Visualizzazione post con etichetta Amore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Amore. Mostra tutti i post

giovedì 14 febbraio 2019

Le tre dimensioni dell’amore



“…l’amore è una sorta di affinità
con l’essere più intimo dell’altro.”
(Osho)

Nella normale condizione mentale dell’uomo, l’amore è praticamente impossibile. È possibile solo quando si è raggiunto l’essere, non prima. Prima di quel momento si tratta sempre di qualcos’altro. Noi continuiamo a chiamarlo amore, ma qualche volta è stupido definirlo tale.

Una persona si innamora di una donna perché gli piace il modo in cui cammina, in cui dice:«Ciao», la sua voce, i suoi occhi … la gente si innamora di cose così trascurabili! L’aspetto, gli occhi… queste non sono cose essenziali. Infatti, quando vivi con una persona, non stai vivendo con una porzione del corpo, con le sopracciglia o con il colore dei capelli.

Quando vivi con una persona, quest’ultima è un fenomeno immenso e sconfinato… è praticamente indefinibile, e queste piccole cose superficiali, prima o poi perdono di significato; ma poi improvvisamente si resta sorpresi: cosa fare?

Ogni storia d’amore comincia in modo romantico. Ma dopo la luna di miele è tutto finito, perché non si può vivere sempre in una favola. Bisogna affrontare la realtà, e quest’ultima è completamente diversa. Quando vedi una persona non vedi la sua totalità, ma solo la superficie. È come se ti fossi innamorato di un’auto per il suo colore.

Non hai nemmeno guardato nel cofano, oppure qualcosa potrebbe non funzione. In ultima analisi, il colore non serve a nulla. Quando due persone si mettono insieme, le loro realtà interiori si urtano e le cose esteriori perdono di significato. A che servono le sopracciglia, i capelli e la pettinatura?

Cominci a dimenticarlo. Non ti attraggono più, perché li hai a portata di mano. E più conosci la persona più ti spaventi, perché ti rendi conto della sua follia, e lei a sua volta impara a conoscere la tua. Entrambi vi sentite ingannati e vi arrabbiate; cominciate a vendicarvi, a prendervi delle rivincite sull’altro, come se vi avesse raggirato o imbrogliato.

Nessuno sta ingannando nessuno, anche se tutti vengono ingannati. Questa è una delle cose più importanti da comprendere: quando ami una persona, l’ami perché non è disponibile: se quella persona diventa disponibile, come può sopravvivere l’amore?

Fai la corte ad una donna e la donna si tira indietro, scappa da te. Tu la brami sempre di più e la tua corte si fa più insistente. Quindi, prima l’uomo insegue la donna e la donna cerca di scappare. Una volta che l’uomo ha afferrato la donna, immediatamente la corrente si inverte…

Il problema sta nel fatto che erano attratti l’uno dall’altra perché non si conoscevano. L’ignoto, il non familiare era l’attrazione. Adesso si conoscono bene… sono annoiati e la favola è finita. Questo è il momento in cui bisogna capire se si trattava di amore oppure no. Ma non bisogna ingannare se stessi, bisogna essere chiari.

Se era amore, o se anche solo un frammento di quella relazione era amore, queste cose passeranno. In questo caso si dovrebbe capire che queste sono cose naturali; non c’è nulla per cui arrabbiarsi. E tu ami ancora l’altra persona; anche se la conosci, continui ad amarla.

In realtà, se c’è amore, l’ami di più perché sai. Se c’è amore, l’unione sopravvive; se non c’è scompare. Entrambi le situazioni vanno bene. Per una mente ordinaria ciò che io chiamo amore è impossibile. Accade solo quando hai un essere molto integro.

Non è una favola, non ha nulla a che vedere con simili stupidaggini.Va direttamente alla persona e guarda dentro l’anima. In quel caso, l’amore è una sorta di affinità con l’essere più intimo dell’altro… il che è qualcosa di totalmente diverso.

Tutte le storie d’amore potrebbero - dovrebbero - svilupparsi in questo modo, ma su cento storie d’amore, novantanove non arrivano mai a questo punto. I problemi e le difficoltà sono così grandi da distruggere ogni cosa.

È necessario restare all’erta e consapevoli. Se il tuo amore consiste solo in queste stupidaggini, scomparirà. Non vale la pena preoccuparsene. Ma se è autentico, sopravvivrà a tutte le difficoltà. Quindi osserva, semplicemente…

Il punto non è l’amore; il punto è la tua consapevolezza. Questa potrebbe essere una situazione grazie alla quale la tua consapevolezza aumenterà e diventerai più attento a te stesso. Forse questo amore scomparirà, ma quello successivo andrà meglio; sceglierai con una consapevolezza migliore.

Oppure questo amore, con una consapevolezza migliore, cambierà qualità. Quindi, qualsiasi cosa accada, si dovrebbe restare aperti. L’amore ha tre dimensioni. Una è quella animale: non è altro che lussuria, un fenomeno fisico.

L’altra è quella umana: è più elevata della lussuria, della sessualità, della sensualità. Non è un semplice uso dell’altro come mezzo.La prima è solo uno sfruttamento: l’altro viene usato come mezzo. Nella seconda l’altro non viene usato come uno strumento, ma è uguale a te.

L’altro è fine a se stesso come te, e l’amore non è uno sfruttamento, bensì una reciproca condivisione del vostro essere, della vostra gioia, della vostra musica, della vostra pura poesia della vita. È qualcosa di mutuo e reciproco.

La prima dimensione è possessiva, la seconda non possessiva. La prima crea una schiavitù, la seconda dona libertà. E la terza dimensione dell’amore è religiosa, divina: accade quando non c’è un oggetto d’amore, quando l’amore non è affatto una relazione ma diventa uno stato del tuo essere.

Sei semplicemente in amore, ma non verso qualcuno in particolare. Sei in uno stato d’amore, per cui qualunque cosa fai, la fai con amore; chiunque incontri, lo incontri con amore. La prima dimensione usa l’altro come un mezzo; nella seconda l’altro non è più uno strumento; la terza va al di là di entrambe: è la trascendenza di ogni dualità.

Non esiste né il soggetto, né l’oggetto d’amore, ma solo l’amore in sé. Questo è lo stato finale dell’amore, lo scopo che dobbiamo realizzare in vita. La maggior parte delle persone resta confinata alla prima dimensione.

Solo pochissimi accedono alla seconda, e ancora più raro è il fenomeno che io definisco della terza dimensione. Soltanto un Buddha e un Gesù.. ci sono pochissime persone che hanno conosciuto la terza dimensione dell’amore; è possibile contarle sulle dita della mano.

