venerdì 18 marzo 2016

L'essere interiore



Il vostro essere interiore
altro non è che il cielo vuoto.
Le nubi vanno e vengono,
i pianeti nascono e scompaiono,
le stelle sorgono per poi morire,
e quel cielo interiore rimane intatto,
identico a se stesso, immacolato, limpido.

Quel cielo interiore è chiamato sakshin, il testimone,
ed è quella la meta della meditazione.
Entra in te, e godi di quel cielo interiore.
Ricorda: tutto ciò che puoi vedere,
non sei tu.

Puoi vedere i tuoi pensieri,
dunque non sei i pensieri;
puoi vedere i tuoi sentimenti,
dunque non sei i tuoi sentimenti;
puoi vedere i tuoi sogni,
i desideri, i ricordi, le immaginazioni, le proiezioni,
dunque non sei nulla di tutto ciò.

Vai avanti, eliminando tutto ciò che sei in grado di vedere.
E un giorno sorgerà un istante incredibile,
l'istante più ricco di significato nella vita di un uomo,
l'istante in cui non resta più nulla da scartare.
Tutto ciò che può essere visto è scomparso
solo il veggente rimane.

Colui che vede è il cielo vuoto.
Conoscerlo rende liberi da ogni timore,
conoscerlo rende ricolmi d'amore,
conoscerlo significa essere Dio,
essere immortali.

(Osho Rajneesh)

martedì 15 marzo 2016

Basta guardarsi



Un giorno, un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli: “Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?” “Gridano perché perdono la calma” rispose uno di loro. “Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?” disse nuovamente il pensatore. “Bene, gridiamo perché desideriamo che l’altra persona ci ascolti” replicò un altro discepolo. E il maestro tornò a domandare:”Allora non è possibile parlargli a voce bassa?”

Varie altre risposte furono date ma nessuna risposta convinse il pensatore. Allora egli esclamò: “Voi sapete perché si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l’un l’altro.

D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini che i loro cuori nemmeno parlano, solamente sussurrano. E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi.” (Mahatma Gandhi)

domenica 13 marzo 2016

Il pescatore e il genio



Un pescatore solitario trovò, impigliata nelle sue reti, una bottiglia di rame sigillata da uno strano sigillo. Di solito, il pescatore, non trovava nulla di diverso dai pesci, ma quel giorno la pesca era stata sfortunata perciò pescare la bottiglia era stata una fortuna perché avrebbe potuto venderla al mercato e ricavarne qualcosa. La bottiglia non era molto grande e sul tappo aveva inciso il sigillo di re Salomone, perché conteneva un genio che Salomone aveva imprigionato per proteggere gli uomini dai suoi malefici. 

Salomone era stato un grande re, ma anche un potente mago perciò aveva imprigionato il malvagio genio dentro la bottiglia di rame perché sperava che, in futuro, qualcuno sarebbe riuscito a domarlo convincendolo a diventare un servitore dell’umanità. Il pescatore non sapeva nulla di questo, ma sperava che la bottiglia fosse un prezioso reperto e di poter ricavare un buon guadagno con la sua vendita. L’uomo la valutò con attenzione e notò che il rame era lucente e che l’incisione era ben fatta; sperò che contenesse gioielli o diamanti. 

Per questo si dimenticò del proverbio che dice: “L’uomo può usare solo ciò che ha imparato a usare,” infatti tolse il tappo di piombo e la stappò per vedere cosa conteneva. Ma non ne uscì nulla, perciò dopo averla scossa energicamente, il pescatore l'appoggiò sulla sabbia e la osservò. In quel momento, un sottile filo di fumo scuro uscì dalla bottiglia, poi il fumo diventò più grande finché diventò un essere enorme e minaccioso che gli parlò con voce spaventosa: “Sono il re dei Ginn e sono stato imprigionato dal grande re Salomone. Oggi vedo che posso vendicarmi della prigionia perciò ti ucciderò.” 

Il pescatore era rimasto terrorizzato dall'apparizione inaspettata del mostruoso genio infatti si era gettato in ginocchio sulla sabbia mentre implorava: “Sono io quello che ti ha liberato! Vuoi forse uccidere proprio chi ti ha reso la libertà?” Il genio disse: “Certo che lo voglio! Io sono fatto così, perché la mia natura mi fa avere il desiderio di ribellarmi e perché possiedo il potere di distruggere tutto quello che voglio. Sono millenni che sono rinchiuso nella bottiglia e questo mi ha fatto accumulare una grande rabbia che voglio sfogare proprio su di te!”

Il pescatore capì che avere pescato la bottiglia era stata una sventura, che il genio non avrebbe avuto nessuna pietà, e che l’avrebbe ucciso senza esitazioni. Allora guardò il sigillo impresso sul tappo che giaceva a terra vicino alla bottiglia ed ebbe un’idea. Con voce tremante disse al genio: “Credo che sia impossibile che un essere grande come te sia potuto entrare in una bottiglia così piccola. Sei troppo grande per essere rinchiuso in uno spazio tanto piccolo.” Il genio, a quelle parole sfrontate, gli urlò rabbioso: “Osi dubitare della mia parola, tu che sei solo un miserabile omuncolo? Ora ti farò vedere di cosa sono capace!” 

E dopo avergli urlato in faccia quelle parole sdegnate, il genio si trasformò di nuovo in un sottile filo di fumo scuro e rientrò nella bottiglia per dimostrargli che poteva entrarci. Il pescatore non aspettava altro che quella mossa, rapidamente prese il tappo della bottiglia, e la chiuse di nuovo. Poi gettò la bottiglia nel mare lanciandola più lontano che poteva. Fu così che l'uomo si salvò e che passarono molti anni finché, un giorno, il nipote di quel pescatore si trovò a pescare nello stesso luogo. Il giovane pescatore aveva gettato le reti nel mare e aveva ripescato la bottiglia di rame con il Sigillo di Salomone che aveva pescato anche suo nonno. 

Il ragazzo, dopo essere tornato a riva, si mise a guardare la bottiglia con molta attenzione e si ricordò che suo nonno gli aveva sempre consigliato di non usare quello che non sapeva usare. Mentre ripensava alle parole di suo nonno, il genio che era stato risvegliato dal suo sonno secolare dallo scuotimento della bottiglia, gli gridò dall’interno: “Figlio di Adamo, chiunque tu sia, ti prego di stappare la bottiglia e di rendimi la libertà. Saprò ricompensarti con molta generosità. Devi sapere che io sono il Re dei Ginn perciò conosco molte cose con cui potresti fare dei miracoli che ti renderebbero l'uomo più potente della terra. “ 

Il giovane pescatore si ricordava il detto che gli ripeteva sempre suo nonno, perciò valutò che era meglio se non si fidava. Per questo decise di non fare nulla di affrettato. Decise di nascondere la bottiglia in un posto sicuro, mentre cercava qualcuno che lo potesse aiutare a capire cosa era meglio fare. In effetti, dopo aver sepolto la bottiglia dentro una caverna in riva al mare, si arrampicò fino alla cella di un grande saggio. Dopo avergli raccontato tutto quello che gli era accaduto, gli chiese un consiglio. Il saggio gli disse: “Il proverbio di tuo nonno è molto vero, e il suo adagio è colmo di saggezza.” 

