mezzo a tenebre eterne, siete un’essenza che continua a svilupparsi in questo mondo, un mondo in cui lo spirito e la manifestazione dello spirito appaiono diversi ai sensi, e in effetti lo sono, ma sono anche legati tra loro. Siete entrambi queste essenza contemporaneamente. (Wayne W. Dyer, Inventarsi la vita, TEA ed.)

giovedì 17 gennaio 2019

L’Io di gruppo umano



“L’Io dell’uomo si consuma nel suo proprio fuoco
mediante sé medesimo.”
(Aforisma ermetico)

L’essere umano sta facendo contemporaneamente una discesa e un’ascesa, dice Steiner, ma il percorso non viene compiuto in totale solitudine. Come per tutte le specie, anche per l’uomo il cammino evolutivo viene percorso insieme alla propria specie. Durante la vita fisica, l’uomo impara a modificarsi per sviluppare un’anima individuale.

Anticamente, gli uomini erano forniti di un’anima che viveva inserita all’interno di un’anima di gruppo che raggruppava molti individui, così come accade negli animali.L’insufflazione dell’anima da parte di Dio non avvenne in modo repentino, ma tramite un processo che si completerà in un lasso di tempo molto ampio.

Le forze spirituali furono inspirate dall’uomo con il respiro, ma gli uomini non erano maturi e non avevano la struttura adatta a ospitare l’anima cosciente. Quest'anima non sarà l’ultimo stadio di sviluppo dell'uomo, perché in futuro svilupperemo l’anima senziente che si evolverà per ospitare il Sé spirituale o Manas: questa è la nostra meta finale.

In origine gli uomini erano raggruppati in 4 tipi fondamentali, espressi dai 4 animali biblici messi ai 4 lati del Carro Divino che vengono associati ai 4 apostoli: toro, aquila, leone e uomo. Questi tipi sono i simboli  dei 4 ceppi originari da cui discende tutta l'umanità.

A loro vengono associati anche i 4 elementi: fuoco, aria, acqua e terra, e questi simboli mostrano la quadruplice natura dell’essere umano. Dai 4 ceppi principali si svilupparono le 4 razze umane: bianca, nera, rossa e gialla. Non esistono razze pure, perché l’umanità è una miscela di 4 tipi umani esistenti fin dall'origine.

Gli esseri umani seppero evolversi fino a sviluppare 4 involucri diversi per ospitare le 4 componenti dell'essere umano: corpo fisico, eterico, astrale e l’Io. Nel singolo “persiste” il ricordo delle vite precedenti che restano sotto forma di “doti” frutto di molte esistenze precedenti. Queste attitudini si manifestano in forma di talenti, attitudini, antipatie e simpatie.

La “persistenza” di caratteri derivati da esistenze precedenti produce una specifica struttura e sostanza che sintonizza gli accordi del singolo su una certa tonalità. un accordo nelle vibrazioni produce un’attrazione dell’anima verso altre anime a lei consimili, per cui l’anima viene “attratta” verso un gruppo familiare specifico.

E tanto più si va a ritroso nel tempo, tanto più si osserva che l’anima del singolo era inclusa nell’anima vastissima composta da molti singoli che condividono la medesima anima. L’anima singola non si percepiva come una volontà unica e individuale, ma percepiva come propria la volontà della grande anima in cui era incluso.

Il singolo amava solo chi faceva parte della stessa stirpe, perché prevaleva la forza del legame del sangue. Il sangue, dice Steiner, è un succo peculiare come afferma Goethe perché il sangue esprime la forza dell’Io. Invece il corpo fisico si esprime nella sua stessa forma fisica, il sistema ghiandolare si esprime nel corpo eterico, il sistema nervoso nel corpo astrale, e il sangue si esprime con l’Io.