Ma se tieni gli occhi fissi sulla stella più lontana, può succedere. E quando succede, sei appagato. A quel punto nella tua vita non manca nulla, e in quell’appagamento c’è una gioia eterna. Nemmeno la morte può distruggerla. (Osho, Con te e senza di te, Mondadori)

venerdì 2 novembre 2018

La pratica di consapevolezza



Amare significa essere presenti per l’altro.
Come fai ad amare se non ci sei?
(Thich Nhat Hanh)

Una volta che hai visto la verità e la bellezza in te stesso, la puoi vedere nelle persone care. Amare significa offrire la nostra presenza a chi amiamo e riconoscere quanto sia importante per noi la sua presenza. Esserci, essere presenti fino in fondo, saper apprezzare la preziosità della persona cara sono pratiche di vero amore.

Per essere presente per l’altro devi essere presente per te stesso. Hai il tempo di essere presente per te stesso? Hai il tempo di bere una tazza di tè, di mangiare un’arancia, di inspirare, di espirare? Hai il tempo di muovere qualche passo senza pensare ai tuoi progetti? Se non ti capisci, se non riesci ad accettarti, ti sarà impossibile capire e accettare l’altro.

La pratica di consapevolezza ti aiuterà a entrare in contatto con te stesso in modo da poter comprendere la tua sofferenza, le tue difficoltà, le tue aspirazioni più profonde. È importante sapere che potresti avere una carenza di comunicazione interiore: il tuo corpo e la tua coscienza cercano di dirti tante cose, ma tu non hai tempo di ascoltarli.

Forse il tuo corpo ti sta implorando di rallentare il ritmo o di prenderti una giornata di riposo, ma tu continui a spronarlo e a lavorare di più. Potresti non essere presente per il tuo corpo: te ne curi troppo poco o non sei capace di ascoltarlo. Nella tua coscienza potrebbero esserci blocchi di dolore ma tu non le presti attenzione.

Il primo passo verso la comunicazione amorevole è tornare a casa, tornare a se stessi. La pratica del respiro consapevole ti immette sulla via maestra del ritorno a te stesso, per entrare in contatto con la gioia, la bellezza, le meraviglie della vita che hai in te e intorno a te.

La pratica di essere consapevole del respiro, dei tuoi passi, della colazione che stai preparando ti aiuta a tornare a casa, a te stesso, nel qui e ora, a essere consapevole di ciò che accade nel tuo corpo, nelle tue sensazioni e percezioni, per riconoscere la tua sofferenza e trasformarla. Se emerge rabbia, prendi consapevolezza della rabbia. Se emerge paura, prendi consapevolezza della paura.

Sei sempre presente a te stesso. «Buongiorno, mia piccola rabbia, so che ci sei. Mi prenderò cura di te.» «Buona sera paura, vedo che ti sei appena manifestata. So che sei sempre qui, sei una vecchia amica. Mi prenderò un po’ di tempo per prendermi cura di te.» Poi pratichi la consapevolezza del passo e del respiro mentre riconosci la presenza della tua paura o della tu rabbia, e le alleggerisci.

La comprensione e l’amore per se stessi forniscono il fondamento su cui costruire la comprensione e l’amore per un’altra persona. Ecco il primo passo: tornare a se stessi, prendersi cura di se stessi, comprendere se stessi, accettare se stessi e trattarsi con comprensione.

Il dono più prezioso che puoi fare alla persona che ami non è il denaro, né il potere, né la fama, è la tua presenza autentica. Amare significa essere presenti per l’altro.Come fai ad amare se non ci sei? Conta moltissimo anche la qualità della tua presenza: bisogna che tu sia presente con freschezza, amorevolezza, comprensione.

Con la pratica della consapevolezza del respiro e della camminata riporti mente al corpo, ti stabilisci nel qui e ora, sei pienamente presente. Allora puoi andare dalla persona che ami e farle la prima dichiarazione d’amore: «Caro (cara) sai, sono davvero qui con te.»

Non è soltanto un’affermazione, è una pratica; se non sei lì e fingi solo di essere presente, l’altro se ne accorge. Può darsi che tu sia tutto preso dai tuoi progetti, dalle tue preoccupazioni, dai tuoi timori e finga di essere lì, ma non ci sei per davvero. Solo con la pratica puoi generare una presenza autentica.

Non occorre altro, basta che tu le offra la tua presenza. E grazie alla comprensione e alla compassione generata dalla pratica, la tua presenza le potrà risultare fresca, nutriente, risanatrice... la persona che ami ha bisogno della tua vera presenza, non di un surrogato:«Caro (cara) sono qui con te.»

Dicendolo riconosciamo la presenza preziosa della persona amata; se non ne riconosciamo la presenza è come se non esistesse. E se non ha la nostra attenzione e consapevolezza, l’altro non si sente amato. Se continuerai a vivere in questo modo, ben presto la tua felicità continuerà ad estinguersi perché si sente non amata, non ha la tua attenzione, la tua consapevolezza.

È importante, di quanto in quanto, tornare a se stessi e guardare la persona che ami e dirle:«Caro (cara) so che sei qui e questo mi rende felice!» Questa è la seconda dichiarazione d’amore. È semplicissima: la persona che ami, abbracciata dall’energia della tua consapevolezza, ne sarà felicissima e sboccerà come un fiore. (Thich Nhat Hanh, La scintilla del risveglio, Mondadori ed.)

giovedì 4 ottobre 2018

Nel sonno profondo



Futuro, passato, il mare
dell’oblio,
mentre il presente è capovolto.
Il sole divide in due
il mare -
la metà è già imbottigliata.”

(Shinkichi Takahashi)

Visitatore: Secondo me, non c'è nulla di sbagliato nel mio corpo e nel mio essere. Non li ho fatti io e non occorre migliorarli. Piuttosto, qualcosa non funziona nel "corpo interno", mente, coscienza, antahkarana o comunque si chiami.

Maharaj: Che cosa non va nella mente?

Visitatore: È inquieta, assetata del piacevole e impaurita dallo spiacevole.

Maharaj: E che c'è di sbagliato nel cercare l'uno e schivare l'altro? Tra le rive del piacere e del dolore scorre il fiume della vita. Solo quando la mente rifiuta di fluire e s'insabbia alle rive, incominciano i guai. Fluire con la vita significa accettare, lasciar venire ciò che viene e andare ciò che va. Non desiderare, non temere, osserva il fatto come e quando accade, perché tu non sei ciò che accade, ma colui al quale accade, l'osservatore, e nemmeno solo quello. Sei l'ultima potenzialità in cui si esprime e manifesta la coscienza universale.

Visitatore: Eppure tra il corpo e il sé si frappone una nuvola di pensieri e sentimenti che non servono né il corpo né il sé: sono inconsistenti, fuggevoli e insensati, una polvere mentale che soffoca e acceca, ottenebra e nuoce.

Maharaj: Certo, né il ricordo di un evento né la sua anticipazione possono essere confusi con l'evento stesso. Nella sua immediatezza c'è qualcosa di unico, che l'evento precedente e il successivo non possono avere: una vivezza, una tremenda attualità che lo staglia come se fosse illuminato. C'è un marchio di realtà sul presente, che il passato e il futuro non hanno.

Visitatore: Che cosa dà al presente questo marchio di realtà?

