giovedì 20 maggio 2010

Nel laboratorium dell’alchimista


“Dovete, nell‘osservare la Natura,
tenere d‘occhio l‘Uno come il Tutto:
niente è dentro e niente è fuori,
poiché ciò che è dentro è fuori.
Dunque afferrate senza indugio,
il divino, il palese mistero.”

(J. W. Goethe)


Nelle opere cabalistiche si afferma che l’uomo è come una pietra grezza che deve essere raffinata, perciò bisogna imparare a purificare i metalli imperfetti che l’uomo contiene al suo interno, infatti l‘opera alchemica è collegata alla dottrina cabalistica della rettificazione. E’ nella scissione tra lo spirito e la materia, che è tipica della tradizione metafisica occidentale, che l’opera alchemica va ad operare la sua trasformazione per ricongiungere l’uomo all’unità primaria.

L’alchimia crea l’uomo nuovo che potrà godere di natura incorruttibile ed immortale infatti, secondo l’interpretazione junghiana, l’archetipo alchemico si basa sul mito della Madre Terra che può dispensare i suoi doni sublimi a tutti coloro che ne sanno penetrare i più reconditi segreti: da questa immagine viene tratto il mito universale della ricerca alchemica dell’immortalità, e tutte le pratiche volte al mantenimento della perenne salute e giovinezza fisica.

L’alchimia è una pratica ostetrica, poiché è dal grembo della Terra che vengono estratti i cereali e i metalli. Si crede che la terra partorisca solo buoni frutti, a meno che qualcosa non la limiti o la ostacoli, facendole partorire sostanze ignobili: così l’alchimista viene a perfezionare l’opera della natura perturbata. Per favorire tale operazione è necessaria l’uso dell’elisir, cioè di un solvente universale che viene versato sui metalli e li conduce alla perfezione: tutte le immagini tratte dalle opere alchemiche sono perciò delle metafore della trasformazione interiore a cui si sottopone l’adepto dell'alchimia.

La ricerca alchemica nei passi dell’Opera, vede lo sfumare di un paesaggio dal rosso al bianco, per poi calare nel nero più profondo, in cui l’adepto prova la morte e conosce la “discesa agli inferi.” Quando egli riemerge nella fase bianca vi è la rinascita iniziatica, per sperimentare un successivo ritorno al Rosso dell’Oro alchemico, con cui si conclude l’Opera. Una variazione dei colori interiori così come è stata detta, vede l’alternarsi dei diversi paesaggi e dei vari colori perché, come nel mondo esterno e nel ciclo naturale parimenti avviene all‘interno dell‘uomo.

Secondo gli alchimisti è necessario attuare praticamente tutti questi passaggi infatti, nel corso del tempo e nel trascorrere della vita, noi sfumiamo e cambiamo come cambia il paesaggio naturale nel trascorrere delle stagioni. Poiché l’inizio della ricerca vede l’uccisione delle sostanze impure, la nostra pietra ossidata assume il colore nerastro della putrefazione (nigredo), che è tipico della morte, perciò l’adepto è posto in una bara.

E’ dalla purificazione della materia decomposta perciò distillandola, filtrandola e decantandola che noi otteniamo il passaggio dal bianco (albedo) fino alla fase rossa (rubedo) in cui abbiamo la pietra filosofale “lapis philosophorum” o “elisir.” E’ la nostra pietra interna che diviene come un lievito che trasforma l'imperfetto in perfetto, infatti come dice Borges in “La rosa di Paracelso“: “Il lapis è la via … ogni passo che compi in questa direzione è la tua meta.”

Sappiamo che il maggiore livello di maestrìa alchemica è nel governo del fuoco e nella corretta regolazione del calore della fornace, perciò dobbiamo dare il giusto dosaggio al calore con cui trattiamo le nostre sostanze. Il vero insegnamento alchemico non è nei testi, infatti l'addestramento avveniva nel segreto tramite la tecnica “dalla bocca all’orecchio” perché nell’alchimia è inutile capire se non si attuano praticamente le sue tecniche.

Inoltre solo coloro che conosco l’opera sono in grado di comprenderla perfettamente mentre, per tutti gli altri, sarebbe tempo perso volerne conoscere i profondi segreti, avvisano gli alchimisti. Nell’antichità ellenistica il testo alchemico “Physike kai mystike” del 200 a.C., fu nascosto nella colonna di un tempio mentre in India, il dio Shiva si rifiuta di rivelare l’arte alchemica a una dea, e il cinese Ko Hung (260-340 d.C.), raccomanda di tenere segrete le ricette alchemiche poiché la conoscenza alchemica si penetra in “via mistica” e intuitiva come le fiabe e le poesie.

