martedì 9 settembre 2014

Il viaggio alla Montagna delle scimmie



“La pienezza della sapienza è giungere
alla fine degli anni concessi dal Cielo
e non morire prematuramente a metà strada.”
(Chang Tzu)

Chang Tzu racconta che il principe di Wu, un giorno, prese una nave e navigò verso la Montagna delle scimmie. Quando furono arrivati in vista dell’isola, le scimmie videro la nave e corsero a nascondersi in cima agli alberi più alti. Solo una scimmia restò immobile e indifferente diversamente dalle sue compagne. La scimmia restò a dondolarsi per un po’ e poi iniziò a saltare con agilità da un ramo all’altro.

Quando il principe di Wu vide che faceva quelle acrobazie, prese il suo arco e scoccò una freccia per ucciderla. Ma la scimmia era veloce e, mentre saltava, afferrò la freccia con la mano. Dimostrò una tale destrezza da suscitare l’ammirazione dei nobili dignitari che erano al seguito del principe. Invece il principe reagì male, infatti era così arrabbiato che ordinò ai suoi arcieri di lanciare le loro frecce contro l’animale.

Mentre la scimmia cadeva morta a terra, trafitta da un nugolo di frecce, il signore di Wu si rivolse all’amico Yen Pu’i che lo accompagnava e gli disse: “Hai visto? A quella scimmia è costato caro il fatto di avere ostentato la sua bravura. E lo sai perché gli fu fatale? Perché aveva una fiducia esagerata nella sua bravura e pensava che nessuno l’avrebbe potuta battere. Sicuramente tra i suoi simile era imbattibile, ma le cose sono diverse quando ci si trova a trattare con gli uomini. Non bisogna fare troppo affidamento sui nostri talenti e sulle nostre capacità quando si tratta con gli esseri umani!”

Quando tornarono a corte il nobile Yen Pu’i decise di diventare il discepolo di un grande saggio taoista che lo guidò verso la liberazione da tutto quello che lo rendeva un uomo eccezionale. Quel maestro gli insegnò a diventare un uomo comune che non ha alcuna qualità che lo rende superiore agli altri uomini. E ben presto, la posizione di Yen Pu’i divenne di minor rilievo, perché nessuno lo cercava più per sfruttarlo però tutti lo trattavano con grande rispetto. La verità era che tutti lo rispettavano perché lo temevano non riuscendo a capirlo.

La storia ci spiega una verità molto profonda che viene insegnata dal grande maestro del Tao. Il Tao insegna che non dobbiamo ostentare le nostre qualità ma che dobbiamo coltivarle in segreto. Solitamente si agisce in modo contrario, infatti si tende a nascondere i propri difetti e si tende a ostentare solo le cose che crediamo essere migliori. Ci si espone e si pubblicizzano troppo le nostre azioni, perché usiamo e lasciamo agire l’ottica dell’ego che si sente glorioso per le sue azioni.

La storia dimostra che così viene buttata la parte migliore e viene accresciuta la parte peggiore. L’uomo che segue la saggezza del Tao si sente un uomo ordinario perciò nessuno conosce cosa si porta dentro, in quanto egli non si mette in mostra. Chi si pubblicizza troppo non è un uomo soddisfatto di se stesso, perché è soddisfatto solo quando gli altri lo lodano e lo apprezzano. Costoro tengono troppo all’opinione degli altri che diventano lo specchio della loro autostima.

L’opinione degli altri viene ricercata più di ogni altra cosa. Se gli altri li lodano stanno bene, perché il loro ego si nutre e si accresce con le opinioni degli altri. L’ego si nutre di menzogne e false convenienze perciò ci rende schiavi degli altri. Perciò se gli altri cambiano opinione, finisce subito anche la nostra autostima. Se non sappiamo entrare in contatto con il nostro essere facciamo questo fatale errore e diventiamo mera apparenza.

Il fatto di essere una persona speciale non riguarda gli altri, perché dipende da ciò che siamo e facciamo. Non siamo degli esseri straordinari perché abbiamo la considerazione degli altri ma perché siamo degli esseri unici che non hanno bisogno di provare nulla a nessuno. Se abbiamo bisogno di provarlo è segno che non siamo sicuri del nostro valore.

Il modo più facile per togliersi tutti i dubbi è quello di cercare una conferma del nostro valore nello sguardo dell’altro. Siamo così insicuri riguardo al nostro valore che cerchiamo solo quelli che ci dicono che siamo esseri importanti. Ma questo è solo un accordo di reciproca convenienza, perché ognuno dice solo quello che vuole sentirsi dire dagli altri.

Perciò quando ci dicono che siamo importanti è perché dovremo ricambiare il complimento affermando la stessa cosa: e questo anche se fossimo convinti del contrario! Nel gioco reciproco c’è sempre un patto - certo non esplicito - di gratificarsi reciprocamente, perciò ognuno loda gli altri per essere lodato. Dobbiamo sapere questa verità, ossia dobbiamo sapere che non possiamo diventare quello che già siamo.

Se la pensiamo diversamente siamo lontani dalla verità, perché la conoscenza procede lungo due percorsi ma la via che passa dalla mente degli altri è sbagliata. La via giusta è quella che si basa sull’esperienza diretta che consiste nel conoscersi direttamente. Se non ci apprezziamo noi stessi, come possiamo chiederlo agli altri?

