domenica 30 aprile 2017

Leadership



“La tirannia di un principe in un’oligarchia
non è pericolosa per il bene pubblico quanto
l’apatia del cittadino di una democrazia.”
(Montesquieu)

Sia Aristotele sia Cicerone credevano che nessuno potesse essere un buon capo senza avere prima imparato a obbedire. Tale opinione è ancora diffusa nell’ambiente politico, dove per dare la scalata alla viscida pertica dell’ambizione occorre adeguarsi con lealtà alla linea di partito. Si potrebbe discutere sul fatto che il conformismo e la capacità di modificare le proprie opinioni siano o no qualità desiderabili della leadership.

D’altra parte qualcuno potrebbe cinicamente affermare che sia proprio così, una volta constatato che in politica i principi sono d’impaccio e l’ipocrisia sia una virtù. In linea di massima esistono due scuole di pensiero sulla leadership. Una di esse sostiene che il leader debba essere una guida, l’altra che debba seguire a ruota. Questa seconda posizione non è paradossale come potrebbe sembrare.

Quando i governi prendono attentamente nota dell’opinione pubblica, o analizzano con cura le idee di gruppi di particolare interesse, più che orientare la domanda cercano di andarle incontro adattandosi alle sue tendenze… L’opinione pubblica è notoriamente resistente ad alcune delle idee più brillanti dei suoi leader, i quali hanno patito di conseguenza tracolli poco dignitosi.

Allo stesso tempo è anche vero che in generale la gente è fin troppo contenta di farsi guidare. Spinte da debolezza, ignoranza e pigrizia - soprattutto pigrizia -, moltissime persone preferiscono lasciare ad altri il compito di prendere decisioni. Poiché coloro che amano risolvere questioni complicate o fare scelte importanti sono pochi, a riscuotere l’antipatia della gente non è tanto il dovere o l’obbedienza quanto l’obbligo di assumersi delle responsabilità.

Secondo alcuni un leader generoso, rispettoso o pronto a far da guida dando l’esempio sarà seguito dai suoi molto più volentieri e con maggiore lealtà. D’altra parte è altrettanto vero –come cantava Omero- che il condottiero troppo mescolato alla soldataglia finirà per perdersi nella massa indistinta. Ciò suggerisce che un leader dovrebbe trovare un delicato equilibrio fra distanza e accondiscendenza.

Menti in pari misura assennate, tuttavia, osservano che quando la leadership comporta, come spesso accade, decisioni impopolari e azioni dure, i seguaci leali e ben disposti si disaffezionano in modo più profondo di quelli con cui il leader aveva stabilito un rapporto meramente pragmatico.

Secondo altri, se la storia è disseminata di demagoghi, la principale ragione sta nella pigrizia e nella debolezza delle masse, alle quali abbiamo già accennato. Le masse sembrano apprezzare un leader fermo, una guida, un Führer.

Credono che la sua ferrea decisione le proteggerà da ulteriori tracolli del loro ordine sociale, morale e economico - il disastro che ogni generazione percepisce imminente -, un sistema il cui periodo aureo pare sempre collocarsi nel passato) magari in un’epoca che, per combinazione, coincide con quella della loro infanzia).

Le radici di questo impulso affondano profonde nella storia evolutiva dell’umanità. Gli etologi distinguono due tipi di struttura sociale nelle scimmie e nei primati in genere: quella «agonica», in cui l’ordine è mantenuto nel gruppo con la violenza, e quella «edonica» dove il rango sociale è determinato dall’animale che sa esibirsi meglio degli altri.

Nei babbuini, quando il maschio alfa procede a un’esibizione di dominanza, gli altri si danno alla fuga. Quando a esibirsi è un maschio di scimpanzè, invece, gli altri del suo gruppo si mettono comodi a guardare. La società umana si comporta in modo da fondere i due atteggiamenti: i poliziotti e le pop star illustrano, rispettivamente, la strategia dei babbuini e quella degli scimpanzè.

Un leader demagogico combina nella sua personalità l’aspetto minaccioso e quello teatrale, come testimoniano le adunate di Norimberga e, in questo senso diviene esempio per tutti gli aspiranti leader. Ciò induce a porsi la domanda: chi ha bisogno di loro, o della loro componente in «stile babbuino»? (A. C. Grayling, Il significato delle cose, TEA ed.)

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