domenica 21 settembre 2008

Nel cuore del nostro dolore


Il movimento di risveglio e di scoperta di noi stessi inizia nel momento in cui ci sentiamo scontenti della nostra vita. Contrariamente a ciò che si crede, l’insoddisfazione per un certo livello di vita, non indica affatto delle turbe mentali o dei disagi sociali, invece indica un embrione di effervescente intelligenza interiore, che si sta ridestando.
Questa intelligenza creativa, che viene soffocata dalle ipocrisie sociali, ad un certo punto si ridesta e inizia a richiedere la nostra attenzione, con furore vuole affermarsi: essa si manifesta come una necessità di realtà più profonde e vere.
La sofferenza è l’elemento scatenante per i risvegli spirituali, perché il dolore distrugge la soddisfazione della vita quotidiana, ottunde il pensiero razionale e tocca il nostro essere più profondo senza lasciare nessun nostro territorio interiore inesplorato. Nel dolore si sviluppa la consapevolezza e per questo è provvidenziale, come diceva Meister Eickhart, per portare alla perfezione. Iniziando a soffrire ci si interroga sulla nostra vera natura e sulla natura dei nostri confini di vita, e si cercano nuove soluzioni. Se affrontata in modo corretto, la sofferenza aiuta ad ampliare gli orizzonti mentali e i nostri confini di vita ma, se non viene correttamente elaborata, essa può renderci peggiori e più crudeli, perché anche la sofferenza va vissuta bene ed il senso del dolore va cercato. Non si deve restare aggrappati, invischiati al nostro male, perché rischieremmo di farci uccidere dai suoi veleni; è necessario scoprire il senso del nostro dolore: cosa significa e perché si verifica. Difficile cercare un dottore dell’anima che ce lo possa indicare, possiamo invece scoprire a quale livello sta agendo il nostro soffrire, dove alberga il cuore del nostro dolore.
Dobbiamo lasciare spazio ai nostri sentimenti, permettere che vengano a trovarci ed osservarli come sintomi di qualcosa che chiede di essere conosciuto, dobbiamo permettergli di parlarci, mentre noi dobbiamo cercare di conoscerli, di diventarne consapevoli, per poterli esorcizzare.
La vulnerabilità non sempre diventa un handicap, invece potrebbe divenire una risorsa, ma la società ammette poco e male il relitto della sofferenza, se non sublimato nel pensiero dei grandi: Leopardi, Schopenhauer, Nietzsche etc. Solo alle eccellenze, si concede di poter dimostrare interamente se stessi, senza apparire sminuiti. Il successo del pensiero profondo proviene dalla profonda risonanza che echeggia dell’animo umano, per il loro narrare l’insofferenza di noi tutti; la comune condizione umana nel suo vissuto faticoso, di gestazione di nuove idee a cui va data assoluta attuazione. L’impulso prepotente della natura prometeica dell’uomo. Per questo il loro pensiero è forte, debole e dolente solo in apparenza, è un pensare assoluto e titanico. Se pericoli vi sono, nel pensare umano, in realtà solo il pensiero pigro è pericoloso, perché ottuso e limitato, non vi è invece, nessun pericolo nel pensiero forte dei sentimenti.
Il pensiero pigro è presuntuoso poiché vuole trovare un’unica causa alla sofferenza e la cerca nell’assenza del dolore: se vuoi eliminare la fonte della sofferenza devi eliminare la fonte del tuo dolore. Questo modo di pensare è tipico delle persone che amano i capri espiatori, di quelli che amano le vittime sacrificali, di quelli che fanno la lotta alle streghe.
Le più recenti scoperte scientifiche dimostrano invece che, il nostro modo di pensare è profondamente influenzato dal modo con cui costruiamo le nostre conoscenze, e l’esperienza acquisita nel corso dell’esistenza, non fa altro che ottimizzare i circuiti cerebrali che si sono formati nella prima infanzia. Per questo motivo nessuna scusa sull’essere "fatti in un certo modo" o per "essere della natura dello scorpione", può essere addotta, perché il nostro modo di pensare può essere riprogrammato sempre.
Invece ogni condizione di dolore diviene aberrante, quando si sopravvive alla sofferenza, per restare avvinghiati all’odio nei confronti della realtà che ci ha fatto soffrire. L’individuo, sente che gioire, dopo essere stati colpiti dal dolore, è un atto intollerabile, ogni occasione di godere della vita è un insulto inaccettabile, e sente disgusto e vergogna all’idea di essere felice. La felicità diviene uno scandalo, e l’odio del corpo fa abbracciare un’intolleranza religiosa, spesso innamorata ed inneggiante alla filosofia della sofferenza. Si cerca un dio totalitario, a cui si chiede di assumere i pieni poteri, un dio geloso e non generoso, quindi incapace di compassione. Nella sofferenza, diventiamo noi quel dio terribile che giudica noi stessi. Da una sofferenza così aberrante non s’impara nulla, non si attua alcuna consapevolezza, non si riesce ad avere neppure la forza per iniziare a farsi delle domande, per potere acquisire una maggiore comprensione dell’unità in cui viviamo.
Il dolore invece rende vulnerabili, nel dolore si è senza pelle, si resta fatti solo di carne e d’anima. Per questo è più facile diventare empatici, per questo si sviluppa un fenomeno di risonanza in cui, con una fulminea ed istantanea dello sguardo dell’altro, si riesce a leggerne intenzioni e sentimenti. Senza alcuna una parola, due menti possono riconoscersi, connettersi e comunicare.
L’essere insieme e avere condivisione, rende più facile la sopravvivenza, anche a livello etologico, in cui l’empatia animale serve per poter sopravvivere. Dal dolore s’impara anche la compassione, ed è solo questa virtù che ci rende capaci di potere ammettere gli errori nostri o altrui, e che ci permette di poterli accettare in noi e negli altri. Saper vedere tutti gli opposti della condizione in cui viviamo, ci aiuterà ad assumerci la responsabilità delle nostre sensazioni e dei nostri sentimenti, ci aiuterà a poterci amare sia nei lati di luce che nei lati di ombra, ci aiuterà a costruire l’idea di poter essere degni di esistere e di essere felici.
Diventeremo consapevoli che ciò che avviene, è solo un’occasione per potere sperimentare la vita umana, e che siamo noi che costruiamo i nostri sintomi e la nostra sofferenza, perché siamo noi i creatori della nostra realtà. La vita non apparirà più come una lotta, ma come un’occasione per aumentare il nostro livello di crescita, e vedremo tutti i nostri incontri e i nostri compagni di viaggio, degli altri giocatori come noi, dei partners del gioco della vita.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

Nessun commento: