martedì 30 giugno 2015

Il crogiuolo interno



“All’interno vi è un vero fuoco naturale,
che brilla luminoso nella fornace
di un rosso sempre vivo.”
(Chang Po-Tuan, Wu Zhen Pian)

Steiner dice che, se un antico saggio orientale potesse osservare lo sviluppo dell’uomo occidentale, direbbe che la nostra civiltà si basa interamente sulla paura. Quel saggio vedrebbe che la nostra anima è interamente dominata dalla paura, perciò direbbe che l’odio svolge un ruolo centrale nella nostra civiltà. Questo fatto lo stupirebbe molto, perché la sua civiltà aveva un rapporto con il mondo che si basava sulla gioia, sull’amore e sulla dedizione alla vita.

L’amore era la forza che stava alla base di quella civiltà perciò, agli uomini dei suoi tempi, non era richiesto di dover conoscere se stessi. L'antica civiltà orientale aveva disposizioni dell’anima molto diverse dalle nostre, perché le condizioni terrestri erano diverse. Nell’antichità, in Oriente, lo sguardo interiore veniva catturato dall’ambiente esterno, e l’uomo si donava completamente e con fiducia al mondo esterno.

La loro conoscenza del mondo si basava sull’interpretazione del mondo che veniva tramandata dall’antica saggezza, perciò nelle religioni dei misteri non si incitava al “Conosci te stesso!” L’attenzione dell’uomo orientale di quei tempi era rivolta al mondo, e si cercava di scoprire ciò che si nascondeva dietro l’apparenza del mondo: questa era la richiesta più sentita dell'antichità.

Quando le religioni misteriche orientali si diffusero verso l'Occidente, l’attenzione dei maestri e dei discepoli si rivolse verso l’interno dell’uomo. Quando sorsero i centri dei misteri in Egitto e, successivamente anche in Europa, sorsero delle esigenze diverse. Le diverse condizioni geografiche dei paesi occidentali e la diversa conformazione degli uomini occidentali imposero la necessità di conoscere se stessi e la visione diretta del mondo interiore.

Però, grazie alle conoscenze delle essenze spirituali che sono alla base del mondo, i maestri riuscirono ad esaminare l’interiorità umana. In un certo senso, senza quelle precedenti conoscenze, il loro sguardo sarebbe restato paralizzato dalla visione. La civiltà occidentale divenne cosciente della propria essenza interiore quando vennero fondati i centri misterici in Occidente, anche se la loro origine è orientale.

Si può immaginare facilmente l’impressione che l’auto-conoscenza produsse sui maestri e sui discepoli orientali quando, per la prima volta, gli venne rivolto il monito di sviluppare lo sguardo interiore. Alcuni maestri già possedevano lo sguardo interiore, perciò per loro tramite si ottenne la spiegazione sul percorso necessario, e le nozioni su quale fosse la condizione per conseguire l’auto-conoscenza.

L’adepto era ammonito e veniva avvertito delle esperienze interiori che avrebbe incontrato, però solo gli iniziati erano a conoscenza dei segreti dell’interiorità umana. Infatti molti misteri potevano essere diffusi solo all’interno della cerchia più segreta degli adepti, a pena dell’ignominia per chi l’avesse riferiti agli estranei di quei culti.

Ma, dalla metà del 15° secolo, la costituzione umana è cambiata, avvisa Steiner. Oggi è diventato necessario comprendere quale fosse la conoscenza dell’uomo che veniva tramandata in quei centri. L’uomo normale di oggi conosce il mondo esterno per mezzo dei sensi, poi mischia quello che vede con l’intelletto e, contemporaneamente, guarda dentro se stesso.

Le impressioni esterne sviluppano i pensieri e, interiormente, quei pensieri diventano sentimenti. E tutto ciò che viene elaboato internamente per mezzo dei sentimenti e della volontà, si conserva sotto forma di ricordi, si riverbera nella coscienza e costituisce il contenuto della nostra anima. Esso diventa il contenuto della vita nella quale l’uomo vive e dalla quale prende le sue attitudini.

Perciò se guardiamo all’interno della coscienza, dice Steiner, non troviamo altro che il riflesso dell'esterno. E anche se le impressioni esterne vengono colorate dal nostro sentimento e dalla nostra volontà ci illudiamo di osservare ciò che viene conservato interiormente, ma non vediamo altro che una distorsione del mondo esterno.

Spesso si crede di interpretare il mondo interno ma ci si illude, perché ciò che l’uomo chiama auto-conoscenza, non è altro che un riflesso del mondo trasformato dalla coscienza, perciò esso è solo una deformazione. Se potessimo vederci all'interno vedremmo che siamo fatti come uno specchio, e che lo specchio interno è permeato di ricordi, mentre il mondo esterno vi si riflette in modo distorto.

La nostra coscienza abituale non ci permette di penetrare oltre quello specchio, e non possiamo vedere oltre se non agiamo affinché lo specchio venga infranto. Gli antichi maestri e anche i loro discepoli sapevano guardare acutamente nell'interiorità e vedevano oltre quella barriera. Poi, sulla base di quello che vedevano, dicevano parole che facevano capire come prepararsi per indagare all’interno. Che cosa vedevano?

Essi videro che il pensiero e la percezione si trasformano in uno specchio di ricordi, perciò andarono oltre quello specchio. Videro che i pensieri agiscono alla base del corpo eterico che regge la crescita,e agiscono anche sull’origine delle forze di volontà. Quando si guarda nel mondo esterno, si vede che una parte delle impressioni sensoriali si trasformano in ricordi, mentre un’altra parte ci compenetra, ci rafforza, ci nutre e ci arricchisce interiormente.

Le forze del nostro pensiero penetrano nel nostro corpo eterico e si riversano sul nostro corpo fisico, perciò vi possono agire in modo peculiare. Da tutto quello che filtra nel corpo eterico, ne deriva la completa trasformazione dell’esistenza materiale del corpo fisico. La fisica ci insegna che, in nessuna realtà del mondo fisico, la materia viene distrutta.

Ma, la legge della conservazione della materia è valida solo nel mondo esterno. Nel mondo interno la materia viene sempre trasformata in nulla, perciò la materia viene distrutta completamente nella sua essenza. Il mondo interno distrugge e trasforma la materia, perciò la natura umana si basa sul fatto che possiamo, con la maggiore o la minore forza che noi possediamo, di poter respingere la materia nel caos perciò di poterla distruggerla completamente.

A questo processo interiore di distruzione della materia veniva guidato anche il discepolo dei misteri antichi. Negli antichi misteri si insegnava che dentro di noi, sotto lo specchio dei ricordi, in quanto uomini portiamo qualcosa che è destinato alla distruzione. Ma, se non lo avessimo non potremmo sviluppare il pensiero, perché il pensiero si sviluppa quando le forze si diffondono nel corpo eterico.

