domenica 16 maggio 2010

Battere i metalli con i metalli


Il nome arabo “al-kimiya” è l’abbreviazione del termine “San’at al-kimiya” cioè “L’Arte di ottenere l’Oro dai metalli meno nobili“, che è un vocabolo ripreso da Zosimo di Panopoli, il grande alchimista e maestro gnostico vissuto nel 3. sec. a. C., anche se l’etimologia più antica è la radice indù Hu “versare nel fuoco” cioè “fondere.” Credere che l’alchimia sia la madre della chimica, è una concezione erronea nata a metà Ottocento dagli studiosi della scienza, che hanno voluto vedere l’alchimia come una formula degradata della conoscenza: questa è una concezione del tutto falsa!

L’alchimista è stato visto come il ciarlatano di una scienza per allocchi e per folli, disciplina che beffa gli illusi con una pratica fattucchiera che imita la vera natura, facendo oro falso e battendo una moneta forgiata da truffatori di bassa lega: e questo oro batte sempre a vuoto! E non è detto che non esitano tali furfanti, ma l’arte a cui io alludo li vede tutti esclusi, infatti l’Alchimia è la Via Regia che eleva l’uomo dalla condizione degradata fino al livello del Sole Divino.

L’alchimia è una mistica attiva, perciò diversa da quella cristiana, ebraica o islamica che si limita a contemplare senza agire per meritare di essere il ricettacolo dello Spirito Divino. Nell’alchimia la tecnica dell’estasi viene messa in pratica perché l’alchimia è la via della gnosi, cioè è il grado di godimento della massima conoscenza della via dell’amore. Osserviamo perciò che, al livello supremo, l’alchimia è “Unio mystica” con la Divinità mentre, al livello inferiore, il suo significato è quello di Ricostruzione dell‘originaria Unità umana, che è possibile in virtù della derivazione dell'Uomo dalla Fonte Divina.

L’alchimia è il reintegrare la Divinità che è dormiente nell’uomo, e viene attuata tramite le fasi della Grande Opera, che è una pratica dall’origine antichissima che si perde nella notte dei tempi. Essa viene testimoniata nel 2. sec. a.C. quando, nell’ambiente cosmopolita e raffinato di Alessandria d’Egitto troviamo un trattato con cui Bolo il Democriteo trasferisce nelle scienze occulte tutte le tecniche artigianali più raffinate dei mestieri dei tintori, dei vetrai e dei metallurgici. In questo scritto è dimostrato che è la chimica che entra nell’alchimia, e che non è vero il contrario come viene detto.

Se avessimo avuto il coraggio di affacciarci al balcone che guarda a Oriente, avremmo riconosciuto l’alchimia nella tradizione neo-taoista e nell’ermetismo tantrico indiano, ma Mircea Eliade con sguardo più ampio ci allarga la prospettiva, ritrovando in quelle pratiche orientali l‘immagine della Terra-Madre, dei vegetali e dei metalli lavorati con dei mestieri pieni di tecniche misteriche. Il contatto tra l’uomo e la terra origina una mitologia del fuoco che è originariamente caduto dal cielo portato dalle meteoriti, che sono frammenti di stelle cadute a terra, perciò provenienti direttamente dagli dei, ma che poi diventa la tecnica di lavorare, con il fuoco terrestre, il metallo che viene scavato dal grembo della terra.

L’uomo del tempo arcaico lavora questo materiale sacro con la fatica delle sue mani, cioè con la tecnica di colui che deve fare, e che deve manipolare duramente per ottenere un prodotto più raffinato da utilizzare. Nel manipolare vi è l'uso dell’intelligenza nella ideazione degli utensili con cui si agisce sulla materia, perciò deve esserci l'uso della magia anche nella tecnologia, se stiamo lavorando sulla sacralità. Nella metallurgia, vi è la fatica dell’escavazione che richiama l’esperienza della ricerca del filone necessario, quindi vi è lo scavo della pietra che è il lapis, da cui ottenere la sostanza metallica da fondere, con il fuoco nella forgia.