Se non crediamo nel nostro valore, dobbiamo cercare un surrogato, e l’ego ha la funzione di essere il surrogato dell’io. Il Tao si oppone all’inganno dicendo che dobbiamo cercare l’essere vero, altrimenti nutriremo la falsa persona beata di essere in vetrina. In quel modo siamo solo una cosa, una merce da vendere o comprare perciò ci perdiamo nella perenne ricerca di chi ci gratifica meglio.

Il taoismo si oppone a questo modo perverso di vivere, perché così sprechiamo la nostra vita. La nostra energia va dispersa e non è usata per muoversi verso il centro del nostro vero essere. Un uomo che è alla perenne ricerca di se stesso impiega la sua energia per conoscersi e migliorare se stesso. Lui non disperde l’energia per sembrare straordinario agli occhi degli altri.

Lui sa cos’è veramente e cosa vale, perciò non lo deve dimostrare e non lo vuole ostentare. Rimane in silenzio e accrescere la sua vita. Se siamo esibizionisti siamo una merce e non siamo degli individui. L’individuo è nascosto nel profondo dell’essere dove vive la potenzialità più vera e straordinaria della nostra vita. L’essere interno è come un profondo abisso in cui si deve scendere, ma in quella profondità si scende sempre da soli. E non dobbiamo preoccuparsi di ciò che gli altri pensano o credono di sapere, perché così restiamo in superficie per ascoltare un vuoto brusio, e perdiamo l’interesse di scendere verso il centro dell’essere.

Quando mandiamo qualcosa verso l’interno non facciamo che inviarla verso la fonte dell’energia perciò la rafforziamo. Se mandiamo la parte peggiore verso l’interno rafforziamo il seme peggiore, e il negativo cresce dentro di noi fino a soffocarci, perciò la parte peggiore va ammessa e va mandata verso la consapevolezza.

Se una cosa viene spinta verso la coscienza, viene espulsa all’esterno e può venire eliminata. Invece di nascondere le parti migliori dobbiamo farle scendere in profondità per farle diventare le radici profonde del nostro essere. E da esse estrarremo le forze necessarie ad accrescere l’essere. Gurdjieff dice che non si diventa uomini se non si smette di essere delle scimmie, e la caratteristica delle scimmie è quella di imitare gli altri. La scimmia vive bene quando imita ciò che vede fare, e anche noi facciamo come la scimmia quando viviamo la vita degli altri.

Se viviamo, pensiamo e ci vestiamo come gli altri ci dicono di fare, diventiamo la brutta copia dei nostri idoli, perciò non sapremo neppure quali sono i nostri gusti e bisogni. Siamo degli imitatori del sentire e dell'essere degli altri, ma questa strada non porta da nessuna parte. Se restiamo sulla superficie delle cose ci dimentichiamo di essere venuti al mondo per sviluppare i nostri talenti. Noi siamo venuti al mondo per adempiere al nostro destino, e per divenire gli esseri che sono consapevoli e che cercano di accrescere la loro comprensione.

L’esistenza non è mai un’esperienza che si ripete uguale, perciò ognuno sceglie il sentiero che gli consente di sviluppare al meglio la sua unicità. L’arte di copiare gli altri è una via facile che non richiede sviluppi di alcuna abilità, perciò possiamo diventare meglio della scimmia. La scimmia fu punita perché si stava magnificando troppo davanti alle altre scimmie, perciò sembrò beffare il principe. L’esibizione veniva fatta a esclusivo vantaggio delle compagne a cui la scimmia voleva mostrare di non aver paura di nessuno.

Lei voleva solo rinforzare un pochino il suo prestigio, ma il fatto diventò un insulto per il principe di Wu che volle ucciderla per sanare l’offesa inferta al suo onore. Anche il signore di Wu non capì di essere spinto dal suo ego. Se non fosse stato spinto dall’egocentrismo avrebbe capito che la scimmia è solo un animale perciò non può agire per le motivazioni che spingono gli uomini. Un vero sovrano deve essere flessibile e deve capire questa differenza, perciò non può uccidere una bestia credendola crudele come una persona.

Le persone agiscono con l’intenzione di ferire o di offendere, ma l'animale è innocente perché viene spinto solo dall'istinto. Anche il principe può essere cieco e può venire dominato dalla sua ira. Quella povera scimmia non face nulla di malvagio ma cercò solo di divertirsi senza uccidere o ferire nessuno. Il principe si dimostrò un uomo infantile, arrogante, testardo e violento perciò si dimostrò un pessimo governante dalla mente ottusa.

Un uomo di saggezza sa come guardare e valutare ogni lato delle situazioni. Non si può diventare saggi se non siamo in grado di vedere le sfumature del mondo, e se non sappiamo metterci nei panni degli altri. Quel principe si dimostrò molto più irragionevole di una scimmia, infatti dimostrò di essere peggiore di una bestia. Queste cose furono ben comprese da Yen Pu’i che, per questo, decise di seguire la via che dimostra il possesso della vera intelligenza e abilità.

Buona erranza
Sharatan

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