Maharaj: Non c'è niente che giustifichi una diversità così vistosa. Per un attimo, il passato fu attuale e il futuro lo sarà. Che cosa fa così diverso l'attuale? Ovviamente, la mia presenza. Sono reale perché sono sempre "ora", e ciò che è con me nel presente partecipa della mia realtà. Il passato è nella memoria, il futuro nell'immaginazione. Non c'è niente nell'evento presente, in sé, che lo faccia spiccare come reale. Appartiene a una vicenda periodica, come il battito d'un orologio; e anche se sappiamo che i battiti successivi saranno tali e quali, quello presente resta inconfondibile. Una cosa messa a fuoco "ora", è con me perché io sono "ora"; io contagio il presente con la mia realtà.

Visitatore: Trattiamo i ricordi come se fossero presenze vive.

Maharaj: Ce ne ricordiamo solo quando si affacciano nel presente; la dimenticanza consiste nel lasciarli dove sono.

Visitatore: È vero, c'è nel presente un non so che di ignoto che dà una realtà momentanea al suo veloce trascorrere.

Maharaj: Ignoto non direi, visto che lo vedi costantemente in azione, e da quando sei nato, è sempre uguale. Cose e pensieri sono venuti cambiando via via, ma la percezione che ciò che è ora è reale, è rimasta immutata persino nel sogno.

Visitatore: Nel sonno profondo, non c'è esperienza del presente.

Maharaj: Il vuoto del sonno profondo dipende dall'assenza di ricordi specifici, ma una memoria diffusa di benessere non è scomparsa. È una sensazione ben diversa quella che mi fa riconoscere "Dormivo profondamente", piuttosto che "Ero assente". Nel sonno il corpo funziona al di sotto del livello di coscienza cerebrale.

Visitatore: Ritorno alla domanda che avevo posto all'inizio: tra la fonte della vita e la sua espressione - che è il corpo - sta la mente, coi suoi stati variabili. Il loro flusso è ininterrotto, insensato e doloroso. Il dolore è il fattore costante. Ciò che chiamiamo piacere non è che l'intervallo tra due stati di dolore. Desiderio e paura sono la trama e l'ordito dell'esistenza, e tutt'e due sono composti di dolore. Domando: può esserci una mente felice?

Maharaj: Il desiderio è il ricordo del piacere, la paura il ricordo del dolore. La mente è inquieta per causa loro. I momenti di piacere sono puri arresti nel flusso del dolore. Come può esistere, in simili condizioni, una mente felice?

Visitatore: Sono d'accordo nei casi scontati, quando desideriamo il piacere o ci attendiamo un dolore, ma esistono degli attimi di gioia imprevista, non contaminata dal desiderio, non cercata, non meritata, un vero dono di Dio.

Maharaj: Tuttavia la gioia resta gioia sullo sfondo del dolore.

Visitatore: Il dolore è un fatto cosmico o solo mentale?

Maharaj: L'universo è completo, e dove c'è completezza, dove niente manchi, che cosa può arrecare il dolore?

Visitatore: L'universo può essere completo nell'insieme, ma incompleto nei dettagli.

Maharaj: Anche una parte, se è vista in rapporto all'intero, è a sua volta completa. Solo se la consideri a sé stante, diventa manchevole e fomenta il dolore. Che cosa provoca l'isolamento?

Visitatore: I limiti della mente. Vedere l'intero attraverso la parte, le è impossibile.

Maharaj: Sì, la mente è fatta per dividere e contrapporre. Ma perché non può esistere una mente diversa, capace di unificare e armonizzare, di cogliere l'intero nella parte, e la parte, strettamente legata all'intero?

Visitatore: Una mente diversa, dove cercarla?

Maharaj: Se trascendi la mente che divide e contrappone, e metti fine al processo mentale che conosciamo, la sua cessazione equivale alla nascita della nuova mente.

Visitatore: In questa nuova mente, c'è posto ancora per la gioia e il dolore?

Maharaj: Non per quelli che ci sono noti, rispettivamente, come desiderabile e detestabile. Diventa piuttosto un empito di amore, che cerca di esprimersi e incontra degli ostacoli. La mente che tutto comprende, è amore in azione, frustrato all'inizio, ma alla fine vittorioso.

Visitatore: Il ponte tra lo spirito e il corpo è l'amore?

Maharaj: E che altro? La mente crea l'abisso, il cuore lo valica.

(Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono Quello, Astrolabio Ubaldini ed.)

martedì 11 aprile 2017

Può finire il dolore?



“È la dose che fa il veleno.”
(Paracelso)

“Se posso, vorrei parlare della fine del dolore, perché dolore, paura e ciò che chiamiamo amore vanno sempre assieme. Se non comprendiamo la paura non potremo comprendere il dolore, e non potremo conoscere quell’amore in cui non c’è contrasto, non ci sono attriti. Mettere completamente fine al dolore è estremamente difficile, perché in una forma o nell’altra il dolore è sempre con noi. Per questo vorrei esaminare a fondo il problema, ma le mie parole serviranno a ben poco se ognuno di noi non esamina il problema dentro se stesso, senza essere d’accordo o in disaccordo con me, ma osservando semplicemente la realtà dei fatti.

Se ci riusciamo, nella realtà e non solo in teoria, forse riusciremo a comprendere l’enormità del dolore, e quindi a mettere fine al dolore. Attraverso i secoli, amore e dolore sono sempre andati mano nella mano, prevalendo ora l’uno ora l’altro. Presto, quello stato che chiamiamo amore svanisce, e ricadiamo nelle nostre gelosie, nelle nostre vanità, nelle nostre paure, nelle nostre tristezze. Amore e dolore si sono sempre dati battaglia; e, prima di approfondire come mettere fine al dolore, penso che dobbiamo capire che cosa sia la passione.

Pochi conoscono realmente la passione. Forse abbiamo conosciuto l’entusiasmo, che significa essere preda di un’emozione riguardo a qualcosa. La passione che conosciamo è sempre per qualcosa: per la musica, per la pittura, per la letteratura, per il nostro paese, per una donna o per un uomo. È sempre l’effetto di una causa. Quando vi innamorate, siete in un forte stato emotivo che è l’effetto di una determinata causa, ma ciò di cui voglio parlare è la passione senza una causa.

Si tratta di essere appassionati a tutto, non a una cosa soltanto, mentre in genere la nostra passione va a una persona o a una cosa specifica. La ritengo una distinzione da considerare attentamente. Nella passione priva di una causa c’è un’intensità che è libera dall’attaccamento ma se la passione ha una causa c’è attaccamento, e l’attaccamento è l’inizio del dolore. Tutti noi siamo attaccati: a una persona, al nostro paese, a una credenza o un’idea, e quando l’oggetto del nostro attaccamento ci è tolto o perde la sua presa, ci ritroviamo vuoti, manchevoli.

