mercoledì 4 febbraio 2009

Realizzando personali Upanishad


Alain Daniélou afferma che tutti i sentieri che si intraprendono si fermano di fronte al fenomeno di Dio, a cui la mente umana non può dare una definizione: tutti gli sforzi per realizzare il divino sono solo “approcci” cioè Upanishad e tutti gli sforzi conoscitivi mostrano un substrato comune che non è immediatamente distinguibile, ma che è sempre presente ed è sempre valido.

Le forme di pensiero che l’uomo ha creato ed ha utilizzato, nelle varie culture e latitudini sono la dimostrazione di tali Upanishad, di tali approcci, apparentemente limitati o inadeguati, ma essenziali per la comprensione dei misteri dell’Uno. Ogni visione sembra inconcepibile rispetto alle altre, ogni versione sembra limitata, eppure in ogni concezione esiste, a ben guardare, un segno ed una traccia utili, a riprova che un approccio sincero produce sempre dei frutti.
Molto spesso, solo grazie ad approcci molteplici e forse contraddittori, arriviamo a farci un’idea dell’insieme, un’idea che difficilmente potremmo crearci se godessimo di un solo punto di vista.

Più scorci divini sappiamo conquistare attraverso cammini diversi, più ne sappiamo cogliere i differenti aspetti, più ne sappiamo poi riunire gli elementi di contraddizione, da usare come utili stimoli per elaborare dei concetti sull’origine delle cose e sullo scopo dell’esistenza.

Tutto questo sarebbe assolutamente impossibile se si facesse uso di un solo ed unico punto di vista: solo facendo uso di approcci molteplici si può concepire l’assoluta molteplicità della realtà umana. Soltanto usando degli approcci molteplici possiamo farci un’idea dell’inconoscibilità della Realtà trascendente.

Possiamo pensare che certi punti di vista siano troppo atei, alcuni forse troppo filosofici, altri troppo mistici ed altri troppo morali, ma saremmo in errore se considerassimo queste forme di pensiero come delle forme erronee di pensare: sono invece costruzioni sempre valide e metodi sempre accettabili, al fine di costruire degli adeguati punti di vista, per cercare i nostri Upanishad.
L'induismo reputa che coloro che hanno creato dei punti di vista siano dei rishi, cioè dei veggenti illuminati dall’influsso divino.

Poiché l’esistenza è sinonimo di molteplicità, riesce difficile pensare di concepire la Realtà senza un approccio che sia multiplo e multeplice, e quando ci immaginiamo che le cose abbiano solo un punto di vista, ci rendiamo ciechi alle altre parti dell’essere, perché lo escludiamo dalla nostra coscienza come inconcepibile. Quando cerchiamo una sola forma di divinità, egualmente ci rendiamo ciechi per le altre manifestazioni della divinità, siamo ottusi all’Immensità non duale del Brahman.

Quando pensiamo che si possa adorare una sola forma di divinità, stiamo fortemente limitando e mortificando quella forma divina, le stiamo imponendole dei limiti che sono nostri, simbolo della nostra mentalità ottusa e materialistica. La limitazione della divinità in modalità particolari e uniche, ha fatto del monoteismo una vera limitazione della via della conoscenza e della realizzazione metafisica. Si è creata una divinità limitata per l’incapacità di credere ad una natura molteplice ed illimitata del divino, si è creato un Dio limitato a buon uso di menti limitate,come frutto di menti capaci di pensare solo per postulati primitivi e semplicistici.

Possiamo invece pensare ad una divinità illimitata che possiede una forma illimitata di manifestazioni, e pensare che questi aspetti siano solo dei modi diversi di approcciare al divino, diversi punti di vista sul divino. Come possiamo pensare ad un’armonia che si crea con la partecipazione di tutte le note musicali,ugualmente potremmo pensare che la sorgente dell’universo sia data dalla molteplicità di manifestazioni dell’essenza divina.

Dobbiamo pensare che la molteplicità di punti di vista, di approcci all’esistenza, le varie Upanishad, facciano parte della moltitudine di vie che portano al divino, ognuna adatta per diversi individui e per diversi tipi di evoluzione. Ognuna adatta anche per lo stesso individuo a diversi livelli di consapevolezza e di evoluzione, quindi pensiamo che ogni via è sempre utile e necessaria.

Riesce estremamente difficile cogliere la mutevolezza dell’essere se assumiamo una visione monoteista ed unanime della Realtà, perché la Realtà è molto relativa e ci appare sempre troppo lontana da una visione dogmatica e monolitica.
Per questo vi è l’abbandono della religione quando vogliamo affrontare un cammino spirituale, tutto perché si va a confondere il livello dell’etica con quello della morale, tutto perché le osservanze convenzionali e l’avanzamento interiore sembrano sempre più andare in collisione, perchè si confonde la spiritualità con la religione.

Ogni forma di monoteismo ci lega troppo ad una visione culturale e sociale che non sempre si armonizza al nostro vissuto interiore. Così la religione diviene un modo per affermare un modo di essere e di vivere il mondo, come un credo assoluto che va ad imporre una concezione e una visione che preclude altri modi di vedere, di approcciare, altre realizzazioni di nostre personali Upanishad.

Così si creano dei popoli eletti, delle genti che sanno seguire le vie di Dio, come se ci fosse una via certa e sicura che porta a Dio. Così si creano delle religioni che cercano di imporre i propri dei e i propri credo, così si creano degli dei privilegiati da difendere e degli dei falsi e pericolosi da distruggere.

Nella Bhagavad Gita (IX, 23) Krishna dice:
“Anche coloro che, devoti ad altri dei, sacrificano loro pieni di fede, sacrificano in realtà a me solo, o Arjuna, in modo diverso dalla norma.” Nella Bhagavad Gita si insegna che ciò che appare come molteplice, in realtà rimanda ad una molteplicità solo apparente del Divino.

Buona erranza
Sharatan

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