sabato 19 novembre 2016

L’analisi obiettiva



“Una luna dà più luce di cinquemila stelle.”
(Paramhansa Yogananda)

“Sono molti i modi in cui aumentiamo la nostra inquietudine e la nostra sofferenza mentale. Benché, in genere, le afflizioni mentali ed emozionali si presentino in maniera naturale, spesso siamo noi stessi ad aggravarle molto. Quando, per esempio, nutriamo rabbia oppure odio per una persona, questo sentimento ha meno probabilità di diventare assai forte se non lo coltiviamo.

Se invece rimuginiamo sulle ingiustizie che riteniamo ci siano state fatte, se ci arrovelliamo sul trattamento in iniquo subìto e continuiamo a pensarci sempre di più, alimentiamo l’odio. E l’odio allora diventa molto intenso e potente. Certo, lo stesso discorso può valere nel caso dell’attaccamento ad una data persona: alimentiamo questo sentimento pensando a quanto quella persona sia bella e continuando a concentrarci su tale qualità, frutto della nostra proiezione mentale, e ci attacchiamo sempre di più.

Ma ciò dimostra come, attraverso i pensieri e la familiarizzazione costanti, noi stessi possiamo intensificare parecchio le nostre emozioni. Spesso, poi, accresciamo la pena e la sofferenza con l’ipersensibilità, reagendo troppo a fatti di lieve entità o prendendo tutto troppo in maniera personale. Tendiamo a esagerare l’importanza di piccole cose e a gonfiarle in misura eccessiva, mentre magari trascuriamo gli eventi davvero importanti, che hanno ripercussioni profonde sulla nostra vita e conseguenze ed effetti a lungo termine.

A mio avviso, dunque, il nostro grado di sofferenza dipende da come reagiamo a una determinata situazione. Poniamo di scoprire che qualcuno sparla di noi alle nostre spalle. Se reagiamo a questa spiacevole notizia, a questo fatto negativo con un senso di rabbia e risentimento, noi stessi distruggiamo la pace dello spirito e il dolore diventa una nostra creazione personale.

Se invece evitiamo di reagire in maniera negativa, se lasciamo che la calunnia ci passi accanto come un vento silenzioso che soffia dietro le orecchie, ci difendiamo dal risentimento e dall’angoscia. Dunque, anche se forse non riusciremo sempre a eludere le situazioni difficili, possiamo modificare il grado di sofferenza scegliendo una reazione piuttosto che un’altra…

Vi sono diversi modi di combattere questa sensazione. Ho già spiegato come sia importante riconoscere che la sofferenza è un fatto naturale della vita umana. E credo che sotto certi aspetti i tibetani siano più disposti ad accettare la realtà delle situazioni difficili, in quanto dicono: “Forse è per via del mio karma, di qualcosa che ho fatto in passato.”

Attribuiscono l’origine del problema ad azioni negative compiute in questa vita o nella vita precedente, sicché hanno un maggior grado di accettazione. A tal proposito è importante capire e sottolineare che a volte, fraintendendo la dottrina, si tende ad attribuire la responsabilità di tutto al karma e a esonerarsi dalla responsabilità o dalla necessità di prendere iniziative personali. È troppo facile dire:”Ciò è dovuto al mio karma passato negativo, per cui cosa posso farci? Sono inerme”.

È un modo del tutto errato di interpretare il karma; benché infatti le nostre esperienze siano la conseguenza delle azioni passate, ciò non significa che l’individuo non abbia scelta o non abbia la possibilità di modificare le cose, di produrre un cambiamento positivo. Questo vale in tutti i settori della vita. non si deve cedere alla passività ed evitare di prendere iniziative personali con la scusa che tutto è causato dal karma.

Se si capisce bene il concetto di karma, si capirà anche che karma significa “azione”. Il karma è un processo molto attivo e quando parliamo di karma o azione, parliamo dell’azione compiuta da un agente, in questo caso noi stessi, in passato. Perciò il tipo di futuro che ci attende dipenderà, in larga misura, da quanto noi stessi faremo nel presente. Il futuro sarà determinato dalle iniziative che prendiamo adesso.

Dobbiamo, dunque, considerare il karma non già una forza passiva e statica, bensì una forza attiva. Bisogna capire che il singolo agente svolge un ruolo importante nel determinare il corso del processo karmico. Chi crede all’idea di un Creatore, di Dio, può accettare più facilmente le prove della vita se la considera parte della creazione o del disegno divino.

I credenti possono pensare che, siccome Dio è onnipotente e molto misericordioso, anche in una situazione negativa vi sia un qualche significato, un elemento rilevante di cui loro magari non si rendono conto. A mio avviso, questa fede può sorreggerli e aiutarli nei periodi di sofferenza. Forse al non credente può giovare un approccio pratico, scientifico.

Penso che quasi tutti gli scienziati ritengano assai importante analizzare i problemi obiettivamente, studiarli senza troppo coinvolgimento emotivo. È l’approccio di chi, davanti alle situazioni difficili, dice: “Se c’è un modo di risolvere la questione la risolveremo, anche se dovessimo adire alle vie legali!”. Se invece si scopre che non c’è soluzione al problema, si può semplicemente lasciarlo perdere.

L’analisi obiettiva delle circostanze difficili o problematiche è assai importante, perché consente di verificare subito se, alla base, vi siano altri fattori in gioco. Quando per esempio riteniamo di essere stati trattati ingiustamente dal nostro capo sul luogo di lavoro, è utile appurare se nel quadro entrino altri elementi.

Forse egli è irritato per qualcos’altro, come un recente litigio con la moglie o cose del genere, e nel trattarci male non ha inteso punirci personalmente, indirizzare le sgarberie proprio verso di noi. Certo, bisogna lo stesso affrontare il problema, qualunque sia; ma se non altro con tale approccio si può evitare di aggiungere indebita ansia alla situazione.

In genere, se esaminiamo qualsiasi situazione con cura, sincerità e mancanza di pregiudizi, arriviamo a capire che anche noi siamo, in larga misura, responsabili del dispiegarsi degli eventi. Insomma, sovente abbiamo l’innata tendenza a dare la colpa di tutti i nostri mali agli altri, a fattori esterni. Inoltre siamo inclini a cercare un’unica causa e ad esentarci poi dalla responsabilità. Ogniqualvolta entrano in gioco emozioni intense, si riscontra uno squilibrio tra apparenza e realtà.”
(Dalai Lama, L’arte della felicità, Mondadori ed.)

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