mercoledì 29 maggio 2013

La vocazione di Socrate



“Chi vuole muovere il mondo prima muova se stesso.”
(Socrate)

Socrate è famoso per avere accettato la morte ingiusta a cui fu condannato dagli ateniesi. Al momento della morte avvenuta nel 399 a. C., aveva 70 anni, perciò si calcola che fosse nato nei primi mesi del 469 a. C. Il padre Sofronisco era uno scultore e la madre Fenarete era una levatrice, e Socrate disse che esercitando la sua opera di maestro, si era ispirato all’arte maieutica della madre.

Socrate fece gli studi giovanili in Atene, e si allontanò da Atene solo tre volte e una volta fu per assolvere al suo dovere di soldato. Lo stesso Alcibiade, nel Convito del suo discepolo Platone, parla del suo valore di soldato e disse che Socrate quando era in guerra si dimostrava un uomo insensibile alle fatiche e al freddo, modesto, coraggioso e padrone di se anche nel momento in cui l’esercito era in rotta.

La sua vocazione per la filosofia venne affermata anche davanti ai giudici dicendo in tribunale: “Ateniesi, io vi amo, ma obbedirò al Dio piuttosto che a voi!” La sua ricerca filosofica era un continuo esame di se stesso e degli altri, e l’insegnamento di questa filosofia fu portato avanti per tutta la sua vita senza fare mai una scuola filosofica di tipo convenzionale.

Si rifiutò di scrivere degli scritti con le sue idee insegnandole solo in forma verbale, perché nessuna scrittura può riuscire a muovere una ricerca come riesce a farlo l’esperienza concreta di ciò che si afferma. Restò sempre un uomo disinteressato al denaro, infatti visse in estrema povertà insieme alla moglie Santippe e ai suoi figli.

Socrate aveva qualcosa di strano e di inquietante che tutti sentivano. L’aspetto fisico non colpiva per la bellezza essendo tarchiato, non molto alto, calvo e con la fisionomia di Sileno, perciò il suo fisico era ben lontano dall’ideale greco classico dell’anima saggia chiusa nel corpo bello e armonioso.

La cosa inquietante di Socrate dice Platone è che il contatto con lui era come avere un contatto con una torpedine di mare che paralizza chi la tocca, così Socrate faceva gettando il dubbio e l’inquietudine nell’animo di chi lo avvicinava. Che Socrate fosse uno strano ragazzo fu presto evidente anche in famiglia.

Il padre andò a consultare l’oracolo di Apollo per sapere cosa avesse il suo ragazzo, e la Pizia gli disse che non doveva preoccuparsi per lui. Un Dio benefico lo affiancava e guidava, perciò la sua volontà non andava mai forzata. Non dovevano mai imporre nulla e non dovevano ostacolarlo, piuttosto che il ragazzo avesse la massima libertà della sua vocazione, perché il Dio agiva in lui. Potevano pregare ma non disperare, perché aveva la guida di un potente daimon che lo proteggeva.

Il daimon del mondo greco classico era la divinità buona o cattiva che è affiancata agli uomini e che li accompagna dalla culla alla tomba. In Esiodo troviamo la gerarchia degli dei con l’elenco delle 4 specie di esseri ragionevoli, cioè: dei, demoni buoni o cattivi, eroi e semidei, e uomini. I semidei sono con gli eroi perché si crede che possa avvenire una mutazione delle anime, e che anche le anime dei demoni più malvagi possono essere ripulite dalla virtù e possono raggiungere lo stato divino.

Il Dio che era in Socrate viene citato da Platone nei dialoghi, da Senofonte, da Plutarco, da Apuleio e da Diogene Laerzio che avevano delle fonti che ora sono perdute. I contemporanei lo vedevano stare immobile per ore in silenzioso dialogo interno con il Dio, e si dice che fu visto all’alba che pregava rivolto verso il sole nascente.

Nella Apologia, Socrate dice che il suo Dio è un dono che gli dei vollero inviare alla città di Atene, anche se i suoi concittadini lo percepivano come un noioso tafano che punge uno splendido cavallo di razza. Il suo Dio veniva quando voleva e Socrate lo ascoltava silenzioso e immobile pur essendo lucido mentre lo ascoltava, ma poi rifletteva e filtrava tutto quello che aveva detto con l’intelligenza e la ragione.

Fu il Dio che lo sconsigliò di seguire l’arte della scultura come voleva il padre e lo sconsigliò di entrare in politica. Il Dio gli proibì di incontrare e di parlare con Alcibiade, ma poi gli ordinò di incontrarlo per sconsigliare la spedizione di Sicilia e per predire l’insuccesso di Trasillo contro Efeso e la Ionia.

Si racconta che un giorno Aristippo andò da lui portandosi una forte somma in monete d’oro e gliela offrì per aiutarlo. Socrate, malgrado fosse sempre in difficoltà economiche, rifiutò la somma dicendo: “Non posso accettarla, perché il Dio che parla in me non mi permette di accettare denaro.”

