venerdì 14 ottobre 2011

L’attenzione consapevole


“Tu devi superare lo stato
in cui le forze razionali
possono ancora venirti in aiuto.
Quando, infine, non avrai davvero più niente,
allora considera questo stato
con molta precisione.
Ma, che cos‘è dunque?”

(Bassui Tokusho)

Siddharta sedeva sulla riva del fiume e guardava le acque vorticose che trascinavano i sassi strappati dalle rive, osservava la corrente che sommergeva gli insetti che erano caduti nelle acque, infatti essi erano risucchiati e affogavano. Poi vide dei massi poderosi che erano al centro del fiume e che riuscivano a resistere alla violenta corrente restando inamovibili e indifferenti alla furia del fiume. Siddharta pensò che l’uomo vive nel fluire dell’esistenza come l'insetto che è sommerso dai gorghi, perciò si chiese come potersi liberare dal flusso dell’oblio e dalla ruota della nascita e della morte.

Siddharta trovò la risposta quando diventò il Buddha, infatti quando fu Risvegliato, comprese che la liberazione dal Samsara della sofferenza, della morte e dell’illusione diventa possibile se impariamo a stare attenti e concentrati in modo consapevole davanti a ciò che avviene. Gurdjieff dice che l’attenzione è l’unica via terapeutica per sanare la malattia dell’uomo che è addormentato e inconsapevole, infatti aprire gli occhi alla realtà impone il distacco dall’automatismo del pensiero e libera dagli stereotipi e dalle astrazioni da cui è oberata la mente umana.

L’attenzione e il ricordo di sé sono i due cardini della tecnica con cui Gurdjieff risvegliava i suoi allievi alla realtà autentica, perché lo stato di grazia è raggiungibile solo dopo un addestramento duro che esercita la mente a percepire con la massima apertura. Se la mente è vuota percepisce l’infinito, perché essa non giudica la realtà e non pretende di cambiarla, in quanto s’impegna solo a percepire la realtà. Perciò, la consapevolezza inizia con lo sforzo di osservare se stessi, perché l’osservazione cosciente produce una separazione interna tra ciò che vediamo e il soggetto che percepisce.

Gurdjieff dice che l’uomo ordinario del suo tempo non comprendeva il valore del motto di Socrate “Conosci te stesso” che si riferisce alla necessità di conoscere la macchina umana, perché la struttura è più o meno la stessa per tutti, perciò essa va studiata se vogliamo conoscere il funzionamento dell‘uomo. Dobbiamo conoscere le funzioni e le leggi dell’organismo, perché nella macchina tutto è collegato e una cosa dipende dall’altra, perciò è impossibile studiare la struttura senza conoscere lo schema generale. “La conoscenza di una parte richiede la conoscenza dell’insieme,” dice Gurdjieff, perciò è possibile conoscere tutto, ma solo se sappiamo usare il metodo giusto e se sappiamo fare un lavoro complesso e duro.

Conoscere se stessi è un ideale molto elevato e astratto per il livello dell’uomo odierno, perciò il suo scopo più elevato deve essere quello di studiare se stesso e dobbiamo capire che è necessario conoscersi bene, perché lo studio di sé è il lavoro ovvero è la via che conduce alla conoscenza di sé. Per studiare dobbiamo imparare come capire, da dove cominciare e quali mezzi possiamo usare, perciò bisogna imparare anche come si studia l‘uomo e il metodo fondamentale per lo studio di sé è l’osservazione. Se l’uomo non conosce le sue funzioni e non sa come esse sono collegate, perciò se non pratica l’osservazione di sé non comprende perché “tutto accade.”

Conoscere le funzioni significa saper riconoscere le divisioni dell'uomo e saperle definire, perciò vederle in modo immediato. La definizione non può essere una conoscenza verbale e teorica ma deve essere una percezione interna, di cui sappiamo sentire il gusto, perciò dobbiamo sentirla come una sensazione intima e interiore. Possiamo usare due metodi per osservarci: il primo è l’analisi o il tentativo di analizzare da cosa dipende il fenomeno e perché esso si verifica, e il secondo è il metodo delle “constatazioni” che è la semplice registrazione di ciò che vediamo.

Nella fase iniziale non dobbiamo presumere di saper analizzare, perché l’analisi verrà più tardi quando saremo più esperti: se analizziamo troppo precocemente l’attenzione viene distolta, perciò l’analisi frettolosa fa omettere la raccolta di informazioni molto preziose. Se siamo impegnati a fare ipotesi ne veniamo assorbiti, perciò tralasciamo di osservare, poiché non possiamo osservare e analizzare, infatti non possiamo fare le due cose contemporaneamente. L’analisi che non considera la struttura generale della macchina è una perdita di tempo, perché l’analisi necessita di avere delle informazioni esatte sotto forma di molte registrazioni.

