sabato 17 agosto 2013

La scala di Giacobbe



“Pranayama significa controllare l’energia nel corpo
e dirigerla verso l’alto attraverso la spina dorsale,
fino al cervello e al Centro Cristico, tra le sopracciglia.
Solo questo è il sentiero del risveglio.”
(Paramhansa Yogananda)

Un mito è una porta verso livelli di comprensione amplificata e il mito biblico di Giacobbe è uno dei più ricchi e complessi. Giacobbe è divenuto l’ingannatore che ha strappato al padre la benedizione destinata a suo fratello, e quando Esaù sa dell'inganno decide di vendicarsi e di ucciderlo. Giacobbe è avvertito dalla madre che lo manda a rifugiarsi in casa di suo zio, Labano, che vive a Carran. Così Giacobbe fugge da Betsabea e, andando verso oriente, cerca un rifugio in terra straniera.

Questo mito, secondo i cabalisti, esprime la perdita del sé espressa dall'esilio e dalla cacciata dalla terra natale, perciò quando Giacobbe va verso oriente espresso dal termine kedma, si allude all'oriente che significa sempre una caduta spirituale. Andare ad Oriente significa venire estraniati dal proprio ambiente naturale, infatti Giacobbe fugge perché si è isolato a causa delle sue menzogne.

Durante il viaggio giunse in un luogo ed era giunta la notte, perciò prese una pietra come guanciale, e cadde nel sonno. Nel sonno fece un sogno, in cui c’era una scala che poggiava sulla terra e giungeva al cielo, e sulla scala c'erano angeli che salivano e scendevano. Il Signore gli stava davanti e gli disse che l'avrebbe protetto e l'avrebbe aiutato a ritornare nella sua terra. Giacobbe si svegliò spaventato per la potenza del luogo e promise che quando fosse tornato, vi avrebbe eretto un tempio e lo chiamò Betel, cioé la Casa di Dio.

Nella Bibbia la condizione di Giacobbe viene descritta con "levado" che è tradotto con “restò solo” ma il termine esprime l'isolamento e la solitudine di chi ha smarrito la consapevolezza spirituale. Perciò il simbolismo della scala per giungere a Dio esprime il senso della caduta e della reintegrazione della consapevolezza. Secondo Annick di Souzenelle, il termine scala è costruito sulla radice s-k-l che si trova in tutte le parole che indicano la scalata, cioè scala, scuola e scheletro, perciò esprime quello che aiuta a procedere.

L'uomo si evolve tra cielo e terra, perciò il sogno di Giacobbe conferma l'immagine dei due poli del magnete cosmico entro i quali l'uomo deve essere una vibrazione. Se l'uomo perde il contatto con uno dei due poli viene a trovarsi fuori dalla corrente della vita. La colonna vertebrale è il luogo in cui scorre il fiume di fuoco delle energie vitali, perciò rappresenta il luogo in cui l'essere è invitato a salire lungo i gradini che ognuna delle vertebre simbolizza.

Ad ogni gradino che l’uomo riesce a salire, ad ogni stadio di conquista che egli riesce ad attuare riceve, a seconda della propria misura, una gradazione del fuoco dell’amore divino che può sostenere e che fluisce dal torrente divino. In cima alla scala sta in piedi l’Adam, l’uomo che trae il suo nome dal fatto di essere plasmato con argilla rossa, perciò Adam rappresenta l’Uomo Rosso.

Adam ha scambiato il ferro che dà il colore rosso al sangue con il Magnesio dell’albero verde che è l’angelo del gradino, e l’intensità dello scambio diventa tale che, alla sommità della scala, il ferro è diventato Oro. L’Uomo Verde è al-Khidr quello che, nella sura 18 del Corano viene incontrato da Mosè, ed è lo strano uomo che compie delle azioni apparentemente folli e ingiuste che si rivelano, in realtà, giuste e guidate dal Signore.

Con le sue azioni apparentemente folli, l’Uomo Verde mette alla prova l’intuizione di Mosè che era convinto di avere una grande saggezza. Giacobbe viene messo davanti alla scala che giungeva al cielo e, in cima, vede Yahweh, cioè l’Io Sono che ognuno di noi è chiamato a divenire. Anche Mosè vide uscire dal fuoco del roveto la medesima divinità che affermava di essere il suo Dio, cioè il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Anche Mosè ebbe la rivelazione che Dio è personale, e che quei patriarchi erano riusciti a diventare Figli di Dio.

