martedì 24 giugno 2008

La genetica e le scintille della mente


Nei giorni passati leggevo una notizia che mi faceva riflettere a proposito “dei mondi tratti da falsi principi”e sulle “prigioni immaginarie” cinte dalle “muraglie di ferro” del nostro pensiero, di cui diceva Giordano Bruno. Non sembri forte come affermazione poiché parrebbe che la teoria dell’evoluzione, su cui Darwin ha seminato e tanti altri hanno variamente raccolto, dovrebbe essere radicalmente rivista.
Dalla fine degli anni ’70 fino agli anni ’90 era prevalsa la tendenza evoluzionistica, soprattutto negli studi comparati tra etologia, biologia ed evoluzionismo di Richard Dawkins, sostenuti in “Il gene egoista” (1976 poi 1989) in cui egli afferma: "L'unità fondamentale della selezione, e quindi dell'egoismo, non è né la specie né il gruppo e neppure, in senso stretto, l'individuo, ma il gene, l'unità dell'ereditarietà." Per questo motivo “La qualità predominante di un gene che ha successo è l’egoismo senza scrupoli. E’ questo gene alla base della cattiveria nei comportamenti individuali [ …] Hanno sbagliato tutto. Sono partiti dal presupposto che la cosa più importante dell'evoluzione fosse il bene della specie (o del gruppo) invece che il bene dell'individuo (o del gene).” La prospettiva di Dawkins è rigidamente evoluzionistica, non vi è confutazione della selezione di gruppo, piuttosto l’evoluzionismo viene rinforzato nel gene che agisce in ogni modo possibile al fine della sua sopravvivenza, fino al punto di ridurre gli uomini a "macchine da sopravvivenza, robot semoventi programmati ciecamente per conservare quelle molecole egoiste note col nome di geni." La sua matrice è completamente atea, perché - come afferma ne “L’orologiaio cieco” del 1986 - “La selezione naturale è l'orologiaio cieco, cieco perché non vede dinanzi a sé, non pianifica conseguenze, non ha in vista alcun fine. Eppure, i risultati viventi della selezione naturale ci danno un'impressione molto efficace dell'esistenza di un disegno intenzionale di un maestro orologiaio; che alla base della complessità della natura vivente ci sia un disegno intenzionale, è però solo un'illusione”.
Gli studi sul linguaggio e sulla sua struttura di Noam Chomsky affermano invece che, il comportamento etico richiede abilità specifiche, di tipo essenzialmente cerebrale: i principi etici, lungi dall’essere riservati al campo della religione, sono delle componenti innate della neurobiologia cerebrale umana e costituiscono un software complesso, parallelo alle strutture del linguaggio. Questa concezione viene poi ripresa da Marc Hauser, con la teoria delle “menti morali” in cui il darwinismo viene diluito, affermando una funzionalità degli atteggiamenti etici che vengono premiati poiché “convenienti” alla specie.
Come afferma Antonio Damasio, se nessun comportamento intelligente vede l’esclusione del sistema limbico, che è la sede delle emozioni, e se il loro attivarsi è un mix di corteccia razionale e di nuclei emozionali, allora la conservazione biologica dell’individuo non esclude contenuti etici o emozionali. In questo senso i meccanismi adattivi, anche per gli psicologi cognitivisti come Steven Pinker dell’Università di Harvard, sono attuati per avere cooperazione e la cooperazione aiuta a mantenere la specie. Parafrasando Pascal si potrebbe affermare che il cuore conosce ragioni che la mente, a sua volta condivide pienamente!
Semir Zeki, uno dei più noti neuroscienziati viventi e fra i massimi esperti del sistema visivo, insegnante di Neurobiologia presso lo University College di Londra, nel 2003 in “La visione dall'interno. Arte e cervello” ha esposto un suo studio sul cervello, partendo dalla concezione che l'arte sia uno degli strumenti privilegiati per conoscerlo, perché gli artisti, prima dei neurologi, abbiano affrontato il problema di come il cervello percepisce il mondo, la luce, i colori, il movimento, e a quali regole è sottoposta questa percezione. "Non sono gli occhi che vedono - afferma Zeki - come tutti tendono a pensare, bensì il cervello." Il cervello visivo ci insegna due leggi fondamentali: la legge della costanza e quella dell’astrazione. In virtù della prima, l’oggetto percepito è salvato e colto nella sua interezza al di là del cambiamento; in forza della seconda il cervello, affrancandosi dai limiti del suo sistema di memoria, procede dai particolari al generale, quindi all’universale, dando vita a quelli che Zeki chiama concetti sintetici del cervello e che potrebbero corrispondere alle idee di Platone. “La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma piuttosto, come legna, di una scintilla che l’accenda e vi infonda l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità” affermava già Plutarco.
