sabato 9 ottobre 2010

L’aratura del campo autunnale


“Si sopravvive di ciò che si riceve,
ma si vive di ciò che si dona.”

(Carl Gustav Jung)

Nella spiritualità si insegna che la schiavitù è lo stato servile in cui un essere ha tagliato tutti i ponti con la sua identità, e con la libertà di esprimere ciò che egli è. Qualsiasi condizione in cui l’essere è passivo, qualsiasi circostanza in cui si impedisce all’individuo di agire liberamente è un esercizio arbitrario del potere del forte sul più debole. Per scuotere un dominio è necessario che sia lo schiavo a sentire che la catena è troppo stretta, e che il suo giogo è troppo oppressivo: nessuna liberazione e nessuna trasformazione viene mai imposta dall’esterno.

L’arte del volo spirituale richiede un dissodamento dei terreni interni con l’aratro della sofferenza che traccia i suoi segni sui tessuti dell’individuo. Con l’aratura si lavorano i campi per preparali alla semina che verrà in autunno, perciò la terra riceve la punizione del rivoltamento delle sue zolle, e del setacciamento delle sue fibre per eliminare i sassi e le radici dannose che sono nascosti sottoterra. Con l‘aratura noi prepariamo le meravigliose fioriture che verranno in futuro, e che saranno la giusta ricompensa del nostro lavoro.

Ci viene insegnato che la contrazione e la forzatura dei nostri movimenti energetici, e dei nostri atteggiamenti interiori impongono una desincronizzazione dell’ordine costituito, e inceppano il meccanismo ripetitivo con cui la realtà resta invariata volendo permanere al suo livello di funzionamento. Ci viene detto che il principio di inerzia equivale alla morte dell’organismo vitale, infatti esso è carente di fluidità, e la fluidità è la qualità costitutiva del cambiamento evolutivo.

E’ nel cambiamento che viene celebrata la vita: qui entra in gioco la nostra totale disponibilità ad accogliere le meraviglie e le gioie che ci può riservare il futuro, qui noi dimostriamo l’apprezzamento per le cose, e per le persone di cui ci circondiamo. E’ questo il luogo in cui sperimentiamo il livello delle cariche energetiche a cui siamo assonanti poiché, lasciare andare la realtà che noi conosciamo richiede una totale disponibilità a mettersi in gioco con spirito energico e volitivo.

Il lasciare andare si riferisce sia alla nostra personalità ordinaria di essere duale, ma si riferisce anche alla realtà conosciuta che limita il nostro sviluppo, e tutto ciò deve essere sostenuto da una ferma volontà di attuare quello che si pensa, usando la determinazione per proseguire con slancio verso la meta futura. Nessuno diventa migliore se non per merito di un duro lavoro con cui accresce le sue qualità facendo uno smussamento della sua materia grezza.

Sembrerà ridicolo, ma sviluppare la volontà è una delle capacità più straordinarie dell’essere umano, anche se sembra quasi impossibile comprendere l’efficacia di avere una volontà matura. Ognuno sarebbe equilibrato se non sorgesse l’incapacità di contenere lo scontento e il vuoto in cui viviamo, perciò nessuno comprende la necessità di sviluppare una volontà autonoma dagli avvenimenti. Questa è la condizione dell’essere umano che si lascia usare dalle emozioni invece di utilizzarle da padrone trasformandole in convinzioni che ci sappiano vitalizzare, autoalimentandosi del nostro Fuoco interno.

E’ chiaro che sarà la fame a farci comprendere la bontà dei cibi più semplici, come pure la carestia sa insegnare l’economia delle risorse di cui possiamo disporre, perciò è nella privazione che avvertiamo la necessità della trasformazione. Noi diamo tutto per scontato, ci lasciamo andare all’inerzia del vivere ripetitivo, finché qualcosa irrompe per distruggere le certezze della nostra normalità: questo è il punto in cui il dolore viene vissuto come un paradosso spirituale.

Per molti è un controsenso concepire come Dio possa infliggere le sofferenze all’uomo, infatti abbiamo dimenticato la concessione del libero arbitrio con cui l’uomo persiste in quello che vuole finché non decide di cambiare lavorando sui suoi atteggiamenti. Quando siamo disallineati dal percorso della nostra vita e dalla volontà del nostro desiderio, è allora che interviene un “evento correttivo” che si manifesta come prova fisica o morale, per insegnarci che dobbiamo cambiare il nostro percorso: questo è il solo uso utile del dolore, infatti soffrendo aumentiamo la comprensione.

Nell’essere umano convive la perfezione spirituale futura con l’adombramento della materialità corporea come conseguenza del compromesso che esiste tra le forze terrestri e quelle celesti che convivono in noi: è questa scissione che causa la sofferenza umana. L’apertura del cuore e l’abbandono della schiavitù che condiziona la mente ridesta la sensibilità femminile delle donne, e la parte femminile che vive nel maschile, infatti la spiritualità richiede l’accettazione della fragilità dell’essere sensibili e recettivi.