Quando gli amici chiedevano un parere, spesso il Dio avvertiva o sconsigliava e chi non credeva poi si pentiva di non avere obbedito ai consigli, come nel caso di Critone. Critone fu sconsigliato di allontanarsi mentre passeggiava con Socrate, ma lui disobbedì per andare a fare dei lavori in casa, perciò restò ferito nei lavori. E peggio ancora avvenne a Trimarco che fu sconsigliato di uscire dalla casa di Socrate, in cui era ospite, perché Trimarco voleva eliminare un rivale.

Socrate intuendo il progetto omicida, due volte lo trattenne tenendolo chiuso in casa sua. Ma l’amico uscì di nascosto, incontrò il rivale e lo pugnalò a morte, perciò andando al supplizio disse al fratello che lui moriva per non avere obbedito ai consigli dell’amico Socrate. Quando Carmide, figlio di Glaucone, andò a dire che andava ai giochi di Nemea, Socrate sentì che il Dio sconsigliava il viaggio perciò tentò di dissuaderlo, ma Carmide volle andare comunque e trovò la morte a Nemea.

Nel Timeo, Platone dice che il daimon è presente in tutti, perché è il principio più nobile della natura umana essendo la sua parte divina. Nella religione greca era ammesso l’intervento delle divinità per mezzo di intermediari del cielo che venivano mandati sulla terra. Lo stesso Socrate, nel Teeteto di Platone, rivela che la grazia del cielo gli ha concesso di avere una guida divina fin dalla più tenera infanzia.

Il suo Dio è come una voce che non lo forza mai a fare le cose, ma lo consiglia solo quando è necessario. Mentre andava in tribunale la voce del Dio tacque, perciò Socrate seppe che stava facendo ciò che gli Dei volevano, e comprese che il Dio era stato il custode del suo destino.

Plutarco pensava che lui sentisse, nella parte più intelligente della sua anima le parole di un Dio che era privo di voce in tutti gli altri uomini. Il daimon di Socrate era legato al dio Apollo, la divinità solare che nella Grecia primitiva, era opposta alle tenebrose divinità ctonie legate al culto di Dioniso, che sono correlate al livello astrale inferiore. Questa concezione credeva che i daimon potevano dominare le anime usando le tenebre dionisiache o potevano liberarle con la luce di Apollo.

Una regola vigente tra gli adepti del culto solare era quella di dare solo dei consigli in negativo, perché incitare a fare un’azione equivale ad assumersi il peso delle conseguenze karmiche di essa: l’intrusione nella volontà equivale a privare l’uomo del merito delle sue azioni.

L’insegnamento più determinante per la vita di Socrate fu quello che ebbe in gioventù da Diotima, la profetessa di Apollo che gli insegnò i segreti della Scala dell’Amore. Diotima disse che la finalità dell’Essere è l'Assoluta Bellezza, Verità e Bontà, perché la Divinità è sempre essenzialmente pervasa d’Amore.

Essa disse che l’individuo deve amare prima una sola persona a cui dedicherà tutta la sua vita: una caratteristica di questo amore è l’immagine dell'innamorato che crea pensieri, azioni e parole bellissime per dedicarle all'amata. La qualità dei sentimenti che l’amante dimostra rivela la sua capacità di amare, ma ogni amore inizia con l’attrazione per la bellezza esteriore. Ma poi l’amore diventa più elevato se l’amante ama l’altro anche se quest'ultimo non possiede alcuna forma di bellezza.

Proviamo una forma più evoluta d’amore quando sappiamo vedere nell'altro le qualità che lo rendono un essere degno d’amore, ma poi le stesse qualità le vediamo anche negli altri. Superiore ancora è l’amore che ama la Bellezza della natura, della scienza, dell’arte, della legge e che si eleva ancora per amare la vita e il mondo, perché è l’Amore della Bellezza Assoluta che è l'unica guida per il nostro apprendimento d’Amore.

Questo livello è indescrivibile, perché solo chi prova un’esperienza comprende quello che la parola, la mente e il cuore sentono come Bellezza che diventa Assoluta nell’istante in cui diventa piena e completa. A questo punto siamo nell’immortalità e sentiamo di essere Uno con l’eternità, perché la paura della morte scompare dalla vita di chi sa amare così.

Il concetto di amore è molto variabile, infatti Gesù insegnò che il primo comandamento di amare Dio è un imperativo interno. Esso diventa completo se viene unito con quello che lui insegna e che proviene dal primo: egli insegna a estendere il nostro amore ai nostri simili. E’ chiaro che non possiamo amare il prossimo con l’intensità di dedizione e di auto sacrificio posseduta dalla madre che ama il figlio o dell’amante per l’amato.