Allora cerchiamo di riempire questo vuoto attaccandoci a qualcos’altro, che diventa il nuovo oggetto della nostra passione. Osservate il vostro cuore e la vostra mente. Io sono soltanto uno specchio in cui state guardando voi stessi. Se non volete guardare, benissimo; ma se volete guardare, guardatevi con attenzione, con intensità inesorabile - non nella speranza di cancellare le vostre tristezze, le ansie o i sensi di colpa, ma allo scopo di vedere come questo tipo di passione conduca forzatamente al dolore.

Quando ha una causa, la passione diventa lussuria. Se c’è passione per una cosa specifica (una persona, un’idea, un appagamento qualunque), quella passione genera contrasti, conflitti, lotte. Lottate per raggiungere e conservare una determinata situazione, o per ricreare una situazione ormai finita. Invece, la passione di cui sto parlando non genera mai contrasto, conflitto. È assolutamente slegata da una causa, e quindi non è un effetto. Ascoltate tranquillamente, non cercate di raggiungere subito questa intensità, questa passione libera da cause.

Se ascoltiamo con attenzione, con il gusto di un’attenzione non forzata dalla disciplina, ma che deriva dal desiderio di conoscere, potremo scoprire da soli che cosa sia questa passione. Abbiamo in noi ben poca passione. Possiamo essere lussuriosi, bramare intensamente qualcosa, possiamo desiderare ardentemente di fuggire da qualcos’altro, e tutto ciò genera una certa intensità. Ma se non ci risvegliamo e se non troviamo la strada verso il fuoco della passione priva di causa, non potremo mai capire che cosa sia ciò che chiamiamo dolore.

Per capire bisogna essere appassionati, bisogna avere l’intensità dell’attenzione totale. Se la passione ha un oggetto specifico (generando così contrasto e conflitto), la pura fiamma della passione non può bruciare, ma questa pura fiamma della passione deve bruciare per poter mettere fine al dolore, per scioglierlo completamente. Sappiamo che il dolore è un prodotto, l’effetto di una causa.

Amo qualcuno che non mi ama: ed ecco un motivo di dolore. Voglio realizzarmi in una certa direzione, ma non ne ho le capacità; oppure ne ho le capacità, ma una malattia o qualche altro ostacolo mi impedisce di riuscirci: ecco un’altra causa di dolore. c’è il dolore di una mente piccina, una mente in continuo conflitto con se stessa, che senza tregua lotta, risistema, brancola, si conforma. c’è il dolore del conflitto nei rapporti, e il dolore della perdita di una persona morta. Conosciamo tutti queste forme di dolore, e tutte sono il prodotto di una causa.

Di fatto non vogliamo affrontare la realtà del dolore: cerchiamo di spiegarlo, di razionalizzarlo, ci afferriamo a un dogma, a una credenza che ci rassicura, che ci offre un momentaneo conforto. Qualcuno si dà alle droghe, altri all’alcool, altri alla preghiera - qualunque cosa pur di alleviare l’intensità, lo strazio del dolore. Il dolore, e l’inesauribile sforzo per sfuggirlo, è il destino di ognuno di noi.

Non abbiamo mai pensato di mettere definitivamente fine al dolore, in modo che la mente non sia mai più preda dell’autocommiserazione, delle tenebre della disperazione. Poiché non riusciamo a mettere fine al dolore, se siamo cristiani andiamo ad adorarlo nelle chiese sotto forma dell’agonia di Cristo. Ma che andiamo in chiesa ad adorare il simbolo del dolore, che cerchiamo di cancellarlo razionalizzandolo o di dimenticarlo bevendoci sopra, è sempre la stessa cosa: stiamo scappando dal fatto che soffriamo.

Non sto parlando del dolore fisico, che la medicina moderna è in gran parte in grado di sconfiggere. Sto parlando del dolore psicologico che impedisce la chiarezza e la bellezza, che distrugge l’amore e la compassione. È possibile mettere completamente fine a questo dolore? Ritengo che la possibilità di mettere fine al dolore sia collegata all’intensità della passione. Ci può essere passione solo dove c’è totale rinuncia a se stessi.

Non possiamo essere appassionati se non c’è la totale assenza di ciò che chiamiamo pensiero. Ciò che chiamiamo pensiero è la risposta della memoria, e dove scatta questa reazione condizionata non ci può essere passione né intensità. c’è intensità solo dove c’è totale assenza di io. Conoscete quel senso di bellezza che non riguarda solo l’aspetto bello o brutto. Non che una montagna non sia bella, o che non ci siano edifici brutti, ma esiste una bellezza che non è l’opposto della bruttezza, esiste un amore che non è Il contrario dell’odio.

La rinuncia a se stessi di cui parlo è uno stato di bellezza privo di causa, e perciò è passione. È possibile andare al di là di ciò che è il risultato di una causa? Cercate di dare tutta la vostra attenzione, di cogliere il senso senza fermarvi alle parole. In genere, la maggior parte di noi non fa altro che reagire continuamente: la reazione è diventata il modello della nostra vita. Rispondiamo al dolore con una reazione. Rispondiamo cercando una spiegazione al dolore, oppure cercando una via di fuga, ma il nostro dolore non finisce.

Il dolore può terminare solo se ne affrontiamo la realtà, quando ne comprendiamo la causa e l’effetto, e li superiamo. Il tentativo di liberarci dal dolore attraverso una pratica specifica, o un’idea costruita appositamente, o consegnandoci alle tante vie di fuga, non risveglia nella mente la straordinaria bellezza, la vitalità, l’intensità di questa passione che include il dolore e lo trascende.

Che cos’è il dolore? Di fronte a questa domanda, come rispondete? La vostra mente va all’immediata ricerca della causa del dolore, e questo desiderio di spiegazione risveglia il ricordo dei dolori provati in passato. Ritornate sempre al passato o correte verso il futuro nel tentativo di spiegare la causa di quell’effetto che chiamiamo dolore. Ma ritengo che occorra andare al di là di tutto ciò.

Conosciamo molto bene le cause del dolore: povertà, malattia, frustrazione, non essere amati, e così via. Ma, anche spiegandone le cause, il dolore non cessa. Non abbiamo toccato le straordinarie profondità e lo straordinario significato del dolore più di quanto non abbiamo toccato quello stato che chiamiamo amore. Dolore e amore sono collegati, e per capire l’amore occorre sentire l’immensità del dolore.

Gli antichi hanno parlato della fine del dolore e hanno tracciato un modello di vita che dovrebbe condurvi. Molti l’hanno seguito. Monaci orientali e occidentali hanno provato a metterlo in pratica, con l’unico risultato di indurirsi. La loro mente e il loro cuore si sono chiusi. Vivono dietro le mura del loro pensiero, oppure dietro mura reali di pietre e mattoni, e non mi pare che le abbiano valicate per sentire l’immensità di questa cosa che chiamiamo dolore.

Per mettere fine al dolore bisogna affrontare la realtà della propria solitudine, dei propri attaccamenti, del nostro meschino desiderio di fama, della nostra fame di amore; occorre liberarci dalle preoccupazioni egoistiche e dalla puerilità dell’autocommiserazione. Quando si sia superato tutto ciò, mettendo forse fine al nostro dolore personale, resta ancora l’immenso dolore collettivo, il dolore del mondo.

