giovedì 30 ottobre 2008

Utili pratiche di autodifesa morale


In una società libera non si dovrebbe neppure pensare di controllare i pensieri e le parole degli altri. Dovrebbe essere imperativo, incoraggiare le persone a pensare liberamente, e dissuaderla dall’agire in base a pensieri di offese e di danni che l’altrui pensiero opera nei nostri riguardi. Detto più semplicemente, si dovrebbe essere liberi di pensare e di parlare liberamente, ma non essere liberi di agire di conseguenza. Soprattutto si dovrebbe pensare che, nessun insulto può giustificare l’utilizzo della violenza, la peggiore risorsa del vivere sociale.
Dovremmo imparare che esiste un nostro senso interiore del valore morale, talmente forte , da non poter essere assolutamente danneggiato dalle parole di nessuno. Comunemente invece facciamo il contrario e limitiamo, sia il nostro pensiero che il dialogo, per il timore di offendere gli altri: così le persone diventano prive di difesa contro i pensieri “non convenzionali”, così diventiamo tutti meno autonomi, meno liberi e meno dignitosi. Così gli uomini rimangono limitati e schiavi. Bisognerebbe invece, imparare fin da bambini, a mantenere chiaro ed alto, il senso del valore di noi stessi, indipendentemente da ciò che gli altri pensano e dicono di noi. Avendo la percezione del nostro valore umano ed individuale, nessuno ci potrà mai toccare con offese ed ingiurie.
Bisogna imparare che solo noi stessi possiamo diminuire il nostro valore, e solo noi possiamo decidere di abbassarci al livello di coloro che si comportano male. Questa lezione ce la dovremmo sempre ripetere, anche quando diventiamo degli adulti. Sia gli uomini che le donne dovrebbero sempre attuare delle pratiche di autodifesa morale, imparando a non provocare e a non essere provocati.
Bisogna imparare a non accettare le offese, anche se se sono forti e ripetute costantemente, ma è essenziale sottrarsi a coloro che ci offendono, qualora ci accorgiamo che potrebbero farci un danno. Coloro che sono offesi, hanno un ruolo attivo nel farsi offendere, infatti si può accettare o meno, di essere insultato. Se qualcuno cerca di arrecarti un’offesa, si può rifiutare di accettarle, scusando l’altro e perdonandolo per la sua ignoranza: così non ci potrà fare alcun danno.
E se viene lanciata un’offesa che non trova appiglio, allora non c’è offesa, non c’è danno, e non c’è alcuna sofferenza. Si può essere danneggiati senza il nostro consenso, ma la strada dell’offesa è sempre a doppio senso: questa consapevolezza può arrecare dei grossi vantaggi. Possiamo vivere massimizzando il nostro benessere e minimizzando il nostro malessere. A livello psicologico, le nostre emozioni diventano dei sentimenti, che vanno ad alimentare il nostro pensiero, per questo la psiche può sentirsi offesa da attacchi alla sfera familiare (insulti alla madre e alla famiglia) attacchi all’ego (insulti rivolti alla persona e alla sua identità sessuale) attacchi all’identità di gruppo (insulti alla razza e alla tribù) attacchi alle convinzioni spirituali (insulti rivolti alla divinità e alla religione).
Tutti questi insulti scatenano sempre ritorsioni e vendette. Per non cadere nell’errore, è necessario non farsi dominare, né dalla programmazione genetica, né dal condizionamento comportamentale. Il potere della mente è in grado di registrare l’offesa e di deviarla, riesce a ridimensionarla e renderla inoffensiva, in virtù dell’umorismo e della forza dei propri principi morali. In questo modo, si riesce a discriminare tra il bene ed il male, e a trascenderli entrambi. Coloro che riescono a vincere questa battaglia con se stessi, sono superiori all’apparenza delle cose. Riescono a costruire una mente libera e aperta, riescono ad essere dignitosi ed autonomi.
Il mondo è pieno di provocazioni che non possiamo controllare, mentre possiamo controllare la risposta che noi diamo. La nostra risposta dipende dalle nostre esperienze di vita e dalle nostre abitudini, e queste ultime, dipendono dalla nostra filosofia di vita. Ma se il nostro modus operandi continua a non funzionare, allora significa che esso va cambiato, come va cambiata la nostra filosofia di vita. Se modifichiamo il nostro atteggiamento di fronte alle provocazioni, allora è probabile che, anche gli altri tendano a diminuire le loro provocazioni. Il peggior modo di reagire alle offese è sempre la violenza, perché essa ripaga l’offesa con un danno. Un’opzione più utile della violenza è invece l’umorismo, che possiamo utilizzare con un tono cinico oppure caustico, procurandoci così una vendetta più accettabile e meno cruenta.
Al mondo ci sono tante persone che non hanno coltivato un alto senso di se, per cui si sentono offese dal modo di essere e di pensare degli altri. Ci sono troppe persone che non sanno ridere di sé, perché non si amano e perché non amano il mondo che li circonda. Senza amore e senza umorismo, la condizione umana diventa intollerabile, per cui molti vivono in una condizione di forte disagio esistenziale, ma invece di provare a diventare felici, preferiscono infliggere anche agli altri uomini, la loro condizione d’infelicità. Così s’inventano le continue limitazioni del pensiero e della parola, apparentemente per garantire il buon vivere sociale, in realtà per creare individui indifesi, vulnerabili e condizionabili. Questo meccanismo, a livello politico, alla lunga limita le libertà personali e civili, inibisce l’amore spontaneo della vita, ed inibisce il potere terapeutico dell’umorismo.
Le persone che sanno ridere di se stessi e degli altri, difficilmente vengono offese, ed è molto difficile che siano danneggiate dagli altri. Questo spiega l’intolleranza dei totalitarismi per la satira e per l’umorismo. Infatti i comici, utilizzano l’umorismo, per toccare dei temi seri e rilevanti, come il sesso, la razza, l’etnia, la religione e la politica.
Quando esiste questa intolleranza, e quando i comici sono usati per dire ciò che la gente comune non ha il coraggio di dire, allora il livello delle libertà di cui si usufruisce, è veramente basso.
Perché considerare un’offesa le opinioni diverse dalle nostre? Le persone che non riescono ad accettarci, in realtà non sanno accettare se stessi, per questo sono tanto ostinati a criticarci. Il problema non è il nostro, è il loro. Non accettiamo di pagare per un pegno che non è dovuto. Non lasciamoci coinvolgere da un problema che non ci appartiene. Le persone che fanno osservazioni o valutazioni offensive, sviliscono la propria natura umana, non quella degli altri. Diceva Eleanor Roosvelt: “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.”
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

martedì 28 ottobre 2008

Le forme evolute dell’arte dell’agguato




Carlos Castaneda spiega il calo energetico che molte persone lamentano nei nostri tempi, rivelando alcuni insegnamenti del suo maestro don Juan. Gli sciamani toltechi scoprirono la presenza di esseri oscuri, posti direttamente sullo sfondo del campo energetico umano e per questo difficilmente individuabili.

Secondo i toltechi, questi esseri oscuri si cibavano della lucentezza della consapevolezza degli individui, riducendone sempre di più la patina luminosa. Sono entità oscure, sono particolari esseri inorganici, coscienti e molto evoluti. Si muovono saltellando o volando, sono ombre vampire e sono chiamati los voladores, ovvero quelli che volano.

I voladores, non amano la qualità vibrazionale della consapevolezza, dell’amore puro, dell’armonia, dell’equilibrio, della pace, della sobrietà… in una parola aborriscono la qualità energetica della crescita evolutiva, e hanno ogni vantaggio nel boicottare ogni nostro incremento di coscienza.

I predatori alimentano l’avidità, il desiderio smodato, la codardia, l’aggressività, l’importanza personale, la violenza, le emozioni forti, l’autocompiacimento ma anche l’autocommiserazione. Le fiamme energetiche generate da queste qualità “negative” sono il loro cibo prediletto.

Secondo Don Juan: “I predatori hanno preso il sopravvento perché siamo il loro cibo, la loro fonte di sostentamento. Ecco perché ci spremono senza pietà. Proprio come noi alleviamo i polli nelle stie.” Infatti, sono stati proprio i voladores a instillarci stupidi sistemi di credenza, le abitudini, le consuetudini sociali, e sono loro a definire le nostre paure, le nostre speranze, e sono loro ad alimentare in continuazione e senza ritegno il nostro Ego.

Ci manca l’energia, per cui non possiamo fare altro che specchiarci, nella pozzanghera di consapevolezza, in un limitato e illusorio riflesso di sé, in una falsa personalità. L’esigua pozzanghera di consapevolezza è l’epicentro dell’egocentrismo, in cui l’uomo è inconsapevolmente intrappolato.

Ci hanno tolto tutta l’energia, ma ci hanno lasciato proprio quella che ruota intorno all’Ego, perchè facendo leva sul nostro egocentrismo, i voladores creano fiammate di consapevolezza, che poi voracemente consumano.

Come inconsapevoli schiavi, ci identifichiamo nei nostri predatori e riproponiamo i loro nefandi comportamenti con la natura, inquinando, disboscando, distruggendo e “sfruttiamo noi stessi senza ritegno i nostri animali: li mungiamo, li tosiamo, prendiamo loro le uova e poi li macelliamo o li rendiamo in diversi modi sottomessi e mansueti.

Li leghiamo, li mettiamo in gabbia, tagliamo loro le ali, le corna, gli artigli ed i becchi, li ammaestriamo rendendoli dipendenti e gli togliamo poco a poco l’aggressività e l’istinto naturale per la libertà.”

Quando un essere è separato dalle forze della natura, perde anche il naturale contatto con la fonte dell'energia e quindi, non riuscendo più ad alimentarsi dal cosmo, diventa dipendente e si nutre dell'energia altrui, con manovre di manipolazione. In tale stato, trionfano le sensazioni di depressione, dipendenza, impotenza e di spasmodico bisogno.

Dice don Juan: “La nostra mentalità da schiavi, che nella cultura giudeo-cristiana ci promette consolazione nell’aldilà, non porta alcun vantaggio a noi stessi, bensì ad una forza estranea, che in cambio della nostra energia ci fornisce credenze, fedi e modi di vedere che limitano le nostre possibilità e ci fanno cadere nella dipendenza.”

Don Juan afferma che: “Per mantenerci obbedienti, deboli e mansueti, i predatori si sono impegnati in un’operazione stupenda, naturalmente dal punto di vista dello stratega. Orrenda nell’ottica di chi la subisce. Ci hanno dato la loro mente! I predatori ci hanno dato la loro mente che è la nostra.

