giovedì 23 luglio 2015

Il sorriso di Zarathustra



“Un compagno allegro è una carrozza
in un viaggio a piedi.”
(Johann Wolfgang Goethe)

Gli elementi spirituali più profondi non vanno cercati nelle situazioni può lontane e anomale, ma sono osservabili nei fenomeni più comuni e semplici del mondo, dice Steiner. Solo quando siamo capaci di vedere e comprendere le piccole cose possiamo comprendere le cose più grandi. Dovremmo imparare sempre a partire dalle cose più semplici. Invece di solito amiamo la spiegazione dei più incredibili misteri e disprezziamo le ragioni e i meccanismi delle piccole cose che ci legano alla realtà quotidiana perché le giudichiamo troppo poco importanti.

Ma, chi cerca di indagare sul lato spirituale del mondo, non dovrebbe fare questo grave errore concettuale! Solo chi comprende che non c’è nulla che può essere giudicato come poco importante si potrà convincere del fatto che i piccoli progressi fatti a passo lento partono da piccole cose che ci portano a grandi conoscenze. Ridere e piangere sono due fenomeni molto comuni nella vita di tutti i giorni, ma possono farci penetrare nei misteri più profondi dell’entità umana.

Se esaminiamo la cosa nel modo opportuno vediamo che ridere e piangere devono essere dei fenomeni molto importanti se, la leggenda racconta che uno dei maestri più grandi del mondo orientale, Zarathustra, entrò nel mondo sorridendo. La leggenda narra che, davanti al sorriso di Zarathustra, tutte le creature del mondo furono felici e risero insieme a lui. Invece, davanti a quel sorriso, continua la leggenda, fuggirono tutti gli spiriti malvagi della Terra che lo sentirono come un nemico.

Il ridere e il piangere ci collegano alla terra perché sono due modi con cui l’essere dello spirito reagisce al mondo che lo circonda. Queste manifestazioni dell’anima sono l’espressione della vita intima dell’essere spirituale dell’uomo. Se esaminiamo l’io dell’uomo vediamo che non resta indifferente e reagisce al mondo perciò si esprime mostrando che qualcosa gli piace oppure non gli piace. Quando un oggetto piace si crea un legame che sentiamo come un sentimento che riscalda e l’oggetto entra a far parte dell’io. Invece quando qualcosa non piace o disturba l’io cade nell’afflizione o nella paura.

Tutto quello che viviamo si riflette nella vita dell’anima, perciò si dice che il mondo non influisce solo sul corpo fisico. Il mondo si ripercuote anche in tutte le altre parti che sono connesse con l’io. Infatti si ripercuote anche nel corpo astrale dove si percepiscono le emozioni, e poi mette in movimento le correnti del corpo eterico che si ripercuotono sul corpo fisico.

Tutto questo è evidente quando vediamo come la circolazione del sangue si modifica nei casi di emozioni positive o negative. L’io cerca sempre di creare un legame giusto ed equilibrato con la realtà perciò si sente unito con gli oggetti che vuole comprendere. Se non riesce a capire qualcosa oppure se incontra un essere con cui non vuole avere nessun rapporto, l’io pensa che non vale la pena di sciupare le forze che sono necessarie per la sua comprensione.

Allora l’io crea una sorta di barriera divisoria e si rifiuta di dedicare la sua forza di conoscenza e di comprensione a quell'essere. Il sentimento che sorge è il desiderio di liberarsi di quell’essere perciò l’io si ritrae, mentre con l’essere che vuol comprendere e vuole conoscere non sente quel ritrarsi, ma si sente attratto.

Questi stati di coscienza sono osservabili come un ritrarsi del corpo astrale a causa dell’influsso che l’io esercita sul corpo astrale. Nell’uomo si osserva un dilatarsi oppure un comprimersi del suo corpo astrale: tutto questo si riflette nel sorriso e nel pianto. Quando vogliamo liberarci di qualcosa non ci resta che sollevarci al di sopra dell’oggetto o perlomeno sull’impressione che l'oggetto esercita sul corpo fisico, perciò reagiamo elevando e dilatando il nostro corpo astrale.

L’io trasferisce tutto ciò che sente più intimo, nel suo involucro più intimo cioè nel corpo astrale, e la dimostrazione fisiognomica del fenomeno è il riso. Succede pure che possiamo subire la perdita di una persona molto amata, perciò la nostra anima sente il legame di quel ricordo. Ma la separazione comporta che il legame venga a mancare, e non si possa più riavere.

Qualcosa è stato strappato all’io, e quella sensazione di mancanza si trasferisce nel corpo astrale che cerca un collegamento che non riesce più a trovare. Il corpo astrale allora si ritrae in se stesso o meglio, è l’io che comprime il corpo astrale. Tutto questo accade quando subiamo una perdita, in cui sentiamo la tristezza e il dolore della perdita come qualcosa che ci comprime dentro. Perciò, il corpo astrale che si dilata diventa più labile e leggero esprimendosi come riso o sorriso.