Il ragazzo gli disse: “Adesso io che cosa dovrei fare?” Il saggio disse: “E tu che ti senti di voler fare?” Il ragazzo rispose: “Io vorrei liberare il genio per avere la conoscenza misteriosa che mi ha promesso, e vorrei avere anche i beni che i Ginn possono donare agli uomini. Vorrei avere tutto questo.” Il saggio osservò: “Naturalmente non ti è passato neppure per l’anticamera del cervello che il Ginn potrebbe non darti nulla di quello che ha promesso? Oppure potrebbe darti quello che ti ha promesso ma, una volta  libero, potrebbe riprendersi tutto quello che ha dato. Non pensi alla sventura di avere quello a cui non siamo abituati? Hai forse dimenticato il monito di tuo nonno?”

Il pescatore valutò tutte queste possibilità poi domandò al saggio: “Ora cosa pensi che dovrei fare per non sbagliare?” Il saggio rispose: “Intanto potresti chiedere al Ginn di darti una piccola dimostrazione di quello che potrebbe donarti, e potresti conservare con molta cura quello che avrai ottenuto, in modo da mettere a frutto tutto quello che ti concederà. Cerca la conoscenza ma non cercare mai il possesso, perché il possesso senza la conoscenza è il male più grande. Questa è la causa di tutti i mali e degli smarrimenti dell’uomo.” 

Il giovane pescatore non era certo uno sciocco, perciò pensò a queste parole mentre tornava alla caverna per cui riuscì a elaborare un piano. Quando fu ritornato nella caverna, bussò alle pareti della bottiglia di rame, e sentì la voce spaventosa del Ginn che risuonò dall’interno della bottiglia, oltrepassando le pareti di rame: “Figlio di Adamo, sei ritornato? Nel nome di Salomone - che la Benedizione dell’Onnipotente sia con Lui! - ti scongiuro di liberarmi.” Il pescatore gli rispose: “Ho ripensato a tutto quello che mi hai detto, ma non sono sicuro che tu sia veramente quello che dici di essere. Se avessi i poteri che vanti di avere, come mai sei rimasto imprigionato nella bottiglia?” 

Il Ginn era furioso per quella mancanza di rispetto e gli ruggì: “Non mi credi? Come ti permetti di dubitare della mia parola? Non sai che non posso mentire?” Il giovane rispose: “No, certo che non lo so. Non ti conosco perciò non posso saperlo. Come faccio a essere sicuro che tu sei veramente quello che mi dici di essere?” Il genio chiese: “E allora dimmi come posso dimostrarti che ti sto dicendo la verità?” Il pescatore rispose: “Intanto potresti darmi una dimostrazione! Credi di poter usare i tuoi poteri anche quando sei chiuso dentro la bottiglia?” Il Ginn ammise: “In effetti posso usare i miei poteri, ma non posso usarli per potermi liberare.” 

Il ragazzo disse: “Allora ti chiedo di darmi la capacità di risolvere il più grande problema che mi assilla.” Il Ginn mise in azione i suoi misteriosi poteri e il pescatore sentì che poteva comprendere il significato del monito che gli aveva tramandato suo nonno, poi vide anche le tremende conseguenze che avrebbe avuto se avesse liberato il Ginn, e vide anche come poteva trasmettere agli altri uomini tali capacità. Tuttavia comprese anche che non poteva fare molto di più. Allora, come suo nonno, afferrò la bottiglia e la lanciò con forza in fondo all’oceano. 

Da quel momento il giovane pescatore non si dedicò più alla pesca, ma usò il resto della sua vita per spiegare agli uomini i pericoli che corre chi pretende di usare quello che non ha imparato a usare. Tuttavia sono pochi gli uomini che possono trovano dei Ginn rinchiusi dentro una bottiglia di rame, e sono ancora meno quelli che riescono a trovare dei saggi che sanno consigliarli nel modo migliore, perciò i rari seguaci del pescatore riuscirono a snaturare quelli che vengono chiamati ‘i suoi insegnamenti.’ 

La sua esperienza divenne una parodia perché venne il tempo in cui furono fondate delle religioni in cui gli adepti si riuniscono in templi sfarzosi dove si beve dentro le bottiglie di rame. Ma ci sono anche delle persone che hanno un profondo amore per il pescatore e per il saggio; costoro si sforzano di amarsi l'uno l’altro solo perché li amano. Essi si sforzano di imitarne i comportamenti e le azioni in ogni modo. Da allora sono trascorsi molti secoli per cui il loro messaggio è ancora un mistero, i loro seguaci sono pochi e misconosciuti. La bottiglia di rame è in fondo all’oceano, e il genio ancora vi sonnecchia.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 9 marzo 2016

I livelli dell’anima



“Il Santo, sia Egli benedetto, pose nell’uomo
un’anima sublime e vi incluse sapienza e intelligenza,
per conoscere tutto.” (Zohar II. 55a)

Secondo i cabalisti, l’anima è lo specchio delle Sephiroth perciò l’anima è una scintilla dell’Essenza Divina. Nello Zohar si dice che l’anima fu rivestita con un corpo, quindi l’unica parte reale dell’uomo è l’anima che – al momento della morte - lascia l’involucro corporeo in cui è racchiusa. È scritto pure che Dio, all’origine delle cose, creò un certo numero di anime destinate a unirsi ai corpi, infatti nel Talmud si afferma che le anime sono racchiuse in un magazzino celeste mentre aspettano di scendere sulla Terra. E, mentre alcune restano nascoste sotto il trono di Dio, altre sono libere di passeggiare nelle pianure celesti in compagnia delle anime che hanno già vissuto.

Tutte le anime vivono nel Settimo Cielo tra immensi tesori di vita immersi nella benedizione Divina, perciò il Messia verrà solo quando tutte le anime avranno vissuto sulla terra. Il Talmud dice che l’anima è elemento essenziale dell’uomo, perciò l'anima è la parte che caratterizza la sua individualità e che conosce tutti i segreti della Torah. L’anima è la fonte della vita del corpo perché l'anima fu donata all’uomo affinché potesse combattere la battaglia tra il bene e il male.

Nella dottrina cabalistica si afferma che la vita umana è una lotta contro le passioni, perciò non viviamo in una condizione di pace e di beatitudine. Secondo i cabalisti, l’uomo è l’agente perfezionatore del cosmo perché è composto dalle 10 Sephiroth, e le loro forze si rispecchiano nell'uomo. L’uomo fu concepito come un “trasformatore” che - per mezzo della sua esistenza e delle sue azioni - può amplificare tutte le forze che riesce a contenere. L’uomo può innalzare tutta la manifestazione fino al massimo grado e può spingerla verso la Fonte primaria.

Secondo la dottrina cabalistica, le Sephiroth con cui Dio mostra la sua natura assumono una forma umana e creano il microcosmo che può esercitare la sua azione correttiva nel Macrocosmo, e anche sull’Uomo Primordiale che è situato al di sopra di lui. Tutto questo è possibile – dicono i cabalisti - perché solo all’uomo è stato concesso il dono del libero arbitrio con cui ha avuto il potere di avanzare o di regredire in conseguenza delle sue azioni.