La mente dei predatori è barocca, contraddittoria, tetra, ossessionata dal timore di essere smascherata. Benché tu non abbia mai sofferto la fame, sei ugualmente vittima dell’ansia da cibo e la tua altro non è che l’ansia del predatore, sempre timoroso che il suo stratagemma venga scoperto e il nutrimento gli sia negato.

Tramite la mente che, dopotutto, è la loro, i predatori instillano nella vita degli uomini ciò che più gli conviene…Le nostre meschinità e le nostre contraddizioni sono il risultato di un conflitto trascendentale che affligge tutti noi, ma di cui solo gli sciamani sono dolorosamente e disperatamente consapevoli: si tratta del conflitto delle nostre due menti…

Una è la nostra vera mente, il prodotto delle nostre esperienze di vita, quella che parla di rado perché è stata sconfitta e relegata nell’oscurità. L’altra, quella che usiamo ogni giorno per qualunque attività quotidiana, è una installazione estranea.”

Carlos: “Ma se gli sciamani dell’antico Messico e quelli attuali vedono i predatori, perché non fanno nulla?” Don Juan: “Non c’è nulla che tu e io possiamo fare se non esercitare l’autodisciplina fino a renderci inaccessibili. Ma pensi forse di poter convincere i tuoi simili ad affrontare tali rigori? Si metterebbero a ridere e si farebbero beffe di te, e i più aggressivi ti picchierebbero a morte.

Non perché non ti credano. Nel profondo di ogni essere umano c’è una consapevolezza ancestrale, viscerale, dell’esistenza dei predatori.” Col termine Astratto, Spirito, Intento, Assoluto o Nagual, viene definita l’immane forza dell’universo che è responsabile della percezione.

Poiché l’Intento è la forza che gestisce l’universo, si impone l’obiettivo di entrare in risonanza con tale forza e di controllarla. La padronanza dell’Intento diviene così un punto cruciale per il nuovo ciclo. Familiarizzare con questa forza, allo scopo di imparare la padronanza della consapevolezza e le forme evolute dell’arte dell’agguato, che puntano a sviluppare un’impeccabile padronanza del proprio comportamento.

“L’arte dell’agguato consiste nell’apprendere tutti i trucchi del camuffamento, e impararli così bene che nessuno si accorge che si è camuffati. Per riuscirci è necessario essere spietati, astuti, pazienti e gentili. La spietatezza non dovrà essere durezza, l’astuzia non dovrà essere crudeltà, la pazienza non dovrà essere negligenza né la gentilezza stupidità.”

La spietatezza è l’arte di non raccontarsela e di non indulgere nell’autocommiserazione; l’astuzia è l’uso strategico delle circostanze; la pazienza è la rinuncia all’aspettativa e la fiducia nell’intento; la gentilezza è scegliere e percorrere sentieri che hanno un cuore.

“Un guerriero è un cacciatore perfetto che dà la caccia al potere… Un guerriero-cacciatore ha contatti stretti con il suo mondo, ma al tempo stesso a quel mondo è inaccessibile. Lo sfiora appena, si trattiene il tempo necessario e quindi si allontana senza quasi lasciare il segno…

Per un guerriero essere inaccessibile significa relazionarsi con parsimonia con il mondo circostante. Soprattutto, un guerriero evita di esaurire se stesso e gli altri, non usa né spreme le persone fino a ridurle a nulla, in particolare le persone che ama.”

Divenire questo tipo di persone è possibile per tutti: “La maggior parte di noi non è disposta ad accettare che ci serva così poco per andare avanti. Siamo attrezzati a esigere istruzione, insegnamenti, guide, maestri. E quando ci si dice che non ne abbiamo bisogno, non ci crediamo. Diventiamo nervosi, poi diffidenti, e infine irati e delusi.

Se abbiamo bisogno di aiuto non è nel metodo, ma nell’enfasi. Se qualcuno ci fa notare che è necessario ridurre la nostra presunzione, ecco, quello è un aiuto vero… Allora, perché siamo così dipendenti? Perché desideriamo che qualcuno ci guidi quando possiamo fare da soli?”

Buona erranza
Sharatan ain al Rami

sabato 25 ottobre 2008

Danzando al ritmo della cucaracha!


Regnano nei palazzi del potere le ombre di complotti. Complotti di comunisti, di cani sciolti e di facinorosi. La protesta viene sempre montata ad arte da parte di coloro che sono lì, appollaiati e pronti a fare critiche, a scrutare il pelo nell’uovo: sono i disfattisti e sono geneticamente di sinistra. Nelle piazze scendono solo i facinorosi, degli infiltrati che hanno il supporto dei giornali, da cui il Cavaliere prende fieramente le distanze. “Dalla sinistra non sono mai venute cose giudiziose e positive, io vado avanti a realizzare il mio programma. Non c’è nessuna possibilità di dialogo con questa sinistra.” Ma per non perdere tempo, e per non intrattenere un dialogo, del tutto inutile con dei facinorosi, è preferibile mandare nelle piazze le forze di polizia, salvo poi fare marcia indietro quando arrivano le reazioni, e ci si convince che sarebbe una mossa poco longimirante. La comunicazione è sempre stata per il Cavaliere un chiodo fisso, per cui, se i dati dei sondaggi – a suo dire - descrivono un Paese favorevole alla riforma della scuola, così deve essere.
E al disfattismo di una sinistra triste e rassegnata, lui non ci sta e con gli industriali, convenuti alla cena di villa Madama, sbotta: «Mi chiedo come fate ad accettare che la Rai, che vive anche grazie alla vostra pubblicità, inserisca i vostri spot dentro programmi dove si diffondono solo panico e sfiducia». E’ vero, tanta tristezza, tanta mortificazione, gli deve risultare incomprensibile. “E' un uomo sincero, capace di parole chiare e leali, capace di mantenere la parola data e mi piace il suo ottimismo senza limiti” con queste parole Bush aveva accolto Berlusconi alla casa Bianca.
Tutto questo spiega le massicce dosi di ottimismo finora distribuite ai cittadini per fronteggiare la crisi economica: i giovani hanno fiducia in Maria De Filippi, tutti amano i libri di Moccia e le donne sognano una storia d’amore da sogno, come quella che vive il ministro Frattini e Chantal Sciuto. Anche i sogni aiutano a vivere, direbbe Marzullo. Infatti il 9 settembre 2008, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, parla del suo amore con Chantal Sciuto, dermatologa, con un sito Internet. Considerando che è una buona idea, l’uso di un ufficio stampa per dire agli italiani di un’amore, il capo della nostra diplomazia dice: “Oramai va così. In Francia tutti si chiedono chi è il padre del bimbo che porta in grembo Rachida Dati, l’America è impressionata dai cinque figli della Palin e non parliamo di Sarkozy e Carla Bruni”. Mentre gli uragani scuotevano i Caraibi e il sud degli Stati Uniti, mentre tra Georgia e Russia si rischiava una crisi di dimensioni preoccupanti, e i mali dell’Africa restano al palo, lui si dichiarava innamorato e poi andava alle Maldive, da cui provenivano le sue foto; sorridente, con il vento tra i capelli clamorosamente pettinati e baciato in fronte dal sole, insieme alla sua Chantal. E che a Bruxelles andasse il sottosegretario Enzo Scotti, che assomigliando vagamente ad Andreotti, sa offrire l’immagine di una classe politica longeva e affidabile!
“Oramai la politica è fatta anche di queste cose. Chantal ha avuto l’idea di rivolgersi a un’agenzia di pubbliche relazioni per rendere nota la nostra storia e siccome non c’è nulla di male l’ho trovata una buona idea”. E la Sciuto, per scansare il sospetto d’essere alla ricerca di notorietà, risponde: “Non ho bisogno né voglia di visibilità. Per me la priorità assoluta è proteggere il mio rapporto con Franco. Lui non vuole essere distolto dal suo impegno politico a causa del gossip e allora preferisco essere io il bersaglio”. Notoriamente, le agenzie di pubbliche relazioni servono per difendere la privacy, ridicolo non averlo pensato. Comunque dalle Maldive, grazie alle sue telefonate dalla spiaggia, il ministro Frattini sostiene di essere stato determinate per la soluzione del conflitti tra i potenti della terra.
Rischiare di vedere invalidati tutti i migliori sforzi dei suoi ministri e suoi, ha causato lo sfogo di Berlusconi, che ha parlato in modo diretto ad alcuni dirigenti del mondo pubblicitario, senza curarsi del conflitto di interessi: “Da presidente del Consiglio non ho poteri per intervenire, ma voi dovreste chiedere un incontro ai vertici della Rai. Dovreste chiedere se è mai possibile che le aziende investano in pubblicità senza veder mai diffusi messaggi positivi. Non dico tanto, almeno una volta”. Diffida dei risultati ansiogeni diffusi dai media che sono indicatori fondamentali per il clima politico del paese, convinto com'è che “gli italiani non aprono i giornali, accendono la tv” per questo l’immagine che deve uscire deve dare “l’ottimismo che è il succo della vita.”
Questa sua vocazione alla diffusione del buon umore e alla positività l’ha più volte esportata, lasciandosi andare a una “disinvolta disinvoltura”, nel trattare i maggiori capi esteri mondiali, con libertà di atteggiamenti che ha spesso costernato gli addetti al protocollo internazionale. Ma queste notizie trapelano maggiormente sulla stampa estera dove l’Italia, più volte è apparsa sotto il manto del ridicolo e della beffa. Veniamo descritti come amanti di stili politici latinoamericani, e nessuno si riferisce all’amore per i balli caraibici o alla macarena, alla salsa, alla bachata o al merengue.
Ma la stampa è sempre diretta dal potere, lasciatevelo dire da chi ne detiene una fetta rilevante, per cui bisogna saperla bene interpretare e, siccome agli italiani piace una vita “risate, pizza e mandolino,” lui non fa altro che acconsentire alle sensibilità dei suoi elettori, dopo avere tolto di mezzo qualche intralcio, che poteva interrompere i lavori. Per questo chiede ai suoi ministri l'astinenza televisiva: “Perché o sono programmi faziosi, oppure sono programmi dove si sentono insulti e voci sovrapposte. Così il nostro messaggio non arriva, gli italiani non ci capiscono e si distaccano. Meglio lavorare”.
Ed è vero, dicono le proiezioni che il governo strappa sempre più consensi, nel gradimento degli italiani, se al 62% si piazza lui stesso, Silvio il premier tra i più amati. Nonostante il riscaldamento globale, la crisi finanziaria globale, la crisi economica e la politica di tagli feroci al walfare, è riuscito a convincere che il paese è una grande azienda e che i ministri della repubblica siano un operoso consiglio di amministrazione. Lo dice il sondaggio Ipr marketing per Repubblica.it, usando dei dati del 13 e 14 ottobre 2008. Vediamone gli altri indici: a Palazzo Chigi, Giulio Tremonti sorpassa Roberto Maroni con un +5% percentuale. “ha dimostrato, così almeno dice il sondaggio, di saper tenere dritta la barra nelle tempeste economiche e finanziarie di queste settimane. Soprattutto ha dimostrato che il suo pessimismo, quello per cui ha spiegato di aver blindato a luglio la finanziaria perché in autunno ci sarebbero state tempeste, era fondato e motivato. Gli italiani ricordano e lo premiano. E' sotto di un punto, ma costante rispetto al mese prima, Maroni che tiene duro su immigrazione, lotta alla criminalità e la spunta sul collega alla Difesa Ignazio La Russa circa l'impiego di militari lungo il litorale domizio per fronteggiare i casalesi.”
Segue il dinamico Brunetta, con “ i tornelli d'ingresso per i dipendenti di Palazzo Chigi, la campagna sui fannulloni e il piano di taglio dei costi della burocrazia che non la previsione di non assumere un terzo dei ricercatori con contratto a termine. O, in parte c'entra un po' anche lui, la privatizzazione delle università. Renato Brunetta, che firma entrambi i provvedimenti, cresce di due punti percentuale (60% di gradimento), sale al terzo posto della classifica, a parità con il titolare della Farnesina Franco Frattini (60%), e si conferma in assoluto il più gradito della squadra di governo. [Brunetta] A maggio era al palo, al 45%, tra i più bassi. A giugno, con la campagna sui fannulloni, era già schizzato al sessantuno per cento, secondo solo a Berlusconi”. Seguono Sacconi al 58% e Alfano al 54%. La Gelmini, con la Pubblica Istruzione, passa dal 38 al 42% facendo un balzo di +4% punti, seconda nel recupero, solo allo scatto di Brunetta. “Bossi e Calderoli, restano stabili, anzi il Senatur scende di un punto. Piacciono, invece, la legge sulla prostituzione e quella sullo stalking (minacce telefoniche), fiori all'occhiello del ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna che guadagna due punti, arriva al 44 per cento e non era mai stata così in alto nei sondaggi di Ipr marketing … Combinando i risultati, vince alla grande Renato Brunetta: è il più sincero e il più determinato; è al secondo posto per la competenza e al terzo per la capacità comunicativa. Un trionfo!”. Brunetta, definito da Margherita Boniver, “il vero gigante del governo.”
Che tristezza vivere nel sospetto che gli italiani siano convinti che i regimi sudamericani, non sono regimi totalitari, ma solo dei paesi ottimisti in cui si legifera giocosamente al ritmo della cucaracha!
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