Invece, quando il corpo astrale si comprime per il dolore e per la tristezza, esso penetra sempre più profondamente nell’essere. Per questo avviene che il corpo astrale sempre più compresso vada a comprimere il relativo corpo fisico finché si produce lo sgorgare delle lacrime. Ma cosa sono le lacrime? Le lacrime sono il segno che l’io ha smarrito qualcosa perciò piangendo mostra il suo dolore.

L'io si comprime, dice Steiner, perché è diventato più povero e la sua individualità si sente più debole di prima. Infatti l’io si sente sempre più forte e più ricco se può accumulare molte esperienze. Non soltanto offriamo qualcosa a tutto quello che amiamo, ma con quell’amore arricchiamo anche la nostra anima. Quando ci vengono strappate le nostre esperienze d’amore il corpo astrale sente un vuoto perciò si comprime in se stesso.

Tutto questo avviene a causa della diversa pressione, perciò il corpo astrale cerca di ritrovare le forze che ha smarrito. Esso cerca di arricchirsi concentrandosi, perché ha perso qualcosa che lo colmava. Quello che accade tramite le lacrime è un fluire verso l’esterno per scaricare la tensione. Le lacrime sono il surrogato dell'io divenuto più povero. Mentre prima l’io si sentiva ricco di ciò che aveva, adesso si sente più forte producendo le sue lacrime.

La persona cerca di sostituire l’autoconoscenza che ha perso spiritualmente. Ora produce la creazione interiore che si mostra nella produzione di lacrime, dice Steiner. Le lacrime sono un’occasione per risentire una sorta di godimento interno. Quando siamo infelici per una perdita, le lacrime divantano una consolazione perché offrono un surrogato di quello che ci viene a mancare. È noto che, in quelli che hanno difficoltà a piangere è più difficile sopportare il dolore, mentre gli altri si creano con le lacrime un’occasione di benessere.

Vediamo come l’io sia il centro dell’uomo e come si esprima tramite il ridere e il piangere. L’io è l’elemento che rende veramente uomini, ed è la premessa del vero ridere e del vero piangere. Se osserviamo un bambino appena nato vediamo che, nei suoi primi giorni di vita, quel bambino non può ridere. Per vedere il sorriso sono necessari almeno 40 giorni di vita. La ragione è che, sebbene sia deciso quale incarnazione vivrà in quel bambino, l'essere proveniente da una incarnazione precedente, l’io non riesce ad agire in modo formativo nei primi giorni di vita.

Solitamente l’io del neonato non riesce ancora a creare un nesso con il mondo esterno. Noi siamo inseriti nella vita in modo che in noi agiscano due parti. La prima parte che agisce in noi contiene tutte le caratteristiche che abbiamo ereditato dai genitori e dagli antenati cioè tutte le capacità che provengono dalla nostra linea ereditaria. E dietro questo lavora anche l’individualità cioè l’io umano che passa di vita in vita, di incarnazione in incarnazione e che forma alcune caratteristiche dell’anima.

Il bambino appena nato mostra caratteristiche indistinte perché, in un primo momento, restano indistinte le disposizioni ed i talenti che si mostreranno in futuro. In seguito l’io sarà sempre più creatore perciò elaborerà i suoi tratti distintivi mostrandoli in modo più distinto così da riuscire a modificare anche la sua linea ereditaria. Vediamo che l’io del bambino si deve attivare perciò è necessario che passi del tempo affinché sia in grado di trasformare il corpo e l’anima.

Nei primi giorni di vita l’io resta ancora nascosto nel profondo e aspetta di potersi inserire nella fisionomia indistinta del nuovo nato mostrando il nocciolo di ciò che ha portato con sé dalle sue vite precedenti. Questo è quello che dovrà imprimere nella sua nuova vita. Naturalmente deve far conto su tutto quello che può influire sulla sua anima, perciò vediamo che il ridere e il piangere possono diventare anche un modo per educare la nostra anima.

Quando ci si eleva con il sorriso vediamo che l’io fa appello alle sue forze di autoliberazione. Nelle lacrime invece vediamo che l’io può educarsi e può arricchire in un modo diverso la sua individualità. Steiner dice che quando l’io si educa con il riso e con il pianto può elevandosi in libertà e può ampliare il suo legame con il mondo. Chi riesce a guardare con attenzione vede che non c’è nulla di poco importante nella natura umana, infatti l’io è ben modulato quando trova l’equilibrio tra i due poli alterni della gioia smodata e della tristezza mortale.

Il sorriso umano è la manifestazione spirituale del fatto che l’uomo tende alla sua liberazione, che non si lascia intrappolare da cose che sono indegne di lui. Perciò il suo sorriso dimostra che egli è superiore a tutto quello che non lo può imprigionare. Il sorriso di Zarathustra viene compreso solo se lo vediamo così: il grande maestro era totalmente consapevole di se stesso fin dalla nascita. Zarathustra sorrise perché era il simbolo dell’elevarsi dell’io totalmente libero che è al di sopra di tutto quello che lo vorrebbe costringere e comprimere. E tutta la Terra rise perché poteva elevarsi per mezzo dell'entità che viveva in Zarathustra.

Buona erranza
Sharatan

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