giovedì 27 ottobre 2016

Veleggiando verso Bisanzio...



“Il mio cuore si consuma a poco a poco
malato di desiderio,
legato a un animale destinato a morire,
che non sa di che si tratti… “
(William Butler Yeats)

“Si può affermare forse che il disagio più grande che nasce dalla disattenzione, dalla sconnessione, dalla percezione e attribuzione erronea di cause è l’angoscia tipica della condizione umana: la piena catastrofe, quando la si evita e non la si esamina. Tutti, in pratica, hanno qualche «desiderio appena sussurrato» più o meno forte che proviene dal profondo della psiche, tutti hanno una vera vita segreta, una vita piena di sogni e di possibilità che di solito tengono nascoste.

Ne consegue una grande sofferenza: spesso manteniamo il segreto per tutta la vita, senza neanche immaginare di essere complici di un auto-inganno che può essere gravemente autodistruttivo e rovinarci la vita. il vero segreto qual è? Che in realtà non sappiamo chi o cosa siamo, tante sono le preoccupazioni e finzioni in superficie, tanti sono gli atteggiamenti costruiti interiori ed esteriori dietro ai quali ci nascondiamo per mantenere all’oscuro noi stessi e tutti gli altri.

Perché non è vero, forse, che in certi periodi ci si riempie il cuore di una quantità apparentemente infinita di desideri insoddisfatti che lo manovrano, perfino lo tormentano? Desideri grandi e piccoli, a prescindere da quanto successo e agio ci si possa attribuire da fuori? E non è vero che siamo vagamente consapevoli, a un livello sotterraneo della psiche, di essere davvero «legati a un animale destinato a morire?» e non sappiamo chi e che cosa siamo, in realtà?

In tre righe, Yeats cattura tre aspetti fondamentali della condizione umana: uno, che siamo insoddisfatti e che ne soffriamo; due, che siamo soggetti a malattia, vecchiaia e morte, la legge inesorabile dell’impermanenza e del continuo cambiamento; tre, che ignoriamo la vera natura del nostro stesso essere. Non è arrivato il momento di scoprire che siamo già più vasti di quel che ci consentiamo di credere? Non è tempo di scoprire che è possibile abitare questa conoscenza più ampia e magari liberarci dell’angoscia profonda dell’abitudine persistente a ignorare ciò che più conta?

Io direi che è tempo già da un bel po’ e quindi adesso è il momento migliore per questa scoperta. È vero, ogni tanto potremmo percepire i segni del nostro disagio sotto forma di vaghi turbamenti interiori; ogni tanto (di rado) potremmo perfino averne una visione momentanea, quando ci svegliamo disorientati e spaventati nel cuore della notte o quando una persona cara soffre molto o muore, o quando la nostra vita nel suo insieme ci si rivela all’improvviso in tutta la sua evidenza come se, fino a quel momento l’avessimo sempre e solo immaginata.

Ma non è vero anche che, appena possiamo, ci rimettiamo a dormire, letteralmente e metaforicamente, e ci anestetizziamo con un diversivo qualunque? Questo disagio umano di fondo, di cui parla Yeats, questo non sapere chi siamo, sembra troppo enorme per poterlo sopportare; dunque lo seppelliamo nel fondo più segreto della psiche, ben lontano dalla luce della piena coscienza. Come abbiamo visto, spesso ci vuole una crisi acuta per risvegliarci a esso e alle possibilità di guarire davvero, di liberarci dal buio della paura e della rimozione.

L’allontanamento dai segni più profondi della nostra umanità ci fa soffrire molto nel corpo e nella mente: possiamo sentirci consumati, per usare il termine di Yeats, letteralmente «divorati» e quindi rimpiccioliti (in tanti modi diversi), perché trascuriamo la piena realtà di ciò che siamo o magari non la conosciamo neanche o non ne abbiamo convinzione, né chiarezza.

In sostanza, questo dis-agio, questa malattia dell’inconsapevolezza, del non sapere ciò ch’è davvero essenziale nella nostra natura di esseri viventi, influisce sulla nostra vita di individui in ogni momento e anche nel corso dei decenni. Può produrre effetti a breve e a lungo termine sulla salute fisica e mentale; influenza inevitabilmente la vita familiare e lavorativa, in modi che spesso non si vedono, né si scoprono se non dopo anni, quando si è già prodotto un certo tipo di danno e si sono seguite senza volerlo vie poco sagge.

La sua presenza si riversa anche sulla società e la influenza, tramite i modi collettivi di considerare se stessi e agire nella professione; pervade le nostre istituzioni e le forme che scegliamo di dare agli ambienti, interiori ed esteriori, in cui viviamo. Tutto ciò che facciamo è influenzato, in un modo o nell’altro, dal fatto che ignoriamo il malessere di non sapere chi siamo e come siamo. È l’afflizione suprema, questa, la malattia suprema. In quanto tale dà origine a molte varianti, a molte diverse manifestazioni d'angoscia e sofferenza a livello del corpo, della mente e del mondo.”

(Jon Kabat-Zinn, Riprendere i sensi, TEA ed.)

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