giovedì 23 ottobre 2008

Sommersi dalla bellezza del vuoto


Nella nostra cultura la bellezza è sempre stata regolamentata da canoni e proporzioni derivanti dalla concezione platonica dell’opposizione tra il mondo delle cose e il mondo delle idee, governato dal grande Demiurgo. E’ in Platone che troviamo per la prima volta quelle concezioni che saranno ereditate dal pensiero cristiano e rafforzate da s. Agostino.
Da sempre diamo alla bellezza una serie di obblighi, in merito alla misura, alla proporzione, all’armonia e alla grandezza delle parti sul tutto. Da quelle misure emerge un ideale socio-culturale esterno all’individuo, a cui però esso è obbligato ad aderire: tale concetto è espresso compiutamente nel canone armonico rinascimentale dell’uomo vitruviano.
Potremmo invece pensare che la bellezza possa essere svincolata da ogni canone predefinito? Possiamo pensare di lasciarsi andare alla mutevolezza delle cose e delle persone ed essere disponibili al bello?
Nelle culture d’Oriente tale ideale è del tutto naturale, ed emerge lasciandosi andare ricettivamente, nel pieno equilibrio di corpo e mente, ed in piena attenzione rilassata alla contemplazione di ciò che il mutamento offre ai nostri sensi. Nella chiara descrizione della pratica zen giapponese delle cerimonia del thè, possiamo apprezzare la preparazione mentale e fisica necessaria per essere accolti nella camera del thè vera e propria.
Cosa insegna il rigido formalismo zen? Mette in chiaro, evidenzia il metodo puro, l’essenzialità della tecnica attuativa, della pratica. Questo è molto importante da capire per la mente occidentale, che ha un approccio del tutto diverso, cioè logico-teorico all’esperienza. Il corpo orientale entra in gioco ancora prima della mente, quando l’individuo viene messo di fronte alle esperienze, alle tecniche e alle arti: l’approccio è essenzialmente pratico. Nel praticare un’arte, l’orientale diviene l’arte stessa, e il suo intervento sulla realtà non è assolutamente invasivo, ma è sempre rispettoso della natura delle cose. Questo punto di vista è molto difficile da capire per noi occidentali, è difficile da praticare.
Nel concetto di vuoto vi è la piena ricettività dell’essere, c’è la completa disponibilità a recepire l’esterno, vi è la massima centratura sul nostro essere, siamo in un’attenzione rilassata ma non selettiva, rispetto ai fatti che si osservano. Questa disposizione predispone il terreno, affinchè l’anima della disciplina entri in noi stessi, fluisca nelle nostre vie energetiche e possa infine manifestarsi in perfetta ed essenziale esecuzione artistica.
Afferma Cheng Yao Tian - calligrafo del periodo Ching - che “la via della calligrafia è fondata sulla padronanza del vuoto.” Tale elemento viene espresso ancor più chiaramente in Wang Yuan Chi, autore del trattato di estetica, “Yu Chuang Man Pi”: “Si deve concepire l’idea prima di afferrare il pennello, questo è il punto principale della pittura. Quando il pittore prende il pennello deve essere completamente tranquillo, sereno, calmo e raccolto, ed escludere tutte le emozioni volgari. Si deve sedere in silenzio davanti al rotolo di seta bianca, concentrando il suo spirito e controllando la sua energia vitale.” La bellezza si coglie mettendosi in attenzione ricettiva, lasciando che l’oggetto osservato la esterni, dal centro del suo essere.
A tutte le nostre scissioni e preconcezioni sul bello, sembra estraneo il pensiero orientale, il quale afferma che un individuo con mente e corpo equilibrati, illuminato dalla conoscenza e pienamente ricettivo può godere di bellezza assoluta e dominare il mondo. Il concetto di amore ed il concetto di bellezza vengono così svincolate da ogni legame con le persone, per abbracciare una dimensione cosmica. Cogliere l’essenza del vuoto, equivale alla suprema conoscenza, e praticare una disciplina con l’uso del vuoto è la somma manifestazione dell’arte, sia essa una pratica marziale, sia il rito del thè, sia il tiro con l’arco o l’arte dell’equitazione, sia il godimento estetico di una poesia, etc... Solo quando l’uso del vuoto è in funzione – osserva Giangiorgio Pasqualotto - vi è la “grande abilità che sembra assenza di abilità; essa è caratterizzata dall’assenza di intenzionalità e, quindi, di sforzo. L’opera riesce meglio quando l’Io si mette da parte e la fatica scompare: l’esecuzione raggiunge così la perfezione.”
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