Le registrazioni sono l’osservazione di ciò che avviene in certi momenti, perciò solo se abbiamo una sufficiente quantità di registrazioni, e se conosciamo la nostra struttura possiamo analizzare correttamente. L’osservazione di sé non è l’osservazione ordinaria che possiamo fare, infatti l’osservazione corretta inizia con lo studio delle nostre funzioni. Osservando dobbiamo considerare e distinguere le 4 funzioni fondamentali che corrispondono ai nostri 4 cervelli o centri, perciò dobbiamo distinguere le funzioni intellettuali, le funzioni emotive, le funzioni motorie e le funzioni istintive.

Ogni fenomeno che osserviamo si riferisce a queste funzioni, perciò conoscerle è essenziale, ed è in questo senso che l’osservazione corretta riparte sempre da zero: quello che abbiamo osservato e pensato di noi in precedenza va eliminato, anche se le vecchie osservazioni fossero valide. Tutto il materiale precedente è stato elaborato con la precedente conoscenza, perciò è stato elaborato in modo inesatto ed è inadatto per l’osservazione corretta: se avessimo visto degli elementi utili potremo osservarli anche in seguito.

Nell'analisi dobbiamo rivedere dall’inizio, infatti è necessario osservarsi come se non ci conoscessimo e come se fossimo sconosciuti a noi stessi. L’immaginazione e il sogno sono esempi dell'errato funzionamento del centro intellettuale, perciò l’osservazione dell’immaginazione e del sogno sono la parte essenziale dell'osservazione di sè. Più tardi vedremo anche le abitudini, poiché l’uomo è pieno di abitudini sebbene tutti dicano che non ne hanno, ma i centri umani sono intessuti con le abitudini, perciò esse vanno sapute vedere.

Osservare le abitudini è molto difficile, perché per vederle è necessario essersene liberati anche per poco tempo, infatti solo se cerchiamo di sfuggirle vediamo la presa che esse esercitano su noi, ma finché restiamo vincolati non le notiamo, perciò la lotta ci rende coscienti e le fa percepire meglio. Finché siamo governati dalle abitudini non le percepiamo, perciò bisogna opporsi a esse, infatti la lotta alle abitudini è un'altra via per praticare l’osservazione.

Nessuno può osservarsi se non tenta di lottare contro se stesso e se non contrasta le sue abitudini: ma la lotta non produce dei risultati e dei cambiamenti immediati, perché lottare contro le abitudini è un percorso lungo e faticoso, ma è così che si comincia. Se vogliamo conoscere le abitudini del centro motore osserviamo come camminiamo, il tipo di passo, la velocità e l’impulso del movimento, ma per veder bene è necessario cambiare il nostro modo di camminare e saper camminare in modo diverso da come siamo abituati, infatti mentre tentiamo di cambiarle vediamo bene le abitudini del centro motore.

Una delle abitudini che possiamo cambiare è l’espressione delle emozioni negative, perché lo studio e l’osservazione delle emozioni va unito alla lotta contro l'espressione delle emozioni sgradevoli e questa lotta è l’unica lotta che può essere vinta. Se l’osservazione è fatta in modo giusto scopriamo delle cose che non sapevamo, cioé che nulla in noi avviene in modo autentico e consapevole, ma che tutto avviene come una reazione automatica. Osservando, vediamo che siamo automi, perché le azioni, i pensieri, i sentimenti e le parole sono delle reazioni meccaniche, infatti ciò che accade fa sorgere degli Io sconosciuti. Ogni fatto è lo shock esterno che fa sorgere un Io nuovo che sommerge l’Io precedente, perciò sappiamo che è l'esterno che fa sorgere l’Io.

Se non percepiamo il cambiamento violento restiamo immobili nell'inerzia, perciò le nostre azioni sono condizionate dalle spinte del mondo esterno e non provengono da un Io stabile interiore. La cosa più importante che impariamo nell'osservazione di sé, dice Gurdjieff, è che non percepiamo noi stessi e che non siamo coscienti di noi, perché l’automatismo sommerge la coscienza. Perciò dobbiamo “ricordarci di noi” e il ricordo va conservato mentre osserviamo e mentre analizziamo: solo se le osservazioni hanno "il ricordo di sé" assumono valore autentico, altrimenti viviamo in modo inconsapevole. Sapere questo è conoscere molto del lavoro che si può fare, perché se l’uomo è consapevole che non si ricorda di sè, è molto vicino alla comprensione del suo essere.