Tutto questo dimostra il motivo per cui la forma umana è considerata “la forma che include tutte le forme” essendo creata a immagine di Dio. Secondo una teoria molto diffusa, prima del peccato originale, l’uomo possedeva solo un corpo spirituale ma ottenne il corpo di carne dopo la caduta originaria. L’idea è suggerita dal passo della Genesi in cui è detto che Dio fece degli abiti di pelle per Adamo ed Eva che - in precedenza - avevano solo un corpo fatto di luce. Fu in quel preciso momento che la volontà umana si allontanò dalla volontà Divina, e nacque l’individualità che è dotata del libero arbitrio.

La separazione da Dio comportò la moltiplicazione delle individualità, perciò l’Uno diventò una moltitudine. Secondo i cabalisti, la serie di fluttuazioni armoniche periodiche si trasformò in un conflitto tra gli opposti estremi, e si mostrò nella polarizzazione tra bene e male. Questo è diventato il destino dell’uomo, perciò la missione umana è quella di vincere la polarizzazione causata dal peccato originale. L’uomo deve ritrovare l’unità e l’armonia dell'origine, e questo può essere realizzato se l'uomo unisce la sua volontà con quella di Dio.

Queste idee mostrano che la Cabala e il Cristianesimo provengono dalle stesse fonti, ma poi la direzione cambiò perché i cabalisti credono che esiste sempre la possibilità che l’uomo possa superare la sua corruzione interiore per mezzo delle sue forze innate e con l’aiuto di Dio. Nello Zohar è scritto che l’anima umana può elevarsi e perfezionarsi poiché l’anima può ascendere dai 3 piani inferiori che formano la base fondamentale fino a comprendere 5 livelli di esistenza che corrispondono alle 5 dimensioni di vita a cui si accede percorrendo i 32 Sentieri della Saggezza.

Perciò i cabalisti affermano che si possono percorrere i 5 piani rappresentati da Nefesh, Ruach, Neshamah, Hayah e Yehidah. Questi livelli evolutivi dell’anima vengono collegati alle 5 vocali dello Tseruf che è una pratica mistica che somiglia alla vibrazione canora del Mantra Yoga degli induisti e ad alcuni esercizi dei sufi. Perciò, i cabalisti credono che il canto sia un mezzo per poter risvegliare l’anima. Ma, sebbene i livelli che l’anima può fare siano cinque, di solito si parte dai primi 3 livelli di base ossia da Nefesh, Ruach e Neshamah.

Nefesh è l’involucro delle facoltà fisiche e mentali che vengono assegnate ad ogni uomo durante il suo soggiorno sulla Terra. Quest’anima comprende la sfera dei sentimenti, delle emozioni, dei pensieri, dei desideri e degli istinti, perciò questa parte dell'anima viene assimilata all’ego dell’uomo. Nefesh vuol dire “anima”, “vita” o “respirazione” e sebbene venga collegata alla tumultuosa vita interiore proviene dal verbo “nafash” che significa “riprendere fiato” o “riposarsi.” Permutando questo termine vediamo che Nefesh diventa “nashaf” cioè “soffiare” o “esalare” perciò vediamo che Nefesh esprime l’esalazione del soffio dell’anima, e che la sua manifestazione avviene tramite il canale di Ruach.

Questa parte dell’anima è sottoposta al turbinare dei pensieri, dei sentimenti e delle passioni perciò essa aspira sempre alla pace, poiché aspira a ritornare alla sua condizione originaria. Nefesh esprime la sfera psicologica dell’uomo, infatti “nafshi” significa “spirituale” o “psicologico” e indica il mondo dell’affettività ovvero il mondo delle relazioni che l’uomo intesse con tutto quello che lo circonda. La Nefesh rappresenta i due lati opposti del nostro “io” in quanto rappresenta la dualità e la scissione che proviene dai nostri conflitti interiori, perciò la padronanza dei contrasti produce una profonda pace interiore.

Il sangue è il veicolo della Nefesh, perciò Nefesh viene messa in rapporto con i fluidi vitali ed è associata al corpo eterico dell’occultismo. La Nefesh è il veicolo più basso dell’anima perciò è il livello che dipende dal mondo di Assiah, il mondo dell'azione. Il termine Ruach significa “vento” perciò Ruach è l’anima che rappresenta lo spazio aperto in cui avviene lo scambio energetico tra la Nefesh dell’ego inferiore e la Neshamah che rappresenta l’ego superiore. La Ruach ha il ruolo di “valvola di sfogo” ed è il luogo dove si può allentare la pressione che si crea all'interno dell’anima. Tutto questo si vede nel termine “ravah” che gli viene associato, e che significa “essere alleviato.”

La Ruach ha un ruolo primario nella meditazione, perché rappresenta lo spazio di libertà interiore più vicino alla realtà tumultuosa del mondo esterno, perciò è la parte dell’anima con cui più facilmente possiamo entrare in contatto. Tutte le tecniche di respirazione cabalistiche vengono associate alla Ruach perché i cabalisti associano il respiro allo spirito e, di conseguenza, credono che l’armonia del respiro può giovare allo spirito. Tutte le pratiche che sono associate all’aria vengono collegate alla Nefesh, mentre la Ruach viene associata ai condotti della respirazione, e la Neshamah viene associata all’apparato respiratorio in generale.

A causa del suo ruolo di scambio e di intermediazione, Ruach viene associata al mondo della formazione, perciò viene associata alla dimensione intermedia tra mondo materiale e mondo spirituale. Neshamah deriva dal verbo “nasham” cioè “respirare” e dal sostantivo “neshem” ossia “soffio vitale” che è un termine molto simile al termine “neshimah” che indica la respirazione. Per questo, la Neshamah viene associata al primo atto della vita cioè all’inspirazione e all’espirazione che rappresenta il primo soffio con cui entriamo nella vita terrena.

I cabalisti dicono che Neshamah corrisponde alla prima He del Nome Divino, il Tetragramma, che incarna l’evoluzione del soffio di Dio perciò collegano Ruach alla lettera Vav che svolge un’azione mediatrice, mentre Nefesh viene collegata alla seconda He del Tetragramma che raffigura l’espirazione divina. Queste associazioni nascono dal racconto biblico della creazione dell'uomo in cui Dio soffiò dentro le narici dell’uomo di argilla che aveva plasmato il suo respiro, perciò il soffio Divino trasformò l'uomo di argilla rossa in un essere vivente.

Questo brano biblico illustra anche il processo omologo del cabalista operativo che opera per creare il Golem. Dal punto di vista spirituale, un processo simile viene ripetuto anche durante la verbalizzazione mantrica che viene chiamata Tseruf. Questa pratica mistica consente al cabalista che la ripete di diventare un essere completo che riesce a vivere nei 4 mondi della Cabala. Si crede che, tramite questa vocalizzazione mantrica, le energie che sono emesse dalle lettere che vengono pronunciate, si possano combinare al livello di Neshamah e - tramite la Ruach - possano passare nella sfera sensibile e vocale finché si diffondono nella Nefesh.