martedì 21 ottobre 2008

La sventura di essere irrimediabilmente onesti


Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia che la camorra vuole uccidere Roberto Saviano e la sua scorta prima di Natale.
Il boss dei casalesi Francesco Schiavone detto Sandokan, lo avrebbe scritto in alcune lettere inviate dal carcere di Opera.
Avevo letto la “Lettera a Gomorra” del 22 settembre scorso, che lo stesso Saviano aveva inviato ai maggiori quotidiani, e credo che essa abbia rafforzato l’odio dei casalesi. E’ una lettera forte, che ti scava dentro, in cui scrive: “Mi chiedo: ma questa terra come si vede, come si rappresenta a se stessa, come si immagina? Come ve la immaginate voi la vostra terra, il vostro paese? Come vi sentite quando andate al lavoro, passeggiate, fate l'amore? Vi ponete il problema, o vi basta dire, “così è sempre stato e sempre sarà così?” … Non posso credere che riescano a resistere soltanto pochi individui eccezionali. Che la denuncia sia ormai solo il compito dei pochi singoli, preti, maestri, medici, i pochi politici onesti e gruppi che interpretano il ruolo della società civile. E il resto? Gli altri se ne stanno buoni e zitti, tramortiti dalla paura? La paura. L'alibi maggiore. Fa sentire tutti a posto perché è in suo nome che si tutelano la famiglia, gli affetti, la propria vita innocente, il proprio sacrosanto diritto a viverla e costruirla Ma non avere più paura non sarebbe difficile. Basterebbe agire, ma non da soli. La paura va a braccetto con l'isolamento. Ogni volta che qualcuno si tira indietro crea altra paura, che crea ancora altra paura, in un crescendo esponenziale che immobilizza, erode, lentamente manda in rovina. "Si può edificare la felicità del mondo sulle spalle di un unico bambino maltrattato?", domanda Ivan Karamazov a suo fratello Aljosça. Ma voi non volete un mondo perfetto, volete solo una vita tranquilla e semplice, una quotidianità accettabile, il calore di una famiglia. Accontentarvi di questo pensate che vi metta al riparo da ansie e dolori. E forse ci riuscite, riuscite a trovare una dimensione in cui trovate serenità. Ma a che prezzo? … Perché se tutto ciò è triste la cosa ancora più triste è l'abitudine. Abituarsi che non ci sia null'altro da fare che rassegnarsi, arrangiarsi o andare via. Chiedo alla mia terra se riesce ancora ad immaginare di poter scegliere. Le chiedo se è in grado di compiere almeno quel primo gesto di libertà che sta nel riuscire a pensarsi diversa, pensarsi libera. Non rassegnarsi ad accettare come un destino naturale quel che è invece opera degli uomini… Bisogna trovare la forza di cambiare. Ora, o mai più.”
Mi piace molto questo giovane uomo perché è coraggioso ed appassionato, perché è limpido e profondo, perché le sue parole colpiscono con spietata lucidità, con la sua pacatezza sconvolgente, fa pensare, non lascia tranquilli. L’ho sentito anche al World Social Summit 2008 di Roma e le sue parole sono state memorabili; memorabile è il modo con cui ha spiegato alla platea come la camorra riesca a soppiantare lo Stato e come detenga il monopolio della paura.
Lo sconforto dello scrittore, per avere messo in pericolo la sua famiglia e per avere distrutto la sua vita, il dubbio che la sua coraggiosa denuncia sia stata utile, se ne sia valsa la pena, è stata pubblicata da tanti giornali. Il suo sfogo è stato drammatico: “Andrò via dall’Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà. Voglio una vita, voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni!”.
La cosa che mi ha sconvolto maggiormente sono state le parole di un giovane di Casal di Principe, che ha commentato la notizia con la conclusione che “se stava tranquillo non si sarebbe cacciato nei guai, perché la camorra non da fastidio” per cui doveva lasciare tutto come stava. Ma perché lo ha fatto? Ma chi te lo ha fatto fare? Ecco, credo che questa sia la cosa più sconvolgente che si possa dire ad una persona onesta: ma chi te lo fa fare? Perché un giovane uomo ha accettato di vivere una “vita dura, assurda” per correre dietro ai suoi ideali?
Lo ha fatto perché è un uomo che nel suo dovere di scrittore e di intellettuale, considera la denuncia e la scrittura come lo “strumento di impegno più forte che possiedo”. Un uomo così conosce perfettamente ciò che gli conviene. Lo ha fatto perché è un uomo onesto ed irrimediabilmente intelligente, perché ha cuore ed anima e perché ha bisogno di una scelta etica. Lo dichiara perché lo ha fatto: “Chiedo di nuovo alla mia terra che immagine abbia di sé. Lo chiedo anche a tutte quelle associazioni di donne e uomini che in grande silenzio qui lavorano e si impegnano. A quei pochi politici che riescono a rimanere credibili, che resistono alle tentazioni della collusione o della rinuncia a combattere il potere dei clan. A tutti coloro che fanno bene il loro lavoro, a tutti coloro che cercano di vivere onestamente, come in qualsiasi altra parte del mondo. A tutte queste persone. Che sono sempre di più, ma sono sempre più sole… Ho visto che nella mia terra sono comparse scritte contro di me. Saviano merda. Saviano verme. E un'enorme bara con il mio nome. E poi insulti, continue denigrazioni a partire dalla più ricorrente e banale: "Quello s'è fatto i soldi". Col mio lavoro di scrittore adesso riesco a vivere e, per fortuna, pagarmi gli avvocati… Com'è possibile che si crei un tale capovolgimento di prospettive? Com'è possibile che anche persone oneste si uniscano a questo coro? Pur conoscendo la mia terra, di fronte a tutto questo io rimango incredulo e sgomento e anche ferito al punto che fatico a trovare la mia voce. Penso che non potrò mai più passarne uno normale nella mia terra, che non potrò mai più metterci piede. Rimpiango come un malato senza speranze tutti i compleanni trascurati, snobbati perché è solo una data qualsiasi, e un altro anno ce ne sarà uno uguale. Ormai si è aperta una voragine nel tempo e nello spazio, una ferita che non potrà mai rimarginarsi. E penso pure e soprattutto a chi vive la mia stessa condizione e non ha come me il privilegio di scriverne e parlare a molti. Perché il dolore porta ad ammutolire, perché l'ostilità porta a non sapere a chi parlare. E allora a chi devo rivolgermi, che cosa dico? Come faccio a dire alla mia terra di smettere di essere schiacciata tra l'arroganza dei forti e la codardia dei deboli? Oggi qui in questa stanza dove sono, ospite di chi mi protegge, è il mio compleanno. Penso a tutti i compleanni passati così, da quando ho la scorta, un po' nervoso, un po' triste e soprattutto solo. Penso che non potrò mai più passarne uno normale nella mia terra, che non potrò mai più metterci piede. Rimpiango come un malato senza speranze tutti i compleanni trascurati, snobbati perché è solo una data qualsiasi, e un altro anno ce ne sarà uno uguale. Ormai si è aperta una voragine nel tempo e nello spazio, una ferita che non potrà mai rimarginarsi. E penso pure e soprattutto a chi vive la mia stessa condizione e non ha come me il privilegio di scriverne e parlare a molti.”
Quindi lo ha fatto per avere “solo seguito un richiamo della sua coscienza” e senza alcun altro scopo, lo ha fatto perché ha la sventura di essere irrimediabilmente onesto, per cui non può tirarsi indietro, non riesce a distogliere lo sguardo dai sopprusi.
“Davvero vi basta credere che nulla di ciò che accade dipende dal vostro impegno o dalla vostra indignazione? Che in fondo tutti hanno di che campare e quindi tanto vale vivere la propria vita quotidiana e nient'altro. Vi bastano queste risposte per farvi andare avanti? Vi basta dire “non faccio niente di male, sono una persona onesta” per farvi sentire innocenti? Lasciarvi passare le notizie sulla pelle e sull'anima. Tanto è sempre stato così, o no? O delegare ad associazioni, chiesa, militanti, giornalisti e altri il compito di denunciare vi rende tranquilli? Di una tranquillità che vi fa andare a letto magari non felici ma in pace? Vi basta veramente?”
Per questo motivo ho firmato per dimostrare la mia solidarietà a Roberto Saviano, ma se potessi gli vorrei dire che se lasciasse, se volesse veramente avere una vita normale, non lo considererei mai un codardo che ha lasciato il campo. Vorrei dirgli che non è solo, qualsiasi scelta faccia, e che ha tutta la stima di coloro che seguono il loro cuore solo perché è giusto.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

domenica 19 ottobre 2008

Un oceano di amore e tenerezza


Lo scopo della vita è perseguire la felicità, e la felicità si ottiene educando la mente. L’addestramento della mente non comprende solo lo sviluppo delle capacità cognitive o intellettive, ma anche lo sviluppo del sentimento e della sensibilità. Le persone duttili e creative sono aperte verso il mondo esterno e disponibili ad aiutare gli altri, sebbene la felicità sembra sia collegata, più allo stato mentale che alle condizioni esterne. Il grado di benessere personale sembra avere origini genetiche, cioè forti marcature di stili familiari, per questo sarebbe inscritto fin dalla nascita, ma le sensazioni di soddisfazione personale, sono fortemente influenzate anche da fattori esterni, quali la tendenza a fare dei confronti con gli altri; per questo è molto importante valutare la qualità delle persone che assumiamo come modelli.
Possiamo sentirci più soddisfatti se cambiamo le prospettive con cui si valutiamo la nostra vita. I fattori che appagano l’uomo sono: la ricchezza, la soddisfazione terrena, la spiritualità e lo stato di illuminazione. A questi aggiungiamo il godimento di una buona salute, la compagnia di un partner da amare e di amici affidabili.
Uno stato mentale calmo e tranquillo è però il requisito essenziale; infatti, ci renderà persone molto felici anche se la salute non è buona, mentre se lo stato mentale è negativo, anche le più grandi ricchezze e soddisfazioni, potrebbero non renderci felici. Anche gli amici non costituiscono un rimedio se la nostra mente è in preda ad odio o collera intense; per questo, maggiore sarà la nostra calma mentale e maggiore sarà la nostra capacità di avere una vita felice e gioiosa.
Essere in uno stato mentale calmo e tranquillo, non vuol dire essere vuoti o distanti, poiché lo stato mentale tranquillo affonda le sue radici nella simpatia e nella compassione; vi è in esso un altissimo livello di sensibilità e sentimento.
Il desiderio di possesso conduce all’avidità, al desiderio smodato di possedere le cose, questa è una brama sempre più insaziabile, fino a divenire illimitata, poiché non viene mai soddisfatta dal raggiungimento dell’obiettivo. Il vero antidoto all’avidità è l’appagamento, per questo se proviamo un grosso senso di appagamento, al di là di avere o meno ottenuto l’oggetto desiderato, siamo ugualmente soddisfatti. L’unico modo di affrontare efficacemente la vita, è guardare ai beni che si hanno e vedere come si può ulteriormente migliorare, utilizzando al meglio le nostre facoltà.
Ma senza un sentimento di affetto e di legame con gli altri, la vita diventa durissima. Se una persona è calda, affettuosa e dotata di sentimenti di compassione, difficilmente si farà deprimere, perchè il calore e l’affetto umano ci aiutano a maturare il senso del nostro valore interno.
Se la vera felicità è più connessa alla mente piuttosto che al cuore, bisogna scegliere l’ottica della felicità piuttosto che quella del piacere, perché il piacere è una forma di felicità effimera, mentre la felicità dura nel tempo. Esistono poi dei piaceri che sono distruttivi, che possiamo riconoscere ed evitare, se utilizziamo l’ottica della felicità. La vera felicità è stabile e durevole e la felicità da cercare è quella che resta, nonostante gli alti e bassi della vita, e nonostante le normali oscillazioni dell’umore; quella è la felicità che appartiene alle matrici stesse del nostro essere.
Con questa consapevolezza, affronteremo le scelte della vita con minor fatica, anche se dovremo rinunciare ad una parte del nostro piacere. Chiediamoci se la felicità che la situazione ci offre potrebbe essere durevole, chiediamoci se a lungo andare tale scelta piuttosto non ci danneggierebbe. Il nostro andare, sarà allora verso il godimento della vita anziché verso il suo rifiuto.
Muovendosi verso la felicità, l’effetto è che saremo più ricettivi e più aperti alla gioia di vivere. Impariamo a riconoscere i sentimenti che ci danneggiano e quelli che ci giovano: l’odio, la gelosia e la rabbia sono tutte emozioni negative che ci danneggiano. Gli stati mentali di gentilezza e di compassione schiudono automaticamente la nostra porta interna, e ci aiutano ad improntare le nostre relazioni sui valori dell’autentica amicizia. In questo modo, abbiamo meno bisogno di nascondere le cose e quindi i sentimenti di paura, dubbio ed insicurezza svaniranno automaticamente; susciteremo negli altri un grande sentimento di fiducia.
Mutare ottica, significa mutare modo di pensare e la cosa richiede tempo, perchè la mente ha bisogno di tempo per trasformarsi. La pratica del dharma consiste nel sostituire precedenti apprendimenti negativi con apprendimenti positivi. Seppure nasciamo con l’encefalo programmato in una certa maniera, è però vero che le connessioni non sono affatto statiche e l’encefalo si può riprogrammare, riconfigurando le connessioni in base a nuovi pensieri e a nuove esperienze. Agendo sul pensiero ed adottando nuove ottiche, possiamo correggere il nostro modus operandi. La trasformazione inizia con un nuovo apprendimento (nuovi input) e si verifica sostituendo, a poco a poco al condizionamento negativo (vecchi outpunt), un nuovo condizionamento positivo; così si addestra la mente alla felicità. Non bisogna sfiduciarsi se i progressi non sono subito evidenti, ma è necessario perseverare, avendo compassione anche per i nostri eventuali insuccessi: la determinazione e la perseveranza producono sempre dei frutti.
E’ chiaro che, più è sofisticato il livello della mente, più efficace sarà il nuovo modo di affrontare la realtà e la natura delle cose. Più sofisticato sarà il livello di educazione e conoscenza in merito a ciò che produce la felicità, più capaci saremo di raggiungere la felicità.Il modo migliore di utilizzare l’intelligenza e la conoscenza è mutare l’interno di noi stessi per maturare bontà d’animo.
Tutti possiamo essere felici, perché tutti siamo dotati degli strumenti essenziali per essere felici, tutti possiamo accedere agli stati mentali di calma e di compassione che portano alla felicità e alla salute fisica, perché la natura umana è sostanzialmente compassionevole e mite. La felicità è un diritto dell’uomo, invece l’infelicità è una malattia dell’anima. L’intelligenza stessa, se ben guidata, è in grado di trovare modi e mezzi per superare i conflitti e le divisioni umane.
La rabbia, la violenza e l’aggressività nascono quando l’uomo viene frustrato nei suoi tentativi di ottenere amore e affetto.
I conflitti sono causati dal nostro intelletto, sono causati dallo squilibrio e dal cattivo uso dell’intelligenza o delle facoltà immaginative. L’intelligenza sviluppata in maniera non equilibrata, senza essere adeguatamente bilanciata dalla compassione, diventa distruttiva e porta al disastro. Il comportamento violento è causato da fattori biologici, sociali, situazionali ed ambientali, ma è del tutto innaturale ed inumano: solo l’altruismo fa parte veramente della natura umana e proviene dal nostro antico passato animale, quando stare insieme e sostenersi era l’unico modo per sopravvivere.
Buona erranza
Sharatan ain an Rami

