martedì 31 marzo 2009

La pecora belante diventa tigre ruggente


Una tigre, che faceva strage di greggi, venne uccisa dagli uomini del villaggio. Essa lasciò un piccolo tigrotto orfano e terrorizzato, che nessuno ebbe il coraggio di uccidere. Il tigrotto così fu adottato da un pastore, che lo mise in mezzo alle sue pecore. Quando l’orfano fu nel gregge, era tanto affamato, che iniziò a prendere il latte dalle mammelle di una pecora. Allora il pastore lo lasciò crescere con il suo gregge, trattandolo come un animale domestico. Così il tigrotto cresceva timido e pauroso, brucando l’erba come una pecora e credendo di vivere tra i suoi simili. Un giorno arrivò la notizia che un’altra tigre si avvicinava al villaggio per cacciare le greggi. Quando la tigre attaccò le pecore, riconobbe la piccola tigre tra loro e allora, rinunciando al suo pasto, afferrò il tigrotto per il collo e lo rapì, portandolo nella sua tana.

Quando si furono rifugiati nella foresta, la tigre cercò di spiegare al tigrotto la sua vera natura, ma quello belava terrorizzato e cercava di fuggire, per tornare al villaggio. Allora la tigre prese il tigrotto e lo portò fino al fiume e qui lo costrinse a specchiarsi nell’acqua, ed il piccolo tigrotto indietreggiò terrorizzato perché, nell’acqua aveva visto non una, ma due tigri maestose. Quindi il tigrotto si osservò con più attenzione e si chiese: ”Che cos’è che mi avviene? Chi sono veramente io?”

La tigre anziana lo riportò alla sua tana e gli offrì della carne fresca, ma il tigrotto non riusciva a cibarsene, perché era abituato al sapore dell’erba che brucava con le pecore del gregge. Allora poco alla volta, superata la ripugnanza iniziale, il tigrotto iniziò ad assaggiare la carne, perché alla paura iniziale era subentrata una profonda attrazione per l’animale che lo aveva rapito. Quando ebbe gustato quella carne, si svelò e ridestò la sua vera natura, che lo spinse a finire il pasto con grande piacere e con una bramosìa irresistibile che proveniva dal suo essere più profondo che vedeva la luce. Alla fine del pasto, il tigrotto emise un ruggito potente, che spezzò definitivamente l’illusione che lui fosse una pecora belante: da questa storia nasce la massima zen che recita ”la pecora belante si è trasformata in una tigre che ruggisce”.

La storia contiene un messaggio di speranza per tutti perché la tigre e non il leone, per gli orientali, è l’emblema del re degli animali. La pecora è l’emblema dell’umiltà, mentre la tigre è il simbolo dell’animale coraggioso, potente e rispettato. L’inganno della vita, fatto di sonno e di illusioni, ci tiene avvinti a sé, come se fossimo in balìa di un ipnotizzatore, di un mago da strapazzo, che ha convinto delle splendide tigri che esse sono delle povere pecore belanti e terrorizzate. Ma tutti gli uomini posseggono la natura del Budda, tutti sono stati creati ad immagine di Dio, tutti possiedono la libertà, la potenza infinita e illimitata dell’Atman.

Ma questo noi non lo sappiamo, e siamo convinti di essere in costante stato di bisogno, frustrati, sofferenti, vulnerabili e servili imitatori degli altri, pensiamo influenzati da mentalità gregarie, mentre invece come tigri siamo in grado di vivere liberi ed indipendenti. Per essere sicuro che la tigre non scopra la sua vera natura, l’ipnotizzatore la convince che è una pecorella notevole, ammirevole, meritevole di rispetto, molto interessante ma incompresa dalle altre e maltrattata rispetto a ciò che veramente meriterebbe. La tigre dormiente così diventa un ovino preda della vanità, del desiderio di piacere e di essere accettata, schiava dell’egoismo e della presunzione di essere una pecora facente parte di un gregge ordinato e bene organizzato: così la massa delle tigri anestetizzate vivono belando, tremando e brucando, immerse nell’ipnosi profonda.

Il senso che l’essere ha di sé, è svelato nel koan buddista, tramite l’immagine della tigre, lo splendido animale che può anche essere un guru capace di svelare l’inganno dell’ipnotizzatore, come fa la vecchia tigre. Anche se non tutti sono in grado di diventare discepoli spirituali, gli induisti e i buddisti credono che questo percorso deve essere affrontato nel ciclo delle morti e delle reincarnazioni: per queste religioni non esiste alcun inferno definitivo, perciò tutti possono e devono divenire dei candidati alla saggezza.

Il senso egoico, la coscienza abituale che un essere umano ha di se stesso è un’illusione, una suggestione di maya, che equivale al sonno imposto dall’ipnotizzatore. Abbiamo paura di scoprire il nostro vero viso, ma dentro di noi alberga ancora l’istinto della nostra vera razza. Il discepolo ha molta paura, per questo deve affrontare il suo viso riflettendosi nello stagno, solo così riconoscerà di non essere una pecora ma per farlo, deve iniziare a nutrire dubbi sulla nostra natura gregaria e coltivare la speranza di avere una natura felina. Questo passaggio è la vera iniziazione, solo dopo si potrà gustare il cibo di conoscenza, il nutrimento che farà risorgere la tigre che dormiva nel nostro cuore. Per questo si dice che quando il discepolo è pronto arriva il suo guru.

Il guru fornisce il giusto nutrimento tramite una dottrina di verità, che fa ridestare il discepolo e che lo fa risorgere alla sua natura divina: è un cibo per la testa, per il corpo e per il cuore. In seguito, quando i discepolo sarà “disintossicato” dai cibi nocivi che venivano erogati dall’ipnotizzatore, allora saprà apprezzare quel cibo “tonico” che ha saputo rigenerare la sua vera natura: allora non si esprimerà più con il belato degli ovini ma comincerà ad esprimersi da tigre, non avrà bisogno di belare, ma potrà ruggire, le sue azioni non saranno più sottomesse e timorose, ma fiere e indipendenti.

Bisogna capire che la vigilanza è l’unico antidoto agli incantesimi degli ipnotizzatori, perché essi ci inducono al sonno della ragione per mancanza di vigilanza, ma possiamo uscire da questo incantesimo riattivando la nostra vigilanza. Ma il discepolo è diviso tra la paura per la tigre e l’attrazione che prova per lo splendido animale, così che la tigre ci attira e ci terrorizza profondamente, perché abbiamo l’impressione che ne saremo divorati e che verrà a cadere tutta la nostra tranquilla vita gregaria. Siamo noi che ci facciamo indietro quando la natura della tigre cerca di uscire all’esterno. Eppure ogni uomo, senza eccezioni, ha in sé l’atman, la natura del Budda che è destinata a risvegliarsi: in ognuno, dietro al condizionamento della pecora, si nasconde il ruggito della tigre.

Buona erranza
Sharatan

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