Possiamo mettere fine al nostro dolore affrontando dentro di noi la realtà del dolore e la sua causa; e una mente che vuole essere libera deve assolutamente farlo. Resta ancora il dolore dell’enorme ignoranza presente nel mondo, non la mancanza di nozioni o di conoscenze libresche, ma l’ignoranza dell’uomo su se stesso. La non conoscenza di sé è l’essenza dell’ignoranza, la quale causa l’immensità del dolore del mondo. Ma che cos’è realmente il dolore?

Capite certamente che non ci sono parole per spiegare il dolore, come non ci sono parole per descrivere l’amore. L’amore non è attaccamento, l’amore non è il contrario dell’odio, l’amore non è gelosia. E anche quando si sia messo fine alla gelosia, all’invidia, all’attaccamento, ai conflitti e alle angosce che sperimentiamo pensando di amare, quando tutto ciò è giunto a fine, rimane la domanda: «Che cos’é l’amore?» rimane la domanda: «Che cos’è il dolore?»

Scoprirete che cos’è l’amore, e che cos’è il dolore, solo quando la vostra mente si sarà sbarazzata di tutte le spiegazioni e avrà smesso di immaginare, di cercare una causa, di compiacersi delle parole e di rivangare nella memoria i dolori e i piaceri del passato. La mente deve essere totalmente silenziosa, senza parole, immagini o idee.

Allora scoprirete, allora avverrà quello stato in cui ciò che chiamiamo amore, ciò che chiamiamo dolore e ciò che chiamiamo morte sono un’unica cosa. Allora non ci sarà più divisione tra l’amore, il dolore e la morte; e dove non c’è divisione c’è bellezza. Ma, per capirlo e dimorare in questo stato di estasi, deve esserci quella passione che viene solo con il totale abbandono di sé.” (Jiddu Krishnamurti)

martedì 28 marzo 2017

Chi è il mio prossimo?



“Amerai il prossimo tuo come te stesso.”
(Vangelo di Marco 12,31)

“Resta fondamentale la domanda posta dal dottore della Legge a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» che potremmo tradurre: «Dove trovo il mio prossimo?» Io vorrei segnalare due luoghi “insoliti” dove pochi sospettano si possa trovare il prossimo. Il primo è dentro te stesso. Il prossimo, prima di tutto, sei tu. Forse qualcuno rimarrà sorpreso e perfino scandalizzato da questa affermazione. E obietterà che l’amore, al contrario, è dimenticanza di sé, capacità di cancellarsi e di essere “per” l’altro.

Farò presente che soltanto rinnegando l’egoismo è possibile amare veramente. Tuttavia, non dobbiamo confondere un giusto, perfino doveroso amore di sé, con l’egoismo. Sono due cose totalmente diverse. Una certa - cattiva - formazione ha insegnato a disprezzare, o addirittura odiare se stessi. Si tratta di un atteggiamento antitetico rispetto al Vangelo dove Gesù, citando l’Antico Testamento, insegna: «Amerai il prossimo tuo come te stesso.”

Qui si suggerisce, dunque, la possibilità e perfino il dovere di amare se stessi. La carità nei propri confronti è perfettamente legittima secondo il Vangelo. Io resto convinto che troppe persone si rivelano incapaci di amare e accettare gli altri perché non riescono a stabilire un buon rapporto con se stessi. Non sapendo stare come si deve nella loro casa interiore, si rivelano impreparati a vivere “fuori.”

Ci sono individui che non si sopportano, nutrono dei risentimenti verso se stessi. Non si perdonano quella spanna in meno, le due dita di cellulite in più, il non aver saputo approfittare di una circostanza favorevole nella vita. Poveracci che si mettono continuamente sotto accusa per un’infinità di motivi: carattere, difetti, insuccessi, errori, talenti limitati, malanni fisici, un albero genealogico con qualche ramo scricchiolante…

Perciò, devi amare te stesso. Devi perdonarti. Avere pazienza, fiducia nei tuoi confronti. La fede, la speranza e la carità è bene esercitarle anche verso di te. Hai il preciso dovere di “farti prossimo” verso quel poveraccio che sei tu. Ti viene richiesto di rispettare e amare te stesso come “qualsiasi altro povero membro del corpo mistico di Cristo” secondo l’espressione di Georges Bernanos.

È assurdo che tu tenga le distanze da te stesso. Devi avvicinarti, guardarti in faccia, dirti che vuoi “vivere in armonia”, andare d’accordo con te stesso, non mancarti di rispetto. Più che scaraventarti addosso il disgusto (che rappresenta l’eccesso opposto dell’autocompiacimento), è utile che porti serenamente il tuo peso, accetti i tuoi limiti. E, al più piccolo incidente, al primo - o ennesimo - infortunio, non pensare subito che la convivenza è impossibile.

Cerca di essere fedele a te stesso, nonostante i tradimenti e gli sgarbi che ricevi dalla parte peggiore di te. Convinciti. Non potrai essere fedele né a Dio né ad un’altra persona, se non imparerai a essere fedele a te stesso. Impegnati pure in molteplici attività. Ma vedi anche di accorgerti di quel poveraccio di te stesso. Presta un po’ di attenzione a quel “dimenticato” che sei tu…“ (Alessandro Pronzato, Piccoli passi verso l’uomo, Gribaudi ed.)

mercoledì 1 febbraio 2017

Ponti, non barriere



“Tutto comincia da voi e il grande ponte
che conduce a tutti gli altri è il vostro ponte.”
(Leo Buscaglia)

“Mi piace moltissimo chiedere definizioni ai bambini. Danno risposte bellissime. Se volete provare una grande gioia, chiedete ad un bambino: «Che cosa significa questo e quello?» La mia nipotina di cinque anni sta incominciando adesso a decifrare il mondo come fosse scritto in rilievo, con il metodo Braille. Tocca tutto, assaggia tutto… è bellissimo stare a guardarla. Le ho chiesto: «Che cos’è un ponte?»

Lei ci ha pensato a lungo e poi ha detto: «Un ponte è quando il terreno ti cade di sotto e tu costruisci qualcosa per tappare il buco.» Non sarebbe meraviglioso se potessimo entrare nello spirito di gettare ponti verso il domani, se potessimo dedicarci a «tappare i buchi», a colmare i vuoti, a costruire i ponti, a superare gli ostacoli? Vivremmo due o tre giorni magnifici!

Ma ciò significa che dovete veramente entrare in voi stessi… ognuno di voi. Il gruppo può riuscirci, ma tutto incomincia con l’individuo. Prima che possiamo riuscirci come gruppo, dobbiamo cominciare con qualcosa, e sono convinto che il primo ponte che dovete costruire è il ponte che porta verso voi stessi. Mi fa soffrire vedere come abbiamo poco rispetto per noi stessi e poca fede in noi stessi…

Non ci sono molte scuole che insegnino il rispetto per se stessi. Non ci sono molti modelli che possono alzarsi e dichiarare: «Mi piaccio veramente. Mi piace non soltanto ciò che sono, mi piacciono anche la mia magia e il mio potenziale.» Perché, vedete, voi non siete soltanto in atto; siete assai più in potenza. In voi c’è molto di più.