venerdì 17 ottobre 2008

E se fossero ricominciate le crociate?





La Fao dedica quest'anno al tema “Cambiamento climatico e impatti sanitari su cibo, acqua e nutrizione” la Giornata mondiale dell'Alimentazione 2008. L'incontro è organizzato da Organizzazione mondiale della sanità Ufficio Europeo (Oms Europa), Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dalla Fao, in collaborazione con il ministero del Lavoro, Salute e Affari sociali.

Le loro proiezioni hanno confermato i timori che già da tempo circolano fra gli studiosi di questi scenari globali: malnutrizione ed epidemie aumenteranno con l'acuirsi degli effetti del surriscaldamento del pianeta e avranno ripercussioni devastanti. Gli esperti hanno stimato che entro la fine di questo secolo il costo globale del cambiamento climatico potrebbe arrivare al 5% del Pil.

“Occorre al più presto - ammonisce dalla Fao Marc Danzon - garantire acqua pulita e igiene, alimenti sicuri e in quantità adeguate, sorveglianza delle malattie e risposta, preparazione alle emergenze”. E’ necessario “sensibilizzare gli operatori sanitari sulle malattie legate al cambiamento climatico, fornire un'informazione accurata e tempestiva ai cittadini, stimolare all'azione i settori in cui la riduzione delle emissioni può produrre effetti benefici per la salute. Prima agiremo, maggiori saranno i benefici e minori i costi”.

Secondo l'ultimo rapporto Ipcc, nella regione europea si prevede una diminuzione della produttività agricola nell'area Mediterranea, nell'Europa sud-orientale e in Asia centrale. I raccolti potrebbero ridursi fino al 30% in Asia centrale entro la metà del 21° secolo, con ripercussioni disastrose tra le popolazioni rurali più povere, il cui reddito familiare è strettamente legato alla produzione di alimenti. Inoltre, temperature più alte favoriscono la crescita di batteri negli alimenti.

Intanto è tensione tra il governo italiano e la Commissione di Bruxelles, dopo che il commissario europeo all'Ambiente, Stavros Dimas, ha dichiarato che i dati italiani sui costi che il “Pacchetto clima-energia” avrebbe sul sistema industriale nazionale (-1,14% del Pil) “non hanno nulla a che vedere con il Pacchetto Ue. ” La Commissione ha ricordato che l'Italia deve “prendere provvedimenti” per mettersi in regola con le norme in vigore in applicazione del Protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas a effetto serra, avvertendo che si tratta di “un obbligo giuridico” nell’ambito degli obiettivi del 2008-2012.

Sua santità Benedetto XVI intanto, torna a esaltare il valore della ricerca scientifica a servizio del progresso dell'umanità, ma nel contempo ricorda che “la scienza non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie”. “Avviene, tuttavia - osserva Papa Ratzinger - che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi.

Il facile guadagno o, peggio ancora, l'arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante... è questa una forma di "hybris" della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perchè permanga nel solco del suo servizio all'uomo”.

Alle affermazioni del Papa replica l'astrofisica Margherita Hack: “Gli scienziati sono persone come tutte le altre. Tra di essi, quindi, c'è chi pensa solo ai soldi e chi invece dedica tutta la sua vita al progresso dell'umanità”. “Considerato che la maggior parte degli scienziati, soprattutto quelli italiani, lavorano il più delle volte in condizioni di estrema precarietà - ha aggiunto la Hack - le dichiarazioni del Papa sono davvero fuori dal mondo. I principi etici non sono solo dei credenti. Il principio etico 'non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facciano a te' infatti riguarda i credenti come i laici e gli atei”.

Non si può non riconoscere, che la scienza ha dato molti benefici all'umanità”. Inoltre, ha aggiunto, “parlare di arroganza e desiderio di guadagno non è proprio molto adatto in un momento in cui i giovani scienziati italiani stanno rischiando di perdere il lavoro e morire di fame, senza avere più a disposizione nemmeno i mille euro al mese che guadagnano adesso”. “Il Santo Padre dovrebbe pensarci due volte prima di parlare”, ha concluso la Hack.

Il Santo Padre invece, non sembra avere dimenticato la vibrante protesta di un nutrito gruppo di studiosi universitari, fisici soprattutto, i soliti miscredenti materialisti, che lo aveva costretto ad annullare la sua visita alla Sapienza. Se fosse una persona comune direi che sembra se la fosse legata al dito. Sui toni, sui modi e sulla convenienza della protesta dei docenti e studenti della Sapienza, se ne era discusso in modo acceso, nel gennaio scorso, ed il mondo politico, stranamente all’unanimità, aveva preso le distanze dai protestatari.

Si erano distinti dal coro, il radicale Marco Pannella e il senatore Verde Giampaolo Silvestri, solidali con i docenti che avevano trovato improprio l’invito del rettore. “Questi professori – aveva dichiarato Pannella - ricordano quella dozzina di professori che negli anni Trenta si rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista.” Le dichiarazioni di oggi dimostrano che molti dissidenti avevano visto giusto.

Intanto Papa Ratzinger, nel discorso rivolto a Jacques Diouf, direttore generale della Fao, in merito ai lavori della Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2008, ha invitato a smettere con la "speculazione sfrenata che tocca i meccanismi dei prezzi e dei consumi." Infatti "Le cause della fame nel mondo sono diverse", innanzitutto "la corsa al consumo, che non si arresta malgrado una disponibilità più debole di alimenti, e che impone una riduzione forzata della capacità nutrizionale delle regioni più povere del Pianeta."

Lo scorso 13 settembre a Parigi, davanti a 300 mila fedeli che avevano partecipato alla messa sull'Esplanade des Invalides, aveva tuonato: “Il denaro, la sete dell'avere, del potere e persino del sapere non hanno forse distolto l'uomo dal suo Fine vero?” Aveva ricordato l'invito della Scrittura a fuggire gli idoli, affermando che esso “resta valido anche oggi”.

“Il mondo contemporaneo non si è forse creato i propri idoli? Non ha forse imitato, magari a sua insaputa, i pagani dell'antichità, distogliendo l'uomo dal suo vero fine, dalla felicità di vivere eternamente con Dio?...La parola "idolo" - ha ricordato - deriva dal greco e significa immagine, figura, rappresentazione, ma anche spettro, fantasma, vana apparenza: l'idolo è un inganno, perché distoglie dalla realtà chi lo serve per confinarlo nel regno dell'apparenza”.

Secondo il Papa teologo poi, c'è oggi “una tentazione propria della nostra epoca, la sola sulla quale noi possiamo agire efficacemente”, che è quella di “idolatrare un passato che non esiste più, dimenticandone le carenze” o “un futuro che non esiste ancora, credendo che l'uomo, con le sole sue forze, possa realizzare la felicità eterna sulla terra”.

Forse è per questo che rivolgendosi infine ai vescovi dell'Equador, il Papa era tornato a difendere il ruolo pubblico della chiesa, sebbene “l'attività della Chiesa non possa confondersi con l'attività politica". Comunque a Parigi aveva chiarito che “I cristiani devono poter contribuire ai valori che sono fondamentali per la costruzione della società. La religione non è identificabile con uno Stato, la religione non è politica e la politica non è una religione”. Sarà pure vero, ma a me resta uno stranissimo dubbio: che sia già iniziata la decima crociata?

