mercoledì 12 novembre 2008

Lo scambio del libero ed il servo arbitrio


Non volevo parlare di Eluana Englaro, ma lo faccio perché sono indignata, perché il viso di quella ragazza, il viso bello e sorridente, quegli occhi luminosi, quel sorriso radioso che vedo nelle foto, mi convincono sempre più che è vero quello che di lei, dice suo padre. Lei era libera come il vento, era fatta per volare, per correre, per ridere, per essere felice, non per essere prigioniera. Lei non può essere intrappolata in un corpo, come una crisalide nel suo bozzolo, una povera crisalide che non diventerà mai farfalla, perenne crisalide da 16 anni.
Non immagino quanto possa costare ad un padre, assistere impotente alla violenza quotidiana della volontà e del libero arbitrio di una figlia amata. Non immagino quanto possa costare chiedere la morte della persona che si ama, perché sappiamo che per lei è meglio così. Sarà facile chiedere che un essere amato, possa morire definitivamente?
Questa ragazza è diventata un simbolo suo malgrado, e per questo un uomo pieno di dignità, è costretto davanti alle telecamere, e deve vedersi sezionare, dagli occhi impietosi di noi tutti, per portare avanti la battaglia di libertà per sua figlia. E’ evidente che non ama le luci della ribalta, ma è sicuro che l’amore per Eluana ha dimensioni enormi, quelle dei grandi amori, quelli veri, quelli che vedono solo il bene dell’altro; per questo lotta affinchè sua figlia sia liberata.
La lotta è dura, perché dietro il “caso Englaro” - destinato ad essere un precedente giuridico - si nasconde il gioco più grande dell’autodeterminazione, cioè si gioca la partita delle libertà fondamentali del cittadino, di quelle che definiscono i diritti che i cittadini possono rivendicare e di cui lo stato deve garantire il rispetto. Stiamo attenti perchè qui si gioca il diritto al libero arbitrio e la domanda sorge spontanea: ma io sono o no, padrone del mio corpo? Mi è concesso di esercitare la forma più elementare del libero arbitrio, cioè l’affermazione di volontà? Se ciò non avviene, allora mi hanno scambiato il libero con il servo arbitrio. Se non sono libero incondizionatamente, ma solo in modo ridotto e condizionato, la stessa presenza di condizioni, nega ogni possesso di una piena libertà e afferma un asservimento della mia libertà ad una autorità esterna.
E qui casca l’asino, perché “E’ da quattro legislature che il testamento biologico è all’ordine del giorno nel nostro Parlamento. Questo ritardo è gravissimo. In altri Paesi hanno iniziato a occuparsene un quarto di secolo fa e hanno la legge da tempo - così dichiara Ignazio Marino, senatore del Pd e capogruppo in Commissione sanità, autore di disegni di legge sulla materia - proprio così, ma il problema delle terapie di fine vita non è più rinviabile. Oggi decidono medici e rianimatori, invece occorre una legge che dia garanzie, che rispetti la volontà del singolo. Non può essere lo Stato a decidere, la morte è un fatto personale.
Lo ha anche sancito la Corte suprema degli Stati Uniti nel 1987. Non si può non tenere conto di alcune cose fondamentali: da un lato si allunga la vita media, dall’altro aumenta la possibilità di avere tecnologie per supportare funzioni vitali. Ebbene, i Padri Costituenti nel ’47 definirono il diritto alla salute, ma non il dovere alle terapie: un concetto avanzatissimo. La Costituzione prevede, con l’articolo 32, la libera scelta sui problemi di salute. Certo, cinque anni prima dell’invenzione del respiratore automatico e 15 anni prima della nutrizione artificiale i padri della Costituzione non sapevano che si può restare in vita senza parlare. Per questo non hanno previsto il consenso esplicito alle cure. Le volontà per il fine vita devono essere scritte e possibilmente va nominato un fiduciario, io nominerei una persona che mi ama e che io amo e che si prenda la responsabilità di far rispettare la mia volontà. Questo serve quando una persona non ha più una ragionevole speranza di recupero dell’integrità intellettiva. C’è chi vuole renderle sempre e comunque obbligatorie, ma quando una persona è alimentata artificialmente quella è terapia e per me non può essere obbligatoria. Nè ci può essere una legge che obblighi a infrangere l'alleanza tra medico e paziente”.
In questi giorni la Chiesa cattolica interviene con decisione sul caso di Eluana, dichiarando: “E’ una mostruosità. Privarla dell’idratazione e dell’alimentazione significa ammazzarla, è una cosa disumana". Questo è il messaggio lanciato tramite il cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio Consiglio per la Salute.
Io non sono sicura che è la cosa che avrei voluto sentirmi dire, e non credo che abbia fatto bene al padre di Eluana la durezza di queste parole. Le ho trovate dure, perché ho immaginato come sarei stata io, se fossi stata nei panni di quell’uomo. Sono panni scomodi, e lui aveva bisogno di ben altre parole, andava piuttosto consolato per il suo dramma, e non condannato.
Dalla Santa Madre Chiesa avrei voluto sentire ben altre parole, avrei voluto sentire qualcosa di diverso, come per esempio... “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili.[…] Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto.[...]
Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna […] Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà […] Ogni essere umano ha il diritto al rispetto della sua persona; alla buona riputazione; alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e dal bene comune; e ha il diritto all’obiettività nella informazione […] Ognuno ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza; e quindi il diritto al culto di Dio privato e pubblico. Infatti,come afferma con chiarezza Lattanzio: "Siamo stati creati allo scopo di rendere a Dio creatore il giusto onore che gli è dovuto, di riconoscere lui solo e di seguirlo". Questo è il vincolo di pietà che a lui ci stringe e a lui ci lega, e dal quale deriva il nome stesso di religione. Ed il nostro predecessore di i. m. Leone XIII cosi si esprime: "Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che mantiene alta la dignità dell’uomo, è più forte di qualunque violenza ed ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe carissima ognora. Siffatta libertà rivendicarono con intrepida costanza gli apostoli, la sancirono con gli scritti gli apologisti, la consacrarono gran numero di martiri col proprio sangue".[…]La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno. Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse.[…] L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di esseri ragionevoli e liberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve, quindi, in primo luogo, fare appello alla coscienza, al dovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamente il suo contributo al bene di tutti. Sennonché gli esseri umani sono tutti uguali per dignità naturale: nessuno di esso può obbligare gli altri interiormente. Soltanto Dio lo può, perché egli solo vede e giudica gli atteggiamenti che si assumono nel segreto del proprio spirito.”
Queste sarebbero le parole giuste, queste sono parole adatte, queste sono le parole contenute nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXXIII.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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