martedì 27 ottobre 2015

Quando il sentiero si fa difficile



“Quando il mondo è pieno di malvagità,
trasforma ogni disavventura nel sentiero della Bodhi.”
(Atisha)

“Questo è il consiglio più schietto su come risvegliare bodhicitta: pratica il non causare sofferenza ad alcuno, a te stesso o ad altri e ogni giorno fai il possibile per essere d’aiuto. Se prendiamo a cuore questa istruzione e cominciamo ad applicarla, scopriremo che non è poi tanto facile. Prima di rendercene conto, qualcuno ci ha provocato e, direttamente o indirettamente, abbiamo causato sofferenza.

Perciò, quando l’intenzione è sincera, ma il percorso si fa accidentato, potremmo usare qualche supporto, qualche istruzione fondamentale su come alleggerire e rovesciare le nostre ben radicate abitudini di attaccare e biasimare. I quattro metodi per rimanere al nostro posto ci forniscono proprio tale supporto per sviluppare la pazienza necessaria per rimanere aperti a quello che accade invece di agire inserendo il pilota automatico.

Questi quattro metodi sono: non issare il bersaglio per la freccia, connettersi con il cuore, vedere gli ostacoli come maestri e considerare tutto quello che accade come un sogno. Primo, se non abbiamo issato il bersaglio, non possiamo essere colpiti dalla freccia. Questo significa che ogni volta che rendiamo la pariglia con parole e azioni aggressive, rafforziamo l’abitudine della rabbia.

Finché ci comportiamo così, senza dubbio, moltissime frecce incroceranno il nostro cammino. Le reazioni degli altri ci irriteranno sempre di più. Ma, ogni volta che veniamo provocati, ci viene offerta l’occasione di fare qualcosa di diverso. Possiamo rafforzare vecchie abitudini issando il bersaglio o possiamo indebolirle rimanendo al nostro posto. Ogni volta che sediamo fermi con l’irrequietezza e il calore della rabbia, ci dominiamo e ci rafforziamo. Questa è un’istruzione per coltivare la radice della felicità.

Ogni volta che agiamo per rabbia o la reprimiamo, aumentiamo l’aggressività, diventiamo sempre più simili a un bersaglio ambulante. E, con il passare degli anni, quasi tutto ci fa dar fuori di matto. Questa è la chiave per comprendere, a livello del tutto concreto e personale, come piantare i semi della sofferenza. Dunque questo è il primo metodo: ricordarsi che noi issiamo il bersaglio e solo noi possiamo abbassarlo. Comprendere che, se restiamo al nostro posto quando vorremmo rendere la pariglia, anche se brevemente, cominciamo a dissolvere uno schema di aggressività che, se trascurato, continuerà per sempre a ferire noi e gli altri.

Il secondo metodo è l’istruzione per connettersi con il cuore. Nei momenti di rabbia, possiamo entrare in contatto con la gentilezza e con la compassione che già abbiamo dentro di noi. Quando un pazzo ci ferisce, comprendiamo che non sa che cosa sta facendo. Possiamo entrare in contatto con il cuore e sentire la tristezza perché quella persona ha perso il controllo e si fa del male ferendo gli altri. Anche se abbiamo paura, possiamo non provare odio o rabbia. Piuttosto, ci sentiamo spinti ad aiutare la persona, se possiamo.

In effetti, un folle è molto meno pazzo di un sano di mente che fa del male, perché la cosiddetta persona sana è in grado di rendersi conto che agendo aggressivamente pianta i semi della sua stessa confusione e insoddisfazione. La sua attuale aggressività rafforza la futura e più radicata tendenza ad agire violentemente. Questa persona sta creando la sua telenovela personale. Questo genere di vita è colmo di dolore e di solitudine. Dunque, questo è il secondo metodo: connettersi con il cuore. Ricordare che chi fa del male non ha bisogno di essere provocato ulteriormente e dunque non farlo.

Il terzo metodo è l’istruzione su come vedere le difficoltà come maestri. Se non abbiamo un insegnante che ci dia istruzioni dirette e personali su come smettere di causare sofferenza, niente paura! La vita stessa creerà le occasioni per farci imparare come possiamo restare al nostro posto. Senza il vicino sconsiderato, dove coglieremmo l’opportunità per praticare la pazienza? Senza il prepotente in ufficio, come troveremmo l’occasione per conoscere l’energia della rabbia tanto intimamente che perda il suo potere distruttivo?

Il maestro è sempre con noi. Il maestro ci mostra sempre con precisione dove siamo, incoraggiandoci a non parlare e a non agire negli stessi vecchi schemi nevrotici, incoraggiandoci anche a non reprimerci, a non dissociarci e a non piantare i semi della sofferenza. Dunque, alla persona che ci fa paura o ci insulta reagiamo come abbiamo già fatto centomila volte o cominciamo a risvegliarci e a restare finalmente al nostro posto?

Proprio nell’attimo in cui stiamo per perdere le staffe o ritrarci nell’oblio, ricordiamo: siamo guerrieri in formazione a cui viene insegnato come stare seduti con l’asprezza e il disagio. La sfida è di stare e rilassarci dove siamo. Il problema con queste, come con tutte le istruzioni, è che abbiamo la tendenza a essere troppo seri e rigidi. Quando ci viene insegnato a cercare di rilassarci e di essere pazienti, diventiamo tesi.

A questo punto entra in gioco la quarta istruzione. È utile pensare alla persona arrabbiata, alla rabbia stessa e all’oggetto della rabbia come fossero un sogno. Possiamo guardare la nostra vita come un film in cui interpretiamo temporaneamente il ruolo del protagonista. Anziché darle tanta importanza, possiamo riflettere sull’insostanzialità della nostra attuale situazione. Rallentiamo e ci chiediamo:

“Chi è questo monolitico me che si sente tanto offeso? E chi è quest’altro che riesce a provocarmi tanto? Che cosa sono la lode e il biasimo che mi prendono all’amo come un pesce, che mi catturano come un topo nella trappola? Come mai queste circostanze hanno il potere di spingermi come una pallina da ping-pong dalla speranza alla paura, dalla felicità alla sofferenza?”

Tutto questo dramma della lotta del sé, dell’altro può essere considerevolmente alleggerito. Contemplate le circostanze esterne, come pure le emozioni e l’enorme senso dell’ego come passeggeri e insostanziali, come un ricordo, un film, un sogno. Quando ci svegliamo al mattino, sappiamo che i nemici del sogno sono l’illusione. Quella realizzazione recide il panico e la paura.

Quando ci ritroviamo catturati nell’aggressività, possiamo ricordare: non c’è alcun fondamento per attaccare o per reprimere. Non c’è fondamento per l’odio o per la vergogna. Possiamo perlomeno cominciare a mettere in discussione le nostre convinzioni. È possibile che, sia che siamo svegli sia che siamo addormentati, stiamo solo passando da uno stato di sogno all’altro?

Questi quattro metodi per rovesciare la rabbia e imparare un po’ di pazienza provengono dal Tibet, dai maestri della scuola Kadampa dell’undicesimo secolo. Queste istruzioni hanno incoraggiato i boddhisattva principianti nel passato e sono altrettanti utili nel presente. Questi maestri consigliavano di non procrastinare. Spingevano a utilizzare le istruzioni immediatamente, proprio oggi, proprio nell’attuale situazione.” (Pema Chondrom, Consigli a un guerriero compassionevole: avere il coraggio del Buddha nelle avversità della vita, Mondadori)

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