Buona erranza
Sharatan

martedì 14 ottobre 2008

Al culmine della disperazione


Emil Choran nasce nel 1911 in Transilvania, in una famiglia benestante, figlio di un prete ortodosso e di una baronessa della nuova nobiltà ungherese. Allo scoppio della prima guerra mondiale i genitori, come altri intellettuali di origine rumena sono separati e condannati al confino, ed il piccolo Emil è affidato ai nonni. Dopo un’infanzia felice la sua vita cambia completamente. Fin dall’adolescenza è tormentato da gravi crisi di insonnia, a cui attribuì in seguito, tutte le stranezze di ciò che era diventato. Studioso di Kant, Schopenahuer e Nietzsche, in seguito diventa agnostico, ed assume come assioma “l'inconvenienza dell'esistenza”. Politicamente si schiera a favore del vitalismo e dell’esoterismo mistico dei nazisti e viene accusato di antisemitismo. Lui stesso si definisce un filosofo urlatore ma forse, lo dovremmo considerare un pensatore pericoloso perché troppo estremo,in questo molto simile a Nietzsche; entrambi nichilisti e devastanti. “Io non sono un uomo, sono dinamite” oppure “Annientare con le parole offre un senso di potenza e lusinga qualcosa di oscuro in noi. Non è erigendo, è polverizzando che possiamo intuire la segreta soddisfazione di un dio.”
Frasi così spiegano il forte impatto emotivo che offre Nietzsche, ma disvelano un pensiero fortemente antidemocratico, inumano e nichilista. Lo stesso Choran nega ogni gioia all’esistenza, lucidissimo nel suo assoluto pessimismo, sedotto dal nulla e affascinato dal vortice dell’irrazionale, infelice vittima della “caduta nel tempo”.
L’opera “Al culmine della disperazione” può definirsi un piccolo capolavoro filosofico, permeato di tutto il pessimismo e lo scetticismo che l’autore possa esprimere. E'scritta quando Choran ha 22 anni, ed è preda di uno "sconvolgimento interiore” che aggrava l’insonnia che lo tormenta da anni. In queste condizioni penosissime si ritrova per ore a passeggiare per le deserte strade cittadine, in preda ad una“criminale assenza di oblio.” La scrittura lo salva dal suicidio e “Al culmine della disperazione” costituisce ”una specie di liberazione, di esplosione salutare.” In una spietata autoanalisi, Choran sonda gli abissi più profondi dell’animo umano, in una condizione di “coscienza esasperata da se stessa.” Nel corso della veglia interminabile, insorge “un’interminabile ripulsa del pensiero attraverso il pensiero” che riesce a generare un pensiero estremo ed assoluto, espresso in una prosa ricca e seduttiva. Della sua scrittura offro un esempio, con un brano sull’essenza del lirismo umano.
“E’ sempre pericoloso conservare contenuti che chiedono di essere oggettivati, trattenere un’energia esplosiva, perché può venire il momento in cui non si sarà più in grado di padroneggiarla. Il crollo nascerà allora da un eccesso di pienezza. Esistono stati e ossessioni con cui è impossibile convivere. La salvezza non consiste quindi nell’ammetterli? ... Il lirismo rappresenta un impulso a disperdere la soggettività, perché denota nell’individuo, un’effervescenza insopprimibile che continuamente esige espressione. Essere lirici significa non poter restare chiusi in se stessi. Tale bisogno di esteriorizzazione è tanto più imperioso quanto più il lirismo è interiore, profondo e concentrato… Diventiamo lirici quando la vita dentro di noi palpita a un ritmo essenziale, e quando ciò che stiamo vivendo è talmente forte da sintetizzare il senso stesso della nostra personalità. Ciò che abbiamo di unico, di specifico, si compie in una forma così espressiva che l’individuale si eleva al livello dell’universale… La vera interiorizzazione conduce ad una universalità inaccessibile a quanti restano in superficie… Ecco perché il lirismo è considerato un fenomeno marginale e inferiore, frutto di un’inconsistenza spirituale, quando invece le risorse liriche della soggettività testimoniano una freschezza e una profondità interiori fra le più considerevoli. Certuni diventano lirici solo nei momenti cruciale della loro vita; altri solo nell’agonia, quando tutto il loro passato si attualizza e si riversa su di loro come un torrente: Ma nella maggioranza dei casi questo sfogo lirico nasce in seguito ad esperienze essenziali, quando l’agitazione del fondo intimo dell’essere attinge il parossismo. Così, uomini inclini all’oggettività e all’impersonalità, estranei a se stessi come alle realtà profonde, una volta prigionieri dell’amore provano un sentimento che mette in moto tutte le loro risorse personali. Il fatto che, quando sono innamorati, quasi tutti facciano della poesia mostra chiaramente che il pensiero concettuale non basta a esprimere l’infinità interiore, e che solo una materia fluida e irrazionale è in grado di offrire un’oggetivazione appropriata al lirismo. Non accade lo stesso con l’esperienza della sofferenza? Ignari di ciò che nascondiamo in noi stessi come di ciò che nasconde il mondo, siamo improvvisamente afferrati dall’esperienza della sofferenza … e trasportati in una regione infinitamente complessa, in cui la soggettività si agita come in preda ad una vertigine. Il lirismo della sofferenza provoca un incendio, e attua una purificazione interiore in cui le ferite non sono più semplici manifestazioni esterne, senza implicazioni profonde, ma partecipano della sostanza stessa dell’essere. E’ un canto del sangue, della carne e dei nervi. Lo stato lirico è al di là delle forme e dei sistemi. Una fluidità, una scioltezza interiore mescolano in uno stesso slancio, come in una convergenza ideale, tutti gli elementi della vita dell’anima per creare un ritmo intenso e pieno. Rispetto alla raffinatezza di una cultura anchilosata che, costretta in forme e cornici, camuffa tutto, il lirismo è un’espressione barbara. Qui sta appunto il suo valore: nell’essere solo sangue, sincerità e fiamme.”
(Emil Choran, Al culmine della disperazione, p.16-18).
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

domenica 12 ottobre 2008

Le innumerevoli metamorfosi di Brahman


Per la tradizione induista, solo un essere esiste realmente: Brahman, il Principio Creatore e la Coscienza Assoluta. Poiché l'universo non esprime solo la coscienza, ma l'universo è consapevolezza, questa consapevolezza è Brahman. Brahman è al di là dei sensi, della mente, dell'intelligenza, e di qualsiasi immaginazione. Brahman è colui che pervade la consapevolezza che sta alla base di tutte le entità animate e inanimate. Ed ogni singolo individuo - nei tanti livelli dell’esistenza - è soltanto il prodotto di un incalcolabile numero di metamorfosi di Brahman, di questa entità, unica e infinita. E' per questo che ogni individuo partecipa della natura divina.
Gli antichi insegnamenti indiani considerano l’esperienza della visione di altri mondi come Lyla ovvero il gioco divino, che viene creato dalla Coscienza Assoluta ossia Brahman, e considerano la percezione del mondo materiale come un’illusione cosmica o Maya operata dalla divinità. Questa limitazione alla nostra consapevolezza viene imposta, secondo Alan Watt, perché il sapere chi siamo potrebbe scatenare un terrore irrefrenabile.
Poiché ogni divisione e barriera dell’universo è illusoria ed arbitraria, soltanto Brahman si incarna in realtà. Tutti i personaggi del gioco divino dell’esistenza sono aspetti diversi dell’Uno: per questo Brahman non può essere conosciuto, poiché rappresenta la nostra stessa consapevolezza. Se raggiungiamo la conoscenza di questa verità ultima, riusciamo a vedere che le nostre incarnazioni passate rappresentano semplicemente un altro momento dell’illusione o Maya. Perciò considerare queste vite come nostre, secondo l’induismo, dimostra che l’attore karmico crede di essere un singolo individuo, e riflette la sua profonda ignoranza sulla fondamentale unità di ogni cosa.
Se pensiamo alla teorie orientali sul karma, leggiamo che la legge del Karma è una legge immodificabile che regge tutto il creato e che controlla tutto con un’azione causa-effetto. Raffigurando il karma come una bilancia, si consideri un braccio come Dharma, e su questo si vanno ad accumulare le azioni buone e virtuose, e l’altro braccio si consideri il Karma e su questo andranno tutte le cattive azioni commesse. Alla fine del ciclo vitale, la rinascita porta il segno delle conseguenze dei due pesi, causando una vita felice o infausta, a seconda del valore delle proprio agire. Poiché ogni manifestazione degli esseri senzienti possiede una certa quantità di “semi del Karma”, finché essi non verranno esauriti, siamo tutti costretti a reincarnarci. È la legge del karma che ci lega al Samsara, cioè al ciclo delle rinascite.
Secondo Jane Roberts (1973), tra la coscienza individuale e separata e il Principio Universale Creativo, vi è una Superanima, che è un entità intermedia tra le due. Se il termine Anima viene dato alla coscienza che raccoglie e integra le esperienze di un’incarnazione individuale, Superanima è il nome che viene dato alla coscienza allargata, che congloba e unifica le esperienze di più incarnazioni. Secondo questo punto di vista, è la Superanima ad incarnarsi, non è l’anima universale cosciente.
Secondo Christopher Bache, filosofo e studioso di religioni comparate, questa concezione è condivisibile per cui, se siamo delle estensioni di vite precedenti, chiaramente non siamo estensione di tutte quelle incarnazioni, poiché lo scopo per cui la Superanima si reincarna, è per raccogliere esperienze specifiche. Un coinvolgimento totale in una vita ben precisa, richiede una rescissione della connessione con la Superanima e l’immersione in una precisa identità personale, per questo non ricordiamo affatto quale sia la nostra origine e la nostra missione.
Al momento del decesso, il singolo individuo si dissolve nella Superanima, lasciando dietro di sè un mosaico di esperienze difficili e non assimilate. Queste sono le esperienze che andranno affidate ad altri esseri incarnati, in una specie di casuale distribuzione di carte da gioco durante la partita. Secondo questo modello non vi è continuità reale nelle vite di individui che si incarnano in tempi diversi, ma vi è il perseguimento di un "compito" a cui la Famiglia ci chiama. Quando sperimentiamo le parti non digerite ed elaborate di altre esistenze, non abbiamo a che fare con il nostro karma personale, ma stiamo lavorando per ripulire il campo della Superanima, cioè stiamo lavorando per casa. Se identifichiamo l’ambito della Superanima come l’ambito della nostra Famiglia, vi sono ulteriori livelli, dei livelli superiori alla Superanima, come il campo di coscienza della specie umana, di cui parimenti condividiamo destini e finalità.
Il concetto di karma e reincarnazione lo ritroviamo nell’induismo, nel buddismo, nel giainismo, nel sikkhismo, nello zoroastrismo, nel buddismo vayrana tibetano e nel taoismo. Concetti simili si ritrovano nelle concezioni di tribù africane, presso i Nativi americani, nelle tribù precolombiane del Mesoamerica e dell’America meridionale, presso gli hawaiani e nell’umbanda brasiliano. Si conoscono tali concezioni nei Celti con il druidismo, e nella Grecia antica vi aderirono i pitagorici, gli orfici ed i platonici. La stessa dottrina era adottata dagli Esseni, dai farisei e dai caraiti, come dalle varie sette giudaiche e semigiudaiche. Fu poi ripresa dalla teologia cabalistica e dal giudaismo medievale, come pure fu centrale nella Gnosi e in tutte le scuole neoplatoniche. Io preferisco questa teoria del karma a quelle comunemente conosciute. Infatti, se continuiremo ad adottare delle teologie regressive a base di punizioni karmiche o divine, peggioreremo la nostra vita, togliendole il suo significato esistenziale più profondo, cioè comprendere al meglio delle nostre possibilità la struttura profonda che si nasconde dietro gli eventi che ci accadono. Tale opportunità ci è stata data per potere trascendere radicalmente la nostra presente condizione psico-spirituale, in un lungo processo spirituale di intensa purificazione, nel quale la nostra identificazione con un sé distinto viene messa a dura prova e alla fine abbandonata. Ciò che muore è il nostro profondo attaccamento a un sé separato, privato, distinto da tutti gli altri e dall’universo in generale. Ciò che nasce nell’alba seguente, e dopo molte vite, è un durevole senso di partecipazione e comunione con il Divino onnipresente,con Brahman. Diceva Einstein: “Un essere umano è una parte del tutto che noi chiamiamo Universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio. Esso sperimenta se stesso, i suoi pensieri e sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della sua coscienza. Questa illusione è come una prigione per noi, prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per poche persone, le più vicine a noi. Il nostro compito deve essere di liberarci da questa prigione allargando la nostra cerchia di partecipazione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta quanta la natura nella sua bellezza. Nessuno è capace di fare ciò completamente, ma lo sforzo per tale conquista è in sè stesso una parte della liberazione e un fondamento per l’interiore sicurezza.”
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

giovedì 9 ottobre 2008

Ragazzi, l'evoluzione è finita!