E il pensiero compenetrato di forze eteriche, agisce sul corpo fisico in modo che respinga la materia nel caos e riesca a distruggerla. Se l’uomo guarda nella sua interiorità con lo sguardo della coscienza comune vede solo un luogo di distruzione e di caos. Tutti possediamo lo specchio di ricordi necessario a sviluppare la capacità di pensiero dell’io, perciò abbiamo una smania di distruzione, una smania di annullare ogni materia.

Non esiste una forma di auto-conoscenza che non richiami l’attenzione su questo fatto, e non avverta dell'esistenza del nucleo distruttivo. Ogni uomo che nutre interesse allo sviluppo dello spirito sa che lo spirito continua ad esistere anche se la materia viene dissolta. Oggi è diventato ancora più urgente fare attenzione a questa realtà per non cadere nel pericolo di continuare a crederci qualcosa di diverso da ciò che siamo.

Dobbiamo sapere che ognuno di noi è l’involucro di un nucleo distruttivo, perciò solo se siamo consapevoli possiamo trasformare le forze di distruzione e decadenza, in forze di crescita. Sappiamo che questo nucleo agire all’interno dell’uomo, perché deve restare nel luogo giusto per lavorare su ciò che va distrutto e trasformato. Quello che esiste all’interno deve restare internamente, perché quello è l’unico luogo dove la materia può essere respinta e trasformata.

Ma non accade sempre così, perciò il male che andrebbe elaborato esce verso l’esterno diffondendo i suoi impulsi distruttivi nel mondo. Questo sta diventando la civiltà in Occidente e lo sarà in tutto il mondo, perciò vediamo all’azione tante forze distruttive. Questo furore distruttivo si diffonde sempre verso l’esterno e, in futuro, dovremo difenderci da tutto quello che nasce dagli istinti peggiori, e dovremo saperlo rimettere al posto che gli spetta.

Se subentrerà la vera auto-conoscenza dell’uomo sapremo fare attenzione al nostro nucleo distruttivo senza il quale nessuna capacità di pensiero è possibile. Se la forza del pensiero messo davanti allo specchio dei ricordi non permetterà al pensiero di vivere correttamente nel corpo eterico, il corpo eterico sarà permeato di pensieri distruttivi che si riverseranno, distruttivamente sull’uomo.

Esiste un nucleo distruttivo nell’uomo, però è peggio se esso può agire in modo inconsapevole. Invece è meglio se l’uomo è consapevole e, in piena coscienza, lo impara a conoscere e partecipa attivamente allo sviluppo della civiltà moderna. Le nostre paure sono le stesse che provarono i discepoli dei misteri antichi mentre sentivano il racconto di questi segreti.

Mentre indagarono con scrupolo nella loro interiorità essi sentivano paura, ma la vinsero con la consapevolezza. Quando l’intellettualismo si diffuse, quella paura venne negata perciò diventò inconscia e cominciò ad agire nella vita esterna con abili camuffamenti. Il trionfo dell’intellettualismo ha offuscato lo sguardo interiore ma non ha saputo eliminare la paura, perciò l’uomo vive sempre con una paura inconscia.

L'uomo si continua a ripetere che non esiste nulla dopo la morte così come non esiste nulla nell’uomo. Sente la paura di guardare al di là dei ricordi, al di là del comune mondo di pensare che è diventato normale nella normalità che vive tra la nascita e la morte. L’uomo ha tanta paura di ammettere l’esistenza dell’anima, perciò dice che dopo la morte non c'è nulla.

Il materialismo è nato dalla paura perciò la sua visioneè fondata sulla paura che è affine all’odio. Gli uomini di oggi vivono nella paura, fondano sulla paura tutti i loro ordinamenti sociali, coltivano le loro arti nella paura. La paura è sempre presente nelle azioni umane, infatti la paura regge la nostra organizzazione sociale, e si mostra sempre più evidente nel divenire della storia fin dalla metà del 15° secolo.

Dalla metà del 19° secolo, la paura si è incarnata nella visione materialistica del mondo. Oggi l’umanità deve sapere che il pensiero razionale non potrebbe esistere se non nascesse dal nostro nucleo distruttivo. Si deve sapere che l'uomo forma il suo io immergendosi nella distruzione, e che lo plasma nel crogiolo che scioglie la materia, nel fuoco che tempra perché l'io si forma nella fornace interna che forma l'egoità.

L’io che viene rafforzato nel focolaio del male interiore non riesce ad andare oltre la percezione sensoriale. E questo fatto ci fa comprendere perché i maestri predicano la dedizione, l’amore e l’annullamento dell’io, come unica via per penetrare oltre la realtà dei sensi, e per giungere dove l’esistenza esterna viene spazzata via cioè nel nirvana.

Buona erranza
Sharatan

sabato 13 giugno 2015

L’azione di Arimane



“L’azione dell’anima è più spesso
in ciò che si sente e non si dice,
che in quanto si dice in qualsiasi discorso.”
(Ralph Waldo Emerson)

Steiner dice che, negli anni ’40 dell’Ottocento, avvenne una grande svolta nello sviluppo spirituale dell’umanità europea e americana. In quegli anni si era raggiunto il culmine dello sviluppo del materialismo ma, questa mentalità, non riuscì a vedere altro che una realtà morta. La svolta comportò delle conseguenze nella direzione futura dello sviluppo umano. Infatti, quando cerchiamo la causa di quello che accade nel mondo, dovremmo ricercarne l’origine, nella lotta che avvenne nel mondo spirituale.

Questa guerra si protrasse, dalla metà del 19° secolo fino all’autunno del 1879. Questa battaglia è una delle molte che avvennero tra un essere della gerarchia degli Arcangeli chiamato Michele, e alcune potenze arimaniche. Michele lottò molte volte contro le forze arimaniche, e tutti gli uomini che nacquero in quel periodo mantennero il ricordo delle battaglie a cui avevano assistito.

Questo fatto ci fa comprendere la personalità di quelli che furono gli spettatori di questi avvenimenti cosmici. La battaglia tra Michele e le forze arimaniche si protrasse per 4 decenni, e si concluse con la vittoria di Michele. Questi scontri avvengono sempre in certi momenti storici e si combattono periodicamente. La rappresentazione biblica della lotta di Michele contro il drago mostra questo e, tutto finisce sempre come finì nel 1879.

Ogni volta che accade uno scontro, poi si mostrano sviluppi che possono dare vantaggi o svantaggi, danni o insuccessi, perché le schiere arimaniche cercano sempre di assumere il comando del corso dell’evoluzione umana. Ogni volta accade così, ma le schiere arimaniche vengono sempre sconfitte. Accade sempre così e avvenne anche nel 1879, infatti le schiere arimaniche furono cacciate dal cielo e caddero sulla terra.

Cosa significa? Significa, dice Steiner, che dopo quella sconfitta, le schiere arimaniche, non sono più in cielo ma vivono “nel regno dell’uomo.” Negli anni ’70 dell’Ottocento, molti uomini furono afferrati dagli impulsi arimanici. Quando le forze arimaniche vivevano nei cieli potevano agire da lontano perciò gli uomini vivevano più tranquilli. Ma oggi le forze arimaniche possono agire direttamente negli uomini, infatti la forza arimanica del materialismo domina il mondo.

