L’economia classica è ostica per la mia mente, allora mi sono messa a studiare l’economia eretica e, devo convenire che è più facile da capire, soprattutto le teorie economiche di Nicholas Georgescu-Roegen, il padre della bioeconomia.
La teoria economica standard racchiude tutto nel ciclo produzione-consumo, basandosi sulle concezioni evoluzionistiche darwiniane, ma le successive teorie termodinamiche e la legge dell’entropia, hanno negato il concetto di sistema chiuso per rilanciare la teoria del tempo irreversibile e del continuo divenire.
Dato il concetto fisico che un sistema che produce energia, laddove non possieda incrementi energetici esterni, vede una parte dell’energia come perduta cioè degradata in forma di calore, di fatto la rende indisponibile a produrre un lavoro futuro, l’economista romeno ne concluse che tanta più energia diventa indisponibile, tanta più ne sarà sottratta alle generazioni future, e tanto più disordine proporzionale sarà riversato sull’ambiente esterno.
Criticando le teorie classiche si chiese: “chi davvero potrebbe pensare che lo sviluppo non implichi necessariamente, in qualche misura, una crescita quantitativa?” Era per lui evidente, che l’economia mondiale si dovesse scontrare con dei limiti ecologici globali, collegati alle capacità di carico e di tenuta degli ecosistemi, che dovessimo ripensare la stabilità dei cicli biologici e geochimici, considerare l’equilibrio del sistema climatico e i limiti che il nostro pianeta possiede a tutti i livelli. Un sistema economico che preleva risorse in maniera incontrollata e che riversa, in modo incontrollato, rifiuti e scorie nell’ambiente, è destinato a eliminare la vita dal nostro pianeta.
Secondo Georgescu-Roegen e i suoi allievi, la nostra mentalità occidentale è completamente inquinata da due paradossi: il primo paradosso è collegato al concetto di efficienza (il cui aumento accellera il consumo di risorse) e il secondo paradosso è quello del benessere (il cui aumento non diminuisce il malessere): questi paradossi illusori devono essere completamente scardinati.
Si tratta di fare una vera e propria de-colonizzazione del nostro immaginario e una dis-economizzazione delle menti, operazioni necessarie per cambiare veramente il mondo, prima di arrivare alla distruzione del nostro pianeta.
La globalizzazione è il trionfo della mentalità materialistica che tutto è mercato, in cui i valori economici sono il punto centrale e finale della vita umana: con il dogma che l’economia non è un mezzo ma è il fine ultimo. Invece la verità è che dobbiamo smetterla di fare una corsa cieca ai consumi e allo spreco. Il fulcro dell’illusione è il concetto che la tecnologica produrrà sempre meno consumo energetico, come dire che avremo sempre maggiori beni di consumo, con un sempre maggiore risparmio energetico. Tale concetto è del tutto illogico eppure, malgrado tutta la sua illogicità riesce a fare breccia nell’immaginario occidentale, costruito con pervasività ed insistenza: la sua demolizione deve vedere una demolizione degli elementi su cui si basa.
Il modello globalizzante è l’evoluzione moderna della colonizzazione, una colonizzazione dall’apparenza più mite, ma non per questo meno violenta. Sotto questa falsa moderazione, si esercita la violenza di un sistema finanziario e mediatico assai entrante e pervasivo, con un progetto molto aggressivo verso la natura e verso gli uomini. E’ un’impresa che trasforma in merce tutti i rapporti tra gli uomini e con la natura, e che sfrutta al massimo le risorse sia umane che naturali. E’ un’azione politica, economica e militare che ha conquistato e che esercita il suo dominio in regioni sempre più grandi del pianeta.
L’idea di sviluppo si è associata indissolubilmente con i concetti di crescita economica e con l’accumulazione del capitale, è divenuta un immaginario universale, è divenuta il sogno del governo della natura, è il trionfo della razionalizzazione ordinatrice somma di tutto l’universo. Sono tutte associazioni prive di senso, tutte ideologie occidentali collegate al declinare dello sviluppo, dietrologie create da società post-capitalistiche e post-consumistiche: è una falsa idea di progresso che è arrivata a dominare il nostro pensiero.
Invece si dimostra indispensabile recuperare il pensiero di Ivan Illich sulla società conviviale, diviene essenziale l’invito ad un atto di “semplicità volontaria” già affermato da Gandhi, in cui ci si priva volontariamente “di qualche cosa per lasciare maggiore spazio allo spirito e alla coscienza; è uno stato dello spirito che invita ad apprezzare, assaporare e ricercare la qualità; è una rinuncia agli oggetti che appesantiscono, infastidiscono e impediscono di andare a fondo alle proprie possibilità. “
La teoria economica standard racchiude tutto nel ciclo produzione-consumo, basandosi sulle concezioni evoluzionistiche darwiniane, ma le successive teorie termodinamiche e la legge dell’entropia, hanno negato il concetto di sistema chiuso per rilanciare la teoria del tempo irreversibile e del continuo divenire.
Dato il concetto fisico che un sistema che produce energia, laddove non possieda incrementi energetici esterni, vede una parte dell’energia come perduta cioè degradata in forma di calore, di fatto la rende indisponibile a produrre un lavoro futuro, l’economista romeno ne concluse che tanta più energia diventa indisponibile, tanta più ne sarà sottratta alle generazioni future, e tanto più disordine proporzionale sarà riversato sull’ambiente esterno.