Un gruppo di ricercatori dell'Università di Londra, coordinati dal professor Steve Jones, sostiene che “Ora sappiamo così tanto sullo sviluppo umano che possiamo fare delle previsioni su quello che potrebbe accadere in futuro" e spiega che "L'evoluzione è determinata da due fattori: la selezione naturale e la mutazione. In passato le mutazioni genetiche permettevano di sviluppare caratterische utili alla sopravvivenza. In un ambiente pericoloso dove le persone lottavano ogni giorno per vivere, la selezione naturale rappresentava una forza potente. Durante le glaciazioni una mutazione aiutava un bambino a sopravvivere alle temperature glaciali. Ma oggi, in un mondo pieno di comodità, la stessa mutazione non è di alcun vantaggio.”
Detto in soldoni, informa che l’evoluzione è finita. Poi aggiunge che “Tutte le popolazioni stanno diventando collegate globalmente e l'opportunità di una mutazione accidentale sta diminuendo: la Storia si fa a letto, ma oggi i letti sono sempre più vicini, ci stiamo mischiando in una massa globale."
Quindi andiamo verso il meticciato planetario, come dicono Attali, Baumann e tanti altri eccentrici. Sarà quindi prudente e necessario, mettere dei confini, tracciare degli ambiti, definire delle zone di rispetto?
I cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2008 sono aumentati del 16,8%rispetto al 2007. E’ l'incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell'immigrazione nel nostro Paese. Lo certificano i dati Istat diffuso oggi, e questi incrementi hanno sicuramente preoccupato la nostra politica che ha pensato di correre subito ai ripari.
Sollecitamente la Lega ha ideato il permesso di soggiorno “a punti”, un po' come la patente di guida: chi si integra nella società italiana vede accresciuto il punteggio, chi viola le leggi o non è in regola, perde punti fino a esaurimento, cioè viene espulso. Permesso a punti, quindi, ma anche matrimoni misti più difficili e referendum comunali per costruire edifici di culto per confessioni religiose che non hanno stipulato intese con lo Stato. Pene più pesanti per chi commette i reati di violazione di domicilio, furto e rapina, soprattutto quando tali reati siano associati a violenza sulle cose, sulle persone o anche solo a minacce. In questo caso, l'emendamento della Lega prevede di fissare la sanzione pecuniaria al massimo consentito dalla legge.
Ma, fatti salvi i casi in cui debba giudicare un ergastolano pluriomicida straniero, con quale criterio, mi sono chiesta, identificheremo gli atteggiamenti che possano dimostrare l’avvenuta integrazione? Molti provvedimenti punitivi sembra abbiano un carattere discrezionale, la cui severità andrebbe essere dosata a giudizio delle Questure. Insomma sono buono o cattivo a seconda della generosità del giudizio.
E io che mi credevo che il permesso di soggiorno andasse a persone che ne potessero rivendicare il diritto! Scopro che ho torto marcio e che la mia mentalità è contorta.
Come dalle nebbie del tempo, mi riaffiorano alla mente i “fioretti” delle monachine della mia infanzia, ma per capirlo, devo fare un’inciso. Datosi che sono di gennaio, fui avviata in prima elementare un anno dopo i miei compagni di gioco coetanei. La mia famiglia si arrogò il diritto di pensarmi esclusa, se non li avessi emulati, per cui mi iscrissero alla “primina” di un istituto religioso vicino a casa. A quei tempi non si usava ascoltare le esigenze dei bambini, per giunta di mocciosi di 7 anni, per cui mi ritrovai con un bel grembiulino e un cestino, a frequentare tutti i giorni le lezioni delle monachine. La scuola era in un bel palazzotto ottocentesco, inserito in una pineta ombrosa e verdissima, e le aule erano enormi e luminose. Io andavo volentieri, perché ci insegnavano rudimenti di scrittura e varie altre attività scolastiche ed extrascolastiche, come le animazioni teatrali. Ogni anno veniva allestito uno spettacolo e io fui fatina per un giorno, con due battute sceme, in Cenerentola.
Poi c’erano nelle pratiche di indottrinamento cattolico, la pratica dei “fioretti.” La pratica devozionale dei “fioretti” delle suorine era la seguente: quando facevamo una buona azione, avevamo il diritto di disegnare e colorare un piccolo fiore. Poi lo ritagliavamo e lo mettevamo, in una bustina con il nostro nome, ai piedi della statua di una Madonnina di gesso colorato, che stava all’ingresso della scuola. Alla fine dell’anno, chi aveva più “fioretti,” riceveva come premio di bontà, un bel regalo. Mi si perdoni il tono alla De Amicis ma è tutto vero, lo giuro!
Da questa pratica di bontà ho appreso ben poco, per cui non ho mai fatto delle cose giuste perché mi aspettassi un premio. Se ho fatto cose buone è stato solo perché le reputavo tali,diversamente “l’uomo giusto attira la vendetta delle stolto” perché è gradito di fronte al suo Dio, come dicono le Scritture, volendo significare che delle tue pratiche di bene, ne deve essere testimone solo il Signore. Fare ciò che sembra giusto e non ostentare le proprie azioni, insomma fai la cosa giusta e non te la menare. Quindi il pensiero contorto mi fa indagare per scoprire che, anche in altri paesi,è in vigore il permesso di soggiorno “a punti” ma funziona con ben altri criteri, infatti i punti vengono attribuiti in merito a criteri che i richiedenti già posseggono e che lo stato ospitante gli riconosce. I criteri sono oggettivi e sono costituiti da: conoscenza delle lingue, titoli di studio e titoli qualificanti l’esercizio delle professioni, offerte di lavoro a cui si aspira, etc. Per cui la legge espressamente dichiara criteri definiti e li applica con criteri di equità!
Da noi invece, si preferisce fare il criterio a “fioretti” con il premio finale. Premio o minaccia di una punizione esemplare, nel caso che non ci si comporti da bravi bambini. Per cui l’immigrato non viene “riconosciuto” come persona come individuo o come cittadino, per il suo valore e la sua dignità, ma viene tollerato e viene accolto con “beneficio d’inventario”. Come dire: “Potresti essere un bene come potresti essere un male, devi dimostrare di essere buono, altrimenti sei fuori.”
Non mi sembra una mossa saggia! Credo che i provvedimenti dello stesso tipo, cioè volti a regolamentare l’immigrazione, in vigore in Canada, in Australia ed in Inghilterra siano molto più civili. Essi si limitano a valutare dei “curriculum vitae” con cui stimano se la persona è adeguata - per livello d’istruzione, conoscenza della lingua, capacità professionali, offerte di lavoro, etc. - cioè per una serie di positive aspettative d’integrazione, ad avere un permesso di soggiorno. Esse valutano se l’immigrato possa aspiare a soggiornare in condizioni dignitose nel proprio territorio. Mi sembra che questa politica parli di prevenzione della criminalità e di società civile, ed è un linguaggio che preferisco al criterio a “fioretti” con premio finale. Poi - per inciso - io le monachine le rimpiango sempre per il mitico risotto che facevano, mica per i “fioretti.”
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