Infatti, il materialismo è l'arimanesismo che prende una sfumatura personale. E il punto culminante del materialismo si mostra negli anni ’40 del 19° secolo. Arimane agiva dai cieli ma, a partire dal 1879, scende sulla terra perciò suoi impulsi diventano tipici dell’uomo, e agiscono soprattutto nei campi della conoscenza e della volontà.

Tutto quello che era considerato prerogativa universale, cioè diritto di tutti, diventò prerogativa personale. Dal 1879, sorse nell'uomo un’ambizione smodata e una tendenza personale a spiegare il mondo con una sguardo materialistico. E questo diverrà sempre più evidente in futuro. Da quel momento si svilupparono, in diversi campi, la tendenze a imporre la propria persona tra gli uomini.

Si capisce meglio l'immagine biblica della cacciata del drago, dai cieli, per opera di Michele se pensiamo a questo. Le lotte tra esseri spirituali si ripetono fin dalla notte dei tempi. E, ogni volta, queste lotte causano dei fenomeni che agiranno in campi materiali. E dopo ogni sconfitta, le schiere arimaniche rinnovavano i loro assalti. Così avvenne negli anni ’70 del 19° secolo, quando si sviluppò una mente sempre più arimanica e sempre più mefistofelica.

Il materialismo è tanto attuale che è diventato dominante anche in campo spirituale-animico. Tutti questi fenomeni si devono vedere, sul serio, come fenomeni che sono tutti in relazione tra di loro, dice Steiner, e questo rivela il senso di ciò che accade. Molti sviluppano una irrefrenabile propensione per un materialismo intellettuale, perché questo deriva dal legame personale e profondo che l'uomo ha intrecciato con Arimane che è caduto sulla terra.

Il rapporto con le forze arimaniche inizia con l’amare gli impulsi che Arimane dirige verso le anime umane, e nel credere che gli influssi di Arimane siano molto elevati, il giusto modo di pensare. È necessario avere una coscienza vigile e lucida pensando all’azione delle forze arimaniche, altrimenti non vediamo i fatti del presente. Il pericolo che viene da queste forze arimaniche va affrontato con occhi e cuore freddi.

La cosa va compresa con calma e lucidità, dice Steiner, perché si deve capire il tipo di pericolo che l’uomo deve affrontare. Il pericolo per l’uomo è quello che venga conservato quello che, invece, andrebbe eliminato. Dopo la vittoria di Michele, le forze arimaniche sono cadute dai cieli e sono penetrate in noi,però abbiamo conquistato un altro frammento di libertà.

La libertà che abbiamo conquistato viene dal fatto che non dobbiamo permettere che queste forze prevalgano su di noi. Significa che non dobbiamo invaghirci di Arimane. E questo è il passo più importante da capire, perché c'è il forte pericolo che gli uomini perseverino nel materialismo arimanico, e che lo portino ancora dentro di loro per molto tempo. Il rischio che corriamo è che l’arimanesimo sia conservato anche nei tempi in cui sarebbe meglio che fosse superato.

Ora c'è il rischio che gli uomini non sappiano abbandonare una mentalità che crea un legame sbagliato con la terra. Accade che gli uomini non riescano a legarsi con il progresso spirituale dell’evoluzione terrestre, ma restino legati solo al progresso materiale. Se accadesse questo fatto, gli uomini entrerebbero nel sesto periodo con la mente arimanica.

Vediamo tutto questo dietro le stranezze deitempi, infatti si vede come gli uomini sono guidati inconsciamente. Oggi viviamo in tempi in cui le cose vanno sapute vedere e capite nel modo giusto. Queste cose agiscono ancora, infatti tanti uomini ammirano idee brillanti in cui vive l'impulso arimanico-mefistofelico. È necessaria una maggiore attenzione a queste cose, e non si dovrebbe scappare da ciò che va saputo.

Pensiamo che gli esseri spirituali siano molto lontani dalla vita umana. Non si parla di cause spirituali nascoste dietro i fatti umani. Le cose accadono con cadenza ciclica, perciò quello che avviene nel mondo è sempre una proiezione di quello che avviene nei cieli. E queste cose non devono angosciarci ma devono stimolarci alla vigilanza, affinché quello che accade non scorra davanti agli occhi mentre dormiamo.

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 10 giugno 2015

Il ministro e la cortigiana



“L’uomo che sa come risolvere le difficoltà
le affronta prima che esse insorgano.
L’uomo che sa come sconfiggere i nemici
li affronta prima che divengano pericolosi.”
(Du Mu)

Yu Chien era il signore del regno di Yueh e Fan Li era il suo primo ministro e il suo più fidato consigliere. Ma il signore di Yueh era un sovrano fiero e molto ostinato, perciò non era facile essere al suo servizio. Un giorno, a dispetto dei consigli dei suoi ministri, il signore di Yueh decise di sfidare il signore di Wu in battaglia, ma venne sconfitto. Yu Chien fu preso prigioniero e le sue terre divennero uno stato vassallo. Invece il suo nemico Fu Ts’o, signore di Wu, era un uomo freddo, sospettoso e calcolatore che non si fidava di nessuno, neppure dei suoi più saggi consiglieri.

Fu Ts’o aveva ereditato un regno molto ricco e fertile, ma era un uomo molto ambizioso che amava allargare il suo territorio con guerre fortunate. La conquista delle ricche terre di Yueh era giunta al momento opportuno, perciò il signore di Wu volle essere sicuro che il suo prigioniero divenisse un vassallo docile e compiacente. Yu Chien venne alloggiato in una casa confortevole e ben sorvegliata dove veniva trattato con tutti gli onori, riceveva i cibi migliori e si intratteneva con la compagnia femminile più piacevole.

Se non fosse stato per merito di Fan Li, Yu Chien, sarebbe rimasto per sempre nella sua prigione dorata. Ma il primo ministro aveva voluto seguire volontariamente il suo signore nell’esilio. Infatti fu portato anche lui a Wu, come ostaggio, causando la gioia di Fu Ts’o che temeva l'intelligenza dell’ex ministro di Yueh. Il signore di Wu, Fu Ts’o, pensò che averli vicini e sotto controllo fosse una fortuna. Ne avrebbe potuto controllare meglio le mosse piuttosto che lasciare il pericoloso ministro, a Yueh, perciò libero di complottare per liberare il suo signore.

Così trascorsero alcuni mesi mentre il signore di Yueh sembrava apprezzare sempre di più i vantaggi della sua prigione dorata. Allora Fan Li comprese che il suo signore stava dimenticandosi del suo trono perciò gli disse: “Signore, il tuo primo scopo è quello di liberare il tuo regno. Non puoi lasciarti andare ai piaceri e dimenticare che il tuo popolo sta aspettando il tuo ritorno. Il dovere di un sovrano che è stato sconfitto è quello di riconquistare il trono che gli è stato sottratto!”