All’ultimo vi è la fatica di battere il ferro incandescente nella fucina per ricavarne degli utensili, perciò il lavoro del fabbro è plasmare, tramite il battere dei metalli con l'uso di altri metalli. E’ con questa concezione antica e venerabile della tecnica dei metalli, che possiamo concepire le associazioni segrete dei mestieri dei fabbri, da cui l'alchimia attinse pienamente per il simbolismo, per le mitologie e per le tecniche in cui veniva affrontata, la presa di contatto dell’uomo originario con la realtà vegetale e minerale del nostro pianeta, cioè il contatto sacro con l'Entità Unitaria.

Secondo Julius Evola, l’alchimia sarebbe evoluta come concezione eroica ed olimpica, piuttosto che dalla concezione sacrale e sacerdotale di alcune figure. Per Evola è il modello eroico quello necessario per poter lavorare sulle forze spirituali: solo questo serve per rigenerare e ricostruire la dignità primordiale ed originaria della Creatura. Questa reintegrazione umana alla Regalità è il metodo unificante di tutti i metodi, perciò il simbolismo alchemico non ha solo un valore mistico, ma possiede anche l’aspetto di una Scienza Reale, in grado di esercitare influenza sul mondo concreto.

Le varie fasi della Grande Opera assumono un valore concreto, e vengono indicate con una terminologia simbolica ripresa dai mestieri sacri originari, praticando la via alchemica avremo la manifestazione fisica e concreta di poteri soprannaturali, e avremo poteri eccezionali, tra cui la capacità di fabbricare l'oro, ossia il godimento della ricchezza materiale nella trasmutazione del Piombo in Oro: valutare il livello simbolico di queste affermazioni è un problema squisitamente personale!

Comunque sia, nell’alchimia concepita con spirito moderno, dovremmo cogliere il significato più utile e profondo di testimonianza di un percorso di realizzazione del nostro “oro interiore” perciò delle nostre migliori qualità e dei nostri talenti più elevati, sia in senso pratico che spirituale. Messa così tutta la questione, appare ancora più evidente come sia l’alchimia che riesce ad insegnare alla chimica poiché, in verità, tutte le scienze fisiche reali sono soltanto una degenerescenza della visione regale del mondo, il quale possiede sfaccettature molto più varie ed elevate di quelle prettamente materiali.

L’alchimia è anche un fenomeno magico-religioso, con cui le esperienze si spogliano dell’aspetto pratico e materiale per diventare idee e materiali mentali che vanno a far parte di costellazioni culturali, assumendo così grande potenza energetica. Questi nuclei energetici, per moto circolare, dall’ambito religioso vanno a tornare alla dimensione naturale da cui avevano avuto origine, perciò rientrano nel mondo tramite la scienza: è questo il motivo per cui Mircea Eliade afferma che l’approccio scientifico e materiale ha “desacralizzato” il cosmo.

Nell’alchimia cinese vi è una tradizione millenaria che risale al 3.-4. sec. a. C., e che viene testimoniata dal "Ts’an T’ung Ch’i" o “La Correlazione (o Parentela) del Trio” risalente al 121 a.C., opera di commento a I Ching, scritta da Wei Po-Yang, in cui si tratta della preparazione della “pillola dell’immortalità.” Già Lieh Tzu nel 4. sec. a.C. parlava di isole paradisiache in cui sono le “case di Oro e di Giada” abitate da geni Hsien, cioè dai santi immortali che hanno realizzato le Vie del Tao.

E' in queste isole meravigliose che nascono dei frutti divini che liberano l'uomo dalla vecchiaia e dalla morte. Nello Shih Chi le “Memorie storiche,” la grande cronistoria cinese iniziata da Szu-Ma T’an e completata dal figlio Szu-Ma Ch’ien, si narra che queste isole sono tre e che, in quelle isole, si trova la droga o elisir dell'immortalità. L’alchimista Li Shao-Chun, che visse presso la corte dell’imperatore Wu-Ti della dinastia Han (156-187 d. C.) rivelò al suo sovrano i segreti della trasmutazione dei metalli, e della essenziale trasformazione del cinabro in oro.

E' con l'Oro che si raggiunge la dimora dei “beneamati immortali” in cui si gode di un elisir meraviglioso che dona il mondo di beatitudine divina concesso solo agli Hsien. Secondo Wei Po-Yang in “Correlazione del Trio” la ricerca dell’elisir è attuata con una serie di pratiche taoiste come la tecnica del controllo del ritmo respiratorio e l'uso della figurazione degli esogrammi (pa-kua) del Libro delle Mutazioni, come pure seguendo armoniosamente la Dottrina dei 5 elementi (Wu-Hsing), e dei due opposti yin e yang.