L’amore predicato da Gesù insegna la perfetta carità che non riesce a fare nessuna ingiustizia al suo prossimo e che vuole condividere con gli altri tutto il meglio delle cose buone che si possono trovare. Questa forma di amore è una forma rarissima d’amore che è molto difficile da trovare, anche ci sono ancora esseri che sono così. Questo amore vede l’amato come l’immagine della Divinità, perciò l’Amato diventa il sentiero che porta a Dio.

Un caso così fu Teresa di Calcutta che nel lebbroso che puliva e curava vedeva il corpo del Signore deposto dalla croce. Teresa disse che le azioni di carità sono fonte di gioia indicibile. Casi di un sentire simile sono contenuti nelle testimonianze dei mistici di tutto il mondo, e una visione beatifica dell’amore fu nell’amore di Dante per Beatrice. Nella Vita Nova, Dante scrisse l’epilogo d’amore per Beatrice dicendo che, se avesse vissuto ancora qualche anno, lo avrebbe dedicato “a dire di lei ciò che mai fu detto di alcuna altra donna.”

L’amore sa trascendere la morte se riesce a conservare i momenti di incanto vissuti, e se conserva quell'appagamento interno per l’eternità. La natura umana ha il difetto del ricordo che tende a scomparire, perciò scompaiono tutte le sensazioni che hanno accompagnato le esperienze e tutto finisce sia dentro che fuori.

Anche l’intensità dell’amore segue la stessa regola, perciò l’intensità della realizzazione che le persone ci suscitano può diminuire e finire, ma questo non significa che l’amore è scomparso dalla nostra vita. Diotima rivelò che anche l’amore subisce una trasformazione, perciò anche la bellezza, la forma e il colore del sentimento possono mutare.

Ma esiste un sentimento che non deve mai finire, perché anche se scompaiono le persone non deve mai scomparire la percezione del sentimento che le accompagnava. Ciò che non deve finire è il ricordo del sentimento che le persone hanno suscitato in noi.

Il sentimento d'amore per il vivere si deve conservare e si deve aumentare con l’età raffinandolo ancor più nella maturità. La freschezza delle risposte emozionali non deve mai scomparire, ma deve acquistare una natura più spiritualizzata e raffinata che viene dalla maggiore capacità di saper apprezzare tutte le sfumature della bellezza di vivere.

L’uomo non sa separarsi dalle apparenze esteriori, perciò non trova il coraggio di vedersi per come è veramente. Si trova comodo cercare l’appoggio degli dei esterni o di forze superiori piuttosto che ricercare una guida interiore. Quello che Socrate disse era troppo difficile per gli ateniesi dei suoi tempi, ma resta difficile anche nei tempi recenti in cui il culto per le istituzioni autorevoli è diventato troppo forte.

Socrate sognava l’ordine di un mondo nuovo in cui esistesse una morale fatta da uomini liberi che si sottomettono solo a quello che dice la loro coscienza. Lui non disse e non fece mai nulla di formale o di teorico, perché il cielo non è uno spazio teorico o vuoto. Il suo insegnamento volle spronare un rinnovamento interno che richiede che l’uomo abbia il coraggio di guardare profondamente dentro di sé.

La missione di Socrate fu quella di risvegliare le anime e di aiutarle a partorire lo spirito, perciò disse bene Socrate quando ammise di aver seguito la vocazione che aveva sua madre. Si dice che quando Platone fu in punto di morte, con le ultime parole ringraziò il destino di avergli concesso di vivere ai tempi di Socrate e di avere avuto la fortuna di averlo incontrato e di averlo avuto come suo maestro.

Buona erranza
Sharatan

2 commenti:

luca ha detto...

ANche a me sarebbe piaciuto vivere in quel tempo, in mezzo a Socrate, Platone, ma anche al tempo di Gesù, ma anche durante il primo medioevo ....
Vabbè c'è toccata questa epoca mediocre, vediamo cosa può uscirne fuori :D
Pur non avendoli fisicamente davanti, abbiamo tracce dei loro insegnamenti, da capire e usare al meglio, blog come questo già sono un modo per farlo....:)

Sharatan ain al Rami ha detto...

Anche io ho delle epoche in cui sarei voluta stare, perché tutti abbiamo una predilezione per i luoghi in cui siamo vissuti in tempi passati. Leggendo storie di altri tempi mi sono persuasa che tutti i tempi sono stati sempre molto duri.

Se leggi Seneca vedrai un animo molto moderno che pensa in modo critico la sua epoca. Io pure sento che dobbiamo prendere il meglio di ciò che il presente permette.

Un maestro diceva che i cavalli di razza non possono passeggiare nei viali cittadini, ma devono essere allenati su sentieri più difficili. Avrai indovinato che era il nostro amato Gurdjieff.

Si, anche io credo che nessuno di questi grandi di cui amo scrivere sia morto mai. Con le loro parole rivivono continuamente e ci aiutano ancora adesso.

Grazie per le tue parole così gentili :) sul blog dell'errante
Ti mando un carissimo abbraccio