Ma nell'uomo esiste l’orgoglio che pietrifica ogni sentimento, infatti non accettiamo di sentirci fragili, poiché l’ego viene colpito nella sua invincibilità e nella sua prepotenza impositiva. L’amore con cui viviamo la vita non richiede alcun combattimento e nessun avversario da sconfiggere, ma richiede solo il coraggio di fare dei cambiamenti: è l’uomo che teme di perdere il controllo delle situazioni, e di restare privo delle sue certezze, quindi rinuncia ad agire per uscire dal suo torpore esistenziale.

E’ chiaro che nessuna via spirituale che sia dedicata al buon vivere può avere la meta ottimale nella sofferenza e nel dolore, infatti queste devono essere delle condizioni ridotte nel tempo, in quanto sono delle strategie transitorie. Nessuna disattenzione riguardo al ruolo che spesso l’Io egoista ed egocentrico si riserva di ricoprire, qualora restiamo a crogiolarci nel dolore come il masochista che si costruisce i più raffinati strumenti di tortura per prolungare il suo piacere distruttivo.

Il dolore è come un solco che viene tracciato dall’aratro che dissoda i campi poco curati, infatti essi divengono sterili per le concrezioni accumulate come sassi, sterpi e rovi: nel dolore vi è il segno che si sta preparando qualcosa di migliore, e che noi ci stiamo dissodando per un rinnovamento profondo. Molti insegnano che soffrire aiuta a crescere se conosciamo le cause del nostro dolore, infatti Gurdjieff diceva che solo il demente ignora il motivo del suo soffrire, poiché dimostra di avere una minore sensibilità dell’animale che si gira a guardare l'avversario che lo attacca.

Il dolore va osservato per conoscere il luogo da cui origina, ma poi lasciarlo dissolvere, perché esso deve servire solo per il risveglio. Nulla a cui neghiamo la presa può toccarci, infatti il dolore è come l’aratro che traccia la mappa delle nostre fragilità e delle nostre carenze, esso è un metodo per accellerare l'apprendimento. Scrivono che nulla è più sublime della fragilità e della disponibilità che dimostriamo quando usiamo la comprensione delle ragioni, e la compassione per le carenze sia nostre che altrui ma, alla condizione di lasciare andare il dolore che l'accrescimento di consapevolezza comporta.

Se noi siamo uno strumento musicale è possibile che le corde interne si siano indurite a causa del loro prolungato inutilizzo perciò, quando le riattiviamo sentiamo del dolore, così come lo sentiamo q1uando usiamo il duro giudizio per considerare i nostri errori, e questo avviene poiché la durezza non è adatta alla via spirituale che cura con l’amore. Nessuno di noi è eccezionalmente importante e nessuno è privo di significato, poiché ognuno è stato assegnato al suo posto giusto nell’ordine dell’universo, anche se la rifrazione materiale acceca la vista.

Nessuno può avere ragione nel suo giudizio se non conosciamo la meta finale, e se siamo accecati dagli aspetti irrilevanti della nostra personale realtà. Al sorgere del dolore osserviamo il luogo da cui originano i nostri timori, i nostri dubbi e le nostre incertezze per rendere omaggio allo spirito che accetta di confrontarsi con la sfida della materia, e alimentiamo il desiderio di conoscere ciò che preme per uscire alla luce del sole.

La pazienza che noi usiamo nel nostro lavoro, e l’accettazione di una lunga pratica come necessaria per apprendere non sarebbero possibili senza l’impulso del dolore che stimola l’ulteriore salto evolutivo, infatti gli “avvenimenti correttivi” che intervengono nella vita servono per inceppare il meccanismo in cui siamo inseriti e per rompere l’inerzia, affinché sia riprogrammato il sistema. E’ chiaro che solo l’anima individuale conosce il momento giusto in cui si sente pronta per ridestarsi, infatti ci svegliamo quando il nostro tempo è maturo.

Dobbiamo sempre ricordare che noi restiamo nella cecità finché non decidiamo di avviare il lavoro poiché, la volontà di traslazione spirituale compete al libero arbitrio individuale, e la vera ascesa deve essere compiuta nell’unione di corpo, di mente e d’anima. La nostra meta è nel godimento del vivere materiale con il più elevato spirito divino, ed è questo il miglior modo di vivere per l’essere spirituale che noi siamo.

Buona erranza
Sharatan

2 commenti:

Riyueren ha detto...

Arrivo qui seguendo un Dreamcatcher (stavo sistemando una foto su flickr e cercavo la traduzione in lingua Lakota: non l'ho trovata, ma ho trovato questo splendido luogo...evidentemente il mio Acchiappasogni ha catturato una buona cosa per me).In questo periodo, a proposito di "arature", ho non pochi problemi, anche agli occhi, così mi riservo di tornare e leggerti piano piano.A presto.

Sharatan ain al Rami ha detto...

Ti ringrazio per le tue parole tanto gentili e sono felice che tu abbia gradito le cose che scrivo. Sarò lusingata se vorrai seguirmi e commentarmi. Ti abbraccio con tutto il mio affetto.

Sharatan