L’animo di Yu Chien fu turbato da quel discorso perciò, da allora, signore e ministro iniziarono a complottare per tornare a Yueh. Iniziarono una finzione infatti, di giorno, il sovrano continuava a fare una vita dissoluta. Ma, di notte, dormiva su un duro giaciglio e beveva delle pozioni amare per ricordare l’amarezza dell’esilio. Intanto Fan Li raccoglieva informazioni sul signore di Wu per capire quali fossero i suoi punti deboli.

Fu così che scoprì che l’unica debolezza di Fu Ts’o era una passione smodata per le belle donne. E la fortuna gli portò l’occasione di sfruttare quella preziosa informazione. Infatti, Fu Ts’o chiese che gli fossero portate le più belle cortigiane di Yueh in aggiunta al tributo che lo stato sconfitto gli versava regolarmente. Fan Li, in veste di ex primo ministro di Yueh chiese di essere mandato a fare la selezione delle bellezze locali adducendo la scusa che conosceva molto bene dove trovarle.

Una volta che fu arrivato nella capitale, mentre faceva la selezione, ebbe la visita di una donna molto bella e di nobile aspetto. Fan Li restò meravigliato dalla bellezza e raffinatezza della visitatrice e chiese: “Come mai una donna del vostro rango vuole servire il tiranno che ha sconfitto il suo paese?” La donna rispose: “Il mio nome è Hsi Shih e sono di nobile origine perciò servo solo il signore di Yeuh, ma sono disposta a tutto per aiutare Yu Chien a riconquistare il suo regno.”

A quelle parole, Fan Li sorrise e disse: “Finalmente ho incontrato uno spirito che è affine al mio spirito. Finalmente ho incontrato qualcuno di cui posso fidarmi.” Infatti trascorsero la notte a parlare per conoscersi meglio e concordare un piano per liberare Yu Chien e sconfiggere Fu Ts’o. Dopo alcuni giorni Fan Li ritornò alla corte di Wu con la bella Hsi Shih nascosta nel gruppo di cortigiane chieste dal signore di Wu.

Quando Fu Ts’o la incontrò ne fu ammaliato. Il sovrano fu colpito dalla sua bellezza, dall'intelligenza e dal nobile contegno, perciò la fece nominare prima concubina fin dal loro primo incontro. Hsi Shih iniziò a occupare tutto il suo tempo libero, poi Fu Ts’o iniziò a trascurare per lei anche gli affari di stato. Allora l'affascinante cortigiana fu certa di averlo ammaliato. La sua prima mossa fu quella di sfruttare la natura diffidente e sospettosa del sovrano perciò fece diffondere, a corte, alcune voci su presunti complotti per detronizzarlo.

La conseguenza fu che il re fece giustiziare i suoi più fedeli collaboratori con l’accusa di tradimento contro il regno di Wu. La seconda mossa della bella fu quella di farsi rivelare la posizione delle guarnigioni di Wu e i punti di maggiore forza e debolezza dei comandanti di quelle postazioni. In poco tempo, Fan Li e la bella Hsi Shih raccolsero tutte le informazioni necessarie per sconfiggere il regno di Wu.

A Hsi Shih toccò la mossa finale cioè convincere il signore di Wu a far tornare Yu Chien a Yeuh. Un giorno che Fu Ts’o era di buonumore iniziò a dirgli: “Yu Chien è un fallito, è un ubriacone che sperpera il tuo oro in festini e bagordi con vagabondi e donne. Non mi sembra che sia una minaccia per il regno, piuttosto mi sembra una spesa inutile. Non vedo perché dovresti mantenerlo. Perché non lo rimandi a casa sua e risparmi l’oro che spendi per il suo mantenimento?”

Fu Ts’o si convinse e, contro il parere dei suoi ministri, acconsentì a farlo partire. Quando Yu Chien fu ritornato nel suo regno, lui e Fan Li si armarono e invasero lo stato di Wu. Usando le informazioni raccolte da Hsi Shih riuscirono a conquistarlo velocemente. Dopo la sconfitta di Wu, Yu Chien chiamò tutti i consiglieri più fedeli e li ricompensò con ricchi doni. Al suo primo ministro, Fan Li, disse: “Esprimo la mia gratitudine particolare a te ed a Hsi Shih. Senza di voi non avrei vinto perciò desidero che resti primo ministro. Vi concedo la libertà di scegliere tutte le terre e l’oro che vorrete.”

Fan Li rifiutò con garbo dicendo: “Abbiamo sconfitto il nemico più insidioso. Ora il paese è libero e tu sei un signore molto saggio. Saprai governare anche senza il nostro aiuto. Io e Hsi Shih abbiamo deciso di partire al più presto. Desideriamo esplorare le montagne e i mari del Sud.” Yu Chien restò lusingato dal bel discorso di Fan Li e gli concesse il permesso di partire. Ma, prima di congedarlo gli disse: “Sei libero di andare, ma se avessi bisogno di averti ancora al mio servizio ti chiederò di tornare.”

Quella notte stessa Fan Li e Hsi Shih misero tutti i loro averi su un battello e salparono. Mentre erano diretti verso il Sud, Hsi Shih chiese a Fan Li: “Perché hai rifiutato l’offerta del sovrano?” Fan Li rispose: “Yu Chien il vincitore non era come Yu Chien il prigioniero. Adesso Yu Chien è nostro amico perché pensa che può aver bisogno di noi. Ma tra un po’ di tempo il suo potere si sarà rafforzato, e avrà paura che noi potremmo diventare un pericolo. Oggi è generoso, ma domani vorrà la nostra testa perciò è meglio scappare quando ancora ne abbiamo l’occasione.”

Fan Li e Hsi Shih nascosero la loro vera identità e viaggiarono molto nei mari del Sud. Infine trovarono una bella cittadina della Cina meridionale dove si fermarono. Fan Li diventò un uomo di affari ma, nonostante accumulasse una grande fortuna, i due non ostentarono la loro ricchezza. Essi non amavano il lusso sfrenato e non parlarono mai del loro passato. Anche gli amici più intimi non seppero mai che le loro menti brillanti avevano progettato la conquista del regno di Wu da parte del regno di Yueh.

Buona erranza
Sharatan

domenica 7 giugno 2015

Sei solo con la tua esperienza!



“Non Dio, non l’anima, non l’inferno
e non il paradiso, ma l’uomo di fronte
a se stesso con le sue proprie forze,
responsabile di ogni suo atto, artefice
delle sue vite a venire e della fine assoluta
di ogni divenire: il Nirvana.”
(Buddha Sàkyamuni)

“Sei assolutamente solo nel mondo che ti sei costruito e che continui a produrre: è la tua vita. Un passo ancora e non c’è più nient’altro che l’istante presente. Passi tutta la tua vita con i tuoi pensieri, che emergono senza sosta dalla profondità della tua mente. Non penserai nient’altro che ciò che pensi. Non sentirai nient’altro che ciò che senti. Non sperimenterai nient’altro che ciò che è la tua esistenza. È questo, questi pensieri, queste sensazioni, questa esistenza, questa solitudine assoluta che devi conquistare, fino al nucleo del silenzio e della beatitudine, che è il cuore del mondo.