Nella “Correlazione del Trio” si afferma che i 5 elementi: acqua, fuoco, legno, oro o metallo e terra, sono i principi costitutivi di tutta la materia, e che sono dotati di significato fisico, cosmologico, psicologico, morale, magico e religioso. Sono 5 le vie della retta condotta sociale come 5 le parentele sociali, come 5 le virtù e 5 i tempi dell’anno, come 5 le direzioni e 5 i gusti, abbiamo 5 colori e 5 specie animali e 5 organi interni; infine sono 5 gli eroi culturali e 5 gli dei.

Tutta la vita dell’universo cinese si sviluppa in un quinario in cui le cose transitano tra entità diverse ma omologabili tra loro. Si spiega alchimisticamente parlando così, l’opera che vede il passaggio da un metallo all’altro, che è come il fluire di prospettiva di un paesaggio che cambia il suo colore con il trascorrere delle varie stagioni. Nello scorrere dell’anno si passa da un colore all’altro: così si attua il similare passaggio da una prospettiva inferiore ad una superiore, perciò da un piano metallico si passa al piano cosmico superiore e supremo.

La correlazione della parentela spiegata da Wei Po-Yang contiene pratiche taoiste, contiene procedimenti alchemici e norme per il giusto commento al Libro dei Mutamenti, ma soprattutto vi si afferma che, gli esagrammi de I Ching contengono il grande segreto per la produzione dell’elisir o droga dell’immortalità. Wei Po-Yang dice che ogni elemento combinato con lo yang è diverso dallo stesso elemento se viene combinato con lo yin, poiché il primo sarà attivo e maschile mentre il secondo diventerà passivo e femminile.

La via alchemica è nel controllo di queste modalità di manifestazione cosmica poichè anch'essa è Tao, perciò si attua nell’uso del Pa-kua o esagrammi del Libro dei Mutamenti. E' in questa Via che si praticano tutte le tecniche corrette, poiché assicurano l’immortalità, perciò sono vie pratiche per l’uso corretto e perfetto dell’Elisir Chi-Tan o Shen-Tan (Elisir d'Oro o di Cinabro trascendentale).

In India l’alchimia è Rasayana, cioè “L’Arte del Succo d’Oro” poichè produce il "soma" che è la medicina panacea di ogni male, ma “rasa” è anche il termine indù a indicare il regno minerale e il mercurio che è intelletto e intelligenza, e "rasa" corporali sono anche tutti i fluidi fisiologici, perciò tutte le “acque” dell’uomo. L’alchimia indiana è la tecnica del succo e del mercurio metallico, anche se un’antica tradizione afferma che, l’immortalità e la felicità sono in un rimedio non metallico, ma di origine vegetale.

E’ dall’India che molti taoisti traggono ispirazione per l’alchimia e soprattutto dalla via tantro-yogica, in cui si insegna come rigenerare e reintegrare il “corpo di diamante” dell’essere umano e in cui "l’uccisione dei metalli", che nella chimica ordinaria indica la sottrazione al metallo di tutte le sue proprietà caratteristiche, equivale alla soppressione degli stati di coscienza, che è poi il fine supremo dello yoga.

Il Mercurio che viene ucciso è il "Seme di Shiva", che è la sostanza primordiale da cui tutti gli esseri traggono origine, e la pratica tantrica del "Fallo mercuriale di Shiva" simboleggia la presa di contatto con l'energia (Prakrti) della materia primordiale, che è l’operazione primaria da attuare prima di ogni pratica alchemica poiché, solo dopo avere avuto conoscenza della natura della materia cosmica, si può agire felicemente sulla costituzione naturale umana.

Così il “Fallo di Shiva” che è l’acuta consapevolezza che penetra la realtà tramite la pratica, può operare il miracolo della trasformazione delle due nature umane, ottenendo la produzione dell'oro interiore e la salvezza salvifica della redenzione, che è possibile avere nella Via alchemica, anche se avessimo i "peccati accumulati per l'uccisione di mille brahmani e di diecimila vacche."

Buona erranza
Sharatan


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