martedì 6 giugno 2017

Continuità



“Voi sperimentate ciò che credete.”
(Jiddu Krishnamurti)

La mente detta e interpreta l’esperienza, la invita o la respinge. La stessa mente è il risultato dell’esperienza, ed essa può sperimentare o riconoscere soltanto ciò che le è familiare, ciò che essa conosce, a qualunque livello. La mente non può sperimentare ciò che non è già noto. La mente e la sua reazione sono di maggior significato dell’esperienza; e contare sull’esperienza come su un mezzo di comprendere la verità significa incappare nell’ignoranza e nell’illusione.

Desiderare di sperimentare la verità è negare la verità; perché il desiderio condiziona, e il credere è un’altra cappa del desiderio. Sapere, credere, convinzione, conclusione ed esperienza sono tutti ostacoli alla verità; essi sono la struttura stessa dell’io. L’io non può essere libero se non c’è effetto cumulativo dell’esperienza; e la paura della morte è la paura di non essere, di non sperimentare.

Se ci fosse la sicurezza, la certezza della sperimentazione, non ci sarebbe paura. La paura esiste soltanto nel rapporto tra il cognito e l’incognito. Il cognito cerca sempre di catturare l’incognito; ma può catturare soltanto ciò che è già cognito. L’ignoto non può mai essere sperimentato dal cognito; il cognito, ciò che è stato sperimentato deve cessare perché l’ignoto sia.

Il desiderio di sperimentare la verità deve essere ricercato e compreso; ma se c’è motivo nella ricerca, allora la verità non viene in essere. Può esservi ricerca senza un motivo, conscio o inconscio che sia? Con un motivo c’è ricerca? Se già sapete ciò che volete, se avete formulato un fine, la ricerca è un mezzo per conseguire quel fine, che è proiezione dell’io.

La ricerca si volge al piacere, non alla verità; e i mezzi saranno scelti in base al piacere. La comprensione di ciò che è non ha bisogno di motivi; il motivo e i mezzi impediscono la comprensione. La ricerca, che è consapevolezza senza scelta, non si svolge a qualche cosa; è essere consci del desiderio di un fine e dei mezzi per conseguirlo. La consapevolezza senza scelta porta la comprensione di ciò che è.

È strano quanto noi desideriamo la permanenza, la continuità. Questo desiderio assume molte forme, dalla più rozza alla più sottile. Quelle più evidenti, le conosciamo bene: nome, forma, carattere, e così via. Ma il desiderio più sottile è molto più difficile a scoprirsi e a comprendersi. L’identità come idea, essenza, sapere, divenire, a qualunque livello, è difficile a percepirsi e ad essere messa in luce.

Noi conosciamo soltanto la continuità e mai la non-continuità. Conosciamo la continuità dell’esperienza, della memoria, degli eventi, ma non conosciamo lo stato in cui questa continuità non è. Lo chiamiamo morte, ignoto, mistero e così via, e dandogli un nome speriamo in qualche modo di catturarlo, che è ancora il desiderio di continuità.

La coscienza di sé è esperienza, il dar nome all’esperienza e quindi il registrarla; e questo processo è in atto a varie profondità della mente. Noi ci aggrappiamo a questo processo di auto-consapevolezza nonostante le sue gioie passeggere, i suoi conflitti senza fine, la sua confusione e dolore. Questo è ciò che sappiamo; questa è la nostra esistenza, la continuità del nostro stesso essere, l’idea, il ricordo, la parola.

L’idea continua, tutta o in parte, l’idea che crea l’io; ma questa continuità porta forse libertà, nella quale soltanto c’è scoperta e rinnovamento? Ciò che ha continuità non può mai essere altro che ciò che è, con certe modificazioni; ma queste modificazioni non gli danno nulla di nuovo. Può assumere un mantello diverso, un diverso colore; ma è sempre l’idea, il ricordo, la parola.

Questo centro di continuità non è un’essenza spirituale, perché è ancora entro il campo del pensiero, della memoria e quindi del tempo. Può sperimentare soltanto la sua stessa proiezione e attraverso l’esperienza autoproiettatasi dà a se stesso ulteriore continuità. Così che, fino a quando esista, non potrà mai sperimentare al di là di se stesso.

Deve morire, deve cessare di dare a se stesso continuità attraverso l’idea, la memoria, la parola. La continuità è decadenza, e c’è vita soltanto nella morte. C’è rinnovamento soltanto con la cessazione del centro; pertanto rinascita non è continuità; pertanto la morte è come la vita, un rinnovamento d’istante in istante. Questo rinnovamento è creazione. (Jiddu Krishnamurti, La mia strada è la tua strada, Arnoldo Mondadori Ed.)

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