Per mezzo di questa vocalizzazione mantrica o Tseruf, la Neshamah può attirare l’energia universale, lo Shefà, traendola dal mondo di Atziluth e può convogliarla all’interno delle forze vitali umane. Per questo, la Neshamah viene correlata al mondo della creazione, Briah. Il grande rabbino e cabalista di origine marocchina, Elia Benamozegh, che visse a Livorno nel 19° secolo, diceva che il soffio che il Signore insufflò nelle narici di Adamo creò l’uomo terrestre, e che questo racconto conferma la realtà della sua spiritualità e l’origine divina dell'uomo.

Egli diceva che l’uomo contiene una parte immortale cioè la sua coscienza, la sua individualità ossia il suo io. E aggiungeva che, con la morte del corpo fisico termina la vita terrena, ma inizia una nuova fase dell’esistenza, perché Dio accoglie l’anima del defunto nel suo Regno e lo fa sedere nell’assemblea dei Giusti. Benamozegh disse: “La morte fa delle nostre anime come dell’acqua che scorre verso una meta determinata e non torna mai indietro. Questo luogo verso il quale tende è Dio stesso. Egli troverà il modo perché nessuno sia mai rigettato.”

Per questo dobbiamo pensare che, se i 3 livelli fondamentali dell’anima influenzano direttamente la vita umana, i due gradi superiori ossia la Hayah e la Yehidah si attiveranno solo nel mondo futuro. Il termine Hayah significa ”vivo o “vivente” sebbene possa sembrare strano che la Nefesh che corrisponde ad un livello inferiore venga rappresentata da uno stato di quiete mentre il livello superiore espresso dalla Hayah venga rappresentato da una dimensione molto viva e dinamica. Ma questo fatto non è affatto strano, perché le sfere superiori non sono mai passive ma sono sempre vibranti di intensa attività spirituale.

La Hayah viene posta nella regione più bassa di Atziluth dove inizia la dimensione del tempo, perciò rappresenta lo stadio iniziale della vita, mentre i 3 gradi inferiori indicano i vari livelli evolutivi creati dal soffio Divino. Hayah è il principio vitale che precede ogni manifestazione creata dal soffio vitale. Yehidah significa “l'unità” e deriva dall’aggettivo ”yahid” che significa “solo”, “unico” o “isolato” perciò rappresenta il piano dell’anima che corrisponde al livello superiore di Atziluth dove non esiste nessun concetto di tempo.

A questo livello non esiste nessuna distinzione tra Creatore e creatura, poiché esiste solo l’Uno: qui finisce la molteplicità e si ritrova l'Unità. Yehidah è l’Unica perciò è la Luce dell’Ein-Soph dove l’anima ritrova la sua dimora. Yehidah supera tutti per la sua nobiltà, la sua profonda e squisita spiritualità, perciò Benamozegh dice: “Yehidah significa il centro, l’unità, il punto dal quale derivano tutte le forze della vita e del pensiero e al quale convergono. Questa monade regina… che di tutto questo insieme fa una perfetta unità, che tutto produce, tutto coordina, tutto perfeziona” rappresenta l’Anima Suprema che viene assimilata a Dio.

Buona erranza
Sharatan

sabato 5 marzo 2016

Assalti frontali - Profondo rosso - Lampedusa lo sa




Benvenuti i rifugiati,
Benvenuti gli immigrati,
Benvenuti!

Benvenuti gli immigrati,
Benvenuti i rifugiati,
Benvenuti!

Andiamo a Lampedusa

La la Lampedusa lo sa
Oh, Lampedusa lo sa
La la Lampedusa lo sa
Oh, Lampedusa lo sa
Qual è la sua verità
Qual è la sua dignità

Porta della vita, porta dell'Europa
Lampedusa ad aprile era vuota, solitaria e remota
Noi sull'isola in cento
Come un unico gruppo cantavamo nel vento
La libertà è tutto

E non si deve sapere, non si può raccontare
La dignità è in cammino e oggi viene dal mare
C'è stato un naufragio nel viaggio
Ma non lo diresti
Ci sono gli extracomunitari
E gli extraterrestri

C'era il sole e i gabbiani, c'erano i pescecani
C'eravamo anche noi, migranti e lampedusani
Stessa felpa nera col cappuccio a salutare
Una sorella che era una pantera nera del suo cruccio
23 aprile su quel pontile, da poco ripartito il mercantile
Pinar
Ora so, a Lampedusa è crudele il destino
Qui è un mare bellissimo, ma anche un mare assassino

Ma quanta umanità tra le onde del mar
Oh, Lampedusa lo sa
Quanta verità dalla nave Pinar
Oh, Lampedusa lo sa
Quanta dignità, Lampedusa lo sa
Che frega un cazzo agli italiani da qua

La la Lampedusa lo sa
Oh, Lampedusa lo sa
La la Lampedusa lo sa
Oh, Lampedusa lo sa
Qual è la sua verità
Qual è la sua dignità

Lampedusa lo sa, si spezza il pane non si lascia annegare,
non si lascia una barca quattro giorni in mezzo al mare,
bloccata lì da una corvetta militare
tredici soldati italianissimi ma senza un cuore per parlare
mentre tutti e tredici i marinai
si lanciavano in soccorso e hanno avuto dietro solo guai,
gettato le scialuppe davanti a onde altissime

la nave Lavinia gli puntava contro un missile
bloccava tutti i porti, tutti gli imbocchi
per respingerli in Libia con la paura negli occhi,
Lampedusa lo sa, non è un reato migrare
stasera sarà un ponte non una barriera esemplare,
migrano balene e gli uccelli migratori,
migrano gli esseri umani e io non calmo i miei bollori,
saliti a bordo, saliti nell'inferno,
il più assassino di tutti è senza dubbio il governo!

Ma quanta umanità tra le onde del mar
Oh, Lampedusa lo sa
Quanta verità dalla nave Pinar
Oh, Lampedusa lo sa
Quanta dignità, Lampedusa lo sa
che frega un cazzo agli italiani da qua

La, la, Lampedusa lo sa
Oh, Lampedusa lo sa
La, la, Lampedusa lo sa
Oh, Lampedusa lo sa
qual'è la sua verità
qual'è la sua dignità.

Le nostre braccia aperte come finestre,
questa canzone la dedichiamo ad Ester,
a un funerale pieno di Digos
ma anche di fratelli con cui condivido il grido
perché questo è un mondo assurdo,
senti sulle coste l'onda d'urto.
Puoi capire che mi ci catapulto
e mi suona nella testa come un antifurto,
quante volte questa porta è stata chiusa
e quante tombe senza nome a Lampedusa
quante volte questa porta è stata chiusa
e quante tombe senza nome a Lampedusa

Benvenuti i rifugiati,
Benvenuti gli immigrati,
Benvenuti !

Benvenuti gli immigrati,
Benvenuti i rifugiati,
Benvenuti!

