sabato 12 febbraio 2011

Individui paradossali


"Non c’è un punto in cui sia possibile fissare i propri limiti,
in modo da dire: fino a qui sono io"

(Plotino - Enneadi)


Miguel Benasayag è un filosofo e uno psicanalista argentino. E’ stato in carcere per l’opposizione al regime militare argentino, e da oltre 30 anni vive in Francia dove insegna logica matematica e lavora come psicanalista. E’ animatore del collettivo “Maigré tuot”ed è uno degli organizzatori delle “Rete di Resistenza Alternativa” che opera in campo politico e sociale in Europa e in America Latina. Per la sua formazione è stata essenziale la militanza in gruppi di ispirazione quevarista, Benasayag è autore di un appassionante saggio in cui analizza quale tipo di individuo sia stato prodotto dalla società capitalistica occidentale.

Secondo Benasayag non possiamo negare la morte dei miti e delle illusioni, perché il presente è inquieto e lucido dei suoi mali, per cui è impossibile negare che l’ottimismo dell’età moderna ha ceduto al pessimismo dell’era post-moderna dove l’essere umano è impotente di fronte ad un mondo complesso, inquietante e sempre più virtuale anche nelle sue paure. La nostra è una realtà da cui si vorrebbe fuggire in cui l’uomo si sente piccolo e fragile, perché non può fare altro che guardare senza poter agire: è così che vive l’individuo moderno. Lo strano essere si sente isolato e si percepisce separato da tutto, perché nulla gli appartiene con certezza, perciò si aggira per il mondo come se gli altri uomini, gli animali e la natura fossero solo “una scenografia appositamente realizzata perché egli possa condurre tranquillamente la propria esistenza.”

La nostra è un’epoca di inquietudini e di “passioni tristi” perché tutto riduce la nostra potenza d’azione sul mondo, perciò la modernità ha creato un uomo che è l’animale irrealizzato” di una “umanità incompiuta” che non sa cercare il senso della vita, e che perciò non conosce il modo di collocarsi nel mondo. Il progresso con le sue “magnifiche sorti e progressive” ha alimentato sentimenti di disperazione, perché il tutto e la globalità sono “una disperazione davanti alla quale l’individuo esiste solamente come pura impotenza e desolazione.” La complessità del mondo è percepita in tutto “il tessuto dell’individuo” che “in ragione del suo incredibile intrico, ci rende incapaci di stabilire una via d’azione” per assumere il controllo di noi stessi e del mondo.

L’individuo è una creazione della modernità, dice Benasayag, ed è una entità che si autoproclama come “soggetto autonomo, separato dal mondo percepito come oggetto che può padroneggiare e fare suo.” Modernamente è avvenuto un arretramento verso “l’individualismo egoista” in cui ognuno guarda solo ai propri interessi e non percepisce dei legami sociali, viviamo senza alcun progetto economico e privi di una filosofia di vita. In questo senso non esiste alcun concetto di massa che si oppone all’individuo, perché l’individualismo egoista è “l’istanza fondamentale di qualsiasi massificazione” perciò diventa una cosmogonia e un potere. Se tutte le crisi sono connotate dal crollo delle fondamenta culturali della civiltà, la crisi della cultura capitalista sarà una fine paradossale, perché la nostra epoca si era illusa di decostruire i valori, abolire i principi e di eliminare i divieti e i limiti umani.

La cultura nata in Occidente in epoca moderna è stata definita “l’età dell’uomo” e inizia con l’azione che è temuta più di tutte, infatti ha voluto “la perdita del sacro.” L’uomo ha cacciato gli dei dal cielo per costruire una Torre di Babele usando la scienza e la tecnica, perciò l’uomo non conosce più dei principi più o meno sacri che si possano frapporre tra lui e il cielo. La libertà umana si è costruita sul dominio assoluto del mondo e della realtà: è il capitalismo che ha costruito questo individuo infelice e paradossale.

L’uomo è il soggetto su cui si costruisce tutta la realtà e intorno al quale tutto ruota, in quanto l’uomo è divenuto “chi non è ancora ciò che dovrebbe essere” della problematica di Heidegger, dice Benasayag, che è una teoria di estrema modernità, in quanto afferma la natura “dell’essere come essenza” e dell’”esser-ci” come tendenza fondamentale della natura umana. L’individuo moderno non si è ancora realizzato, perciò è molto melanconico nella sua incompiutezza che lo fa sentire sempre carente, infatti l’uomo vive solo nel tempo presente da cui riceve frustrazioni, oblii e carenze che non lo fanno sentire padrone del mondo, ma lo fanno vivere “sospeso in attesa” del suo compimento.