Il Dio che parla a Giacobbe e che vede Mosè è Colui che rivela di essere l’Io Sono, cioè Colui che è l’Essere in divenire, perciò rivela di essere una divinità sempre presente per colui che è in cammino per diventare se stesso. La colonna vertebrale umana vede "Sedeq" o meglio la Giustezza come fondamento stesso di questa via regale, infatti se le energie salgono e scendono lungo la colonna dorsale diventano una forza che imprime il dinamismo alla vita umana.

Dopo la caduta, questa forza spinge l’uomo esclusivamente verso l’esterno di se stesso e lo mantiene in una condizione di asservimento e infantilismo. Ogni essere umano che fa circolare le energie nel suo corpo, fa circolare una linfa vitale, infatti alcuni rituali sciamanici usano dei riti di iniziazione in cui si fa scalare un albero.

Anche l’Albero della Vita del mito biblico da cui l’uomo fu allontanato, al momento della cacciata, e al quale furono messi come guardiani, dei cherubini con la spada fiammante è la medesima cosa. L’uomo venne scacciato dall’asse divino dopo aver subito la scissione tra il suo aspetto maschile e quello femminile, perciò venne scacciato dopo aver perduto una piena coscienza di se stesso.

L’uomo venne condannato a partorire se stesso con il dolore, perciò un parto doloroso accompagna la conquista della dimensione divina. Seppure fosse cacciato nell’oscurità del transito terrestre, l’uomo viene illuminato nell’ascesa della colonna vertebrale che diventa la via giusta per chi sa vedere il senso di quel cammino.

Gli indù chiamano la colonna vertebrale, Brahmadanda ossia il bastone di Brama, infatti lungo di esso risale la Kundalini ossia il Serpente di Fuoco che guarisce da ogni malattia e che dona la vita. La frase di Gesù che dice: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo” in Giovanni, 3,14, esprime il concetto del risveglio delle forze che sono dormienti nella colonna vertebrale.

Quando il Figlio di Dio è sceso ha tracciato la via attraverso la quale il figlio dell’uomo può diventare un dio, perciò se Gesù afferma di essere “la via, la vita” (Giovanni, 14,6) oppure “la porta” (Giovanni, 10,7) vuole insegnare questo. Lo stesso concetto è vissuto dagli indù che lo vedono come la capacità di catturare lo spirito nel corpo, e di incanalarlo lungo la spina dorsale per aprire i chakra che sono le porte energetiche ossia i centri di forza delle energie.

Le forze che sono catturate “si riversano nell’essere - dice Annick - al fine di portarlo per gradi successivi a partecipare pienamente dell’energia divina.” I 7 chakra principali si snodano lungo la colonna dorsale, dalla base del chakra fondamentale fino al chakra della Corona: tra essi si erge il chakra dell’ombelico, quello del cuore, quello della laringe e il chakra frontale.

Molti miti usano l’immagine della scala, della colonna o dell’albero per rappresentare questo concetto, mentre i cinesi usano il Tao cioè la via della riunificazione dei contrari: per i cristiani diventa il Cristo che afferma: “Io sono la via, la verità e la vita” in Giovanni 14,6. L’uomo è posto tra gli estremi della nascita e della morte, perciò questo è il primo simbolo della nostra dualità.

Tra questi due estremi si dipana la vita, perciò le porte della nascita e della morte diventano il luogo in cui la vita si incarna e il luogo in cui l’uomo deve trascendere la storia. Gli antichi romani adoravano Giano, una divinità che era rappresentata con una testa unica con due volti opposti. Uno dei visi era quello di un giovane mentre l’altro era quello di un vecchio, e la divinità era festeggiata ai due solstizi principali ossia nel solstizio d’estate e in quello d’inverno.

Giano insegnava il senso del tempo, perché il viso vecchio dice che il passato è quello che ha finito il suo corso, mentre il giovane rappresenta il futuro che appare sempre gradevole e pieno di promesse. L’unico viso che non si può rappresentare è quello del presente, perché il presente è sempre immateriale e inafferrabile. Nel presente avvengono le trasformazioni e si attuano le potenzialità, perciò il presente è inafferrabile essendo fuori dal tempo.

Il Cristo rappresenta il concetto inafferrabile che si rende afferrabile, perché l’Eterno divenne storico quando la divinità si rese mortale per indicare all’uomo la sua dimensione divina. Cristo rappresenta l’istante in cui l’uomo trova il suo vero volto, perciò solo nel presente si può vivere, a nostra misura, l’eternità. Quando l’uomo trova la dimensione della sua Coscienza Cristica, può superare il tempo pur vivendo nel tempo: l’istante diventa il momento cruciale essenziale dell’uomo.

