martedì 15 febbraio 2011

Per vivere nella situazione


“Le opere d’arte, il più alto livello di produzione spirituale,
piaceranno alla borghesia, solo se saranno in grado
di generare direttamente della ricchezza”

(Karl Marx)

Credo sia evidente come il nichilismo e l’utilitarismo uniti al capitalismo sfrenato possano deflagrare ogni significato del vivere umano, perché se gli occhi vedono l’uomo come privo di qualità, e se la realtà è tutto ciò che è, solo in funzione del profitto concreto, allora ogni vivere sociale diviene impossibile. Secondo Miguel Benasayag, una filosofia di vita in cui l’utilitarismo riduce l’uomo come un automa può creare solo esseri in cui abita la morte; ecco perché queste teorie sono ostili alla gioia di vivere, e perché nutrono l’uomo con delle “passioni tristi” mentre lo tengono impegnato in una corsa folle priva dell’obiettivo finale.

Nella nostra società, in cui l’uomo vive per la sopravvivenza minima, vediamo il contesto in cui nell’essere umano viene uccisa ogni libertà, ogni vita e ogni gioia, perciò gli viene sottratta tutta la sua energia vitale. Essendo giunti a questo punto, dice Benasayag, oggi “si tratta di sviluppare una filosofia e una prassi che, parlando alla quotidianità dell’essere, ci permetta di rovesciare la struttura sociale spettacolare“ ed è necessario che l’uomo rivendichi la sua vita ripensando alle strutture che condannano all’astrazione e al disconoscimento della realtà in cui siamo collocati. Se vogliamo ricostruire una trama dobbiamo iniziare dal quotidiano, perché la vita va risanata usando dei principi reali e delle azioni immediate per avere dei risultati concreti, perciò è urgente ritrovare la percezione del nostro essere come entità fisica.

Infatti si tratta di ripensare la vita reale, perché la realtà è connotata da situazioni, cioè da contesti che non dipendono da noi, ma che costituiscono il tessuto del nostro vivere, perché riprendere il controllo significa essere vigili alle situazioni, infatti le nostre azioni acquistano una maggiore efficacia strategica. Ripensare la libertà è possibile se sappiamo ritenerla diversa dal dominio, perché noi siamo liberi quando comprendiamo che la realtà non è uno strumento, ma è il contesto in cui siamo inseriti, e in cui abitiamo nel corso del vivere, e le nostre situazioni sono le relazioni familiari, i rapporti lavorativi, il rapporto che viviamo con il nostro corpo, perché sono i vari contesti in cui l‘uomo si confronta con le sue passioni, con i suoi interessi e con tutti i livelli del suo vivere.

Nella confusa realtà odierna, la strategia giusta, dice Benasayag, è riuscire a vivere bene nelle nostre situazioni, e saper vedere la vita come un’insieme di situazioni in cui siamo inclusi, perciò dobbiamo vedere come la realtà sia una complessità con una sua struttura indipendente dalla nostra volontà egocentrica. Ma, per saper rifondare il nostro pensiero, e imparare a “pensare in termini situazionali” questo implica che dobbiamo eliminare l’equivoco preliminare che crede l’uomo come il soggetto assoluto, in quanto così indeboliamo la società fondata sull’egocentrismo.

Queste teorie della situazione, dice Benasayag, corrispondono al pensare e all’essere presenti nella consapevolezza della fragilità umana, perché è così che possiamo accogliere la bellezza della “quotidianità dell’essere” per cui vediamo l’esistenza dell’universale anche nel vivere concreto. Sentirsi una fragile essenza umana diventa una ricchezza, perché ci insegna ad usare il pensiero in modo più profondo e denso, perciò entriamo nel tempo in cui non vi è alcun Dio o giudice che può condannarci perché noi siamo già denudati. Se noi diventiamo una pura essenza nel nostro “essere nel mondo” diventiamo la molteplicità tra le molteplicità, perché siamo degli atomi dell’universo, quindi sappiamo che è nella nostra essenza materiale che spira, in forma concreta, tutto il soffio della trascendenza.

Benasayag ricorda che anche Spinoza diceva che, l’universale concreto è quello che ci permette di pensare al tutto come a un elemento della parte, perciò sarà evidente che non esiste un universale se non inserito nella situazione, che diventa un tutto in scala ridotta. Poiché Damascio Damasceno affermava che: “L’essere è l’attività dell’ente, che coincide con l’essenza” sarà anche evidente, che l’essenza della cosa è ciò che essa è, ed il permanere dell'essenza sarà dipendente dal suo modo di essere e dalla sua attività, perciò da quella che è la sua tendenza a essere.

Uscire dall’utilitarismo equivale all’abbandono del concetto della nostra utilità personale, anche per le situazioni che viviamo in modo contingente, perciò comprendiamo che avere il potere non significa cambiare tutto a nostro capriccio, ma è sapersi chiedere con quale tipi di azioni ristrette abbiamo il potere di sviluppare la maggiore potenza del nostro potenziale nella situazione, e per la situazione. Questa capacità di intelligenza strategica ci fa trascendere nell’Adesso, infatti il presente ci libera dal pensare in termini di sfruttamento e ingiustizia, perché possiamo subito riprendere in mano le redini della nostra vita per diventare i soli padroni del nostro destino.

Assumersi un destino personale è giusto perché ci riprendiamo solo ciò che è nostro, compreso il peso di ciò che non abbiamo voluto ma a cui non ci siamo opposti, in quanto anche il non voler scegliere ha il suo valore. In questo senso avviene la riconciliazione tra il destino e le azioni umane, infatti il destino è un elemento e una tendenza delle situazioni ma non è una condanna, in quanto l’uomo ha sempre la libertà di praticare la strategia migliore, e resta sempre libero di fare questa scelta, ed è libero fino all‘ultimo respiro.