Noi dobbiamo dire ai bambini: «C’è qualcosa di più di chi legge. C’è qualcosa di più di chi percepisce. Tu sei illimitato.» È necessario che quanti insegnano questo siano i primi a crederlo. Altrimenti è fasullo, e non serve a niente.

Sarà una scoperta meravigliosa, il giorno che vi renderete conto di essere unici al mondo. Non vi è nulla che sia accidentale. Ognuno di voi è una combinazione speciale con uno scopo… e non permettete che vi dicano che non è vero, e che quello scopo è un’illusione. Se è necessario vivete l’illusione!

Voi siete quella certa combinazione perché possiate fare ciò che è essenziale che facciate. Non dovete mai credere di non avere un contributo da dare. Il mondo è un’incredibile arazzo incompiuto, e soltanto voi potete riempire quel piccolo spazio che vi spetta. «Oh. Dio, essere arrivato in punto di morte - dice Thoreau - per scoprire di non avere mai vissuto.»

Non avete mai fatto nulla. Non avete mai sentito intensamente. Non avete mai riso. Non avete mai pianto. Non avete mai conosciuto la disperazione. Voi negate tutte queste cose, le respingete e vivete in una Terra-che-non-esiste, che è un’illusione. Ma voi siete il voi migliore. Siete l’unico voi. Avete qualcosa da donare. Donatelo!

Celebrate la vostra umanità. Celebrate la vostra pazzia. Celebrate le vostre insufficienze. Celebrate la vostra solitudine. Ma celebrate voi stessi. Io non voglio essere altro che ciò che sono, cioè umano. Mi piace veramente essere umano. Significa essere smemorati; significa sbattere contro i muri; significa entrare nelle stanze sbagliate; significa uscire dall’ascensore al piano sbagliato.

Le porte si aprono, e scopro di essere al sesto piano anziché al terzo, e dico: «Oh!» E poi penso: «Caro vecchio mio, ci sei ricascato!» È magnifico essere umani… Tutto comincia da voi e il grande ponte che conduce a tutti gli altri è il vostro ponte. Questo è l’importante. Se io progredisco e progredisco, posso darvi di più di me stesso.

Imparo per potervi insegnare di più. Cerco la saggezza per poter incoraggiare la vostra verità. Divento più consapevole e sensibile per poter accettare meglio la vostra sensibilità e la vostra consapevolezza. E mi sforzo di comprendere la mia umanità per poter comprendere meglio voi, quando mi rivelate che anche voi siete soltanto umani.

Vivo in una continua meraviglia per la vita, per poter permettere anche a voi di celebrare la vostra vita. ciò che faccio per me, lo faccio per voi. E ciò che fate per voi, lo fate per me, quindi non c’è mai egoismo. Tutto ciò che avete imparato, l’avete imparato per tutti coloro che fanno parte del vostro ambiente.

Uscite da «voi»… entrate nel «noi». È il modo più bello di vedere voi stessi e di aiutare gli altri a vedere se stessi. È da questo che viene la forza. Quindi, per prima cosa, gettate un ponte verso voi stessi, ma non fermatevi lì. Dovete gettare ponti anche verso gli altri…

Il momento per venire fuori è ora. Il momento per incominciare a costruire ponti che conducono verso gli altri è ora. Questo è il secondo ponte. La nostra salvezza sarà lavorare insieme per fini comuni, e non dividerci in meschini provincialismi e insistere a dire: «Ho ragione io.» Una delle mie scoperte significative di questi ultimi anni è che non devo avere sempre ragione. Non è magnifico?

Questo vi lascia liberi di avere ragione qualche volta anche voi. Possiamo avere ragione tutti e due. Ci sono due ragioni! E poi ho scoperto che possono esserci duecento ragioni, e che in realtà non c’è una ragione e un torto, ma una sterminata zona grigia con ogni sorta di gradazioni. Le dicotomie sono fenomeni di distanziazione. Scopriamo prima che cosa abbiamo in comune, ed è da ciò che abbiamo in comune che possiamo incominciare. Se possiamo metterci in contatto con questa realtà, allora siamo sulla buona strada…

Non può cadere una foglia senza influire su ciascuno di noi. Non ci sono posti dove nasconderci. Tutti noi influiamo l’uno sull’altro. È un’unica, immane vibrazione che si irradia in ogni direzione. È meglio che incominciamo a costruire i nostri ponti, altrimenti i crepacci diventeranno così profondi che non riusciremo mai a scavalcarli.

Nella Thailandia centrale, presso il confine con la Malaysia, c’è un posto remoto che si chiama Chayah. Al centro di un grande specchio d’acqua c’è un’isoletta, e sull’isoletta sorge un monastero buddhista. Non hanno l’acqua, e devono andare a prenderla con una barca sulla terraferma, e la versano in un grande barile.

Il mio insegnante buddhista mi raccontò un apologo bellissimo. Mi disse: «Tu lavori con impegno tutto il giorno e torni indietro con un grande desiderio di bere un po’ di quest’acqua preziosa, che sai di non poter sprecare. Scopri il barile, immergi il mestolo, e nel barile vedi una formica. Ti infuri. Dici: “Come ti permetti di stare nel mio barile, sotto il mio albero, nella mia ombra, sulla mia isola… e nella mia acqua?”

E schiacci la formica. Questa è mancanza di distacco. Oppure rifletti prima di schiacciarla e dici: “È una giornata caldissima, e questo è il posto più fresco dell’isola. Tu non danneggi la mia acqua.” Attingi l’acqua evitando la formica, e bevi. Questo è distacco.» Poi mi disse: «C’è anche qualcosa che si chiama “distacco assoluto.”

Sai che cos’è? Quando scopri il barile e vedi la formica, non pensi al bene o al male, alla ragione o al torto. Dai subito alla formica un pezzetto di zucchero.» Amore! Dobbiamo incominciare a riconoscere che tu sei la sola persona che può darmi lo zucchero di cui ho bisogno, e io sono la sola persona che può fare altrettanto per te. Ognuno di noi è molto meno senza l’altro.” (Leo Buscaglia)

giovedì 8 dicembre 2016

Meditazioni sull’amore e sulla compassione



“L’amore è l’unica cosa che raddoppia
ogni volta che la condividiamo.”
(Albert Schweitzer)

Come coltivare l’altruismo? Il praticante buddista medita su quattro atteggiamenti mentali che devono essere accresciuti senza limiti: l’amore, la compassione, la gioia per la felicità degli altri e l’imparzialità. Meditare significa familiarizzarsi con un nuovo modo di vedere le cose. La maggior parte di noi non è affatto sintonizzata sulle onde dell’amore altruista. La nostra concezione della vita e le nostre priorità non considerano il benessere altrui come lo scopo principale.