Nella vita avviene che le circostanze esterne facciano sorgere il ricordo di sé, che non è l’introspezione interiore ma è il senso della presenza piena a noi stessi, e questo avviene quando accadono delle cose inattese e potenti: il ricordo giunge con l’irrompere dello shock che sconvolge le abitudini della nostra vita. La sensazione di piena presenza viene ridestata dai momenti di potente emozione o di grande pericolo, perché ci sono dei momenti in cui non possiamo perdere la testa, perciò dobbiamo percepirci meglio, quindi ci vediamo e ci sentiamo pienamente, ma siamo sorpresi di ciò che vediamo, perché è come se vedessimo uno essere sconosciuto: è in questi momenti che l’uomo si ricorda veramente di se stesso.

Molte cose vengono sepolte nella memoria, perché la nostra memoria è molto limitata, perciò le esperienze di ricordo sono dimenticate molto velocemente. L‘uomo lavora sempre al minimo delle sue possibilità e non sviluppa tutte le sue facoltà, perciò la sua potenzialità non è sfruttata, ma lui dice che è la macchina a essere limitata: la verità è che non abbiamo voglia di faticare. L’osservazione di sé ci induce a riconoscere la necessità di cambiare, e anche il solo sforzo di provare fa cambiare i processi interiori: l’osservazione è lo strumento che illumina ciò che è oscuro, perché un barlume di consapevolezza può fare il cambiamento.

Dobbiamo vedere ciò che l’uomo è in daterminati momenti, dobbiamo vedere i pensieri, gli umori, le espressioni del viso, la postura del corpo e così via, e dobbiamo fare delle fotografie di quegli istanti. Le foto vanno scattate nei momenti più interessanti, perché dobbiamo evidenziare i gesti, le espressioni, le emozioni e i nostri pensieri caratteristici. Se le immagini sono interessanti e se sono in numero sufficiente avremo l’immagine che l’uomo si crea, perciò conosceremo l’immagine sulla quale ognuno costruisce la sua identità, e con cui ha vissuto fino a quel momento.

Ma la totalità osservata sarà molto lontana da ciò che si credeva di essere, perché si vedrà il volto di un uomo diverso e l’uomo sarà lui stesso ma non lo sarà, perché è ciò che tutti conoscono ed è ciò che pensiamo di essere, ma non è ciò che veramente siamo. Vedremo l’irrealtà, l’invenzione e l’artificio con cui abbiamo costruito ciò che credevamo di essere, perciò vedremo che è necessario separare l’irrealtà dalla realtà, perciò l’osservazione è necessaria per renderci consapevoli che siamo composti da due uomini.

Il lavoro interiore inizia quando comprendiamo che in noi esistono due opposti individui, di cui uno è passivo e soggiace a tutto ciò che accade, mentre l’altro è attivo e crede di dominare il mondo, perciò non siamo mai stabili e oscilliamo sempre tra due poli estremi. Vediamo che indossiamo delle maschere che recitano una parte e che si dominano l’una con l’altra: l'Io stabile compare raramente, perciò è necessario conservare il ricordo di quando giunge. L’uomo è schiavo di tendenze opposte che non esprimono la sua volontà, perciò agiamo seguendo l'impulso del momento.

Dobbiamo avere il coraggio di vedere che non siamo padroni di noi stessi e avere la forza di sopportare questa verità, perché la verità è la base concreta per poter giudicare noi stessi. Il segreto è nell’essere sinceri in modo totale, ma questo è molto difficile per gli uomini, dice Gurdjieff. La sincerità non è una dote innata perciò va imparata, perché essere sinceri non è un desiderio o una decisione, e non possiamo dirci sinceri se non abbiamo il coraggio di vedere chi siamo, perciò diventa necessario che qualcuno ce lo ricordi.

E’ l’atteggiamento verso chi ce lo ricorda che conta veramente, infatti chi ci risveglia va agevolato e non va ostacolato, come quando si afferma di non dovere imparare da nessuno, ma questa è la fase più critica del lavoro, perché chi perde la direzione in questa fase non la ritroverà più. Dobbiamo comprendere la necessità di osservarci, altrimenti continueremo a mentire, ci inventeremo dei personaggi falsi e non ci vedremo per come siamo: finché l’uomo s’identifica con ciò che non è, egli continua a essere schiavo di tutto ciò che accade, perciò la nostra libertà inizia con la liberazione da tutte le nostre identificazioni.

Buona erranza
Sharatan


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