Tutta l’esistenza umana, diceva Sesto Empirico, è percepita intorno ai concetti che noi forgiamo, infatti sono le affezioni sensoriali che modellano il nostro mondo, e il “concepito” è frutto dell’elaborazione mentale, che viene dalla nostra strutturazione, che è sempre antropocentrica, perciò il soggetto giudica il mondo come se fossero cose che lo compongono intimamente: è questo il motivo per cui il “punto di vista” è soggettivo. Ma Sesto può essere smentito dall’obiezione che il soggetto è sempre incluso nel contesto e nella situazione che sta osservando, perciò anche il soggetto va incluso nella situazione stessa: questa obiezione indica che il “punto di vista”centrale è possibile solo nell'esame della situazione totale, e che non vi può essere uno sguardo completo usando la visuale di uno degli elementi.

I vari elementi possono percepire la situazione in modo diverso, infatti in ogni punto di vista vi sono sensibilità maggiori o minori, ma esse sono delle percezioni individuali che devono venire sempre innestate nelle situazioni, perché le situazioni seguono un loro corso autonomo. E’ in questo contesto che superiamo il soggettivismo dei vari gradi di sensibilità e intensità di vivere, per ammettere che esiste la verità assoluta solo se è relativa alla soggettività dell’essere umano. Perciò non si tratta di accettare che esiste quello che viene percepito dal singolo, ma si tratta di definire con quale potenza ciò che esiste, esiste nella situazione: perciò bisogna ammettere che esiste qualcosa che è dotato di potenza e di efficacia maggiore, poiché ogni situazione ha delle potenzialità evolutive che possono essere utilizzate meglio dall’essenza per permanere in vita.

Questa concezione dinamica delle situazioni è il superamento della verità statica, perché la verità diventa l’esigenza del divenire, perciò essa vive nello sviluppo della situazione, infatti nelle situazioni vi è sempre una potenzialità evolutiva, ed è il nostro sguardo che sceglie in relazione alla quantità di realtà che riesce a percepire. Gli uomini sanno che è l’incontro con una verità, dice Benasayag, che è il punto di partenza per lo sviluppo e il riordino delle attività umane, infatti è così che nasce l’esigenza evolutiva che è sempre permanente all’interno di ogni situazione. E‘ questa esigenza evolutiva che ci permette di manifestarci, perciò la verità vive nella dinamica in cui vanno inseriti gli “enunciati dell’essenza“ che sono il senso del nostro agire.

L’esistenza della prassi, perciò l’agire, non è sempre collegato al grado di coscienza dell’essenza, perché una “prassi” non ha necessariamente la necessità di essere capita o giustificata, infatti l’uomo non sempre partecipa con il pensiero alla creazione del senso delle sue azioni. Non solo l’uomo non domina il suo linguaggio, ma l’essere umano riesce a spingersi fino a possedere delle verità che non riesce a comprendere e conoscere, infatti anche Spinoza parlava dell’automa spirituale che è il contesto “in cui non siamo noi ad avere delle idee, ma sono piuttosto le idee ad affermarsi in noi.”

E’ solo la “malafede” umana che invoca le determinanti delle situazioni come alibi per sfuggire alle esigenze che le situazioni richiedono, perché è la codardia che spinge al collaborazionismo e al conformismo di chi invoca come giustificazioni il “dover obbedire agli ordini” e “come potevo oppormi?” E’ la totale inerzia delle “passioni tristi” che condanna gli individui all’impotenza, sebbene si venga pressati dalle esigenze più urgenti. Se la vita umana fosse improntata all’utilità non potremmo capire il coraggio, la passione e la generosità umana, perciò se la logica della vita umana fosse solo utilitaristica ci dovremmo chiedere perché esistono la poesia, la musica, la solidarietà, l’amore e il rispetto tra gli uomini, e dovremmo dimostrare l’utilità di queste cose così astratte e così inutili.

Per saper vivere un utilitarismo “alternativo“, dice Benasayag, è necessario capire che la radicalità del vivere umano passa attraverso la nostra fragilità per cui diventiamo capaci di difendere la vita e la gioia in forza del nostro valore minimo, perché comprendiamo che la vita è solo un breve passaggio, perciò i suoi valori fondamentali vanno ben oltre ogni utilità concreta. La nostra fragilità ci insegna ad apprezzare l’inutile che è nella poesia, nella musica, nella solidarietà, nell’amore e nel rispetto tra gli uomini, nell’ammirazione delle bellezze della natura e nella tenerezza e la protezione che dobbiamo ai fratelli minori delle specie animali. E’ solo la forza contenuta nella fragilità, e non è certo la logica umana che ci fa comprendere come siano questi i valori che vanno difesi, ma non perché sono utili, ma perché essi sono il mezzo giusto per conseguire un maggiore benessere futuro.

Buona erranza
Sharatan

2 commenti:

Laura G. ha detto...

Ieri ho scritto un pensiero nel mio sito e stamattina ti leggo trovando tematiche comuni che hai abilmente esposto; piacevole abbraccio vibrazionale. Perfetto questo post.
Rinnovo l'abbraccio vibrazionale in questo mio saluto.

Sharatan ain al Rami ha detto...

Grazie Laura per i tuoi complimenti, non è certo un caso se ci siamo incontrate. E' evidente che esistono vibrazioni che ne attirano altre simili, le nostre sono positive come puoi vedere.

Ti mando il mio abbraccio e il mio affetto
Sharatan