La meditazione comincia con la compassione, la determinazione ad alleviare il prossimo dalla sofferenza e dalle sue cause. Evocare le molteplici sofferenze degli esseri viventi, in un modo il più possibile realistico, fa provare una compassione senza limiti. Mantenere la continua consapevolezza di queste sofferenze potrebbe però rischiare di farci sentire impotenti e scoraggiati: «Come potrò mai, da solo, rimediare a tanto dolore?»

Si passa allora alla meditazione sulla gioia, pensando a quelli che provano la felicità e possiedono grandi qualità umane e a quelli che hanno coronato con successo le loro aspirazioni costruttive. Allora si gioisce pienamente. Questa gioia rischia però di trasformarsi in cieca euforia. È dunque il momento di passare all’imparzialità, per estendere i sentimenti d’amore e di compassione a tutti gli esseri: amici, sconosciuti e nemici, senza distinzioni.

L’ostacolo che possiamo incontrare è quello dell’indifferenza. Ma ci soccorre l’amore altruistico, il desiderio ardente che tutti gli esseri possano trovare la felicità e le cause della felicità. Se questo amore si evolve nell’attaccamento, torniamo a meditare sull’imparzialità o sulla compassione. Facciamo in modo di sviluppare alternativamente questi quattro pensieri, evitando di cadere nei loro eccessi.

C’è poi un altro metodo che consiste nel lasciare che i pensieri si calmino, fino a raggiungere una condizione di vuoto interiore, per far emergere con chiarezza e forza un sentimento profondo di bontà e di compassione, che ci calma la mente. Ogni essere può raccogliere la totalità del nostro amore. Questo amore deve però associarsi alla comprensione dell’interdipendenza di tutti i fenomeni e di tutti gli esseri.

Compassione e conoscenza sono inseparabili come le ali di un uccello. Così come un uccello non può volare con un’ala sola, senza la compassione la conoscenza è sterile e senza conoscenza la compassione è cieca. Chi ha compreso la realtà ultima delle cose è in grado di sviluppare l’amore e la compassione al più alto livello.

Dalla conoscenza scaturisce spontaneamente una comprensione infinita verso chi, prigioniero dell’ignoranza, vaga nel dolore. La compassione del saggio rischiara senza abbagliare, e riscalda senza bruciare. È dovunque come l’aria.

Un giorno Patrul Rinpoche chiese a Lhuntok, uno dei suoi discepoli, di restare in una grotta a meditare sulla compassione. Inizialmente, il sentimento d’amore verso gli altri era un po’ forzato e artificiale. Ma, poco a poco, la sua mente fu conquistata dalla compassione. Sei mesi dopo, Lhuntok vide passare davanti alla sua caverna, un cavaliere solitario che cantando attraversava la valle.

L’eremita ebbe la premonizione che quell’uomo sarebbe presto morto. Il contrasto tra il suo canto gioioso e la fragilità dell’esistenza lo riempì di una tristezza infinita. In quel momento scaturì dalla sua mente una compassione vera, e non lo abbandonò mai più. Diventò una seconda pelle.” (Matthieu Ricard, Il gusto di essere felici, Sperling & Kupfer ed.)

martedì 15 novembre 2016

L'approccio complessivo



“Non ferire chi come te cerca la felicità,
se vuoi essere felice.”
(Dhammapada)

“Un giorno vidi dei giovani che raccoglievano fiori. Non volevano offrirli a nessun dio; stavano soltanto camminando e senza pensarci strappavano i fiori e li gettavano via. Vi siete mai osservati quando fate così? Mi domando perché lo facciate. Mentre camminate spezzate un ramoscello, ne strappate le foglie e poi lo buttate via. Avete mai osservato questa azione involontaria da parte vostra?

Anche gli adulti lo fanno, hanno questo modo di esprimere la loro brutalità interiore, quella tremenda mancanza di rispetto per le cose viventi. Parlano di nonviolenza, ma ogni cosa che fanno è distruttiva. È comprensibile che cogliate un fiore o due per metterveli tra i capelli, o per darli a qualcuno che amate; ma perché strappate i fiori a viva forza? Gli adulti sono imbruttiti dalla loro ambizione, si massacrano gli uni con gli altri nelle loro guerre e si corrompono con il denaro.

Essi compiono azioni ripugnanti e apparentemente i giovani, qui come ovunque, seguono le loro tracce. L’altro giorno ero fuori a passeggio con uno dei ragazzi e siamo giunti vicino a una pietra sulla strada. Quando l’ho rimossa lui mi ha chiesto perché lo facessi. Questo che cosa indica? Non è forse una mancanza di considerazione e rispetto? Voi mostrate rispetto perché costretti dalla paura, non è così?

Scattate prontamente in piedi quando uno più anziano di voi entra nella stanza, ma questo non è rispetto, è paura; perché se davvero provaste rispetto non distruggereste i fiori, rimuovereste una pietra sulla strada, badereste agli alberi e aiutereste a curare il giardino. Ma, che siamo vecchi o giovani, noi non abbiamo un autentico sentimento di sollecitudine. Perché? Perché non sappiamo cos’è l’amore.

Capite che cos’è il semplice amore? Non la complessità dell’amore sessuale, e neppure l’amore di Dio, ma soltanto l’amore, essere teneri, gentili nell’approccio complessivo a ogni cosa. A casa non avete sempre questo semplice amore, i vostri genitori sono troppo occupati; a casa può non esserci un affetto autentico, nessuna tenerezza perciò voi arrivate qui con quel patrimonio di insensibilità e vi comportate come chiunque altro.

Ma come può venire alla luce questa sensibilità che vi rende attenti a non fare nessun male alle persone, agli animali, ai fiori? Siete interessati a tutto questo? Dovreste esserlo. Se non vi interessa essere sensibili, allora tanto varrebbe morire - e la maggior parte delle persone è come se fosse già morta. Anche se mangiano tre pasti al giorno, hanno un lavoro, procreano, guidano l’automobile, vestono abiti fini, tali persone sono come morte.

Sapete che significa essere sensibili? Significa, sicuramente, avere un sentimento di tenerezza per tutto: vedere un animale che soffre e fare qualcosa per lui, rimuovere una pietra dal sentiero perché molta gente ci cammina a piedi nudi, raccogliere un chiodo dalla strada perché qualcuno potrebbe forare una gomma. Essere sensibili significa provare sentimenti per le persone, per gli uccelli, per i fiori, per gli alberi, non perché sono vostri ma soltanto perché siete desti di fronte alla straordinaria bellezza delle cose.

Ma come si ottiene questa sensibilità? Quando siete profondamente sensibili, è naturale che non strappiate i fiori; c’è un desiderio spontaneo di non distruggere le cose, di non far male alle persone, il che significa avere autentico rispetto e amore. Amare è la cosa più importante nella vita. Ma che cosa intendiamo per amore?