Nessun pensiero, nessuna percezione “rappresenta” alcunché. Siamo questo pensiero, questa percezione. C’è un solo mondo: questo pensiero, questa percezione, di ricordi, ecc. Non c’è altro mondo che se stessi. Dal momento in cui prendiamo contatto con un’entità qualunque, essa diventa noi. Era noi da sempre. Siamo sempre in noi stessi. Il mondo è sempre in noi stessi sotto forma di idee, di sensazioni, di emozioni. Non esiste un esterno raggiungibile. Non esiste dunque nemmeno un interno. Non si può mai uscire da se stessi, sottrarsi e scappare dal sogno dell’esistenza.

Non hai accesso all’esistenza degli altri vissuta dall’interno. Dunque, puoi solo sempre comparare la tua vita a se stessa. Dal momento in cui hai fatto esperienza di questa solitudine assoluta, sei libero, poiché capisci che puoi creare il tuo mondo. Hai un solo riferimento: la tua vita, la tua esperienza, dalla quale ti è impossibile uscire. In realtà non hai nessun modello esterno, non conosci la “buona”o la “vera” maniera di vivere (una bontà o una verità trascendente) poiché per quanto bene o veramente tu possa prevedere, sarebbe necessariamente il tuo bene, il tuo vero, per come appaiono nella tua vita.

Inventi la tua vita facendola, non avendo altro che la tua vita come modello. Tutto ciò che sai lo conosci solo rivestito delle tue interpretazioni, illuminato dalle tue idee consce o inconsce, sotto la prospettiva della tua esperienza personale. La tua vita è un autosviluppo. Non puoi accusare nessuno del tuo destino perché sei tu che scegli ciò che accade. A ogni istante, avresti potuto pensare, parlare, agire in maniera differente, obbedire ad altri padroni, ad altre ragioni. Hai fatto ciò che volevi fare senza altri riferimenti se non l’evidenza del tuo volere.

Produci la tua vita e il tuo mondo dall’interno, senza alcun punto di appoggio esterno né obiettivo. Ogni vita è unica e incomparabile. Dal punto di vista del vivente, l’unico che ci interessa qui, ogni vita è l’unica vita. Immagina una situazione nella quale non hai mai assaggiato la cucina di qualcun altro, nessun altro, al di fuori di te, può cucinare e nessun altro, al di fuori di te, può assaggiare ciò che prepari. Sta a te esplorare senza sosta nuovi sapori o accontentarti di qualche piatto che già apprezzi. Nessuno può mai dirti con certezza se fai della cucina “buona” o “cattiva.”

Sei solo con la tua esperienza, solo con il tuo gusto. Non devi, e del resto non puoi, accettare alcuna autorità esterna, alcun giudice esterno, poiché non c’è altro che la tua vita, e sei tu che la vivi, tu che la fai e la gusti, e nessun altro. La tua libertà e la tua responsabilità sono totali. Ciò che più importa è la qualità del tuo flusso di esperienza, perché tu non sei nient’altro che questo flusso, e non esiste nient’altro che questo. È la tua vita, ne hai una sola. In verità non ce n’è che una: questa.

Tu o il mondo, non siete altro che questo flusso mutevole di sensazioni, di pensieri, di emozioni e di immagini. Nessuna autorità, nessun referente esterno ti dirà cosa senti, qui e ora. Eppure è l’unica cosa che conta poiché è l’unica che sia reale. Il problema non è di sapere ciò che sono il bene e il male in generale, ma di sapere ciò che senti, tu, nell’istante, perché non ci sarà nessuno, all’infuori di te, per vivere questa vita qui. Il male è ciò che provoca la tua sofferenza, poiché l’unica realtà del mondo è quella della tua vita, del tuo flusso di esperienza, in ogni istante.

Rivolgiti dunque verso la vita dell’anima, e non verso i giochi ingannevoli dell’intelletto, poiché solo l’anima sente la sofferenza e il male non è altro che il meccanismo che la produce. È perché rifuggi questa sensibilità nell’istante, questa vulnerabilità letteralmente animale, che il male estende il suo impero.” (Pierre Lévy, Il fuoco liberatore, Luca Sassella ed.)

giovedì 4 giugno 2015

Il potere della massa



“Nulla l’uomo teme di più che essere
toccato dall’ignoto.”
(Elias Canetti)

“Massa e potere” è l’opera a cui Elias Canetti dedicò tutta la vita, infatti vi lavorò 38 anni. L'opera, pubblicata nel 1960, esamina i fenomeni della massa e la struttura del potere. Canetti racconta che l’opera gli fu ispirata nel 1922 quando aveva 17 anni, mentre era a Francoforte e venne coinvolto nelle manifestazioni di protesta per l’assassinio di Walter Rathenau. L'importante uomo politico di origine ebrea aveva avuto un ruolo di primo piano nell'Impero tedesco e nella Repubblica di Weimar.

Rathenau fu assassinato da simpatizzanti dell’estrema destra tedesca ostili alla sua politica estera e alle sue origini ebraiche. Ai suoi funerali parteciparono 2 milioni di persone e, nei giorni seguenti, ci furono molte manifestazioni di protesta. Canetti racconta che si trovò dentro l’enorme massa che protestava e sentì l’enorme potere magnetico posseduto dalla massa. Nel 1927 partecipò alla manifestazione di protesta che si concluse con l'incendio del Palazzo di Giustizia di Vienna.

La folla dei manifestanti venne dispersa dalla polizia a colpi di fucile, e con il bilancio di 70 morti. In quel momento Canetti conobbe la potenza distruttiva che possiede una massa furiosa e ebbe il riscontro della reazione violenta del potere. Dalle esperienze che ebbe nacque l’interesse per i fenomeni di massa che esaminò in chiave sociologica, storica, psicopatologica e etnologica producendo un’opera veramente unica nel suo genere.

Canetti afferma che la paura più grande dell’uomo è quella di essere toccato da cose sconosciute o inaspettate, infatti tutto quello che ci avvicina lo studiamo per classificarlo e conoscerlo. Tutte le distanze che poniamo tra noi e gli altri vengono dalla paura. Chiudendoci in casa cerchiamo di sfuggire le minacce e le aggressioni, ma rifuggiamo anche dalla ripugnanza di essere toccati. Questo timore non ci lascia neppure quando camminiamo per la strada, andiamo al cinema o saliamo in tram.

In tutti questi contesti sociali, ci viene imposto di essere molto vicini agli altri, però noi evitiamo di toccare gli estranei. E, se veniamo toccati da loro, ci affrettiamo a controllare se non ci abbiano rubato il borsellino. L’aggressività è spontanea nelle persone se si sentono serrate e vengono spinte perché, nel profondo, esse si aspettano qualcosa di minaccioso o insidioso. Il contatto viene percepito come un qualcosa che invade i confini che abbiamo definito per il nostro corpo, che lede la nostra persona.

