venerdì 2 ottobre 2009

Gli adoratori di carogne


In una piovosa serata, Salem Effandy Daybis sedeva annoiato nel suo studio. Andò alla libreria, prese un bel volume antico e lo iniziò a sfogliare mentre aspirava delle boccate di fumo dalla sua sigaretta turca. Dopo aver letto sulla conoscenza del sé di Socrate, testimoniata dallo scritto di Platone, si sentì preso da un’enorme trasporto per quella saggezza.

Balzò dalla poltrona in cui si era sprofondato a leggere ed esclamò: “Ah, conosci te stesso! Filosofie meravigliose sia quelle d’Oriente che di Occidente! Occorre veramente che anche io conosca la parte segreta del mio cuore. Solo così perderò ogni dubbio ed ogni incertezza. E’ il mio dovere trovare l’essere ideale che si nasconde dietro al mio essere apparente e svelare tutti i segreti della mia natura sensibile e della mia essenza intelligibile.”

Entusiasmato da questo ardore che era insolito per la sua natura, i suoi occhi brillavano animati dalla bramosia della conoscenza. Andò dunque nella stanza vicina e si pose davanti ad uno specchio dove rimase per una buona mezz’ora a guardarsi e rimirarsi, come se la stessa Conoscenza Suprema fosse giunta ad inondarlo con i suoi segreti meravigliosi ed imperscrutabili. Fissava la sua immagine riflessa e ne andava ad analizzare la forma del corpo, del capo, del viso e della membra, cercando di scrutarne ogni dettaglio. Si guardava con attenzione e, alla fine, con una calma suprema iniziò a dire:

”Certo sono basso di statura, ma come Napoleone e Victor Hugo. Ho la fronte stretta e sfuggente, ma l’avevano così anche Socrate e Spinoza. Sono calvo come Shakespeare e il mio naso è lungo e ricurvo, come quelli di Voltaire e di George Wshington. Ho gli occhi incavati come l’apostolo Paolo e come Nietzsche, le labbra carnose come Luigi XIV, e il collo robusto del tutto uguale a quello di Annibale e di Marco Aurelio.” Continuò ancora ad osservarsi e infine aggiunse:

“Certo le mie lunghe orecchie starebbero a meraviglia accompagnate ad un muso da animale, ma anche Cervantes le aveva identiche alle mie. Nei miei lineamenti sporgenti e nelle guance scavate vedo la fisionomia di La Fayette e di Abramo Lincoln, ed il mento sfuggente è come quello di William Pitt e di Goldsmith. Se guardo poi le mie spalle asimmetriche vedo il corpo di Gambetta, mentre le mani dalle palme tozze e dalle dita corte hanno un’incredibile somiglianza con quelle di Eddington.

Dal mio corpo macilento s’intuisce una caratteristiche tipica dei grandi intellettuali e pensatori. Strano che non debba mettermi a leggere e scrivere con una cuccuma di caffè dolce e caldo al mio fianco, perché solo così lavorava Balzac. Soprattutto amo la compagnia del volgo e dei mercati per la mia incredibile assonanza con Tolstoj. A volte resto anche per 3 o 4 giorni senza lavarmi neppure le mani, come si dice facessero Beethoven e Walt Whitman.

Non è strano che io passi il mio tempo ad ascoltare i pettegolezzi delle donne sul loro comportamento quando sono assenti i mariti, perché è esattamenete quello che faceva Boccaccio. Il mio amore per il vino supera quello che avevano Marlowe, Abu Nuwas, Noè e lo stesso Omar Khayyam. Poi sono ghiotto almeno quanto Alessandro Magno.”

Finito di parlare Salem Effandy si toccò la fronte con le dita spoche e continuò: “Questo sono io. Possiedo tutte le qualità dei grandi uomini del corso della storia, e come loro sono destinato a grandi cose. Un giovane come me avrà enormi realizzazioni. L’essenza della salvezza è questa conoscenza di sé. Da adesso in avanti inizierò la Grande Opera a cui sono chiamato dal Disegno Divino, perché ha seminato nell’intimo del mio cuore degli elementi così chiari ed inequivocabili. Nelle mie fattezze sono tracciati i tratti immortali che vanno da Noè a Socrate, passando per Cervantes, Shakespeare, Omar Khayyam fino ad Abramo Lincoln.

Devo decidere da quali gesta iniziare, perché un uomo che unisce tali grandi qualità mistiche e poetiche, senza dubbio manifesta tutte le divine prerogative plasmate fin dalla notte dei tempi. Sono certamente capace di fare grandi cose perché ho conosciuto me stesso e anche la Divinità mi ha riconosciuto. Lunga vita alla mia anima e anche lunga vita a me che la ospito, così che l’universo duri in eterno mentre io mi manifesto.”

Pieno di frenetico orgasmo, Salem Effandy prese a percorrere la stanza misurandola a lunghi passi, con il brutto volto rugoso radioso di gioia, mentre con la sua voce acuta che assomigliava al miagolìo di un gatto, stridente come uno scricchiolio di ossa, iniziò a declamare una poesia del Lucrezio arabo, di Abi Al-Ala’ Al Ma’arri. Con enfasi intonò: “Benchè io sia l’ultimo di quest’epoca, porterò a compimento ciò che i padri fondatori non poterono.”

Dopo avere declamato la strofa, Salem Effandy si lasciò cadere nella poltrona per meditare la profondità di quei versi, e restò in silenzio avvolto nelle sue vesti trasandate e gualcite. Ben presto però cadde in un torpore profondo, conciliato dal cadere lento della pioviggine, e la casa risuonò a lungo del suo solenne russare, forte e sgradevole come lo stridere di una vecchia macina da mulino. Questo aforisma spirituale di Kahlil Gibran descrive i presuntuosi che, per glorificare se stessi, negano ogni evidenza e ogni verità. Egli scrive: “Sono strani individui gli adoratori di se stessi: adorano infatti una carogna.”

Buona erranza
Sharatan

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