martedì 13 luglio 2010

Per una bellezza senza qualità


“Quando studio le opere dei maestri,
osservo l’operare della loro mente.
[…]
Ma il bello si distingue sempre dal banale,
il buono dal mediocre”

(Lu Ji - L’arte della scrittura)


Per la mentalità cinese classica, se tutti sono in grado di apprezzare i differenti sapori, esiste un centro in cui vi è solo l’insapore, che è il Tao dell’estetica: è questo il sapore più difficile da apprezzare, ma una volta che se ne conosce il raffinato gusto, esso dura all’infinito. Così viene raffigurato l’apprezzamento dell’insapore, che è una categoria estetica primaria della cultura cinese classica: questo è il confine sottile in cui sono completamente dissolti il soggetto che osserva e l'oggetto che viene osservato, poiché nell’insapore l’oggetto e il soggetto diventano tutt’uno.

Questo concetto è precedente sia al taoismo che al confucianesimo, ed è un concetto fondante del gusto estetico cinese, infatti è al centro sia del mondo naturale che di quello sociale. E l’insipienza cinese è una modalità di apprezzamento della vita che è tipica del carattere riservato e discreto di quel popolo, e questa discrezione naturale è al centro di tutte le relazioni che vengono intessute da loro.

Questo gusto per l’insapore, che è l’invito all’apprezzamento dell’assenza di percezione e di sensazioni dei sensi, è piuttosto difficile da comprendere per una mentalità come la nostra che è sempre più infatuata di suoni e di sapori. Per la cultura cinese il gusto è un’intimità fisica in cui si fonde tatto e odorato poiché ogni opposizione è destinata a fondersi poiché, per la Cina, ogni opposizione è destinata a unirsi.

Nell’insapore cinese vi è un “senso radicale” che va oltre tutti i sensi, e non è certamente paragonabile al concetto di neutro o di insipido che la mente occidentale conosce. Questo è un senso prima di ogni altro senso, che passa sotto un confine, poiché esso crea un ordito passando sotto il filo della superficie dell’acqua: è tutto quello che si cela sotto quel confine.

Nel gusto per il sottile, che è tipico dei cinesi, vi è celato il senso di tutto quello che una manifestazione estetica nega, ed obbligatoriamente questo avviene, essendo esso precedente alla concretezza di ogni manifestazione. Per questo motivo, questo sentimento si attua quando vi è un processo disponibile all’indeterminatezza del senso dell’assaporare. E’ molto difficile comprendere ciò, per una mentalità come la nostra, che è abituata ai falsi piaceri e così disabituata ad apprezzare la vera bellezza.

E’ veramente difficile attuarsi all’intelligenza estetica cinese, che significa avere la capacità di intendere e vedere la bellezza, ed è per questo motivo che l’immagine del vento (feng) poteva efficacemente rappresentare la capacità di divenire “invisibile, pervasivo ed efficace” indicando, così un modello estetico e ideale perfetto. E’ per questo motivo che, nella musica si apprezzano le pause e il silenzio, che diventa “il resto del suono” poiché, è nel silenzio che noi possiamo permetterci di comprendere tutti i suoni che è possibile produrre.

Qualcuno diceva che la musica è tutto ciò che si racchiude tra le pause del suono, e nella tradizione estetica indiana, i raga sono le codificazioni più complesse e raffinate e sono ancora più complesse da comprendere per la nostra mentalità grossolana. Nella mentalità cinese classica questa concezione perfetta dell’insapore, è il filo conduttore che è sottinteso a tutte le arti come la cucina, la strategia, la calligrafia, la boxe, la cura del giardino e, in particolare della musica.

In questo senso tale concezione è perfetta ed è tanto avvenente laddove si abbiano orecchi e occhi bene aperti e in grado di percepirlo, ed è questo che la completa perfezione della natura ne può indicare la direzione giusta. Se valutiamo il termine “avvenente” si comprende bene il senso, poiché l’estetica cinese è un’anticipazione a ciò che può venire. Questo significato è chiaro anche nell’italiano “a venire” come senso di apertura piena a ciò che giunge, cioè alla completa ricettività di recezione.

La nostra difficoltà occidentale e moderna è quella di non potere comprendere come si possa restare sicuri e centrati senza possedere una metafisica che è, senza dubbio, un sicuro utero concettuale del pensiero. Per noi occidentali è molto difficile restare sicuri senza avere delle sicurezze mentali che possano contenere la nostra mente in un ambito senza strategie o tattiche già preconfezionate da indossare.

Occorre molto coraggio per restare sicuri e sereni nel mondo senza avere sicurezze ma basandosi solo su indizi e tracce di un percorso, e senza vie già tracciate da altri prima di noi: essere sicuri senza alcun riferimento precedente a noi, perciò marciare spediti su dei sentieri inesplorati e privi di orme lasciate da viandanti precedenti. Se siamo in silenzio noi accettiamo di pensare basandoci solo su indizi o tracce di percorsi, e sui sintomi di senso: infatti è difficile vivere senza verità preconfezionate.

E’ per questo che il saggio e lo stratega cinese riescono a divenire presenti nella loro totale e sapiente mancanza di senso definito. Se sappiamo cogliere il principio o le leggi regolatrici delle cose, se sappiamo comprendere la logistica del cambiamento, è allora che le cose scorrono da sole e noi sappiamo agire adeguatamente. Se facciamo così, noi impariamo ad agire tempestivamente e senza forzare le situazioni, le persone, i luoghi e i tempi: è’ così che comprendiamo come il saggio deve “non far nulla, ma far che nulla non sia fatto.”

Per questo motivo il saggio non deve generare i fatti e gli eventi del mondo ma deve, piuttosto, comprendere le esperienze nella loro coerenza formativa (li). E’ in tale modo che il saggio agisce efficacemente senza agire, ma si permette di essere partecipe, sia pure nel suo distacco, dal mondo, e di poter vivere impassibile ma appassionato della vita: e questo appare molto più conveniente strategicamente, per un buon vivere.

Buona erranza
Sharatan

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