Anche durante il sonno siamo disturbati se accade un contatto inaspettato. Solo la permanenza nelmassa libera l’uomo dal timore di essere toccato, afferma Canetti, perciò la massa diventa il contesto in cui la paura si capovolge nel senso opposto. Ma, per superare questa paura di essere toccati, è necessario entrare in una massa densa di corpi accalcati ad altri corpi. Ma, dal momento in cui entriamo nella massa non temiamo più nulla perché ci sentiamo tutti uguali.

Chiunque ci spinge e ci viene addosso diventa come il nostro corpo. Nella massa tutto diventa un unico corpo perché tutte le differenze non esistono più. Questo è il motivo principale per cui si entra nella massa. Quanto più gli uomini si addensano uno all'altro e tanto più si sentono sicuri, perciò non sentono più paura uno dell’altro. Il capovolgimento della paura in sicurezza è primario nell'aderire alla massa.

Il fenomeno enigmatico e universale della massa è imprevedibile, perché una massa si forma improvvisamente dove prima non c’era nulla. Ma, all’improvviso, da ogni luogo affluiscono molte persone che creano l'assembramento che non c’era. Si direbbe che ognuno sia in contatto con l’altro ma, in realtà, tutti agiscono come se avessero una stessa meta. E la meta è posta dove il nero è più nero, cioè nel luogo dove è raccolta la maggioranza.

Ma molto ci sarebbe da dire sulle masse di tipo spontaneo, perché una massa molto raramente è di questo genere. Se osserviamo il fenomeno in forma spontanea vediamo che, a prescindere dal gruppo delle prime 10-20 persone originarie, la massa resta raramente spontanea perché essa vuole crescere sempre più. La spinta a crescere sempre è la prima tendenza del fenomeno, infatti la massa cerca di prendere, afferrare e coinvolgere chiunque passa accanto.

Chiunque può unirsi alla massa, perché essa è aperta finché non cessa di crescere, ma allora rischia di disgregarsi. Nella forma spontanea, essa è molto vulnerabile perché la sua stessa apertura la mette in pericolo. In contrasto con quella aperta c’è una massa chiusa che, in nome della durata rinuncia alla sua crescita perché vuole avere una vita più lunga. E la massa chiusa fissa i confini, perché gli accessi ai suoi spazi vengono misurati e fissati.

Quei confini vanno rispettati, siano fatti con le muraglie oppure con le usanze. Non è difficile vedere che viene fissata una tassa di accesso per concedere di far parte della massa chiusa. Anche se lo spazio fosse chiuso e limitato fino a traboccare, l’importante è restare dentro perché chi è fuori è l'escluso. La massa guadagna in durata ciò che sacrifica in possibilità di incremento, ma deve difendesi dalle influenze esterne.

Il fenomeno più temibile è lo scarico della sua forza, ma la massa esiste solo se può scaricare la sua forza. E quando accade la scarica di potenza tutti si sentono uguali, perché cadono tutte le differenze di rango, di condizione e di proprietà. L'uomo soffre queste differenze che lo spingono a tenersi lontano dai suoi simili e distaccarsi sempre più dagli altri. Tutta la vita si basa sulle distanze, perciò ognuno tende a rinchiudersi in se stesso e isolarsi nel suo mondo e nella sua casa.

Anche la libertà di movimento e relazioni si riduce a causa di questo meccanismo. Nessuno può avvicinarsi all'altro se le società crea un posto diverso per le persone. Quando accade questo le persone sanno che non possono toccare chi sta più in alto, o non possono scendere verso quelli che stanno molto più in basso nella scala sociale ma, nella massa, queste distanze non esistono perché esse si annullano.

Nella scarica della massa tutti si sentono uguali perciò il sollievo che si prova è enorme. Spesso si sente del potere distruttivo delle masse, perché questo è l'aspetto più evidente. E questo aspetto distruttivo è il motivo principale per cui le persone vogliono diventare una massa, dice Canetti. Il suono degli oggetti che vengono distrutti accresce il loro piacere, perché tutto quello che viene distrutto è diventato il simbolo del potere che si vuole cancellare.

La distruzione non è altro che l'attacco portato su tutti i fronti, perciò nulla più si frappone tra ai confini che furono imposti e la persona li ha subiti. Il singolo si sente felice perché vengono abolite tutte le limitazioni che lo opprimevano. Il peso delle differenze è eliminato e ognuno si sente liberato.

Canetti dice che, alla “massa nuda tutto appare come la Bastiglia” perché l’annientamento delle prigioni assume sempre un valore simbolico. La massa vera e propria è quella massa che si immagina di diventare sempre più grande perciò si può dire che anela a diventare infinita. E anche l’enorme incremento delle metropoli che è così tipico della nostra epoca moderna segue questi stessi schemi.

Le masse chiuse dei tempi passate avevano un ruolo particolare. Allora si radunavano le masse per adempiere a scopi religiosi, festivi o guerreschi, perciò un fine comune serviva a consacrare l’atto di associarsi. Tutte le regole e le cerimonie che regolavano le istituzioni del passato tendevano a catturare una massa, perciò frequentare la chiesa, partecipare alle riunioni e così via diventava una ripetizione rassicurante con cui si assicurava, alla massa, un’esperienza addomesticata.

Tutte le ribellioni contro i cerimoniali di cui narra la storia delle religioni sono rivolte alle limitazioni della massa. Queste rivolte avvenivano quando i tempi, le caste oppure le chiese diventavano troppo opprimenti. Infatti lo scoppio accade quando una massa chiusa vuole diventare una massa aperta.

E fra i tasti più sensibili della massa che vengono più usati c’è qualcosa che si può indicare come forte senso di persecuzione, come irosa suscettibilità oppure come eccitabilità che si scatena contro dei nemici indicati come tali. Perciò tutte le azioni dei nemici vengono indicate come malvagie, come il frutto di una mentalità negativa che si rivolta contro la massa, oppure come l'intenzione preconcetta di voler distruggere la massa.

Per capire questo senso di inimicizia e di persecuzione che viene usato, si deve tener conto che la massa vuole sempre aumentare. Perciò la percezione dell'aggressione esterna tende a rinforzarla. L’aggressione esterna la rende più forte mentre, invece, l’aggressione interna è veramente pericolosa. L’aggressione che viene dall’interno si fonda sulle voglie personali, perciò è percepita come il gesto del traditore.

Ogni volta che viene usato un senso di persecuzione si offre un nutrimento alla massa. Infatti si cerca di allontanare la Quaresima di una massa che non riesce a crescere, e le religioni sanno usare il metodo con molta maestria. Le religioni che hanno pretese di universalismo modificano molto spesso il tono della propaganda, perché devono cercare di raggiungere e convincere tutti.

Ogni singola anima va conquistata, però si sa che è molto difficile durare, infatti si creano istituzioni che garantiscono la stabilità. Ma quelle istituzioni diventano un peso se acquistano una vita autonoma e addomesticano l’impeto della propaganda originaria. Nelle religioni si sente la necessità di raggruppare i fedeli in unità separate per ridurre la loro tendenza a disgregarsi oppure a crescere troppo. Queste religioni desiderano avere dei fedeli obbedienti come pecore perciò lodano la loro obbedienza.