Tous les jours qui passent les familles ont de l'espoir
de voir un jour leur rêves se faire réels,
mais personne ne les informe de cette tragédie noire
Que tous les jours il y a des morts dans le désert,
hé mais pas de dignité ni de sensibilité
derrière ceux qu'on a fait murer
Lampedusa le sait
l'occident le sait
La Libye le sait,
Andiamo a Lampedusa

Lampedusa le sait
Lampedusa le sait
l'occident le sait,
la Libye le sait.
Et tout le monde le sait
Oh Lampedusa lo sa
Qual è la sua dignità...

La comprensione di sé



"Tra i molti modi in cui il sé si manifesta ci sono l’ambizione, l’imposizione di un’autorità, la ricerca del potere. Ma quello che veramente importa è capire che cos’è il sé. E, se me lo permettete, vorrei aggiungere che dobbiamo affrontare la questione con molta serietà perché ritengo che voi ed io, se smettessimo di considerarci persone appartenenti ad un gruppo, ad una certa classe sociale, ad una determinata società, abituate a vivere in una particolare zona climatica e comprendessimo il problema che ci sta di fronte, agendo di conseguenza, potremmo realmente produrre una vera rivoluzione.

Il sé tende costantemente ad espandersi, ad universalizzarsi, a creare organizzazioni sempre più sofisticate, nelle quali si fonde e si protegge. Ma se voi ed io fossimo esseri umani capaci di amare ed esprimessimo questo amore nella vita di tutti i giorni, allora ci sarebbe quella rivoluzione che è assolutamente essenziale...

Sapete che cosa intendo con il termine “sé”? Intendo il “me”, i ricordi, le convinzioni, le esperienze, le varie intenzioni nominabili o innominabili, lo sforzo intenzionale di essere o il non essere qualcosa, la memoria accumulata nell’inconscio riguardante l’appartenenza ad una razza, ad un gruppo, ad una famiglia e via di seguito. Tutto questo può manifestarsi esteriormente nell’azione o assumere sul piano spirituale l’aspetto di una virtù.

Questo complicato processo e lo sforzo che esso comporta costituiscono il sé, che implica necessariamente la competizione e il desiderio di essere. E quando ci troviamo di fronte a questo processo, ci rendiamo conto che è male. Uso intenzionalmente questa parola, perché il sé provoca divisione ed un processo autolimitante; qualunque cosa faccia, opera nella frammentazione e nell’isolamento. Lo sappiamo bene. E sappiamo anche quanto siano straordinari i momenti in cui il sé non c’è, quando cadono ogni tensione e ogni sforzo. Questo accade quando c’è amore.

La verità affiora solo quando non abbiamo più niente a che fare con la fede, la conoscenza, l’esperienza, il tentativo di essere virtuosi, che non c’entra con la virtù. Chi cerca intenzionalmente di essere una persona virtuosa, non scoprirà mai la realtà. Potrà anche essere una persona educata, onesta, ma sarà sempre ben diversa dall’essere umano che vive nella verità, che vive nella comprensione. Per questo essere umano la verità è una realtà. Invece, la persona che si sforza di essere giusta e virtuosa non potrà mai capire la verità, perché in lei la virtù è semplicemente uno schermo per nascondere il sé.

Dietro questo schermo di apparente virtù il sé non fa altro che rafforzarsi. La persona che dice: “Devo liberarmi dell’avidità” vive in uno stato nel quale continua a rafforzare il sé. Per questo è tanto importante non possedere nulla, non solo quando si tratta delle cose del mondo, ma soprattutto, quando abbiamo a che fare con la fede e la conoscenza. L'uomo che possiede le ricchezze del mondo o che è pieno di conoscenza e di fede, vivrà nell’oscurità e attrarrà intorno a sé ogni genere di inganni e di miserie.

Ma se voi ed io siamo esseri umani che si rendono pienamente conto dell’intero meccanismo del sé, allora sapremo che cos’è l’amore. Vi assicuro che questa è l’unica riforma che potrà cambiare il mondo. L’amore non c’entra col sé. Il sé non può conoscere l’amore. Quando dite: “Ti amo”, quando pensate di poter sperimentare l’amore, l’amore non c’è. Potete conoscere l’amore solo quando il sé scompare. Quando c’è amore, il sé on c’è.

Un essere umano che comprende la vita non ha certo bisogno di fedi. Un uomo che ama non ha bisogno di credere. Mentre l’uomo che è ossessionato dall’intelletto non può fare a meno di credere, perché l’intelletto è sempre alla ricerca di sicurezza, di protezione. Per difendersi dai pericoli costruisce idee, fedi, ideali dietro i quali trovare riparo. Che cosa accadrebbe se affrontaste direttamente la violenza, ora? Diventereste un pericolo per la società; allora la mente, prevedendo il pericolo, dice: “Realizzerò l’ideale della non violenza: in dieci anni ce la farò”. Ma questa è una falsità...

Capire quello che è, è molto più importante di creare ideali da perseguire, perché gli ideali sono falsi mentre quello che è, è reale. Per capire quello che è, ci vuole una straordinaria capacità, una mente agile, una mente priva di pregiudizi. Il fatto è però che noi non vogliamo affrontare e capire quello che è.

E quindi ci inventiamo un’infinità di vie di fuga che chiamiamo con simpatici nomi come ideale, fede, Dio. Solo quando mi rendo conto che il falso è falso, la mia mente potrà percepire quello che è vero. Una mente che si lascia confondere dal falso non potrà mai scoprire la verità. Quindi dovrei capire che cosa c’è di falso nelle mie relazioni, nelle mie idee, nei fatti che mi riguardano, perché non posso percepire la verità se non capisco quello che è falso.

Se non si rimuovono le cause dell’ignoranza, non potrà esserci illuminazione. E non ha senso cercare l’illuminazione finché la mente rimane nell’oscurità. Quindi è essenziale cominciare a vedere che cosa c’è di falso nei miei rapporti con le idee, con le persone, con le cose. Quando la mente si rende conto di quello che è falso, la verità affiora; allora c’è l'estasi, c’è la felicità. Può esserci entusiasmo senza bisogno di credere in qualcosa? È necessario avere entusiasmo?

Oppure quello che ci serve è un altro genere di energia, un altro genere di spinta, di vitalità? La maggior parte di noi si entusiasma per una cosa o per l’altra: ci piacciono molto i concerti, ci diverte molto l’esercizio fisico o il prendere parte a un picnic. Queste cose ci entusiasmano, ma se il nostro entusiasmo non viene continuamente sostenuto, svanisce finché non troviamo qualcos’altro che lo alimenti. Ma esiste una forza, un’energia capace di sostenersi da sola, che non dipenda da quello in cui crediamo?

E c’è un’altra questione: abbiamo davvero bisogno di credere in qualcosa? E, anche ammesso che sia così, perché sarebbe necessario credere? È una conseguenza logica porsi una domanda del genere. Non abbiamo bisogno di credere nella luce del sole, nelle montagne, nei fiumi. Non abbiamo bisogno di credere che bisticceremo con nostra moglie. Non abbiamo bisogno di credere che la vita abbia a che fare con una tremenda infelicità, che sia piena di angoscia, di conflitti, di ambizione. Questi sono i fatti.