L’elaborazione degli ideali – afferma Zeki - è l’inevitabile espressione del nostro modo di acquisire conoscenza, che può gestire enorme masse di dati solo elaborando sintesi: Zeki conclude che siamo esseri essenzialmente sociali e che siamo legati ad un universale ideale di amore romantico, che è una costante di tutti i poeti di tutte le culture. Siamo esseri sociali nati per amare.
E’ del Nobel della medicina Roger Sperry, l’amara metafora della ruota, secondo la quale essa può accellerare o rallentare ma il suo corso è impresso sempre dalla sua geometria, da essa viene sempre determinato il suo comportamento. E con questo determinismo genetico Sperry rialza un’altra alta muraglia!
Alcuni ricercatori canadesi, studiando i collegamenti tra rischio di suicidio e abuso sessuale infantile, hanno potuto lavorare su una banca dati del cervello, la Quebec Suicide Brain Bank, un sistema online di istoteche neurologiche che raccoglie e distribuisce agli studiosi dei campioni su cui studiare. Facendo studi comparati tra cervelli di suicidi e cervelli di persone morte per cause naturali, hanno riscontrato differenze nell’assetto dei “markers epigenetici”, cioè dei rimodellamenti nella struttura della cromatina e che rappresentano una sorta di codice in grado di modulare l’espressione dei geni. Le alterazioni dello spettro della cromatina sono consuete in varie patologie umane, poichè sono sensibili alle influenze ambientali, specialmente nelle fasi precoci della vita, in cui le strutture vengo primariamente plasmate. Tutti i soggetti con variazioni avevano subito abusi sessuali nell’infanzia. Difficile diviene correlare le variazioni dei markers epigenetici con gli abusi, difficile tracciare un legame causa-effetto. Questo legame - secondo la dichiarazione di Moshe Szyf il responsabile delle ricerche alla McGill University – per il momento è stato dimostrato solo negli animali. Gli stessi ricercatori sono stati in grado di rendere reversibile il marchio epigenetico, in ratti con disturbi dell’attacamento, tramite somministrazione di farmaci che hanno modificato gli schemi di metilazione del DNA. Il futuro viene giocato sull’analisi molecolare ai fini della prevenzione di atteggiamenti autolesionistici in coloro che sono stati sessualmente abusati nell’infanzia.
Ma il bello è che l’atteggiamento dell’iniziale gene egoista, del gene adattivo ed opportunista, si scopre che non è poi così immutabile e che le “muraglie di ferro” del nostro essere non sono poi così inviolabili.
Del 2008 è una ricerca dei ricercatori del Preventive Medicine research Institute di Sausalito, in California, con uno studio pubblicato da Proceedings of the National Academy of Science (Pnas), secondo cui dieta e movimento fisico sono in grado di spegnere più di 450 geni "cattivi" e ad accenderne di buoni. Cito dal Messaggero del 22 giugno: “I ricercatori hanno studiato trenta uomini con un basso rischio di cancro alla prostata che si sono sottoposti volontariamente a tre mesi di grossi cambiamenti nello stile di vita, da una dieta ricca di verdura e legumi a una passeggiata di un'ora e mezza al giorno a un'ora al giorno di rilassamento e meditazione antistress. La "terapia" ha avuto successo non solo nell'aspetto esteriore dei soggetti, ma anche nelle biopsie delle loro prostate: i ricercatori hanno infatti trovato modifiche nell'attività di 501 geni, di cui 48 si erano "accesi", e 453 invece si erano "spenti". Di questo secondo gruppo fanno parte diversi geni noti perché promuovono i tumori. «E' una scoperta interessante - dice Dean Ornish, che ha condotto lo studio - perché spesso la gente afferma "cosa ci posso fare? E' nei miei geni". Invece abbiamo dimostrato che può fare molto».
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami

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