Così accade che i fedeli vengano spinti rinunciare alla tendenza essenziale della massa ossia ad avere una crescita. Si limitano a dare la finzione di un’uguaglianza che non verrà mai ottenuta sul serio. Ma i fedeli si mantengono nei moderati confini imposti, e nella direzione che gli viene indicata. Quei fedeli fissano volentieri la meta della loro gratificazione a lunga distanza. La pongono nell'aldilà che sarà a venire, e che dovranno meritare con molto sforzo e molta sottomissione.

Ma converrà riassumere le caratteristiche salienti del fenomeno per tentarne una classificazione. E il primo tratto è quello che la massa vuole crescere perciò non ama limitazioni alla sua estensione. Laddove vengono posti dei limiti artificiali, le istituzioni che tendono a usare delle masse chiuse, devono mettere in conto che uno scoppio distruttivo divenga possibile, infatti spesso avviene.

All’interno della massa regna l’uguaglianza, perciò ogni volta che si enfatizza troppo l’uguaglianza si sappia che si vuole creare una massa. Il fattore ulteriore del fenomeno è che la massa non può essere concentrata in modo eccessivo, perché se essa ha consapevolezza del potere della sua concentrazione, è quello l’istante in cui è facile possa avvenire lo scoppio.

L’altro fattore primario è che la massa ha bisogno di una direzione comune. Quel fine comune serve per rinforzare la sensazione di essere tutti uguali. La meta comune verrà posta oltre il fine del singolo, e serve perché le mete private e personali sono la morte per una massa. Per la durata della massa avere una meta condivisa è un fattore indispensabile, e orientare l'obiettivo sempre più lontano nel tempo è importante.

Si fa in modo che la meta sia difficile da raggiungere perché questo è essenziale per la sopravvivenza della massa. Ognuna di queste cose può essere presente in misura maggiore o minore, a seconda che l’istituzione metta a fuoco una caratteristica piuttosto che l’altra. Questi meccanismi non vengono usati solo dalle religioni ma anche dalla società, dai partiti, e in tutti i contesti in cui vogliono controllare le persone.

Buona erranza
Sharatan

martedì 2 giugno 2015

Lupo o agnello?



“L’uomo comune con potere fuori del comune
è il pericolo primo per l’umanità,
e non il malvagio e il sadico.”
(Erich Fromm)

L’essere umano è più simile al lupo oppure all’agnello? Molti, alla domanda, rispondono pendendo per il lupo mentre altri optano a favore dell’agnello ma, Erich Fromm, risolve il quesito in modo diverso. Il grande psicanalista dice che entrambi le cose possono credersi per ottime ragioni. Quelli che parteggiano per la pecora dicono che gli uomini sono pecore perché vengono facilmente influenzati a fare ciò che gli si dice di fare, anche se quello che fanno li danneggia. Come pecore, sanno seguire dei capi in guerre che causano la loro distruzione.

Le pecore credono a ogni sciocchezza che gli viene imposta con la forza, infatti le pecore sono sensibili alle minacce e alla voce suadente dei persuasori occulti. Sembra che la maggioranza sia suggestionabile come un bambino ottuso che desidera cedere la sua volontà a chi sente più forte e autorevole. Chi ha una forte convinzione e una volontà determinata sembra che riesca a reggere l’opposizione della massa, perciò rappresenta l’eccezione piuttosto che la regola.

Si dice che molte persone eccezionali sono ammirate nei secoli seguenti al loro tempo, ma sono osteggiati e derisi dai contemporanei. È su questo fatto che molti tiranni basano i loro sistemi, infatti credono che gli uomini sono pecore perciò hanno bisogno di essere guidati da capi che decidono per conto loro. Si basano su questa idea per rafforzare la loro convinzione interiore che - solo a loro - spetta il dovere di offrire agli uomini ciò che vogliono, perché i leaders allontanano il dovere della responsabilità e della libertà.

Ma, riflette Fromm, sarebbe da chiedersi come mai - se l’uomo è una pecora - la storia umana sia molto diversa da una storia di pecore. La storia umana è scritta con il sangue perché è piena di violenza, infatti la forza e la violenza furono usate in ogni tempo per sopprimere la volontà di altri uomini. Basti pensare a Talaat Pasha che fece sterminare milioni di Armeni, a Hitler che fece uccidere milioni di ebrei, a Stalin che fece eliminare milioni di dissidenti politici, a Mao che fece morire di fame milioni di cinesi, e altri simili tiranni.

Ma quei tiranni non agivano da soli, perché avevano molti seguaci che agirono per loro conto. In molti casi della storia vediamo la crudeltà di uomini che uccidono altri uomini, che torturano, che rubano e fanno aberrazioni indicibili. Tutti i seguaci dei tiranni hanno creduto che fosse giusto che il forte opprimesse il debole, perciò il pianto delle vittime restò inascoltato da orecchie sorde e cuori insensibili. Tutto fa credere che “homo homini lupus” cioè che l’uomo sia un lupo per i suoi simili. Si crede che l’uomo sia un essere feroce, vizioso e distruttivo che è dissuaso dall’uccidere solo se teme di trovare un assassino più potente e feroce.

Eppure, dice Fromm, tutte queste ragioni ci lasciano perplessi, poiché i sadici come Hitler e come Stalin sono una eccezione tra gli uomini piuttosto che la regola. Dobbiamo credere che persone medie come noi siano lupi travestiti da pecore che non uccidono solo perché le loro inibizioni morali non glielo consentono? Dobbiamo pensare che la nostra ferocia uscirà fuori quando saranno crollate tutte le inibizioni e nulla impedirà che si mostri la bestia?

La realtà comune dimostra in mille occasioni che gli uomini potrebbero essere crudeli e sadici, ma non lo diventano. Piuttosto si vedono molti uomini che evitano di farlo, e che sentono una ribellione interiore e un senso di disgusto per la violenza e l’oppressione. Allora, c'è una spiegazione migliore di quella che vede una minoranza di lupi vivere al fianco di una maggioranza di pecore?

È chiaro che i lupi amano uccidere e le pecore seguire. Perciò i lupi mandano le pecore a uccidere e opprimere, e le pecore obbediscono perché pecora non si diventa se non si ama seguire. E poi sentiamo gli assassini inventare mille nobili ragioni che giustificano le loro azioni. Vengono usate molte ragioni nobili per giustificare la violenza, viene invocata la difesa contro la minaccia della libertà, oppure la vendetta per i caduti, oppure l’onore violato delle loro terre e donne, ma tutte queste ragioni vengono usate per indurre le pecore ad agire come lupi.

Ma non convince il fatto implicito che esistano due specie di razze cioè la razza delle pecore e quella dei lupi. E poi come possiamo persuadere queste pecore a diventare come dei lupi, se non crediamo che la natura sia malvagia e che bastino delle scuse per giustificare la violenza? Insomma, la divisione tra pecore e lupi non appare molto credibile. È forse potrebbe essere vero che una natura da lupo sia nascosta in tutti, ma che sia evidente solo in casi eccezionali?