Ma quando vogliamo sottrarci ai fatti e rifugiarci nell’immaginazione, allora abbiamo bisogno di credere in qualcosa. La vostra religione, la vostra fede in Dio sono una fuga dalla realtà: quindi non hanno nulla di religioso. Il ricco che accumula denaro con crudeltà, con disonestà, con la sua avidità di sfruttare gli altri, crede in Dio; e anche voi credete in Dio e anche voi siete furbi, crudeli, sospettosi, invidiosi.

Ma la disonestà, l’inganno, le furberie della mente portano a Dio? Il fatto che collezionate libri sacri e i più diversi simboli di Dio, porta forse ad indicare che siete persone religiose? La religione non è una fuga dai fatti; la religione è la comprensione di quello che siete nelle vostre relazioni quotidiane.

Religione è il modo in cui parlate, è quello che dite, e il modo in cui trattate un servitore, e il modo in cui vi rivolgete a vostra moglie, ai vostri figli, ai vostri vicini. Finché non capirete in che relazione siete con il vostro prossimo, con la società, con vostra moglie e con i vostri figli vivrete nella confusione. E una mente confusa, qualunque cosa faccia, creerà solo altra confusione, altri problemi, altri conflitti.

Una mente che fugge dalla realtà, che non si rende conto delle sue relazioni, non troverà mai Dio; una mente che ha bisogno di aggrapparsi ad una fede, non conoscerà la verità. Invece, la mente che comprende in che relazione è con ciò che possiede, con la gente, con le idee e si rende conto che la soluzione dei problemi di relazione non è nel sottrarsi ad essi ma è nell’amore che è capace di comprenderli, questa mente potrà capire la realtà.

Di fronte alla bruttezza, alla pena, alla sofferenza della vita, sentiamo il bisogno di una teoria, di una filosofia che ci conforti, di una dottrina che ci spieghi il perché di tutto questo. Così ci perdiamo nelle spiegazioni, nelle parole, nelle teorie e, a poco a poco, quello in cui crediamo mette radici profonde, che difficilmente potranno essere strappate, perché dietro le fedi e i dogmi che abbiamo accettato c’è la costante paura dell’ignoto.

Ma non affrontiamo mai la paura; preferiamo fuggirla. Più forte è la fede, più rigidi sono i dogmi. E se osserviamo queste fedi, quella cristiana, quella induista, quella buddista, scopriamo che esse dividono gli esseri umani. Ogni dogma, ogni fede ha i propri riti, impone ai fedeli determinati legami, che li separano dal resto dell’umanità.

E quando cominciamo a indagare per scoprire la verità, per capire il senso dell’infelicità, del conflitto, del dolore, cadiamo nella rete delle fedi, delle cerimonie, delle teorie. Credere in qualcosa significa corrompersi, perché dietro fedi e principi morali si cela il sé, l’ego, che diventa sempre più grande, più potente, più forte. Noi riteniamo che la fede in Dio, la fede in qualcosa, sia religione.

Pensiamo che una persona religiosa non possa fare a meno di credere. Se non credete, diranno che siete atei e verrete condannati dalla società. Ci sarà la società che condanna quelli che credono in Dio, mentre un’altra società condannerà quelli che non ci credono. Ma non c’è alcuna differenza tra questi due tipi di società: sono la stessa cosa. Così la religione diventa una questione di fede e la fede agisce sulla mente, condizionandola.

Così la mente non potrà mai essere libera. Ma solo nella libertà potrete scoprire la verità, potrete scoprire che cos’è Dio. Quello in cui credete non vi servirà a nulla, perché è la proiezione di quello che voi pensate sia Dio, sia la verità. Tu credi in Dio e un’altra persona non ci crede; così quello che tu credi o non credi ti separa dagli altri. Nel mondo la fede è organizzata in strutture come l’induismo, il buddismo, il cristianesimo; e queste strutture dividono gli esseri umani.

Siamo confusi e pensiamo che la fede ci consentirà di fare chiarezza: cioè, alla nostra confusione sovrapponiamo la fede, tentando in questo modo di poter spazzare via la confusione. Non ci rendiamo conto che la nostra fede è semplicemente una fuga dal fatto che siamo confusi e non ci aiuterà né ad affrontarlo, né a comprenderlo. Servirà solo a farci allontanare da quel fatto che è la confusione in cui ci troviamo.

Per capire la confusione, non serve credere in qualcosa; la nostra fede funziona come uno schermo che si frappone tra noi e i nostri problemi. Così la religione, che è diventata l’organizzazione della fede in una struttura, è un mezzo che ci consente di fuggire da quello che è, cioè dal fatto che siamo confusi. Chi crede in Dio, chi crede nell’al di là o in qualunque altra cosa, sta fuggendo dalla realtà di quello che egli è.

Non conoscete forse persone che credono in Dio, partecipano ai riti, cantano, pregano, mentre poi nella loro vita quotidiana sono autoritarie, crudeli, ambiziose, ingannatrici, disoneste? Potranno davvero trovare Dio? Ma lo stanno realmente cercando? Basterà ripetere delle parole o avere fede per accostarsi a Dio? Ma quelle persone dicono di credere in Dio, lo adorano, vanno tutti i giorni al tempio, fanno qualsiasi cosa pur di evitare di vedere quello che sono. E persone simili le considerate rispettabili, perché sono come voi, sono voi stessi.

Ho l’impressione che la maggior parte di noi accetti senza il minimo spirito critico la questione della fede. Non ho intenzione di mettere in discussione la fede. Stiamo semplicemente cercando di scoprire perché deve essere una cosa scontata accettarla. Se riuscissimo a renderci conto dei motivi, delle cause che ci inducono ad accettarla, allora, forse, non solo potremmo capire perché ci comportiamo così, ma saremmo anche capaci di metterla da parte.

È lì da vedere come le ideologie in cui crediamo, che siano politiche, religiose, nazionalistiche o di qualsiasi altro genere, separino gli esseri umani; generino conflitti, confusione, antagonismi. Questo è un fatto del tutto evidente, eppure non abbiamo intenzione di gettarle via. Si parla di fede induista, di fede cristiana, di fede buddista, di fede nazionalista e di innumerevoli altre fedi settarie che fanno riferimento a varie ideologie politiche: sono tutte in conflitto tra loro, ognuna di esse cerca di convertire le altre.

È evidente che queste fedi separano le persone e alimentano l’intolleranza. Ma è possibile vivere senza credere in qualcosa? Possiamo scoprirlo solo se capiamo in che relazione siamo con una fede. È possibile vivere in questo mondo senza appoggiarsi ad alcuna fede? Non si tratta di cambiare fede, di passare da una fede all’altra, ma di mettere da parte qualsiasi fede per poter conoscere la vita in ogni istante come se fosse la prima volta.

In fondo è questa la verità: essere capaci di imbatterci in qualsiasi cosa, di momento in momento, come se fosse la prima volta, senza che intervenga la reazione condizionante del passato. È l’accumulo di queste reazioni che costruisce una barriera tra noi e quello che è. Che cosa ci accadrebbe, se facessimo a meno di credere in qualcosa? Avremmo una paura tremenda di quello che potrebbe succedere?