Quando amate qualcuno perché quella persona in cambio vi ama, sicuramente questo non è amore. Amare è avere quello straordinario sentimento di un affetto che non chiede nulla in cambio. Potete essere molto intelligenti, superare tutti gli esami, prendere un dottorato e raggiungere una posizione elevata, ma se non avete questa sensibilità, questo sentimento di semplice amore, il vostro cuore sarà vuoto e voi sarete infelici per il resto della vostra vita.

Perciò è importantissimo che il cuore si riempia di quel sentimento affettuoso, perché allora non distruggerete nulla, non sarete crudeli, e non ci saranno più guerre. Allora sarete degli esseri umani felici, e poiché sarete felici non pregherete, non cercherete Dio, perché quella felicità stessa è Dio. Ma perché viene alla luce questo amore? Sicuramente l’amore deve iniziare dall’educazione, inizia dal maestro.

Se oltre a darvi informazioni sulla matematica, sulla geografia o sulla storia, l’insegnante ha in cuor suo quel sentimento di amore e ne parla. Se rimuove spontaneamente la pietra dalla strada e non permette al servitore di fare tutti i lavori più umili, se nella conversazione, nel lavoro, nel gioco, quando mangia, quando sta con voi o da solo, prova quel sentimento strano e ve lo fa notare spesso, allora anche voi sapete cos’è l’amore.

Potete avere una pelle luminosa, un bel viso, potete indossare un bel vestito o essere grandi atleti, ma senza l’amore nel vostro cuore siete esseri umani brutti oltre ogni limite. Quando amate il vostro viso, sia esso anonimo o bello, è radioso. Amare è la cosa più grande della vita, ed è molto importante parlare d’amore, provarlo, nutrirlo, custodirlo; diversamente si dissipa rapidamente, perché il mondo è troppo brutale.

Se da giovani non provate amore, se non guardate con amore le persone, gli animali, i fiori, quando sarete cresciuti scoprirete che la vostra vita è vuota. Sarete del tutto soli e le ombre cupe della paura vi seguiranno sempre. Ma, nel momento in cui avete in cuor vostro quella cosa straordinaria chiamata amore e ne sentite la profondità, la delizia e l’estasi, scoprirete che per voi il mondo si è trasformato.“

(Jiddu Krishnamurti, La ricerca della felicità, Mondadori ed.)

martedì 18 ottobre 2016

Da una mano all’altra



“Nessun gesto di gentilezza,
per quanto piccolo, va mai sprecato.”
(Esopo)

“Proprio come la felicità, la gentilezza e l’amore, anche la generosità alimenta altra generosità. Paradossalmente, è difficile sostenere che esista davvero un atto di generosità, perché donare felicità agli altri è il modo migliore per dare felicità a se stessi. Ma nella pratica della generosità il punto fondamentale è agire senza aspettarsi qualcosa in cambio, e questa è la parte più difficile.

Anche se cominciate dalle piccole cose e date poco, se lo fate con il cuore e senza pretese di ricompensa, compirete buone azioni. Ovviamente, se qualcuno vi ringrazia, questo è bello; ma se non ricevete nessun ringraziamento, non ha importanza, date comunque. La generosità non consiste soltanto nel dare in senso materiale.

Se riuscite a insegnare qualcosa a un’altra persona o a ispirarla, si tratta comunque di un eccellente atto di generosità; l’ispirazione è uno dei massimi doni. Potete anche proteggere o curare qualcuno: ecco un’altra azione di generosità. La pazienza, la tolleranza, il riso, l’apprezzamento, la gentilezza e la compassione sono tutti doni stupendi che possiamo offrire ogni giorno.

Alcuni grandi yogi indiani, mille anni fa, dissero che avevano imparato a praticare la generosità passando dapprima le cose dalla mano sinistra alla mano destra. Avevano inventato questo semplice metodo per addestrarsi a dare. Può sembrare un metodo infantile, ma forse funziona proprio per questo; si parte dal piccolo per passare poi gradualmente al sempre più grande.

In questo modo, quando date qualcosa a qualcuno - sia un oggetto materiale, sia un’ispirazione o protezione - lo fate senza sforzo. E non provate nessun rimpianto e nessuna necessità di ostentare il vostro gesto. Un buon sistema per cominciare è dividere ciò che volete dare in due metà: la prima per gli altri e la seconda per voi.

In tal modo condividerete e gradualmente ritroverete la motivazione pura, senza condizioni e senza sentire il bisogno di raccontare al mondo ciò che avete fatto. L’atto basta a se stesso. Quando si compiono questi atti dal profondo del cuore, essi provocano un sentimento di calore, di pace e di felicità. Non sarete più presuntuosi, ma riconoscenti.

La pratica è sincera e genuina e, essendo spontanea, invece di nascere da una sensazione di peso o di colpa, dona un enorme senso di gioia e di soddisfazione. Date spontaneamente e con la gioia nel cuore. Anche se non avete niente di materiale da donare, non ha importanza. Avete aperto il vostro cuore e vi siete liberati dei pesanti attaccamenti alle cose o alle persone.

Date agli altri la libertà e sarete liberati voi stessi. Tutti dobbiamo essere fratelli e sorelle. Tu puoi essere ricco, io posso essere povero; non importa. Al di là delle differenze individuali, siamo tutti uguali. Possiamo fare esperienze diverse, ma alla fine della giornata ci saremo scambiati tante cose. Perciò piangiamo insieme, ridiamo insieme, rattristiamoci insieme, gioiamo insieme, aiutiamoci l’uno l’altro.

In molte, molte esistenze precedenti, il Buddha Shakyamuni diede in dono la sua vita e il suo corpo. Una volta, in Nepal, offrì il suo corpo a una tigre, e noi possiamo ancora vedere il luogo in cui questo accadde. La tigre affamata stava per divorare il suo cucciolo e il Buddha preso da compassione, conoscendo ciò che stava per succedere, offrì il suo corpo. E, poiché la tigre era troppo debole per mangiare, il Buddha si tagliò una vena, in modo che l’animale potesse prima leccare il suo sangue e finalmente divorarlo.

La maggior parte di noi cerca continuamente la felicità, compiendo ogni sorta di azioni sciocche ed egoistiche, senza comprendere che, rendendo felici gli altri, anche noi lo saremo. E possiamo verificare da soli se questo sia vero. Sto cercando di dire che, se avete un grande cuore disponibile a condividere i suoi doni, allora quei doni si moltiplicheranno. Più darete con il cuore, più riceverete.

Se offrirete e aiuterete senza aspettarvi niente in cambio e senza porre condizioni, questa sarà una grande pratica e una grande gioia che non potrà essere misurata da nessuno strumento umano. Posso anche aggiungere che, quando voi aiutate, o date o fate qualcosa di benefico in modo incondizionato, tutto ciò che riceverete in cambio sarà anch’esso incondizionato. Non è un buon affare?” (Gyalwang Drupa, Vedere il cielo in un fiore selvatico, Mondadori)