Oppure è più credibile che l’uomo sia insieme lupo e pecora? La risposta è essenziale soprattutto oggi che molte nazioni possono agire su larga scala fino a causare la totale “estinzione” del nemico. La questione è ancora più cruciale se siamo convinti che il bisogno di usare la violenza e la forza sia una tendenza insita nella stessa natura umana. La questione è antica come l’uomo infatti è indagata nell’Antico Testamento dove non c'è una posizione precisa sulla corruzione della natura umana.

La disobbedienza di Adamo e di Eva non è mai chiamata “peccato” e non si dice che la disobbedienza abbia corrotto la natura umana. Al contrario, si dice che quella disobbedienza abbia permesso all'uomo di conquistare l’autocoscienza perché gli ha permesso di fare una scelta. In ultima analisi, riflette Fromm, la disobbedienza di Adamo e di Eva può essere considerata il primo passo verso la libertà, perciò rientrava nei piani di Dio.

Secondo il pensiero profetico, solo in quanto l’uomo fu cacciato dal Paradiso fu in grado di costruire la propria storia, di sviluppare le sue facoltà umane, e di raggiungere l’armonia come essere evoluto. Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se fosse restato nella condizione in cui tutto era diretto dalla volontà di Dio. Il concetto insegnato dai profeti, è che l’uomo non è fondamentalmente crudele e corrotto perciò tutti si possono salvare senza alcun atto di grazia divina.

Ma questo non vuol dire che la potenzialità di fare il bene sia necessariamente vincente, piuttosto significa che l’uomo che fa il male diventa un uomo peggiore. Il cuore di chi fa il male si indurisce finché, se egli persevera nel fare il male, il suo cuore diventa così arido che diventa impossibile mutare o pentirsi.

L’Antico Testamento offre molti esempi in cui si compie il male oppure il bene, e non esclude gli errori di personaggi come il re David che fu lodato ma che non si astenne dall'omicidio quando volle una donna. Il punto di vista delle scritture è che l’uomo possiede tutte e due le facoltà, quella del male e quella del bene, perciò l’uomo ha la potenzialità della beatitudine e della dannazione, della vita e della morte.

Neppure Dio può influire sulla nostra scelta, però ci aiuta a capire mandando i messaggeri e i maestri per insegnare quello che aiuta a scegliere e realizzare la bontà. Ci aiuta a riconoscere il male, ci ammonisce e ci chiede di destarci. Ma, dopo ci deve lasciare da soli a decidere quale, tra le due spinte, si vuole seguire perché la decisione è solo nostra.

Ma la chiesa non ha accettato la libertà, perciò la disobbedienza di Adamo è bollata come “peccato originale.” Insegna che questo peccato ha corrotto la natura umana, non solo quella di Adamo e di Eva, ma anche di tutta la loro discendenza. Perciò l’uomo non può liberarsi solo con i suoi sforzi dalla corruzione, ma solo l’atto di grazia di Dio può salvarci. La comparsa di Cristo è definito come un atto di assoluzione dalla colpa originaria. La grazia divina, afferma, sarà concessa solo a chi accetta un dogma.

Ma, il dogma fu respinto da molti uomini alla chiesa, che furono sconfitti. Gli umanisti non riuscirono ad intaccarlo e anche Lutero affermò la soluzione dell’innata malvagità e corruzione dell'uomo. L’illuminismo oscillò verso l’opposto credendo nell’originaria bontà dell’uomo quando disse che il male che si compie è dovuto al risultato delle circostanze. Gli illuministi dicessero che l’uomo non ha effettivamente la possibilità di scegliere ma, se cambiano le circostanze che producono il male, affiora naturalmente l’originaria bontà umana.

La fede nella bontà umana era dovuta allo sviluppo economico e alla fiducia nelle possibilità umane. Ma quando l’Occidente ebbe un fallimento morale, dopo la Prima Guerra Mondiale, si affermarono Hitler e Stalin e si proseguì con Hiroshima, finendo nell'epoca attuale, in cui una inezia potrebbe portare all’estinzione totale. L'ottimismo e il pessimismo totali sono poco convincenti per uno come me, dice Fromm, che ha visto lo scoppio del male e la distruttività a partire dalla Prima Guerra Mondiale.

Anche il suo lavoro di psicanalista gli comporta di non poter sottovalutare l’enorme fatica che comporta il dominare e l'incanalare, in modo costruttivo, la direzione distruttiva di molti suoi pazienti. E non si può tacere neppure del pericolo insito nell'accettare una versione rivisitata della corruzione umana e del peccato originale.

Non è accettabile neppure il disfattismo di chi dice che la guerra è la conseguenza delle tendenze malvagie dell'uomo. Lui crede che esiste un’opinione diversa e molto più realista di queste. La sua idea è quella che le guerre sono il risultato delle decisioni di leaders politici, di militari e di affaristi che la sollecitano per guadagnare territori, risorse naturali, vantaggi commerciali, o per scopo di difesa da offese presunte o affettive operate da altre potenze, oppure per prestigio o potere personale.

I tiranni sono uomini non sono molto diversi da altri, infatti sono egoisti che hanno scarsa capacità di rinunciare al loro vantaggio personale a favore di quello degli altri, però non sono persone particolarmente malvagie e crudeli. Costoro, nella vita comune, non sarebbero diversi da tanti altri, ma quando arrivano a occupare dei posti di potere da cui possono comandare su milioni di persone e possono controllare delle armi micidiali, diventano persone molto pericolose.

Se nella vita comune arrivano a distruggere un solo nemico, in una posizione di enorme potere diventano pericolosi e fanno disastri. Un uomo comune che ha potere può diventare più pericoloso del sadico e dell'assassino. Nelle guerre c’è bisogno di coltivare dei sentimenti appassionati di odio, di indignazione, di distruttività e di totale noncuranza per il valore della vita umana. Queste passioni sono necessarie per alimentare le guerre, ma non ne sono la causa fondamentale perché la vera causa della guerra è l’indifferenza per la vita umana e il disinteresse per il nostro prossimo.

Ci sono tre orientamenti umani che possono essere un grande pericolo, afferma Fromm, perciò vanno saputi. Essi sono alla base dell’aspetto deviato e pericoloso dell’uomo, e sono l'amore per la morte, il narcisismo maligno e la fissazione incestuosa simbiotica. Quando questi orientamenti si combinano insieme producono la “sindrome del decadimento” perché questa sindrome spinge gli uomini a distruggere per amore di distruzione, e a odiare per odiare.

All’opposto della sindrome distruttiva esiste una “sindrome di crescita” che consiste nell'amore per la vita che va contro l’amore per la morte, nell'amore per l’uomo che va contro il narcisismo, e nell’indipendenza che va contro la fissazione incestuosa simbiotica. Solo in una minoranza di persone le due sindromi sono pienamente sviluppate, ma è innegabile che ognuno cammina lungo la direzione che ha scelto: quella della vita o quella della morte, quella del bene oppure quella del male.

Buona erranza
Sharatan