Ko Hung afferma che, dopo avere assaporato l’elisir, l’adepto continua a mescolarsi con gli altri esseri mortali e a vivere normalmente ma non rivela il segreto che ha penetrato. In realtà molte delle tecniche alchemiche non contengono metafore incomprensibili, poiché il cambiamento del lapis impuro è la lavorazione sui difetti “calcificati” nell’animo umano. E' questa la metafora esplicita del lavoro o "opus" con cui noi ripuliamo la nostra pietra meravigliosa attaccata dal salnitro che la corrode come un cancro.

La ricerca alchemica cinese unisce a questo compito l'ulteriore obiettivo di costruire un corpo immortale ed incorruttibile che possa salvaguardare dalla migrazione della morte le due anime yang, cioè “hun” e “yin p’o,” così da riuscire a tenerle unite. Anche nell’alchimia induista vi è l’ideale del corpo perfetto e immortale, infatti si fa uso di mercurio e droghe per prolungare la vita e garantire una perenne giovinezza essendo un'alchimia “mercuriale.”

Secondo Jung, il mito alchemico dell’immortalità fisica si basa sull’archetipo della Madre Terra che può donare i suoi doni solo a coloro che ne sanno penetrare i segreti avendo imparato il linguaggio misterioso con cui essa si esprime. E' nel grembo della Madre Terra che noi ricerchiamo la salvezza dalla morte e perciò la vita, poiché nel contatto con la Terra sentiamo che lei ci ha partorito e assaporiamo il calore dell'amore con cui ci nutre, e rinforza la nostra essenza vitale interna.

Il compito dell’alchimista è rettificare tutto ciò che la natura non ha saputo ultimare con una gestazione adeguata, e che va risanato e rettificato nel percorso. La trasmutazione della natura umana è facilitata dal solvente universale che aiuta la raffinazione alchemica, ed è la “pietra filosofale” o elisir dal termine arabo “el-iksir” che significa "polvere secca e concentrata della pura essenza".

E' nell’Opera al Nero che inizia il travaglio interno, cioè la morte che proviamo nel discendere all’inferno e nel chiudersi all’interno della bara, che è l’esperienza pratica di sentire sulla nostra pelle il dolore di tutto ciò che muore e che era parte di noi, anche se è un vecchio essere non più adatto per i nuovi cieli, e i nuovi sentieri della nostra vita. Nel proseguire la Via sperimentiamo la risalita e la rinascita passando dal nero mortale al bianco della rinascita iniziatica dell’Uomo Nuovo dalla migliore natura, e dalla maggiore consapevolezza.

Nella terza fase del Rosso vi è il rosso autentico dell’Oro alchemico, e non il rosso sbiadito e falsato del bronzo che è imitazione grossolana dell’oro vero: è così che si completa l’Opera! Questi sono i vari colori della trasmutazione alchemica, questi sono i vari colori dei paesaggi interiori attraverso cui passiamo nel cambiamento evolutivo della nostra persona, poiché le stagioni interne non sono altro che le sensazioni e i sentimenti che sperimentiamo nella nostra vita.

Jung dice che psicologia può spiegare l’alchimia ma non può risolvere il mistero spirituale, anche se può aiutare l’integrazione della personalità umana in una unità armonica, perché c’insegna che dobbiamo sapere riconoscere i contenuti mentali rimossi e nascosti nell’Ombra: il “laboratorium” alchemico diventa una metafora della nostra personalità e l'alchimista è il guaritore che aiuta il risanamento dell'anima.

L’utile insegnamento di questa antica forma di terapia consiste nella dimostrazione che, le parti scomode se non vengono lavorate e modificate profondamente diventano degli elementi “perturbanti” degli equilibri interni. E' per questo che esse richiedono una “riplasmazione” poiché tendono a restano nascoste, in modo silente e pericoloso ma vigili, e in attesa del momento opportuno per riconquistare i territori da cui si sono ritirate.

Questi contenuti mentali rimossi lavorano come dei guastatori interni pronti a tornare alla carica usando delle risorse insospettabili, che hanno accumulato sfruttando abusivamente le nostre risorse, mentre erano protette dall'incubazione interiore. E’ per questo che, spesso avviene l'esplosione rabbiosa delle nostre cariche inconsce, che riemergono alla luce del sole con tutta la rabbia e la forza della repressione che hanno subito.

Avviene così che le parti perturbate e “malate” si aggrappano ai nostri sogni e alle nostre fantasie sane poichè hanno la massima forza vitale, che viene continuamente rinforzata dalla passione con cui esse sono nutrite, così i nostri sogni vengono sfruttati fino a soffocarli e vengono sostituiti da simulacri, e tutto ciò avviene inconsciamente perché l'inconscio, per sua natura vive d'ombra, e usa solo strategie sotterranee d’invasione della coscienza.

E' per questo che la coscienza viene soffocata dalle parti malate che succhiano e svuotano l'uomo di tutta l'energia vitale che possiede. Perciò ora appare evidente la modernità e la natura dell’insegnamento alchemico che ci avvisa sulla necessità di risanare la coscienza eliminando ciò che non è funzionale alla nostra Via, e praticando una corretta nutrizione della nostra vita.

Buona erranza
Sharatan


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