La completa completezza verrà quando si avrà la padronanza totale, perciò la libertà da ogni asservimento umano è un processo di cui godere solo nel futuro, dice Benasayag. Per l’uomo moderno le leggi, i limiti, e i principi etici sono una sfida che limita il suo potere, perciò averli in proprio dominio diventa la via per dimostrare che si sta avanzando verso il completo compimento futuro di libertà totale. La libertà dell’individuo che disprezza le regole è un dominio, perché l’individuo è un’organizzazione e una forma di dominio sociale basato su di una “deterritorializzazione permamente” come dice Deleuze, perciò essa è totale e totalizzante.

L’individuo non è un’illusione, egli è una “piega” di un tutto, è l’increspatura dell’onda, che è l’infima parte del tutto, in cui vi è anche un corpo che è materia ma, intorno a lui, vi sono altri molteplici che sono ognuno di noi. Le cosmogonie delle età non moderne vedono l’uomo come una molteplicità non numerabile, perciò come un molteplice che si intreccia agli altri molteplici, e che vive nell’infinito della creazione confuso in quella realtà essendovi incluso. L'uomo antico è consapevole della sua finitezza perché si sente solo un “accidente” dell’infinito. Il mistero umano è nella finitezza dell’uomo, poiché altro mistero non esiste in quanto, se la creazione è infinita, per l’infinito non esiste alcun limite.

Una persona, al contrario dell’individuo, dice Benasayag, è pensabile come diversa dall’una, perciò la persona è una non-unità, infatti non possiede sostanza, perciò non gli viene riconosciuta un’importanza tale da farla elevare per fargli godere di determinati privilegi individuali. La libertà nel mondo antico non significava che ci si poteva arrogare il diritto di sfidare le leggi e le regole, infatti la libertà non è una sfida alle situazioni, essa non è una potenza vitale che si sprigiona per ottenere sempre più sostanza esteriore. E’ questa limitatezza mentale moderna che non ci fa comprendere perché Socrate accettò di bere la cicuta piuttosto che fuggire, come molti volevano, ma perché decise che le leggi erano superiori anche alla voglia di vivere di Socrate, per cui si consegnò al suo destino.

L’uomo moderno è un individuo che sente la mancanza, perciò aspira solo alla fissità della pietra, ed esiste solo se può pervenire alle sua meta, che è l’ideale punto finale di un sentiero: l’idolo dell’uomo moderno è il sedentario che vive, che percepisce e che soffre ogni desiderio e ogni passione come se fossero delle dolorose prove che accentuano la propria incompiutezza che è una fondamentale carenza di essere, in un’esistenza segnata da perenne e ansiosa attesa. Il sedentario che “aspira ad essere” vive il presente come speranza, ed è la speranza dello schiavo che sogna la sua rivalsa e che consuma la sua vendetta nei sogni che vive come illusione di libertà.

L’uomo non moderno è una figura nomade per cui il divenire non è attesa passiva, infatti fare un percorso è mettersi in viaggio, e non corrisponde all’attesa inerte, in quanto la compiutezza si ricerca così che essa possa diventare una presenza percepita intimamente in ogni istante del vivere. La presenza dell’uomo moderno è l’istante che non assume alcuna forza e che non permane, perché è la tensione del passato che non c’è più, e del futuro, che deve ancora venire. Questo tipo di presente non riesce ad esistere, perché dilata il suo significato in un vivere annoiato, perché vi è noia in ogni attesa, perciò il presente moderno diventa una frazione di istanti che vengono assommati e accumulati in un continuo succedersi di noia, che è una catena che si snoda per tutta la vita.

Questo presente crea la vita inesistente dell’uomo moderno, che è un uomo ad una sola dimensione piena di paura, speranza, noia, angoscia e di tutti i timori dell’avvenire: perciò una vita che è dominata solo da paura e morte diventa una semplice sopravvivenza, dice Benasayag. Il presente del nomade è un presente che si dilata, perché è molto più ampio dell’istante presente, poiché caratterizza tutte le situazioni che viviamo e a cui partecipiamo, essendo dei molteplici in mezzo alla molteplicità. Questo presente è ricco perché è costruito da tutto il passato in cui sono le fondamenta di tutto ciò che noi siamo, ma il nostro presente possiede anche il compimento del futuro che si costruisce vivendo bene il presente, perciò nel presente vi è tutto il quadro della nostra rappresentazione.

