martedì 22 luglio 2008

La beffa dei Signori del Karma


Ad un gruppo di amici, con cui facevano cenette invernali a giro di case, un noiosa sera proposi un giochetto di società che riscosse molto successo e che chiamai “Chi vorresti essere stato?”
Era un giochino che si faceva designando una persona come protagonista e gli altri come oppositori. Il protagonista deve dichiarare un’epoca in cui vorrebbe avere vissuto e deve presentare il suo personaggio, spiegandone i tratti e le caratteristiche. Gli oppositori devono fare domande, opposizioni, obiezioni e cercare di convincere il protagonista a rivedere o rinnegare il personaggio prescelto. Il gioco è solo nella difesa o nell’attacco all’identità storica prescelta, nessuno vince nulla ma ci si divertiva molto. Del gruppo faceva parte anche il mio amico Mario, una persona di grande onestà intellettuale e di buona cultura, lettore vorace e fine spirito scorpionico su cui riusciva difficile avere ragione: insomma un degno oppositore. Il gruppo era molto affiatato per la nostra buona amicizia e ci divertivamo molto arrivando ad infuocarci molto nelle arringhe e nelle difese. In queste figure storiche prescelte ognuno metteva fantasie, simpatie e identificazioni per luoghi o periodi storici che in qualche modo facevano capire tanto della persona, perché profondamente rivelatrici dell’anima e della sensibilità. Nei personaggi che presentavo e che difendevo, anche io mettevo le mie fantasie; indizi di tutte quelle anime che dormono dentro il mio inconscio universale interno, come direbbe Jung.
Tra i miei personaggi preferiti, vinsi alla disputa con Mario, grazie ad una vita ai tempi della mitica Baghdad, nell’età d’oro del califfo abasside Harun ar-Rashid “Aronne il ben guidato” il mitico califfo delle “Mille e una notte”. Alla fine me la invidiarono tutti!
La cultura araba mi ha sempre affascinato: l’arte, l’architettura, il sufismo, la loro poesia, le regole della cavalleria araba, poi la filosofia, tutte le arti e la loro splendida calligrafia. Per inciso la calligrafia araba è l’arte mistica per eccellenza, poiché il calligrafo è direttamente ispirato da Dio e segue una profonda disciplina interiore, guidato da un maestro Sufi. Io ho una vera passione per gli attrezzi di scrittura, spesso le mie prime bozze sono scritte a mano con penna stilografica. Mi si consenta una modernizzazione più comoda dei pennelli, degli stilo in vetro e delle piume d’oca!
Quelle delle “Mille e una notte”sono state le fiabe che ho amato di più nella mia infanzia, insieme ai "I racconti di mamma Oca" dell’accademico e uomo di lettere francese Charles Perrault, il capostipite della tradizione del Cabinet des Fées nelle corti settecentesche. Le “Mille e una notte” che leggevo erano la versione “castigata” per bambini, con bellissime illustrazioni bianco e nero di inizio Novecento, che raffiguravano moschee panciute e puntute, mercati affollati, cammelli, palme, cortili ombrosi e verdeggianti, califfi in incognito, mendicanti, bellissime odalische e muscolosi geni. Non è facile descrivere le atmosfere in cui mi trovavo a vivere soprattutto nei lunghi e caldissimi pomeriggi estivi quando, con la mia famiglia, ci rifugiavamo in campagna per sfuggire all’afa della città. Non avevo molte distrazioni in quel paese di campagna, per cui il pomeriggio mi sdraiavo su letto, appoggiavo i piedi sul muro, e in posizione di loto rovesciato o con i piedi lunghi sul muro, leggevo le mie storie. Erano pomeriggi con tappeti volanti, principesse ricoperte di veli impalpabili, geni chiusi nelle lampade e soprattutto streghe misteriose. Erano pomeriggi in cui mi strappavo a fatica da quel mondo per andare a giocare, quando il caldo si era affievolito nel tardo pomeriggio ed il coprifuoco di mia madre era terminato e potevo uscire.
Ma nel mio inconscio collettivo personale, sono stata anche un personaggio di Emilio Salgari: un pirata della filibusta, con tanto di mantello, giustacuore di cuoio, camicia con jabot e nastri e stivaloni alla coscia. Un corsaro di quelli suoi, cioè gentiluomi rifugiati nella pirateria per le sventure della sorte, ma meno assurdi e con un senso diverso d’onore, perché io non avrei mandato a morire tra le onde la figlia innocente di Van Gould, Honorata, per avere vendetta su suo padre. E’ invece quello che fa quello scemo di Enrico di Ventimiglia, il mitico Corsaro nero. Quando trovo un film di pirati, soprattutto nelle repliche televisive pomeridiane non me lo perdo mai. Bei film pacchiani, con le attrici cotonate e sovrappeso come si usava negli anni ’60, nell’Italia che cercava di recuperare la fame della guerra mostrando l’abbondanza con donne vistose e volgari, dagli occhi sottolineati con l’eyeliner. Film che vedo non per la loro bellezza ma per nostalgia dei miei pomeriggi con i fratelli della Filibusta. Poi ho una vera passione per gli stiletti, come quelli che ogni pirata porta con sé insieme alla spada. Buffa cosa, ma tra le armi nelle arti marziali ho sempre preferito la spada alla sciabola, sebbene quest’ultima sia molto più efficace della prima perché permette sia colpi di punta che di taglio.
Sulla mia passione per la cultura classica, testimoniano molti dei miei post, in tanti l’amore è apertamente dichiarato. Per molto tempo mi hanno portato al cinema la domenica pomeriggio e mi portavano a vedere il genere mitologico, quei film trash che mostravano i vari Mister Universo, i vari Ursus, Maciste ed Ercole che si scontravano con le creature più anomale, mortali ed immortali, fino al trionfo finale del buono sul cattivo. Le colonne erano di cartone e le scenografie irreali dal punto di vista storico, ma la mia sbobba cinematografica domenicale era giocata tra i cartoni di Disney e il cinema mitologico. Forse per questo mi sono letta tutto il genere dagli “Ultimi giorni di Pompei” a “Fabiola” fino all’immancabile “Quo Vadis?” Con un trittico di tale genere il destino era segnato!
E quando dico che mia madre mi doveva impedire certe letture avevo le mie buone ragioni, ma lei che ne sapeva, povera donna, sicuramente non ha visto la beffa dei Signori del Karma. Gli avevano inviato in dono una strana forma di errante, trascurando di accludere il libretto d’istruzioni, altrimenti avrebbe saputo quanto in noi sia affascinante e letale il potere dell’immaginazione.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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