Criticando le teorie classiche si chiese: “chi davvero potrebbe pensare che lo sviluppo non implichi necessariamente, in qualche misura, una crescita quantitativa?” Era per lui evidente, che l’economia mondiale si dovesse scontrare con dei limiti ecologici globali, collegati alle capacità di carico e di tenuta degli ecosistemi, che dovessimo ripensare la stabilità dei cicli biologici e geochimici, considerare l’equilibrio del sistema climatico e i limiti che il nostro pianeta possiede a tutti i livelli. Un sistema economico che preleva risorse in maniera incontrollata e che riversa, in modo incontrollato, rifiuti e scorie nell’ambiente, è destinato a eliminare la vita dal nostro pianeta.
Secondo Georgescu-Roegen e i suoi allievi, la nostra mentalità occidentale è completamente inquinata da due paradossi: il primo paradosso è collegato al concetto di efficienza (il cui aumento accellera il consumo di risorse) e il secondo paradosso è quello del benessere (il cui aumento non diminuisce il malessere): questi paradossi illusori devono essere completamente scardinati.
Si tratta di fare una vera e propria de-colonizzazione del nostro immaginario e una dis-economizzazione delle menti, operazioni necessarie per cambiare veramente il mondo, prima di arrivare alla distruzione del nostro pianeta.
La globalizzazione è il trionfo della mentalità materialistica che tutto è mercato, in cui i valori economici sono il punto centrale e finale della vita umana: con il dogma che l’economia non è un mezzo ma è il fine ultimo. Invece la verità è che dobbiamo smetterla di fare una corsa cieca ai consumi e allo spreco. Il fulcro dell’illusione è il concetto che la tecnologica produrrà sempre meno consumo energetico, come dire che avremo sempre maggiori beni di consumo, con un sempre maggiore risparmio energetico. Tale concetto è del tutto illogico eppure, malgrado tutta la sua illogicità riesce a fare breccia nell’immaginario occidentale, costruito con pervasività ed insistenza: la sua demolizione deve vedere una demolizione degli elementi su cui si basa.
Il modello globalizzante è l’evoluzione moderna della colonizzazione, una colonizzazione dall’apparenza più mite, ma non per questo meno violenta. Sotto questa falsa moderazione, si esercita la violenza di un sistema finanziario e mediatico assai entrante e pervasivo, con un progetto molto aggressivo verso la natura e verso gli uomini. E’ un’impresa che trasforma in merce tutti i rapporti tra gli uomini e con la natura, e che sfrutta al massimo le risorse sia umane che naturali. E’ un’azione politica, economica e militare che ha conquistato e che esercita il suo dominio in regioni sempre più grandi del pianeta.
L’idea di sviluppo si è associata indissolubilmente con i concetti di crescita economica e con l’accumulazione del capitale, è divenuta un immaginario universale, è divenuta il sogno del governo della natura, è il trionfo della razionalizzazione ordinatrice somma di tutto l’universo. Sono tutte associazioni prive di senso, tutte ideologie occidentali collegate al declinare dello sviluppo, dietrologie create da società post-capitalistiche e post-consumistiche: è una falsa idea di progresso che è arrivata a dominare il nostro pensiero.
Invece si dimostra indispensabile recuperare il pensiero di Ivan Illich sulla società conviviale, diviene essenziale l’invito ad un atto di “semplicità volontaria” già affermato da Gandhi, in cui ci si priva volontariamente “di qualche cosa per lasciare maggiore spazio allo spirito e alla coscienza; è uno stato dello spirito che invita ad apprezzare, assaporare e ricercare la qualità; è una rinuncia agli oggetti che appesantiscono, infastidiscono e impediscono di andare a fondo alle proprie possibilità. “
Questo nuovo pensiero comincia da un lavoro di introspezione, da un lavoro su se stessi in cui l’agire politico diviene, secondo l’insegnamento gandhiano, inseparabile dalla riflessione spirituale. Questo procedere dalla trasformazione di sé alla trasformazione della società, rappresenta una componente centrale della bioeconomia e della teorie della decrescita, ed è un punto di svolta anche rispetto alle teorie economiche marxiste.
Così le teorie bioeconomiche invitano all’obiettivo della decrescita. Tale decrescita deve essere organizzata, non solo per preservare l’ambiente, ma anche per ristabilire un minimo di giustizia sociale sul pianeta. Il problema della crisi economica e dei limiti del patrimonio naturale, ci deve far riflettere sulla crescita folle delle società occidentali, che si attua a spese delle società povere, che non crescono affatto o che lottano per la sopravvivenza minima.
Dobbiamo abbandonare il folle sogno della crescita infinita dai profitti illimitati, anche perché oggi una crisi planetaria ha trasformato il mondo occidentale in un’assurda società laburista che non ha lavoro. Siamo una società che rincorre la crescita, ma che non ha crescita, siamo una società a cui una crisi forzata forse imporrà di costruire una nuova carta dei consumi e degli stili di vita.
Forse questa crisi sarà utile, ma solo se ci costringerà ad applicare la Carta della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo sviluppo, scritta a Rio de Janeiro nel 1992, che enuncia al capo 1: ”Gli esseri umani sono al centro degli scopi di uno sviluppo sostenibile. Essi hanno il diritto ad una vita prosperosa e produttiva in armonia con la natura.”
La crisi sarà utile se ci insegnerà a trovare il bene e la felicità a costi minori, se ci farà scoprire che la vera ricchezza è nel fiorire delle relazioni sociali ed affettive, se ci farà costruire un mondo più sano anche se più frugale e più sobrio, un mondo fatto di semplicità volontaria, di semplicità bella e non severa, in cui l’assoluto disperdio deve essere attuato nell’elargire sentimenti e nella produzione di una vita festosa e conviviale.
Buona erranza
Sharatan
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