Tra l’uomo moderno e l’uomo del passato è avvenuto il completo ribaltamento del “punto di vista,” perché per l’uomo moderno il solo punto di vista è il soggetto, che osserva il mondo come una realtà esterna ed estranea alla sua persona. La nostra cultura pensa al mondo in contrapposizione all’uomo, perché il soggetto e l’oggetto sono due realtà contrapposte, infatti riusciamo a creare anche un mondo virtuale che è sempre più distante dalla vita concreta, perciò fa divenire sempre più complessa la nostra vita. Da ogni messaggio esterno giunge l’immagine di un mondo che minaccia l’uomo ingenerandogli paura e impotenza, perciò non resta altra via che rifugiarsi nei sogni o cadere negli incubi del potere.

In questa realtà vivono individui di “arroganza monolitica” che si sentono padroni dell’universo e, per cui il loro vissuto personale diventa una verità assoluta. Questa manovra egocentrica è una mossa astuta perché, se ognuno ha la sua verità, la verità diventa tutta relativa perciò non esistono delle basilari verità umane che siano in difesa della vita. Un mondo di questo genere crea degli attori protagonisti che riducono gli altri al ruolo di comparse, infatti si vive nel mondo personale di verità personali, e l’uomo vive di grandi sogni, ma poi riduce tutta la vita alla normalità quotidiana e ricade nella sua routine. L‘uomo moderno è quello che si scandalizza per i mali del mondo, ma poi si affanna veramente solo per la sua quotidianità.

La società dell’individuo è quella della separazione composta da so9ggetti disincantati dal mondo, di cui non sappiamo se sono cattivi o se lo diventano solo per l’influsso nefasto di una società malata ma, questa società finge e tratta l’uomo come se fosse buono. Oggi i teorici della comunicazione e gli ideologi della civiltà dello spettacolo trattano l’uomo: “come se nascesse solamente oggi, come se fossero spuntati di colpo dalla terra alla stregua delle zucche” usando la teoria di Hobbes che diventa una metafora che illustra bene la nostra modernità. L’individuo non possiede l’innocenza della zucca, esso è atomo e cardine di uno sviluppo capitalistico, perché è l’individuo del potere: il problema vero non è come eliminare il potere da questo individuo, il nucleo essenziale è come fuggire dal potere di questo tipo di individuo.

L’egoismo primordiale dell’uomo sembrerebbe negare la possibilità di trasformare l'amore di sé, del tutto o della parte, dice Benasayag, in amore e in rispetto del prossimo. In effetti anche per Freud l’amore era sospetto, perché l’amare l’altro come se stesso deve fare i conti con un terribile ignoto perché, in fondo, nulla sappiamo del modo che ognuno di noi usa per amarsi, oppure per detestarsi. L’uomo sembra nato per fare calcoli, perciò dovrebbe conoscere il vantaggio del sacrificio di piccoli fini in nome di beni maggiore: ma l’uomo non vede mai chiaro, infatti è ingenuo pensare che tutti sappiano vedere i loro interessi migliori, perciò mi spiego perchè non ci liberiamo di una vita di carenze.

Buona erranza
Sharatan


2 commenti:

salvo ha detto...

Ciao sharatan, leggendo il tuo scritto, che come sempre centra in modo chiaro i problemi, mi è venuta in mente una riflessione scritta alcuni anni fa, ed è la seguente:
HO SOGNATO DI ESSERE UN ALBERO
UN ALBERO GRANDE SU UNA COLLINA.

DOMINAVO LA VALLE.

LE SUE RADICI CONTORTE PENETRAVANO
NELLA TERRA IN PROFONDITA’.

IL SUO TRONCO ROBUSTO E SPIGOLOSO
CON UNA SCORZA ANTICA, SI SGRETOLAVA.

I SUOI RAMI SPOGLI SI PROIETTAVANO IN
UN CIELO TEMPESTOSO, COME UN GRIDO DISPERATO.

Salvo

Un carissimo saluto a tutti gli erranti di questo mondo

Sharatan ain al Rami ha detto...

Caro Salvo,
la vita non è sempre la disperazione dell'impotenza. Sono le passioni tristi del nichilismo che ci hanno fatto arrivare al punto in cui siamo.

Esistono dei modi migliori per coltivare passioni gioiose nella vita. Benasayg è molto interessante a questo riguardo e ne parlerò in futuro.

Un caro saluto
Sharatan