Ci sentiremmo perduti se dovessimo rinunciare ad uno schema d’azione basato sulla fede, che sia la fede in Dio, la fede nel comunismo, nel socialismo,nell’imperialismo, in una formula religiosa o in un dogma che ci condiziona. Ma allora la fede che abbiamo accettato non serve forse a nascondere quella paura, la paura di non essere assolutamente nulla, di essere completamente vuoti?

In fondo, una tazza è utile solo quando è vuota; e una mente piena di riti, di dogmi, di pretese, di citazioni, non può essere creativa; può solo continuare a ripetere qualcosa. Quella paura è la paura del vuoto, della solitudine, del ristagno, dell’insuccesso, del fallimento, del non essere o del non diventare ciò che vorremmo. E proprio per sottrarci a questa paura accettiamo totalmente di credere intensamente in qualcosa. Ma, in queste, condizioni possiamo capire noi stessi? Evidentemente, no.

Una fede qualsiasi, religiosa o politica, ci impedisce di capire noi stessi. Diventa lo schermo attraverso il quale guardiamo. E che cosa succede se guardiamo noi stessi togliendo di mezzo questo schermo? Se facciamo a meno delle tante fedi che abbiamo, rimane qualcosa da guardare? La mente si identifica con quello in cui crede, ma quando smette di identificarsi, perché non ha nulla in cui credere, può guardare se stessa per quello che è. E questo, sicuramente, è l’inizio della comprensione di sé." (Jiddu Krishnamurti)

mercoledì 2 marzo 2016

Sfumature



“Vieni e considera. Vi sono colori che appaiono
e vi sono colori che non appaiono. Gli uni e gli altri
costituiscono un segreto superno della fede che
gli uomini non conoscono e non considerano.”
(Zohar, II, 23 a-b)

L’insegnamento cabalistico contiene molteplici e profonde valenze simboliche perché il simbolismo è la prima forma di linguaggio che ha preceduto l’uso della scrittura. I cabalisti usano i simboli perché il simbolo è una via di comunicazione tra il conscio e l’inconscio perciò rappresenta il linguaggio che il Creatore ha scelto per comunicare con la sua creatura. Qualunque sia lo stato di coscienza a cui siamo giunti e il tipo di credenza che vogliamo avere, i simboli riescono a penetrare in noi.

I cabalisti credono che sebbene possiamo essere sommersi dalle nebbie dell’inconscio, malgrado tutto i simboli possono indurre - in noi - profonde riflessioni che riescono a superare il contesto storico, filosofico e religioso in cui viviamo perciò il loro contributo è sempre benefico. Esaminando i testi della cabala si può restare stupiti dalla ricchezza dei richiami simbolici che possiedono. Ma se sappiamo costruire un'esperienza sufficiente con il loro tipo di linguaggio che viene usato dai cabalisti possiamo apprezzare le infinite sfumature di questi insegnamenti.

Ogni simbolo può richiamare alla memoria il simbolo opposto o quello assimilabile, perché il simbolo racchiude un contesto molto vario. E la ricezione del simbolo può essere recepita in modo diverso a seconda delle esperienze consce e inconsce del soggetto che li studia e interpreta. Il simbolo sa comunicare con la nostra coscienza, perciò ci aiuta a comprendere alcuni aspetti della conoscenza che non potrebbero essere compresi o comunicati in modo diverso.

Un simbolo può suggerire messaggi che non potrebbero essere trasmessi in modo diverso. Il simbolo può aiutarci a fare percorsi di carattere iniziatico, mistico e occulto: questo è il metodo usato dai cabalisti. Il cabalista ha fatto esperienza del mondo spirituale e comunica la sua esperienza in modo simbolico. La parola “simbolo” deriva dal verbo greco “symballein” che significa “fare incontrare” o “unire” perciò allude al fatto che due entità distinte possono incontrarsi nel simbolo. L’incontro avviene  sul confine tra visibile e invisibile, tra concreto e astratto, tra conscio e inconscio, ma anche tra il mondo della causa e quello dell'effetto perciò il simbolo possiede tanti significati.

Nello Zohar è scritto che presso l’Altissimo vi sono 7 luci che abitano presso l’Anziano degli Anziani, il Misterioso dei Misteriosi, il Nascosto dei Nascosti: l’Ain Soph. Le 7 luci sono i 7 Spiriti che si trovano presso il Trono di Dio. Essi sono il prodotto dalla scomposizione della luce divina perciò si mostrano come 7 colori: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e viola. Dio è come la luce solare perciò sembra una luce unica ma, se attraversa un prisma, viene scomposta in 7 colori, e questa immagine allude al fatto che l’essere umano è una trinità che è composta da corpo, anima e spirito.

L’immagine richiama il concetto che l’essere umano che sa sviluppare in modo armonioso il suo triangolo formato dall'intelletto, dal cuore e dalla volontà può rispecchiare la luce divina. La luce del sole può penetrare in lui e può manifestarsi con 7 sfumature di colori. Ma, se l’uomo ha deformato il suo triangolo interiore, la sua aura non può riflettere i 7 colori che vanno associati a 7 virtù che ci avvicinano alla Divinità.

Se il nostro comportamento è scaltro invece che intelligente, se è feroce invece che clemente e così via, allora l’essere umano è ridotto al servizio della distruzione e della discordia: in tal caso la nostra aura non risplenderà con colori vivi e risplendenti ma sarà opaca o orribile a vedersi. Nella cabala, la luce rossa è chiamata lo Spirito di Vita, perché le vibrazioni prodotte dal colore rosso infondono una vitalità intensa e vibrante. Ma il rosso possiede molte sfumature che possono indicare l’amore, la sensualità, l’energia, la collera etc.

Il colore arancione è il secondo Spirito, lo Spirito di Santità perciò l’arancione è collegato alla santità. Ma l’arancione possiede anche sfumature che indicano la fierezza, l’orgoglio e l’individualismo. Una sfumatura di arancione può migliorare la salute, mentre un’altra sfumatura può rinforzare la fede e la può consolidare perché l’arancione è il colore della salute e della santità. La luce giallo oro esprime lo Spirito della Saggezza che spinge le creature a studiare, meditare, riflettere e ricercare la saggezza, perciò le spinge a diventare riflessive e prudenti.

Lo luce verde esprime lo Spirito dell’Eternità e dell’Evoluzione perché il verde è associato alla crescita, allo sviluppo e alla ricchezza. Il colore verde è associato pure alla speranza e alla possibilità di evolvere. La luce blu è lo Spirito della Verità che è collegato alla religione, alla pace e alla musica, perciò il colore blu favorisce lo sviluppo del senso musicale, calma il sistema nervoso, guarisce i polmoni e agisce favorevolmente sugli occhi, ma il colore blu è anche il simbolo della verità.

La luce indaco raffigura lo Spirito della Forza, infatti l’indaco è il colore dello Spirito della Regalità che ha le stesse proprietà del colore blu. La luce viola è lo Spirito dell’Onnipotenza divina e quello dell’Amore spirituale perciò è anche il simbolo dello Spirito del Sacrificio. Il viola è un colore molto potente che possiede un forte potere di protezione. Il viola è un colore mistico che aiuta l’uomo a sdoppiarsi per visitare i mondi superiori perciò gli permette di comprendere l’amore di Dio, ma è un colore che non è molto favorevole al mondo vegetale.