Anticamente, il singolo era racchiuso all'interno di un gruppo che percepiva come suoi pari, e questa fu una necessità evolutiva. Il fine dell’esistenza terrena è la capacità di esprimere l'amore, ma l'apprendimento è difficile. L’amore richiede l’indipendenza dell’essere che ama e viene amato.

A quei tempi l’uomo non era autonomo, era immaturo, perché la sua coscienza doveva evolversi, perciò fu sviluppato solo l'amore verso i consanguinei e questo durò a lungo. L’amore per il proprio sangue spinse a conservare la stirpe con matrimoni tra consanguinei.

Il gruppo condivide la stessa forza che è infusa dallo stesso sangue, e il singolo sa che fa parte della stessa famiglia di anime. Anticamente c'erano solo le anime di gruppo i cui appartenenti si univano solo ai membri della loro stirpe. I singoli non sentivano il proprio Io come un Io personale, ma sentivano l'Io del gruppo a cui appartenevano.

E costoro, con il sangue dei loro padri, ereditavano anche i loro ricordi di vite passate, e tali ricordi erano tramandati e sentiti come se fossero esperienze vissute in prima persona, dice Steiner. L’anima di gruppo non era estesa nello spazio ma era estesa molto estesa nel tempo.

La vedremmo nascere in un certo punto, in una certa data e al piano eterico. Da quel punto in poi essa inizia a esistere e si manifesta come un’anima di gruppo a livello eterico, poi si trasforma, si sviluppa e finesce di esistere. L’anima di gruppo assume le caratteristiche dei 4 tipi originali e mentre si modifica per integrarne le qualità subisce una trasformazione.

Dietro alla forma fisica c’è sempre una presenza eterica, e così accade anche nell’anima di gruppo dell’uomo. L’anima di gruppo vive più a lungo del singolo essere umano, perciò il suo ciclo vitale è più lungo di quello del singolo individuo. Nascita e morte sono caratteristiche all’essere fisico, ma la trasformazione riguarda l'eterico e diventa una metamorfosi.

Anche un’anima di gruppo viene da esistenze precedenti, attraversa la gioventù, vive la maturità, affronta la vecchiaia e poi declina, ma la sua coscienza non muore: essa si trasforma. Quando la stirpe nasce è fatta da una raccolta di singoli, dice Steiner, perciò la stirpe si trasforma insieme ad essi.

La forza della stirpe cresce con il suo prestigio finché essa raggiunge l’apice e tramonta senza finire di esistere, perché sa risorgere dalle sue stesse ceneri. E quando torna a rivivere, si trasforma nell’anima di gruppo di un’altra stirpe.

L’insieme di molti forma una comunità umana che affronta uno sviluppo ascendente e uno sviluppo discendente per un tempo che fu stimato con calcoli esatti dagli antichi occultisti. Essi calcolavano l’età dell’uomo in 75 anni (espressi in anni lunari), e dicevano che la durata dell’anima di gruppo è di 14 età (in anni lunari), in cui i 4 tipi si incontrano lungo il percorso di ascesa e discesa fino alla prossima metamorfosi.

Calcolando le generazioni essi moltiplicavano il 75x7 (cioè gli anni di una generazione) e ottenevano l’età di circa 500 anni. Per questo l’antico occultista affermava che una stirpe viveva 500 anni, e poi moriva. Ma poi risorgeva dal rogo del suo fuoco interiore che distruggeva la vecchia forma per far posto alla nuova forma, e ciò avveniva senza perdere la sua coscienza.

Sappiamo che il tramite dell’Io è il sangue e il sangue è anche il mezzo di espressione del fuoco. Il corpo fisico è il mezzo di espressione della terra, il corpo eterico è il mezzo di espressione dell’acqua, il corpo astrale è il mezzo di espressione dell’aria. Quando l’uomo avrà superato la cupidigia dell’Io otterrà l’immortalità. Questa dottrina, dice Steiner, viene espressa dal simbolo della “fenice” che sa risorgere dalle sue stesse ceneri.

Buona erranza
Sharatan