La maggioranza lo rifiuta, perché è difficile vivere restando centrati nel momento presente. Il presente è legato per essenza all’eternità, perciò “il presente è il portatore dell’assoluto” ma l’uomo vive nella contraddizione di volerlo e di fuggirlo. L’uomo lo cerca perché il suo significato è impastato nella nostra essenza, ma lo rifugge quando pretende che sia la vita a donarglielo: lo ricerca all’esterno di se stesso e non lo cerca all’interno.

L’uomo cerca l’eternità ma la pretende dal passato in cui molti si rifugiano idealizzandolo, come fanno i vecchi. Oppure aspettiamo una realizzazione futura spingendo la felicità sempre più avanti, come fanno i giovani. Quando giunge l'istante di felicità si cerca di prolungare quel momento in eterno, perché si teme che la nostra gioia possa svanire.

L’uomo non sa vivere il presente, dice Annick, perché lo teme e lo fugge, ma facendo questo fugge anche da se stesso, perciò si distrugge. Anche il cristianesimo degli ultimi 10 secoli mostra la verità drammatica che si teme di abbandonare la tradizione per rinnovarsi, credendo che il futuro possa essere fatale. La vera tradizione non è legata al passato o al futuro, ma si realizza nel “momento profetico” presente che “s’immerge nell’atemporale e s’incarna nell’istante” dice Annick.

Il lato sinistro femminile del corpo è ontologicamente legato al passato che è l’origine dell’aspetto permanente, mentre il lato destro maschile rappresenta il movimento che ci spinge verso il futuro. La colonna vertebrale è l’istante perché è il luogo in cui possiamo risolvere le antinomie, infatti è il luogo dove possiamo riassestare l’essere essenziale, spirituale e divino. Se l’uomo non conquista un asse più equilibrato si escluderà dalla vita e si farà divorare dal tempo.

L’aspetto del tempo che divora è espresso nel mito greco di Crono che viene aiutato dai Titani a togliere il trono al padre Urano, il dio del cielo. Questo mito rappresenta il tema del tempo nei riguardi dell’eternità, perché il tempo presiede alla nascita, alla maturazione e alla ripetizione della vita davanti all’eternità.

Quando Crono divora i suoi figli vediamo il tempo che distrugge gli istanti, perché l'istante viene annullato quando è divorato dal futuro che lo fa diventare passato. Ma tutto non è perduto, infatti Gea la sposa di Crono, riesce a salvare uno dei suoi figli, Zeus. Zeus è l’istante che diventa immortale quando conquista la sua dimensione divina. Ogni istante viene salvato e reso all’eternità di cui fa parte, infatti Zeus restaura il regno di Urano perché la divinità presente in noi non si lascia divorare.

Zeus combatte aiutato dai Ciclopi, e ingoia i Titani che sono la violenza delle forze istintuali, perciò li getta con Crono nel fuoco dei vulcani. Il fuoco che arde all’interno della terra rappresenta il fuoco dell’amore che arde nell’interno dell’essere. Il fuoco evolutivo dell’amore purifica e libera, perché distrugge tutto quello che non fa parte dell’essere divino.

I Ciclopi sono esseri con un solo occhio in mezzo alla fronte, e la tradizione indù li associa a chi ha “il terzo occhio” che rappresenta l’essere con l’occhio spalancato della tradizione giudaico-cristiana. I Ciclopi sono le forze della Conoscenza che si rapportano al dio Shiva, che è uno degli dei della Trimurti induista, che ha due occhi normali e un terzo occhio al centro della fronte che usa per distruggere la creazione.

La distruzione di Shiva è la stessa che avviene con il passaggio tra tempo e non dimensione dell’eternità. L’eternità si crea con la successione di tutti gli istanti della permanenza, e da questa catena di istanti susseguenti si crea la dimensione del tempo, che è una parte dell’eternità. Ogni istante è pregno di eternità potenziale, dice Annick, perciò la vita è stata collocata nello spazio della colonna centrale su cui salgono e scendono tutte le energie.

La colonna vertebrale è il cammino verso noi stessi e rappresenta la via della nostra deificazione. Rappresenta il luogo d’incontro della dualità interiore maschile e femminile, cioè il lato incompiuto e il lato realizzato. Questo è il senso della riconciliazione tra maschile e femminile, perciò la colonna dorsale è dove inizia il processo del discernimento e della disidentificazione, e dove avviene la fase in cui raddrizziamo la schiena e ci eleviamo verso il cielo.

Risalendo la colonna dorsale, ad ogni vertebra liberiamo una diversa forma di energia, perciò ogni potere costrittivo viene eliminato e la luce che entra nella colonna ci conduce verso la luce dell’alto. Ma la colonna dorsale rivela anche tutte le liberazioni, le paure, i successi, i rifiuti, le tensioni e le sofferenze che sono causate dal nostro vivere come degli esseri squilibrati.

Buona erranza
Sharatan

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