In alcune pratiche meditative vengono usate le vibrazioni del colore che sono alla base anche delle tecniche che sono usate per imparare a leggere l’aura. Perciò se l'uomo possiede un’aura di colore rosso non molto puro e limpido significa che l’individuo è un essere troppo iracondo che è attratto dalla sensualità e dagli eccessi di ogni genere. La sfumatura di rosso che vediamo esprime la qualità del sentimento e l’intensità della vibrazione del colore dell'aura mostra la forza del suo sentimento.

Il rosso viene associato alla guerra e al sangue, perciò è meglio che la gradazione di rosso è piena e pura. Perciò potrebbe essere opportuno che un rosso vivo venga attenuato dal bianco per ottenere un colore rosa luminoso. Il rosa esprime una particolare sfumatura d’amore con il bianco che infonde la purezza e l'armonia al rosso intenso che può diventare violenza ed egoismo: ciò consente di infondere nell'amore anche la tenerezza. Ecco perché il rosa è diventato il simbolo della delicatezza e della tenerezza, e questo è dovuto al legame del rosso con il colore bianco che ne mitiga l'irruenza.

La mescolanza dei colori mitiga un colore tormentato e intenso come il rosso e svolge un’azione più benefica. Per questo il detto che “saper vedere il mondo rosa” rappresenta un carattere piacevole, ottimista e felice. Ma lo stesso discorso è valido per tutti i colori perciò il tono sbiadito o spento del blu esprime il carattere di un uomo che ha smarrito la fede e che non ritrova più la pace interiore. Così anche un colore giallo spento o impuro esprime il carattere di un uomo che è incapace di approfondire e comprendere le cose perciò esprime il tratto dell'uomo incapace di usare l'intelligenza.

Secondo lo Zohar, davanti al Trono dell’Eterno ci sono 7 Spiriti che esprimono qualità che ci rendono vicini a Dio: Vita, Santità, Saggezza, Eternità, Verità, Forza e Sacrificio. Se vogliamo ottenere anche altre sfumature di colori dobbiamo iniziare unendo 2 colori, infatti sappiamo che viola e arancio producono il rosso, che il rosso e il giallo producono l’arancione e così via. Sappiamo che ogni colore è figlio di altri due colori, perciò è necessario sapere quali colori è meglio associare per avere i colori migliori.

Tra i  colori esistono delle opposizioni e delle affinità che possiamo osservare anche nella relazione tra i pianeti astrologici ed i colori. Vediamo che il rosso viene associato al pianeta Marte che è un pianeta violento, impetuoso e distruttivo perché viene associato al maschile, sebbene il principio maschile possa essere associato anche al Sole e al pianeta Giove che esprimono un maschile dal tratto diverso. Il verde corrisponde a Venere perciò le persone connotate dal colore rosso sono attratte dal verde.

Ma, se l'associazione di rosso e verde produce una valorizzazione dei due colori che vengono accostati, non devono mai essere fusi insieme, perché se l’accostamento genera un’armonia meravigliosa, la mescolanza di rosso e di verde produce un colore mostruoso. La stessa cosa avviene con l’associazione di arancione e di blu che causa una sfumatura orrenda mentre se accostiamo uno con l’altro produciamo un’associazione espressiva che può esaltarli entrambi. Un caso simile si vede nel rapporto tra due persone che possono essere buoni amici, ma che sarebbero dei pessimi amanti.

Il blu viene associato al pianeta Giove e l’arancione è associato al Sole, perciò questi colori sono entrambi assai positivi, ma questi due colori non possono unirsi tra loro. Anche il giallo e il viola non vanno assolutamente mescolati, infatti la cabala associa il colore giallo al pianeta Mercurio e il viola alla Luna sebbene - comunemente - la Luna venga associata al bianco. Se associamo il bianco alla Luna dobbiamo assegnare il viola al pianeta Nettuno che è identico alla Luna, ma che possiede una tonalità che lo pone su un gradino superiore.

Il pianeta Urano è l’ottava superiore di Mercurio, ma questo tipo di rapporto si comprende meglio se associamo la natura dei pianeti con la struttura dell’Albero sefirotico. Osservando l’Albero delle Sephiroth vediamo che Mercurio associato a Hod è opposto a Urano associato a Hokman e che, su un altro asse, Venere associata a Netzach viene opposta a Saturno che è associato a Binah. Sul pilastro centrale vediamo che c’è la Luna che è associata a Iesod ed è opposta a Nettuno che è rappresentato da Kether.

Sul piano orizzontale abbiamo Marte associato a Geburah che rappresenta il Pilastro del Rigore che si oppone a Giove che è associato a Hesed che rappresenta il Pilastro della Clemenza. Perciò vediamo che tutte queste relazioni dimostrano che alcune realtà possono essere associate a mondi diversi. Se volessimo approfondire la complessa simbologia  della cabala potremmo vedere che questa dottrina ci suggerisce che l’amore di Venere deve diventare l’intelligenza di Saturno, e che l’intelligenza concreta di Mercurio che sa usare la parola, il ragionamento e il senso degli affari deve generare la saggezza che è espressa da Urano.

Le corrispondenze suggerite dalla cabala non sono mai casuali, ma possiedono sfumature significative che possono essere approfondite in campi diversi. Lo studio del significato occulto dei colori può favorire la nostra evoluzione interiore ma può anche può farci approfondire il linguaggio occulto delle sacre scritture. Il colore rosso è colore più vicino alla terra, invece il colore blu viene sempre associato a quello che proviene dal cielo. In ebraico il primo uomo è chiamato Adamo e il luogo in cui lui abitava fè chiamato Eden, perché la terra, in ebraico, è detta Adamah e il colore rosso è detto Adom.

Il colore rosso è la terra, l' Adamo e l’Eden perché sono tutte parole che provengono dalla stessa radice perciò la cabala chiama Adamo, l’Uomo rosso. Invece il Cristo rappresenta l’Uomo nuovo perché il Cristo è l'uomo che discende dal cielo perciò gli viene assegnato il colore blu. La trasformazione del Rosso in Blu rappresenta il simbolo del lavoro a cui si dedicavano gli alchimisti, e il loro duro impegno viene simboleggiato dal colore rosso che rappresenta la natura violenta, grossolana e animale dell'essere umano che deve essere trasformata nel blu che raffigura l'Essere che discende dal mondo celeste.

Il Rosso e il Blu esprimono i due poli opposti su cui gli alchimisti dovevano saper passare lavorando con l’acido e la base. Se sappiamo spostandoci tra i due poli del maschile e del femminile noi dimostriamo che abbiamo imparato a trasformare il rosso e il blu dosando una piccola goccia di acido e di base, perciò sappiamo passare dal Rosso al Blu. L'umanità deriva da Adamo, perciò il colore rosso rappresenta il simbolo dell’uomo vecchio che dovrà divenire l’Uomo Nuovo, il Cristo, che viene raffigurato dal colore blu che è diventato il simbolo della Verità, della Pace e dell’Amore.

Buona erranza
Sharatan