venerdì 5 marzo 2010

L’infinito sapore dell’insapore


In occidente possediamo un termine che viene detto “sviluppo personale” e costituisce un processo di preservazione e di depurazione della persona: in questa convenzione vi è molto di quello che conosciamo come pratica taoista. Nell’uomo esiste l’alternativa tra il disperdio delle forze vitali spingendole fino all’esito esiziale, fino alla fatalità della morte oppure all’elevazione del Tao della Saggezza.

Come si può decantare un essere fisico per “conservarlo” nel suo rigoglio e, così garantire un pieno regime taoistico di vitalità? Secondo Zhuangzi, o Chuang-Tzu, l’autore del Zhuang Zhuo, un testo risalente al 370-286 a.C., noi dobbiamo sbarazzarci di tutte le attività e di tutti i saperi che non concorrono a questo effetto, e che non servono a tale finalità.

Colui che “accede alla vera comprensione di ciò che costituisce il destino” non si occupa di ciò che resta senza effetto ai fini di tutto questo: perciò fa piazza pulita di tutte quelle considerazioni che non sono buone o legittime a tale obiettivo. Se per nutrire la nostra forma fisica è necessario poter godere di beni materiali, è pur vero che possiamo godere di un eccesso di risorse e di beni materiali, senza riuscire a “garantire la nostra vitalità.”

Certamente non bisogna rinunciare alla nostra forma fisica, ma dobbiamo farlo senza che vi sia una “dissociazione della nostra forma fisica” perchè, può accadere di poter perdere malgrado tutte le nostre cure, la nostra vitalità. Zhuangzi ci avverte che nutrire la forma fisica non è sufficiente a nutrire la vitalità, essa è una condizione necessaria ma non sufficiente perchè serve ancor più, infatti nessuno elemento spirituale può essere separato dal corpo materiale. E’ questo il dilemma di come poter passare dal corpo a ciò che concepisco come “la mia vita.”

La soluzione consiste nel concepire ciò che può trascendere la forma fisica, cioè come vitalizzarla ed energizzarla, senza soffrire della dissociazione e poi, saper sperimentare tutto ciò nell’esperienza, e nell’azione reale facendo la fusione del fisico e dello spirituale. Come trovare il punto d’appoggio e come tentare un’elevazione che faccia attuare il “salto” qualitativo? Il pensiero cinese conosce uno stato transitorio del tempo che chiama il “sottile” e che non lascia i confini del tempo permanendo nel campo del fisico e del concreto.

Nel sottile vi è uno stato raffinato ed elevato, che è affrancato da ogni pesantezza, da ogni limite e da ogni opacità della forma concreta. Il pensiero cinese si è sempre molto appassionato allo studio di ciò che è sciolto e decantato, da ciò che è reso più “vivo” e più disponibile, da ciò che è meno reificato da contaminazioni: qui è la manifestazione dell'essere al massimo del suo effetto.

Nell’estetica cinese vi è l'attrazione per l’ebbrezza del vuoto, così come viene manifestato dall’infinito sapore dell’”insapore” e anche dai suoni e dalle raffigurazioni pittoriche, in cui si descrive uno stato di transizione tra il silenzio e la sonorità nella musica, tra il vuoto e il pieno nella pittura.

Nell'estetica cinese vediamo forme o suoni appena abbozzati e che quasi fuggono, sono degli elementi potenti e intensi nel loro ritrarsi. Vediamo forme appena abbozzate che appaiono in modo diffuso, forme pregnanti e pervasive, ma sono delle forme che possono emanare indefinitamente.

Lo stadio del sottile è la strategia della flessibilità e della duttilità, ed esso esiste in una manovra che deve operare a monte delle disponibilità ad essere, e che perciò ci rende relativamente inerti. Io, sapendo restare all’erta, pur nella mia placidità, divento impossibile da colpire per l’avversario e, nel contempo, per l’estrema reattività che mi è propria, il mio potenziale risulta perennemente rinnovato perciò, stando apparentemente immobile io mi ricarico.

Il mio avversario, invece, resta impacciato e bloccato dalla rigidità dei suoi piani strategici e dei suoi ordini mentali. Io, immobile, mi mantengo allo stadio agile del virtuale mentre l’altro, il mio avversario, è ridotto ad incagliarsi alle rive fangose, perciò resta impantanato nelle secche dell’attualizzazione: è così che lui mi offre una presa! E’ questo lo spirito di tutte le arti marziali cinesi: questa è la vera essenza della marzialità!

E lo Zhuangzi offre le pratiche più concrete a questa finalità di comprensione: è questa “l’essenza” o la “quintessenza” o il “fiore” o “la prima scelta” la “selezione” e “l’energia:” questo è lo "jing". Jing è un termine che è ascritto al campo fisico ma con modalità raffinata, perché originariamente designava un chicco di riso scelto e brillato, e reso il “fior fiore di.”

Jing designa, sia lo sperma umano ma anche lo spirito del vino, come pure ogni materia che è stata decantata e assottigliata fino al punto di diventare pura energia, e che riesce a dispiegarsi per comunicare ovunque il suo effetto: jing si oppone al tangibile come pure all’opaco, all’inerte, al torbido e al grossolano.

Noi occidentali pensiamo a questi concetti come a dei residui di mentalità arcaica, perciò dimostriamo di considerare il recupero di ciò che può renderci più liberi e vitali come un fattore di ottusità ma è vero l'esatto contrario. Viviamo nel rimosso di ogni nostro fondamento come se questo fosse un fattore d’intelligenza, e questo noi lo crediamo fermamente, mentre la realtà ci mostra tutt'altro. Questo viene definito intelligenza!

Noi, che ci sentiamo superiori, non sappiamo neppure valutare una teoria a seconda dei danni o dei vantaggi che essa ci procura, perciò sarebbe ormai vitale recupare la nostra vera “quintessenza” sia in senso concreto che in senso figurato. Se fossimo del partito di coloro che aspirano ad accettare tutto ciò che appare come vantaggioso e benefico, senza stare tanto a sottilizzare sulla sua provenienza allora, a questa quintessenziale intelligenza sul modo migliore di vivere, utilmente potrebbe contribuire Zhuanzgi.

Buona erranza
Sharatan

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