martedì 7 ottobre 2008

Usare un Cavallo di Troia


Omero - nell’Odissea - fa raccontare allo stesso Ulisse l’escamotage del cavallo di legno, con cui fu vinta la città di Troia, dopo il lungo assedio durato 10 anni. Non potendo vincere la resistenza degli abitanti, i condottieri greci, ormai logorati dall’assedio che aveva provato duramente non solo gli assediati ma anche gli assedianti, seguirono i consigli di Ulisse, il quale ordinò di smontare l’accampamento e di nascondersi con le navi dietro un promontorio. Sulla riva fu abbandonato un cavallo di legno, nel cui corpo cavo furono nascosti i guerrieri più robusti. Ingannati da un greco che si era millantato come prigioniero fuggiasco, i troiani trascinarono il cavallo all’interno delle mura della città, credendolo il simulacro di una divinità che proteggeva i greci, e festeggiarono la fine della guerra. Nel corso della notte, i greci nascosti nel cavallo, uscirono e aprirono le porte della città facendo entrare le truppe greche e distruggendo Troia.
La storia, conosciuta da tutti, l’ho ripetuta perché ricalca pari pari il meccanismo con cui si pensa di sgominare il cancro. La bellissima notizia è pubblicata oggi sui maggiori quotidiani. La scoperta è frutto della ricerca del team del prof. Luigi Naldini del San Raffaele-Telethon, nella ricerca finanziata dall'Associazione italiana ricerca sul cancro (Airc) e dalla Unione Europea, si basa sulla terapia genica ed è stata pubblicata sulla versione online di Cancer Cell.
Ingannare il tumore, e far produrre dentro di lui il “veleno” che dovrebbe ucciderlo: è questo il vero e proprio “cavallo di Troia” la nuova terapia anti-cancro messa a punto dai ricercatori, per cui sono state messe a punto delle cellule addestrate ad uccidere i tumori. “L'interferone-alpha - aggiungono dal San Raffaele - è prodotto dalle cellule per difendere l'organismo dalle infezioni virali, e possiede anche la capacità di bloccare la moltiplicazione delle cellule tumorali: per questa ragione è già stato utilizzato sull'uomo per il trattamento del carcinoma del rene, del melanoma e di alcune forme di leucemia. La sua efficacia è però limitata, a causa delle difficoltà a farlo arrivare in dosi adeguate nella sede del tumore. Per rimediare a questo problema sono state spesso utilizzate alte dosi di interferone, che però causano effetti tossici tali da richiedere l'interruzione della terapia”. I ricercatori, ora sono riusciti a produrre l'interferone-alpha direttamente all'interno del tumore, grazie alle “cellule TEM”. Queste ultime sono cellule del sangue che sono richiamate dai tumori. Grazie alla terapia genica, nuove istruzioni genetiche per questa funzione sono state inserite all'interno di queste cellule staminali del sangue, in modo tale che, quando vengono richiamate dal tumore, esse lo raggiungono cariche di interferone-alpha con risultati devastanti per il tumore stesso. Con la nuova strategia a “cavallo di Troia”, potrebbero essere necessarie solo delle micro-dosi per bloccare lo sviluppo del tumore o limitare la diffusione delle metastasi. “Con questo sistema, infatti - spiegano i ricercatori - il farmaco viene rilasciato in maniera continua e solo nel tumore, senza gli effetti tossici frequentemente osservati con le modalità convenzionali di somministrazione”.
“Poiché il trapianto di cellule staminali del sangue è già adottato nel trattamento di alcuni pazienti oncologici – spiega il prof. Naldini - in futuro si potrebbe pensare di associare alla chemioterapia o altre terapie anti-tumorali convenzionali anche il trapianto di queste cellule modificate con la terapia genica. E' importante sottolineare comunque che, nonostante il nostro lavoro abbia fornito una incoraggiante prova di principio nelle cavie di laboratorio - conclude - per il passaggio alla terapia sull'uomo dovremo aspettare i risultati di ulteriori studi pre-clinici, che ci impegneranno per alcuni anni”.
Scrivo questo post e pubblicizzo questa notizia perché nella mia famiglia molte persone sono morte per malattie oncologiche. Mentre scrivo mio cugino Alex si sta sottoponendo al penultimo ciclo di chemioterapia per un tumore al rene. E’ stato fortunato perché il tumore è stato scoperto in tempo, da un medico “impiccione” e troppo curioso, che non si era convinto di una “inezia” che vedeva nelle sue analisi. Che siano benedetti tutti i medici impiccioni e curiosi! Il suo tumore era bello “insaccato” ed avvinghiato ad un rene che ha distrutto e che gli hanno asportato. Secondo gli oncologi del San Raffaele di Milano, che lo curano, è un tumore rarissimo e tipico dell’età infantile. Strano perchè lui ne ha 32 di anni! Forse lo aveva da anni. Mio cugino da poco tempo convive con la sua compagna, sono giovani e innamorati, e lui è contento del suo lavoro, per cui, fino alla notizia della sua malattia, viveva proprio un bel periodo. Il tumore ha scelto proprio adesso per farsi riconoscere! Non credo che un periodo diverso sarebbe stato migliore, perché per queste cose non ci sono momenti migliori, solo che il destino cinico e baro sceglie sempre i tuoi momenti di maggiore felicità per colpirti.
E’ stato fortunato perché ha salvato un rene, gli hanno detto i medici, per cui non deve fare la dialisi.
Mio fratello - che lo ha visto - mi ha detto che è molto magro e si è rasato i capelli. A vederlo non sembra che stia male, mi dice mio fratello, perché tutto magro e rasato, sembra un ragazzetto scemetto alla moda a cui piace rasarsi a zero, non sembra malato lui dice, anzi gli dona il nuovo look visto che è anche un bel ragazzo. Ma intanto sono già due volte che cerchiamo di organizzare una cena tra cugini e lui non gliela fa a venire. Dice che sta male, e noi tutti lo sappiamo bene che è vero. Tutti cercano di stargli vicino al meglio, sempre che ci sia un modo!
Ancora ai ricercatori italiani, va riconosciuto il merito di avere scoperto che le alterazioni del DNA non sono le sole responsabili dell’innesco del cancro. Lo hanno rilevato i ricercatori dell’Unità di Patologia Oncologica dell’Università di Chieti, diretti da Saverio Alberti, che hanno scoperto un ruolo anche del RNA nel poter scatenare i tumori. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica “Cancer Research” dimostra che i due geni “incriminati” sono la ciclina D1, uno dei regolatori chiave della replicazione cellulare, e Trop2, stimolatore di crescita cancerogena scoperto proprio dall’equipe chietina.
Leggo sui giornali che tantissimi di questi ricercatori rischiano, in questi giorni, di perdere il loro posto di lavoro. E’ l’ultimo effetto della campagna italiana contro gli sprechi: per il taglio sulle spese facciamo il taglio dei cervelli. Questo accade col famoso emendamento Brunetta (il 37 bis al ddl 1441 sugli enti di ricerca.) Brunetta stabilisce un principio: non si può esser precari più di tre anni. Dopo, occorre essere assunti. Benissimo, se non fosse che i concorsi non si sono banditi per anni e che gli enti di ricerca intanto, sono vissuti facendo assunzioni a tempo determinato, per cui più della metà dei ricercatori sono precari e campano con stipendi sui 1200-1600 euro. Fra un po’ non avranno nemmeno quelli. Per fare un esempio, questo sta per accadere all’Istituto di geofisica e vulcanologia, che vigila su terremoti e vulcani italiani. Questo istituto, sostiene Science Watch, che è il più prestigioso nel mondo, ma qui ci lavorano 556 assunti, più 357 ricercatori e tecnici a tempo determinato, per cui il 40% del personale rischia di andarsene a casa. Sono un esempio, ma negli altri enti di ricerca la situazione è drammaticamente simile. Veramente pensate che un paese possa definirsi civile quando economizza su cervelli di tale livello? Veramente può dirsi evoluto un paese che scaccia così, delle menti che ci invidiano in tutto il mondo?
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

domenica 5 ottobre 2008

La volgare cocorita


Le prime pagine dei giornali dedicano spazio alla notizia di un pappagallo che insulta. Il pennuto Charlie, un distinto pappagallo grigio africano, è stato acquistato dalla famiglia Lenihan di Bristol un anno fa, quando aveva solo 4 mesi, come regalo per i loro 3 figli: Lauren, Georgia ed Aimee. La famiglia, molto amante degli animali, possiede già quattro gatti, tre furetti, due conigli e un topolino, e l’acquisto di Charlie era sembrato un vero affare, perché l’animale, obbediente e disciplinato, aveva rapidamente imparato il nome del cane di famiglia e la colonna sonora di Scooby doo. Aveva imparato a parlare, salutando con bei “Ciao” “Come stai?” “Io mi chiamo Charlie” insomma usando il classico fraseggio dei pappagalli bene educati.
Ma all’improvviso qualcosa è cambiato perché il padre di famiglia Aaron, vedendo che l’intelligenza e la rapidità ad imparare di Charlie era veramente prodigiosa, gli ha insegnato qualche oscenità, tra cui la parolaccia preferita: “Glielo dicevo tutto il tempo, e fa ancora più ridere perché mentre la ripete imita la voce di un uomo arrabbiato, come se fossi io”.
Ora Charlie è divenuto sboccato e volgare come un teppista del Bronx, non fa che ripetere,dall’interno della gabbietta: “Sega!”,“Sega, sei solo una mezza sega!” cioè “Wanker”“Wanker, cha cha wank wank.”
Ma non finisce qui, perché la mutazione linguistica di Charlie ha investito tutti gli aspetti della sua personalità. Ha iniziato a rivolgersi con prepotenza e volgarità a tutti. Ordina che gli sia servito il suo piatto preferito, pollo al cherry all’indiana, chicken tikka masala curry, e se non viene accontentato insulta e sbatte la sua ciotola. Emette strani fischi di apprezzamento ogni volta che passa una donna, sta tutto il giorno a guardare i cartoni animati alla tv o a canticchiare le sue canzoni preferite, “solo pezzi gangsta rap” afferma un cronista del Daily Mirror.
Insomma ha perso veramente il controllo. Quando viene gente a cena, i commenti di Charlie sono salaci e pesanti e se gli rispondono, afferma la padrona desolata, le cose vanno anche peggio. Diventa ancora più pesante e sboccato e offende pesantemente gli ospiti. Charlie non perdona nessuno, per cui anche i vicini di casa hanno iniziato a lamentarsi, per la presenza del gangsta pennuto e sboccacciato.
Il cenerino è il miglior pappagallo per quanto riguarda la riproduzione della voce umana, di cui non si limitano a riprodurre solo le parole, perchè possono imitare qualsiasi suono della casa. Anche se la maggior parte dei cenerini non comincia a parlare fino ad un anno d’età, ci sono molti casi di soggetti più precoci. Alcuni cenerini viceversa non cominciano parlare fino a 2 anni. Hanno la capacità di avere un vocabolario di oltre 2000 parole. Sono comunque degli ottimi animali da compagnia e capiscono le nostre emozioni e si comportano di conseguenza. Non imitano, imparano da noi. Parlano rispondendo giustamente alle nostre domande, ad esempio, se hanno sete ci chiameranno e ci diranno acqua. Comunque il cenerino proprio per la sua intelligenza ha bisogno di un proprietario che abbia molto tempo da dedicargli e che non si stanchi della sua compagnia e della sua curiosità, solo se siete sicuri di potergli offrire questo allora siete pronti per convivere per tutta la vita con lui, ed il cenerino può tranquillamente vivere 50-70 anni.
Questo deve avere preoccupato non poco i signori Lenihan, che hanno deciso di mettere in vendita Charlie. Dicono che “è un pappagallo amorevole e un sacco di persone sono interessate a comprarlo, anche se non siano certi che possa più fare parte della nostra vita...” Il prezzo di vendita è di 625 sterline, più di ottocento euro. Gli interessati sembra che ci siamo, perché Charlie è già un mito, sia pure negativo, come il cuoco bestemmiante Gordon Ramsay e la diva tossica Amy Winehouse.
Tanto per chiarire, Gordon Ramsay conduce uno dei programmi più seguiti d’Australia, uno show di cucina, e la parola «fuck» è uscita 80 volte dalla bocca dello chef britannico, in 40 minuti di trasmissione. Da questo si può evincere che ormai siamo in sintonia con gli usi comuni della società, perché la rete che trasmette lo show ha raggiunto livelli record di ascolto con oltre 1,4 milioni di spettatori a puntata. Il diabolico, esplosivo ed irascibile, Gordon Ramsey, non solo è lo chef dal caratterino difficile più popolare della tv, ma il suo seguitissimo reality «Ramsay's Kitchen Nightmares» (Cucine da Incubo) viene esportato in decine di paesi, ed è sempre più richiesto. Della diva Amy Winehouse, seguirne le gesta diviene impossibile, a meno che non facciamo l’abbonamento ad un sito di gossip non stop 24 ore su 24.
Paragonato a loro, il povero Charlie appare tanto simpatico e discreto, che viene quasi voglia di acquistarselo.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami