domenica 29 novembre 2009

Pensare come un cabalista


Pensare come un cabalista, per noi cristiani non è difficile sapendo che la prima legge della Cabala, da cui discendono tutte le altre, è semplicemente il precetto di amare il prossimo nostro come noi stessi. Esiste poi il precetto che è collegato, e che prescrive di non fare agli altri ciò che non amiamo per noi stessi. Molti santi e saggi si sono spinti fino al punto di anteporre la felicità del loro prossimo alla propria felicità personale e al proprio egoismo, e questo è il livello più elevato di essere umano.

Ama il prossimo tuo come te stesso è la legge che comprende tutta la Cabala, infatti essa afferma che il mondo e gli uomini sono stati creati per evolvere dal materiale allo spirituale, e così raggiungere l’uguaglianza e l’unione con il Creatore. Il mondo è stato creato imperfetto perché l’uomo potesse emendarlo tramite il suo lavoro, e la salvezza umana è la ricompensa per i suoi sforzi.

Tutto l’universo è stato creato affinchè gli esseri ricessero una salvezza che fosse non solo il frutto della misericordia divina ma, che fosse il frutto ambito e il giusto salario che viene erogato all'onesto lavoratore. Perciò il nostro lavoro come esseri umani è necessario, affinchè l’uomo non si senta umiliato dallo sguardo pietoso e misericordioso del suo Dio, affinchè anche la piccola cosa, che è l’uomo, sia alla pari in dignità e in capacità al suo divino Creatore, per farci divenire quei Figli di cui il Padre Celeste è orgoglioso.

Quindi il nostro lavoro ci mette al riparo dalla vergogna di non avere meritato la salvezza, e ci permette di ricevere con pieno godimento il meritato frutto del nostro sforzo e del nostro impegno. E’ semplice capire che vivendo veramente il primo comandamento della Cabala, immediatamente risolviamo l’intero percorso che questa disciplina ci indica, poiché “Ama il prossimo tuo come te stesso” è l’ascesa più veloce e sicura fino al trono della Divinità.

Percorrendo la via cabalistica della conoscenza, apprendiamo che l’essenza della legge divina è l'Amore, cioè l’attenzione massima e la piena compassione reciproca tra tutti gli uomini. Secondo il saggio Elazar, figlio del Rabbi Shimon bar Yochai che è l’autore dello Zohar, Libro dello Splendore, non solo ogni individuo, ma ogni nazione, e tutta l’umanità intera sono legati dal vincolo di amore e di tutela reciproche.

La Cabala afferma che, nella generazione dei mondi, vi è la sola comparsa e scomparsa dei corpi, cioè vi sono dei vasi che si infrangono, e dei nuovi vasi che vengono plasmati dal nostro vasaio in loro sostituzione, mentre l’anima rimane, cambiando il suo contenitore, come il travaso di un liquido da un recipiente all'altro.

La circolazione delle anime fa si, che tutte le generazioni dalla prima all’ultima costituiscono una sola generazione, poiché la circolazione della anime è costante e limitata, ed è solo il salire e discendere dai vasi corporei che ci inganna sul numero delle generazioni stesse.

Non importa quante volte l’anima deve mutare il suo corpo materiale, perché la morte fisica non ha nessun effetto sul cammino dell’anima, come un taglio di capelli non può danneggiare un corpo fisico. Nella creazione Dio ha stabilito che il destino dell’uomo fosse quello di arrampicarsi su per i mondi, fino a raggiungere il livello divino e regnare con Lui. Ma due sono le strade dell'ascesa: tramite il massimo precetto dell’Amore e dalla conoscenza, oppure stimolati e sferzati dalla frusta del dolore e della sofferenza.

L’unica scelta per l’uomo, è quella della personale preferenza per uno dei due percorsi, per il resto, il traguardo è già fissato e l’avanzamento sarà inevitabile, anche malgrado la nostra volontà. Resta quindi il vantaggio della scelta volontaria e consapevole, cioè la conoscenza, perchè più gradevole e più veloce, in quanto ci fa godere della fusione con la Divinità.

L’uomo è libero perciò, solo di percorrere la sua strada tramite il piacere e la felicità, oppure tramite il dolore e la sofferenza, null’altro gli viene dato. Egli può dire "come" ma il dove e già scritto. E’ pure vero che fino ad oggi, l’uomo ha sempre voluto percorrere la strada della sofferenza, che è una strada di evoluzione molto faticosa, perchè funestata dall’egoismo, dall’invidia, dalla mancanza di compassione e dall'assenza dell’amore e del conforto reciproco.

Tutto questo ci spinge a riflettere sul nostro libero arbitrio, il solo diritto che noi abbiamo, e cioè di ritardare o accellerare il corso della nostra evoluzione, cioè solo di procrastinare il momento del nostro risveglio. Ma questa concezione diventa difficile da abbracciare perchè vorremo essere maggiormente liberi di fare le nostre scelte, ma cosa significa essere liberi?

Siamo esseri che concepiscono un concetto molto vago di libertà e di indipendenza, così come siamo vincolati dalle sensazioni e dagli schemi mentali umani: gli uomini vengono da millenni governati tirando le briglie del piacere o del dolore e, l’unico vantaggio esistenziale dell’uomo rispetto agli animali, è quello di imparare a tollerare il dolore se viene offerto un premio futuro. Gli animali soffrono senza trovare invece alcuna consolazione al loro dolore perchè per loro, nessuna speranza di un felice futuro lenisce mai il dolore del momento presente.

E sul tipo di piacere e di amore che noi umani ci aspettiamo di ricevere, le norme sociali e le influenze familiari orientano le nostre scelte e i nostri gusti, quindi pochi sanno essere autonomi e indipendenti. La Cabala dice che, negli individui vi è un desiderio costante di ricevere una certa quantità di Luce, e che tutte le caratteristiche peculiari di questo desiderio dipendono solo dall’intensità del desiderio stesso, cioè dalla forza di attrazione della Luce.

La forza di attrazione che conosciamo come ego, ci costringe a combattere per la nostra esistenza ma, se distruggiamo anche uno dei desideri o delle aspirazioni dell’ego stesso, noi ci neghiamo l’opportunità di usare tutto il nostro vaso potenziale, il cui appagamento è un diritto divino voluto per noi dal nostro Creatore. La prima legge indica che la via dell’Amore è la più sicura e adatta ai Figli di Dio, senza dubbio.

Secondo la Cabala perciò, l’unica vera scelta libera che ci viene data, è quella di poter scegliere l’ambiente, che è il terreno migliore su cui coltivare i nostri talenti, perciò liberamente scegliamo l’ambiente sociale in cui viviamo e che dovrebbe essere quello più adatto per il nostro benessere: questo è il nostro unico arbitrio.

Perciò siamo veramente liberi di scegliere la nostra società e il nostro gruppo di amici, e veramente liberi di cambiarli per cambiare il nostro punto di vista, se lo riteniamo opportuno per la nostra evoluzione. Unica condizione che la Cabala pone, l'elemento su cui fare attenzione, è quello di non volere mai mortificare e/o sacrificare nessuna delle nostre tendenze più profonde, faremmo torto a noi stessi.

Secondo la Cabala, la persona che si sbarazza di un suo impulso o di una sua aspirazione, crea un vuoto nel mondo, perché questi impulsi ed aspirazioni posso essere espressi nel creato solo da noi, perciò ogni individuo è un essere meraviglioso, unico ed irripetibile. A causa di tutte queste ragioni, e per una serie di ulteriori considerazioni che ultimamente emergono, trovo molto utile imparare a pensare come un Rabbi cabalista.

Buona erranza
Sharatan


venerdì 27 novembre 2009

Per ritrovare il paradiso perduto


Il misticismo ebraico viene conosciuto anche con il nome di Cabala, ed esso si occupa dello studio simbolico della Tanakh, cioè dei 24 libri che costituiscono la Bibbia ebraica e soprattutto del Pentateuco, ossia dei primi 5 libri della Bibbia ebraica che conosciamo come Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deutoronomio, e che vengono chiamati Torah. Questi testi sono la Torah scritta a cui si aggiunge tutta la tradizione di commenti che costituiscono la Torah orale, e che sono sempre in continua crescita ed elaborazione.

Infine vi è un terzo nucleo di testi ebraici, che sono quelli cabalistici, cioè lo Zohar (Il libro dello splendore), in cui si commentano i 5 libri di Mosè, il Sefer ha Habir (Il libro della chiara Luce) e il Sefer Yetzirà (Il libro della formazione), che sono dei testi simbolici dal linguaggio molto criptico e complesso.

Secondo i maestri cabalistici esistono 4 livelli di comprensione e di interpretazione della Torah. Il primo livello che è detto semplice, inizia con la lettera Peh, ed è quello dell’analisi letterale delle scritture, mentre nel secondo, che è detto omeletico ed inizia con la lettera Resh, si ha una diversa visione secondo la quale, le storie narrate dalla Bibbia sono potenti insegnamenti per colui che riesce a superare la comprensione letterale e arriva a coglierne il senso simbolico e la metafora nascosta.

Al terzo livello, quello omiletico, che inizia con la lettera Daleth, vi è l’implicazione scientifica degli studi cabalistici, cioè l’analisi degli eventi biblici per ritrovarne il riscontro effettivo e insieme, anche l’aspetto didattico della cabala, cioè il modo con cui si insegna a esporre e commentare i testi sacri. Vi è infine il quarto livello, che inizia con la lettera Samech, ed è il livello segreto in cui si arriva al misticismo e alla Cabala: qui esiste un codice segreto della Torah che va conosciuto e utilizzato con gli strumenti giusti.

Per comprendere questi concetti dobbiamo riflettere sul fatto che i testi della Torah sono scritti in un alfabeto costituito da un flusso di consonanti, senza l’uso delle vocali, e che esse si susseguono senza le pause degli spazi della scrittura: è un linguaggio estremamente criptico. Per questo la sua comprensione veniva riservata a coloro che avevano gli strumenti per comprenderla.

Secondo la concezione cabalistica, nella Bibbia vi sono due aspetti occulti: il primo collegato al tema della Creazione e di come Dio abbia creato il mondo dal nulla, ed il secondo aspetto occulto, che è costituito dall’uso di varie tecniche meditative note dai tempi più antichi, basate sul canto e sulla visualizzazione delle lettere dell’alfabeto ebraico: queste tecniche possono farci sperimentare diversi stati di coscienza.

Questa è la strada che la mistica ebraica indica per ritornare da dove siamo venuti, nel percorso a ritroso dalla realtà manifesta alla fusione con il Divino. La tradizione cabalistica ci spiega come sia avvenuta la discesa dall’unità alla divisione ma, soprattutto, indica come fare per operare la risalita dalla materialità che è stato di scissione fino alla completa reintegrazione nell’Unità divina.

Se esaminiamo l’acrostico che si viene a formare dall'accorpamento dei quattro livelli di comprensione dei testi sacri, avremo il termine Pardes, che è formato dall’unione di Phe-Resh-Dalet-Samech: così la somma dei livelli ci porta al Pardes, che in italiano significa Paradiso. Colui che riesce ad interpretare tutti e quattro i livelli della cabala può ritrovare il paradiso perduto.

Una delle tecniche usate per lavorare sui testi sacri è la tecnica della permutazione, che è un vero e proprio lavoro alchemico con cui si lavora una materia grezza per portarla allo stadio elevato di oro purissimo. Questo processo alchemico inizia con un livello di analisi che riesce a comprendere delle parole tutte le accezioni positive come pure quelle negative, per arrivare ad illuminarle di una nuova luce e così realizzare dei livelli sempre più raffinati e complessi di comprensione spirituale.

In questo metodo si scompongono le parole ebraiche nelle singole consonanti e si ricombinano nuovamente, fino a scorgerne il maggiore numero possibile di significati; ogni vocabolo ebraico può essere sottoposto a questo tipo di analisi, cioè alla scomposizione e alla ricombinazione, ai fini dell’elaborazione dei nuovi significati simbolici.

Esiste poi un ulteriore metodo di analisi e di ricombinazione basato sulla matematica, e che costituisce la ghematria, che è chiamata la “mistica dei numeri.” Nell’alfabeto ebraico ogni lettera è collegata ad un valore numerico perciò, ogni singola parola come pure ogni singola frase può essere calcolata facendo la somma del valore numerico delle lettere che la compongono. Così si avrà una determinata somma numerica che corrisponderà ad un numero, che dovrà essere confrontato con quello delle parole che posseggono la medesima somma numerica.

La ghematria fa compiere un giro circolare alle parole, perché si parte da un significato segreto nascosto nel valore matematico delle parole, per ritrovare delle nuove parole che hanno un collegamento con le prime e un nuovo significato segreto. Dal confronto viene rivelato un ulteriore significato nascosto, in cui ne vengono ampliati i legami dei vari termini, per assonanza o per opposizione di significato.

Per capirne il senso facciamo l’esempio del termine ebraico “ra” che significa “il male” il cui termine permutato diviene “er” che significa “sveglio” nell'azione del risvegliarsi. Questo significato equivalente ci indica che ogni volta che ci capita qualcosa di brutto e di negativo, in realtà questo accade per risvegliarci dal nostro torpore di vita. La perturbazione del male è uno sprone che ci spinge a ricercare qualcosa di superiore e di più puro delle soddisfazioni legate agli istinti inferiori e alle cose materiali.

Non è un caso che la parola amico in ebraico sia “rea” che è composto dalle stesse lettere che compongono la parola “ra” che è il male. Le due parole danno la somma 270 che equivale a “quetzef” e che significa rabbia o ira. Perciò sta a noi la libertà di scegliere se, una volta che il male ci colpisce, adottare la via della rabbia e quindi patirne tutte le conseguenze, oppure vedere il male come un amico rude ma premuroso, che ci ferma sull’orlo del baratro, urlando: “Attenti! Svegliatevi!”

Buona erranza
Sharatan


martedì 24 novembre 2009

Alla ricerca del vasaio originario


Tutti gli esseri umani, aldilà delle differenze di mentalità e di cultura, hanno pressappoco le stesse percezioni del mondo esterno. Questo spiega la comparsa di personalità eccelse per il loro tempo e per i loro contesti, anche a latitudini diverse, ma con caratteristiche personali molto affini e che definiamo personalità mistiche. Queste personalità sono più facilmente riscontrabili nel monoteismo perché in esso avviene la cristallizzazione dell’impulso religioso con un processo spirituale intensissimo.

Un animo mistico non avverte all’improvviso uno stato di grazia divina, ma è mosso inizialmente da una ricerca esitante e inquieta. L’animo mistico è turbato, è preso dalla somma grandezza dell’universo, considera le cose con ansia, il suo occhio scruta ed interroga, e vuole penetrare più profondamente nelle cose che lo circondano: il mistico vuole ad ogni costo conoscere l’essenza degli esseri. Il mistico si interroga sul perché sono nate le cose, sul perché i suoi occhi vogliono abbracciare delle parti sempre più grandi del mondo, sul perché in lui esiste una voce così profonda e che lo spinge a farsi tutte quelle domande.

Così lo spirito del mistico è turbato ed inizia a cercare a tentoni una risposta ai suoi quesiti sulla creazione, e così inizia a ricercare il vasaio originario, l’Unico ed Inimitabile, l’Ineffabile Divinità che ha creato l’universo. La visione del mistico è conseguita in seguito ad un processo faticoso di concentrazione del suo spirito, ma poi essa è come un lampo improvviso, un fulmine nella notte, che illumina e mostra l’essenza del Tutto, del Divino Artefice dell’universo.

Questo contatto con Dio non sarà diretto, perché a Lui non possiamo accedere completamente, bensì mediante la sua Creazione, quindi ammirando l’ordine dell’universo nelle più atte vette della metafisica. Questo contatto personale è di estrema rarità ed è riservato a pochi esseri viventi, ma è in grado di infondere nel mistico una condotta virtuosa e coraggiosa che adotterà per tutta la sua vita: perché lui ormai conosce Colui che la realtà ci nasconde e che guida il nostro destino.

Il mistico è quindi un metafisico che deve fare “tabula rasa” di tutta la sua natura materiale e di una mentalità che prevede misura, calcolo o ragione: egli deve percorrere una via assolutamente inversa a quella razionale che sfrutta la logica pura. Deve abbandonare provvisoriamente quei principi che fondano la nostra vita sociale, perciò deve fare uno sforzo per evadere dall’io razionale del sentire comune, e ascoltare solo il mormorio profondo del suo io interiore, così da vedere solo con gli occhi dell’anima.

Il mistico non può vivere nel mondo, pur aspirando al sublime, se non con la pratica della meditazione e della concentrazione mentale e cercando di tenersi astratto dalla materialità. Tuttavia i mistici che vivono la “trance” come l’illuminazione repentina di cui si diceva sopra, riescono a vivere anche nella materialità, e la loro anima sarà legata per sempre alla sua guida infallibile e necessaria all’intelletto, essendo quest’ultimo la base del nostro vivere comune. Il mistico impara a vivere nel mondo pur non essendo del mondo.

Il misticismo non può essere trasmesso come una dottrina o come un comandamento: è uno stato d’animo individuale, con uno specialissimo modo di sentire, che sorge da una profonda inquietudine e da una concentrazione spirituale molto intensa della vita interiore. Il misticismo è un dono creatore di grande potenza che scaturisce come una sorgente da un’anima delicata, che s’immerge in un’atmosfera di alta e pura spiritualità. Vi è quindi, una matrice spirituale dell’umanità che si manifesta nelle grandi religioni, e che produce dei sognatori solitari, troppo sensibili alla miseria umana, che vengono afferrati da un’improvvisa e profonda “trance estatica” sotto l’ispirazione della Divinità.

Le visioni che vengono ricevute parlano di tutta la natura, nella sua grandezza e nella sua piccolezza infinite, in tutti i misteri dei suoi meccanismi e disvelano la trama del disegno divino, che tutto regola per il massimo bene dell’universo. Sono visioni rarissime che infondono nel mistico la comprensione della vera essenza dell’uomo, con tutte le doti e tutti i difetti. Sono comprensioni che risvegliano nel mistico tutta la sua tenerezza, la sua pietà e la sua profonda devozione, tutto il suo amore senza limiti per gli infelici e per i suoi simili, sia pure conoscendone debolezze, malvagità ed errori.

I mistici sono ostili ai privilegi, all’esclusivismo, essi lottano contro ogni prepotenza, contro le menzogne, contro ogni tirannia, e contro tutte le malvagità che saranno eliminate prima di avere il trionfo del Tempo dello Spirito: ogni mistico è un paladino della spiritualità assoluta. Come non vedere in loro, lo slancio generoso dello Spirito, che si protende verso la comunità umana per illuminarla? Come non amare questi folli innamorati di Dio e di tutti gli uomini, sapendo quale potente Soffio Divino li anima?

Buona erranza
Sharatan


domenica 22 novembre 2009

Fare un passo senza piedi


Questo è l’amore:
volare verso un cielo segreto,
scostare cento veli ogni momento.

All’inizio rinunciare alla vita.

Alla fine fare un passo senza i piedi,
considerare invisibile questo mondo,
non curarsi di ciò che appare all’io.

Cuore, dissi, quale dono è stato
entrare in questa cerchia degli Amanti,
vedere oltre il vedere stesso,
arrivare a sentire dentro il petto.

Anima mia, da dove sorge questo respiro?
Come mai questo cuore batte?

Uccello dell’anima, parla con tue parole
e io capirò.

Il cuore rispose: Io ero nella fornace
il giorno in cui questa casa d’acqua e d’argilla
venne cotta.

Fuggivo da quella casa creata
già nel corso della sua creazione.

Quando più non resistetti,
venni tirato in basso,
e la mia forma fu modellata
da un pugno di terra.


Maulānā Gialāl al-Dīn Rūmī


venerdì 20 novembre 2009

Il ritorno della Moretta tabaccata


In questi giorni due notizie mi hanno fatto riflettere. La prima riguarda gli abusi che stiamo facendo alla nostra terra malata, che ci risponde ricordandoci che ciò che viene seminato è il futuro frutto del nostro raccolto, per cui l’enorme massa di veleni che stiamo scaricando rischia oggi di far scomparire per sempre alcune preziose specie animali. Il dramma è che l’essere umano, mancando di ogni comprensione delle dinamiche della natura, dei ritmi naturali delle cose e delle forzature a cui l’ambiente può resistere è riuscito ad inquinare e rendere impossibile la vita per specie animali che non sopportano più l’inquinamento industriale e chimico con cui noi avveleniamo i nostri organismi.

L’allarme arriva da una zona collocata tra la Cordigliera delle Ande e il Cile, una zona caratterizzata da uno sfrenato sfruttamento di quelle terre, con la presenza di miniere a cielo aperto da cui si estraggono a ciclo continuo enormi quantità di oro argento e rame. Per avere i metalli preziose, in queste zone si rilasciano delle impressionanti quantità di mercurio e di cianuro, dei velenosi metalli che vengono utilizzati per l’estrazione di preziosi metalli.

In queste zone sono spaventosamente aumentate le malattie collegate all’inquinamento industriale e i decessi degli abitanti, e sono in crescente aumento le malformazioni fetali e neonatali dei figli che nascono da quelle popolazioni. Anche la contaminazione antropologica e culturale ha raggiunto un livello di allarme, perché la stessa produzione agricola della regione è ormai fortemente compromessa dall’uso di soia industriale che ha soppiantato completamente il ciclo agricolo che era consuetudinario di quelle culture.

La crescente desertificazione di qulle zone è causata dal disboscamento forestale che viene praticato per conquistare sempre crescenti zone per lo sfruttamento agricolo intensivo basato sulla distruzione delle biodiversità. Ad essa si unisce una cronica mancanza di acqua sufficiente per tutti, accellerata dal crescente inaridimento dei terreni, non più protetti dalla presenza di alberi ombrosi. Leggo che in queste zone sono scomparsi i rospi, le serpi e le api, insieme ad altri animali apparentemente minuscoli e privi forse di attrattive e utilità. Utilità ne avranno mai le api se sono deputate non solo a produrre dell’ottimo miele, ma anche in un dimenticato ruolo di animali impollinatori?

Per coloro che forse dimenticano le favolette, ricordiamo invece le apine dell’infanzia con le loro zampette pelose che, mentre rubano il nettare dai fiori in realtà stanno già iniziato a ricompensare quel loro furto innocente e si macchiano del polline che sarà depositato poi su altre piante. Dimentichiamo forse che l’impollinazione è la forma scelta dalla natura per continuare il suo corso con lo sviluppo di nuove forme di vita vegetale?

Anche se lo dimentichiamo, delle intere catene biologiche potrebbero essere sovvertite quando la specie che viene minacciata è collocata in un punto strategico della catena: le api lo sono, come lo sono i ripugnanti rospi e come lo sono le viscide serpi, poiché sono degli animali che vanno a nutrirsi di parassiti, riuscendo così a limitarne il numero e l’incontrollata proliferazione. Ma questo, anche se a noi questi esseri appaiono piccoli e insignificanti, non viene dimenticato dalla madre Terra che sta lentamente chiedendoci il pegno per la colpa delle nostre volontarie amnesie.

Una seconda notizia mi ha invece consolato, perché dal lago Trasimeno viene la segnalazione di un eccezionale avvistamento unico a livello nazionale, di una rara anatra tuffatrice, la Moretta tabaccata. Dal sito della Provincia di Perugia leggo che alcune centinaia di esemplari uniti in branco, sono stati ripetutamente avvistati sul lago Trasimeno da Francesco Velatta, lo zoologo dell’Ufficio Parchi della Provincia di Perugia, e da Mario Muzzatti, l’ornitologo dell’Oasi naturalistica “La Valle” che collabora con la Provincia.

Io non lo sapevo, ma la Moretta tabaccata a livello europeo è classificata come SPEC 1, cioè come una specie che è minacciata in tutto il suo areale mondiale, e la cui sopravvivenza dipenderà dal successo delle misure che prenderemo per la sua conservazione. Se dovesse essere conosciuta, si dovrebbe sapere che la Moretta tabaccata è una specie strettamente legata all'ambiente acquatico, d'indole piuttosto solitaria, e con una scarsa tendenza al gregarismo. Si accorpa ai suoi simili solo per necessità, e solo nella brutta stagione, quando si concentra in gruppi anche numerosi, nelle località che considera più idonee ad accoglierla: preferisce acque poco profonde ricche di vegetazione emergente e costiera.

La principale causa del decremento della specie in Europa e nel Nord Africa è rappresentato dalla scomparsa delle aree umide adatte ad accoglierla, perchè il drenaggio e la bonifica di tali territori vengono considerati i veri responsabili della scomparsa di numerose popolazioni di questa specie avicola. Dalle rilevazioni degli studiosi perugini, apprendo che la Moretta tabaccata è presente con regolarità nella zona del lago Trasimeno dal 1993, con osservazioni più frequenti in settembre-ottobre. A partire dal 2000, è stata segnalata con continuità nella zona della Valle anche durante la stagione riproduttiva con non meno di 2-3 coppie nidificanti accertate.

Il contingente che si fermava in zona per svernare, e che era inizialmente limitato a pochi individui, nel tempo ha conosciuto una decisa crescita a cominciare dal 2002, fino a toccare quasi 300 individui nel gennaio 2008. Mai come nei primi giorni di questo novembre, erano state però registrate delle concentrazioni così importanti, assolutamente uniche a livello nazionale. Secondo le informazioni diffuse dalla Provincia perugina per avere un’idea dell’eccezionalità dell’evento, si consideri che, secondo i criteri della Convenzione di Ramsar, la soglia a partire dalla quale una zona umida viene considerata di importanza internazionale per la conservazione della specie è di appena 100 individui, cioè 1/6 di quanti se ne contano in questo periodo sul Trasimeno, che assommano a 620 individui e che sono un numero assolutamente entusiasmante!

Nel prossimo mese di gennaio 2010 saranno svolti, come di consueto, i censimenti degli uccelli acquatici svernanti, nell’ambito dell’iniziativa International Waterbird Census, e ciò permetterà di capire se il grande branco avvistato è solo di passaggio o rimarrà al Trasimeno anche per lo svernamento. Il ritorno della Moretta è ancor più eccezionale perché l'Italia non è un importante sito di svernamento, infatti la Moretta tabaccata si riproduce da noi in numero molto esiguo, con un totale di non più di 25-50 coppie, sparse in non più di 10 località.

Anche nel nostro paese, negli ultimi 50 anni, la specie ha abbandonato molti dei siti storici di riproduzione, che molto raramente sono stati in seguito ricolonizzati. I siti dove si riproduce con più regolarità sono lungo la costa adriatica dell’Emilia-Romagna e alle Foci del Simeto in Sicilia: per ricomparire la Moretta tabaccata, non solo sceglie un luogo insolito di nidificazione, ma lo fa anche con un numero così elevato di individui, da farci sperare per la sua sopravvivenza.
Buona erranza
Sharatan

martedì 17 novembre 2009

L’alchimia divina dell'amore


Secondo Osho l’amore è essenziale per la crescita spirituale perché l’amore e la consapevolezza sono le due polarità estreme più elevate, quelle in cui si attua la trascendenza con delle modalità assolutamente opposte. Nell’amore si richiede la presenza di un altro, di cui impariamo a fare parte e che ci diventa necessario perciò diventiamo due, mentre nella consapevolezza vi è un essere in assoluta solitudine, un essere che è attento e presente a se stesso, in assoluta e piena unicità.

Nella consapevolezza si vive riposando nel nostro interno, mentre nell’amore ci si slancia verso l’esterno, e si cerca di raggiungere all'esterno, l’altro. Nell’amore la luce irrompe da noi per colpire l’oggetto amato, mentre nella consapevolezza prendiamo la nostra luce e la riportiamo all’interno. Per questo il ritornare a casa di Patanjali e il ritorno del figliol prodigo alla casa del Padre predicato da Gesù, esprimono un medesimo concetto.

Ma questo ritorno non potrà mai avvenire, se prima non abbiamo conosciuto cosa significhi essere andati all’esterno, perciò l’amore diviene essenziale. L’amore è perciò un obbligo per la nostra crescita spirituale, perché non potremo mai ritrovarci totalmente, se prima non ci siamo persi in modo totale: solo la piena conoscenza di un assoluto amore consentirà di poter assaporare l'aroma divino della assoluta consapevolezza.

Se dobbiamo guardarci allo specchio per conoscere il nostro volto fisico, così ci guardiamo nello specchio dell’amore per conoscere il nostro volto spirituale. L’amore è lo specchio in cui si riflette il nostro vero spirito, è la forza vivificante che illumina gli occhi di modo irresistibile e che riempie il corpo di potente fascino magnetico. Ma la gioia, il calore e la luce che noi vediamo quando proviamo l’amore del mondo, sarà solo l’ombra del futuro amore per la divinità: perciò solo colui che ha veramente amato potrà avere un animo profondamente devoto e religioso.

Per imparare ad amare è necessario molto tempo, ma solo quando si è veramente amato si potrà divenire reali, perchè l’amore ci ha donato la sostanza, ci ha fatto assaporare la gioia della piena integrità, facendoci sentire perfettamente centrati e appagati di noi stessi. Ma l’amore sarà solo l'inizio per la seconda acquisizione che è la piena consapevolezza: l’amore è l’inizio e la consapevolezza è la fine, perchè devono creare uno spazio in cui incontriamo Dio.

E’ tra queste due sponde che conosciamo la manifestazione dell’essere, perciò è necessario vivere l’amore anche con tutte le sue pene e tutte le sue lacerazioni: coloro che fuggono dal mondo per paura di soffrire per amore, non potrà mai trovare la piena consapevolezza, perché non avrà guadagnato sul campo il privilegio di amare.

Se non vogliamo rischiare, se non abbiamo il coraggio di essere vivi, di essere responsabili, di essere impegnati, se non vogliamo correre il rischio di coinvolgerci, se siamo codardi, allora siamo condannati a non conoscere mai il vero amore. Per imparare ad amare è necessario tempo e pazienza, ma soprattutto coraggio: per questo imparare a rischiare nel nome dell’amore richiede l’impegno di una intera vita, ma farsi toccare dall’amore è come farsi accarezzare dalla mano di Dio. Chi conosce l’Amore, dicono i sufi, conosce l’Amato.

E’ l’amore che trasforma il nostro essere interiore e, cambiando il nostro profondo essere interno, è tutta la nostra esistenza che ne viene trasformata perchè l’amore sazia il nostro essere e rende anche il mondo un luogo divino. Dentro l’anima dell’innamorato vi è solo musica, perciò Kabir dice che l’amore è “armonia divina” in cui vediamo il vero volto di Dio.

Nell'amore vero non vi sono i sentimenti che conosciamo comunemente, il vero amore non è pretendere ma condividere, è un sentimento che non chiede ma offre. L'amore comune nutre il nostro ego perchè si nutre di apparenze, mentre l’amore autentico rinforza l'anima perchè vivifica le reciproche essenze. Il vero amore insegna la gioia di donare ma senza pretendere: l’amore vero gode nell'essere apprezzato, ma non pretende alcun tipo di ricompensa come ritorno.

Serviamo l’amore attraverso una persona amata, ma senza volerla possedere perché così soffocheremmo anche il suo amore: è così che si raggiungono le vette più sublimi dell’amore. Perciò il sentimento d’amore è la vera energia della vita, perciò scrive Kabir: “Il chiavistello dell’errore chiude la porta: aprila con la chiave dell’amore. Così aprendo la porta desterai l’Amato. Kabir dice: O fratello, non lasciar sfuggire tanta buona fortuna.”

Buona erranza
Sharatan


domenica 15 novembre 2009

Suonando una melodia divina


Gli uomini vengono sempre feriti dalle cose che trovano inspiegabili della loro vita; tutti siamo feriti perciò dobbiamo lavorare per riparare le ferite più profonde. Le persone ferite e spaventate non riescono a connettersi con la fonte divina perché non riescono a stare in pace nel loro interno, soprattutto quando sono in meditazione.

Ma se non riusciamo a connetterci con il nostro sé più profondo, non possiamo divenire delle persone autentiche in grado di offrire quei doni unici che giacciono in fondo ad ognuno di noi: non li godiamo e non li possiamo offrire neppure agli altri. E’ per questo che il processo di guarigione della nostra coscienza è sempre collegato e intrecciato con l’acquisizione di una maggiore consapevolezza.

Ma ancor più avviene, che in questo processo di guarigione attiriamo a noi tutti coloro che sono affini al nostro livello di evoluzione e di consapevolezza, anche se tali compagnie possono apparirci stravaganti o inconsuete per quello che reputiamo sia l’essenza del nostro essere. Negli insegnamenti di saggezza vediamo chiaramente il perché di questo processo interno, infatti Yogananda osserva: “le persone di natura devozionale che appartengono a differenti religioni si assomigliano tra loro più di quanto somiglino ai membri della stessa religione che seguono sentieri diversi.”

Nelle varie religioni vi è perciò un’assonanza di sentimento che Yogananda chiama “romanticismo” della religione e rappresenta quello spirito impetuoso con cui un devoto cerca di vivere le verità divine, anche senza conoscere alcun tipo di verità. In questo l’induismo è una religione somma poiché riesce a proclamare l’assoluta correttezza di ogni modo di vivere universale che aspira a raggiungere le altezze dello Spirito, aldilà di ogni aspetto formale.

Gesù in Matteo 13,31-35 dice: “Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami”. Un’altra parabola disse loro: “Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti.”

Con questa parabola si indica il lavoro necessario per innalzare il proprio livello di coscienza, nel deserto del nostro silenzio interiore, ma si indica anche la necessità di un guru (il lievito, il granello di senape) che riesca a far vibrare l’intelletto tramite la parola scritta o orale, e che sappia aprire il cuore alla devozione divina. La sintonia di un guru che sia allineato con Dio e che, perciò, riesca a magnetizzare i suoi discepoli, diviene la necessità di un punto di connessione e scambio tra la divinità e l’adepto, che poi costituisce l’atto di ogni vera iniziazione.

Ma questo spiega anche perché ognuno dei discepoli sia consapevole di avere avuto una iniziazione privilegiata. Ogni discepolo sente, sa e testimonia la verità che percepisce, egli rinasce con il suo risveglio al nuovo uomo, all’uomo migliore che noi tutti siamo, perché il ruolo del guru non è quello di modellare i suoi discepoli a sua immagine, ma quello di elevare la loro coscienza condividendo il suo magnetismo personale. Questo è il potere del vero Satguru o Salvatore di cui, scrive Yogananda, non si può fare a meno perché ci apre al dialogo e allo scambio con le forze superiori, che coltiviamo poi con le preghiere e con le pratiche yogiche.

E’ evidente che il discepolo deve essere collaborativo e permettere l’elevazione della propria consapevolezza, poiché essa lo condurrà all’ampliamento di coscienza che eleverà l’uomo alla comprensione delle verità divine: l’iniziazione può assomigliare ad un addestramento dell’orecchio per affinarlo all’ascolto delle musiche divine, sublimi come inni cosmici dei Veda.

In questi inni l’uomo viene affermato come tempo, ma non come tempo vuoto, ma come tempo che segue le stagioni e perciò nasce, cresce e muore poiché è in connessione cosmica con l’ordine delle cose da cui dipendono gli stessi dei, l’uomo e gli animali. Se vogliamo trascendere il tempo, afferma il pensiero vedantino, lo possiamo fare solo nel tempo e attraverso di esso, perciò i maestri vedantini giungono alla conclusione che l’Uomo può cogliere la realtà solo trascendendo la ragione raziocinante.

Questo approccio alla realtà ci è concesso solo se abbandoniamo la preferenza di una maggiore importanza dell’impulso interiore piuttosto che per l’impulso esteriore, ma invece ci allarghiamo ad una consapevolezza atipica che sappia integrare sia le unità che le differenze delle cose, trascendendo le definizioni. Non stupisce se le sapienze induiste rifuggano dalla creazione di concezioni filosofiche, poiché ben conoscono le insidie delle definizioni e delle concezioni, le quali tendono a divenire loro stesse padrone piuttosto che strumenti della conoscenza.

Chiaro che gli occidentali si troverebbero maggiormente a loro agio se potessero avere una concezione pratica chiara e ben definita, mentre invece gli induisti riescono a scorgere nella meditazione e nella preghiera una giusta e adeguata pratica di evoluzione spirituale: è un atteggiamento dialogico quello a cui ci spinge la dottrina vedanta, perché la relazione tra Dio e Uomo è un dialogo con le forze superiori.

In forza e in virtù della reciproca essenza, sebbene goduta con livelli di incommensurabile gradazione, l’uomo che attiva questo dialogo, riattiva il filo che lo unisce alla divinità, si riconnette al cosmo intero e inizia a vibrare su livelli di ottave crescenti, come in una scala musicale ascendente: lui stesso diventa uno strumento celestiale. Da questo dialogo superiore non ci si può astenere, perciò non si deve trascurare mai la pratica della meditazione e dalla preghiera, proprio per tenersi connessi con queste forze.

Tali forse energetiche universali sono energie risananti che hanno un divino potere di trasmutazione. A queste energie si attinge e di loro si fruisce solo tramite l’evoluzione e l’elevazione della nostra natura interna, del midollo dell’uomo che ha essenza divina.

Nell’induismo non vi è divisione assoluta tra materiale e spirituale, così che “io” e “tu” non esiste come scissione, ma piuttosto come una interdipendenza che salvaguardia la reciproca indipendenza: in questo consiste il dialogo con la divinità che i Veda insegnano. Questo è il tipo di approccio migliore per comprendere il potere della preghiera che inviamo alla Divinità.

Questo dialogo dovrebbe fare parte della vita intera e non dovrebbe essere trascurato pensando che Dio conosca già ogni nostra necessità, perché nell’induismo è necessario chiedere sempre e pregare, e chiedere anche con audacia, e così coltivare ininterrottamente il nostro dialogo con Dio.

Ma ci dovrebbe colpire un’implicazione pratica, tramite la quale possiamo giungere ad una valutazione estremamente concreta di questa, che appare come una prescrizione assai sentimentale e di stampo spiritualistico ed irrazionale, trasformandola in una concezione assai concreta. Se valutiamo l’implicazione concreta, la vediamo infatti nel risultato concreto realizzabile tramite delle preghiere e degli atti meditativi, poiché essi sono in grado di attivare le forme energetiche potenti e universali che scorrono lungo le vene dell’Uomo Celeste come riflesso della manifestazione divina.

In concreto diciamo che, nell’attivazione di forze che orientiamo e che direzioniamo con potente determinazione e deciso intento, possiamo riuscire a plasmare la materia. Si dice che ciò avvenga perché impariamo a manifestare in potenza un oggetto, ma poi lo sappiamo indirizzare verso la dimensione reale finchè avvenga la sua concreta realizzazione materiale, cioè in atto. Così l’uomo riesce a risanare il karma, può riparare torti, lenisce le sue ferite, elimina le sue carenze e accresce i meriti, così impara a suonare la melodia divina.

Buona erranza
Sharatan

sabato 7 novembre 2009

La caccia all’anima


Secondo le concezioni sciamaniche, l’universo è permeato dallo Spirito, ogni forma vitale possiede un sua anima e l’equilibrio universale generale è garantito dall’armonia delle varie parti tra di loro: ogni forma di squilibrio causa delle disarmonie o/e delle malattie che possono essere fisiche o spirituali, come risultato dello squilibrio sopravvenuto.

Gli sciamani credono che ogni volta che subiamo un trauma, sia fisico che psicologico, un pezzetto della nostra anima si stacca portandosi via il dolore che vi è associato. Essa fugge da noi per aiutarci a sopravvivere meglio, ma la nostra guarigione non avverrà se non recuperiamo il pezzetto smarrito e non lo riportiamo nel luogo da cui era stato strappato.

Delle forme di scambio energetiche avvengono in tutte le relazioni umane, per cui è abbastanza naturale che vi siano momenti in cui l’energia si prende e si rilascia nello scambio con l’altro, perchè è così che si instaura una relazione con uno scambio reciproco, fluido e naturale. Molto spesso questo non avviene, soprattutto nel caso in cui lo scambio energetico avviene ad un voltaggio troppo intenso o in misura sbilanciata, con uno dei partner che agisce come un vampiro energetico dell’altro.

Questo tipo di relazione alla lunga conduce ad una forma di prelievo energetico che può divenire un vero e proprio furto dell’anima, e ciò si avverte quando la vittima sente un progressivo svuotamento delle riserve energetiche, soprattutto quando l’incontro con il vampiro energetico ci lascia spossati e pieni di sentimenti di incompletezza e di insoddisfazione.

Il caso più diffuso è quello delle relazioni di coppia molto intense e prolungate, che sono delle modalità simbiotiche di relazione in cui, entrambi, vivono uno in funzione dell’altro, e in cui, alla morte di uno dei due, l’altro prova la sensazione che anche una parte di sé sia scesa nella tomba con il defunto. Di fatto non è raro che anche il superstite vada a morire subito dopo: la perdita energetica causata dalla scissione della simbiosi è vissuta come insanabile, e la mancanza di voglia di vivere ha completato il cerchio.

Il concetto di furto dell’anima riguarda i casi in cui arrechiamo consapevolmente dei danni agli altri, avviene quando restiamo invischiati in relazioni torbide, quando siamo aggrediti e subiamo degli abusi o delle violenze, quando restiamo avvinti in una relazione che non vogliamo ma da cui non riusciamo a liberarci. Non è necessario che l’azione subita sia troppo violenta o eccessivamente traumatica, ma è sufficiente che sia vissuta o percepita come tale da uno dei partner.

Esistono dei sintomi tipici che segnalano una perdita dell’anima e sono costituiti da momenti di depressione improvvisa, violenta ed ingiustificata, oppure dalla perdita della capacità di provare gioia e di poter vivere la vita con entusiasmo. Con la perdita di una parte della nostra anima ci sentiamo vuoti ed incompleti, sentiamo che ci manca qualcosa di essenziale e che siamo del tutto estraniati dalla connessione con la vita.

Saremmo in torto se pensassimo che i furti d’anima siano attuati da persone che ci sono nemiche, perché i furti più dolorosi ci vengono inflitti da coloro che più amiamo, come pure noi stessi li facciamo a coloro che amiamo più teneramente. Non dobbiamo neppure essere troppo severi nel condannare coloro che li compiono o anche noi stessi perché i furti sono il prodotto della nostra grande ignoranza delle regole dell'universo.

Nessuno dovrebbe mai essere condannato per il male che ha compiuto in modo totalmente inconsapevole, ma una pedaggio si paga sempre quando si sbaglia, perciò conoscere come funziona il gioco non potrà che avvantaggiarci. Sappiamo che la grande legge dell’equilibrio universale governa le cose in modo tale, che le energie altrui debbano essere sempre rispettate, perciò non devono mai essere rubate o manipolate con intenzionalità, questo certamente può avvenire ma solo finchè non conosciamo i rischi della manipolazione energetica compiuta in modo volontario e intenzionale: conoscerle ci renderà più responsabili delle nostre azioni.

Dobbiamo sapere che il ripristino dell’equilibrio è garantito dall’azione (karma significa azione) di colpi di ritorno che riceviamo, come conseguenza di ognuna delle nostre azioni che compiamo per cui, la potenza di tale colpo di ritorno è pari alla potenza che abbiamo usato per l’attacco, ma viene moltiplicata dalla forza dell’intento con cui abbiamo sferrato l’attacco stesso. Non sono sicura che esista un tipo di gioco talmente intrigante da meritare un ritorno tanto pericoloso.

Alla morte di una persona cara, o nella fine di un grande amore avviene lo stesso fenomeno di frantumazione dell’anima, perché delle parti di essa restano aggrappate a colui che si è allontanato: in ogni caso la cosa avviene in tutte quelle circostanze in cui siamo aperti e disponibili, quindi consciamente o inconsciamente, ci rendiamo disponibili alla cessione del nostro potere personale.

E’ evidente che tutte le forme di discipline fisiche di riequilibrio energetico ci aiutano a rimanere centrati sul cuore e riducono il potere della mente, perciò ci rendono meno vulnerabili ai furti energetici. E’ la mente che è manipolabile e non il cuore, e per il cuore è impossibile avere la sensazione di essere defraudato.

Pensando con il cuore siamo innocenti e puri e non conosciamo il tornaconto personale, perciò non può esistere la sensazione di perdita laddove non esiste il concetto di guadagno personale. Quale amore si può rubare se il cuore lo offre spontaneamente? E’ solo l'orgoglio della mente che prova il rancore della delusione.

Tutti gli attaccamenti morbosi vanno perciò evitati in ogni maniera e perciò dobbiamo imparare delle strategie per lasciare andare la presa e permettere che ognuno riprenda il percorso per cui è giunto su questa terra. Senza immaginare chissà che pratiche occulte o misteriose, molte discipline terapeutiche come la terapia junghiana o gestaltista, possono aiutarci a ristabilire gli equilibri scossi dall’ostinazione del nostro attaccamento insano, e possono insegnarci a lasciare andare.

Se abbiamo la sensazione di avere trattenuto troppo a lungo in noi una parte dell’anima di un altro, anche sotto forma di un ossessivo ricordo o di un persistente rancore, che è l’altra faccia dell’amore infelice, dobbiamo usare tutto il nostro coraggio per attuare un “rito di restituzione” che ristabilisca l’ordine naturale delle cose. Sarà sufficiente semplicemente restituire gli oggetti ricevuti in dono a chi ce le ha donati, oppure fare una meditazione nel corso della quale visualizziamo e prendiamo congedo dall’altro inviandogli il nostro amore e la parte d'anima che gli abbiamo trafugato.

Ma possiamo anche attuare delle ritualità personali, perché essenziale non è la forma ma il cuore, e soprattutto l’intento con cui viene attuata ogni azione della nostra vita. Allora possiamo semplicemente accendere una candela ed un bastoncino d’incenso e inventarci una forma personale di commiato, ma comunque sciogliere ogni forma di vincolo e di legame troppo invasivo. Le relazioni equilibrate sono quelle intrattenute tra individui dotati di anime libere e consapevoli, non quelle malate perchè basate su malsani rapporti di codipendenza con sfumature sado-masochistiche di dinamica vittima/carnefice.

Questa ed altre utili riflessioni sono contenute nel libro di Giancarlo Tarozzi: “Caccia all’anima: alla ricerca dei frammenti perduti” in cui viene descritta la tecnica di caccia e di reintegro dei frammenti energetici usata dalle culture sciamaniche. L’autore illustra come sia possibile diventare il cacciatore della nostra anima, descrive come ritrovare i frammenti dell’anima, come catturarli e come riportarli a casa per poter ottenere una perfetta guarigione delle nostre parti ferite e mutilate.

E’ una lettura in cui ho trovato una descrizione gnostica della Pasqua e anche una tecnica sufi, è quindi evidente che fosse destinato a saltarmi in mano un pomeriggio in cui non cercavo libri.
Buona erranza
Sharatan


mercoledì 4 novembre 2009

Siate come bambini


Tutte le vie che ci portano al cielo sono giuste però sarebbe opportuno seguirne una alla volta, poiché ogni sentiero di crescita richiede l’assunzione di un punto di vista particolare e offre dei panorami diversi. Accade che i sentieri si possono incrociare e allora possiamo anche cambiare la nostra strada, però c’è sempre un lungo tratto di strada che va percorso fino in fondo e con costanza.

Molte persone invece pensano di poter saltellare tra le vie e le pratiche senza concedersi il tempo di mettere a punto con serietà il suo livello evolutivo, come solo una pratica e una determinazione costanti possono offrire. Questo diritto di cambiare opinione che il libero arbitrio ci concede, dovrebbe essere sempre attuato con la massima consapevolezza, perché potrebbe nascondere una fuga vigliacca piuttosto che una scelta evolutiva: potrebbe essere una fuga vigliacca dalla nostra trasformazione.

Sebbene sia difficile da comprendere, ogni sentiero è utile per l’evoluzione, ma solo se viene scelto con il giusto intento, cioè con un intimo e profondo sentimento attrattivo verso di esso. E’ poi anche vero che ogni buona pratica evolutiva se lungamente attuata, e se seguita con la massima dedizione, darà sicuramente dei frutti: come un seme che viene amorosamente annaffiato e che quindi germoglia.

Nella pratica di spiritualità i frutti che si ottengono sono sempre degli atti di profonda trasformazione, sono sempre operazioni alchemiche attuate sulla struttura della nostra anima, perciò quando il nostro frutto è maturo non può che manifestarsi; questa è la trasformazione alchemica che chiediamo alle pratiche ed è quella che loro ci portano come frutto dell'intento. Allora nasce la paura per il salto nel buio, il terrore di affrontare la terra incognita, il regno di nessuno.

Questo è il vecchio gioco dell’umanità che viene dominata con la paura, perché l’evoluzione maggiore ci comporta anche un maggiore carico di responsabilità perciò provoca la paura che ci spinge a cambiare il nostro sentiero. Piuttosto che cambiare noi stessi preferiamo cambiare il cammino dicendo che quello vecchio non faceva per noi e che dobbiamo trovarne uno più efficace.

A volte dimentichiamo che ognuno di noi, in ogni momento della vita, può cogliere solo quello che è preparato per ricevere, e ciò che è pronto a recepire. Molte idee e molte concezioni vengono ritenute offensive provocazioni intellettuali, e per accettare le provocazioni intellettuali è necessario avere la scaltrezza della volpe: la mente per sua stessa natura… mente, perciò dice solo scemate, ma sono scaltrezze di una che conosciamo bene, quindi abbiamo gli strumenti adatti per “tanarla” sebbene utilizzi menzogne molto credibili.

Lei cercherà di farci credere che un certo sentiero sia sbagliato, e che una certa pratica non sia fruttuosa, anzi ci spingerà a vedere le cose che credevamo vere come folli e bizzarre. Ma forse dovremmo chiederci se una provocazione intellettuale che ci mette alla prova non sia, piuttosto, una cosa da recepire e fare entrare in noi stessi, perché solo quando l’avremo profondamente elaborata potremmo capire se essa potrà esserci utile.

Molto spesso non riflettiamo a sufficienza sulle sincronicità della vita, perciò non ci accorgiamo che il solo fatto di avere incontrato un messaggio, un libro o una persona sul nostro cammino, è la prova evidente che essi sono per noi necessari, che essi ci offrono un messaggio che siamo in grado di recepire.

E’ vero anche che corriamo sempre il rischio segnalato dall’aforisma zen, cioè di divenire lo stolto che non guarda la luna ma fissa il dito che la indica, ma sarà sufficiente avere una mente aperta e recettiva per riuscire a smascherare tutti gli inganni della mente: sarà meraviglioso imparare ad affamare la nostra mente per nutrire il nostro vero essere.

Ma come fare per capire se è la strada che è sbagliata, o se è la mente a non essere pronta? Viene detto che il criterio migliore sia quello di valutare se la via che pratichiamo ci renda felici, è così evidente! Noi sappiamo se gli insegnamenti che ci vengono impartiti ci rendono più felici, se la nostra pratica ci fa sentire liberi, se stiamo meglio con noi stessi, se sappiamo rendere felici coloro che ci incontrano.

La verità è un concetto relativo, ma è anche vero che noi sappiamo a quale verità siamo più affini, quale verità ci corrisponde, quale risuona nelle nostre viscere, quale ci corrisponde fino in fondo perché assonante alla nostra essenza.

Perciò credo che percorriamo vie giuste ogni volta che questi percorsi sono le nostre vie di verità, cioè per la verità che è vera per il nostro cuore. Vedere con la mente ed ascoltare con il cuore, questo è il criterio che va seguito sempre e costantemente, ma poi percorriamo la nostra strada fino in fondo. D’altro lato, una via che non si segue con il cuore che via potrebbe mai essere?

Allora se una persona o un insegnamento sono percepiti come veri e giusti dobbiamo usare tutto il nostro desiderio e la nostra costanza per onorarli, ma se vengono sentiti come non giusti allora dobbiamo allontanarli velocemente.

Non dobbiamo mai accettare una cosa o una persona che sentiamo come inutile, perché siamo sempre responsabili degli insegnamenti che accettiamo, perciò è dannoso accettare quello che non ci fa crescere o che ci rende infelici, rifuggiamo da ogni infelicità perché anche questa la paghiamo ad alto prezzo.

I percorsi spirituali non sono adatti per coloro che vogliono vivere sul sicuro e non offrono alcun riflettore o palcoscenico di celebrità nella commedia della vita. In questi sentieri piuttosto si pratica una via di ineffabile silenziosità, perché Dio è ineffabile silenzio oppure, se lo ami teneramente, può chiedergli di renderti un fanciullo impertinente.

Nella via che conduce ad una comprensione spirituale superiore, dicono tutte le antiche sapienze, qualcuno è impazzito oppure è diventato un ebbro d’amore e un intossicato di Dio.

Gesù ci invita invece a diventare come fanciulli, perché di loro è il Regno dei cieli, perché il cuore dei bambini è aperto all’amore, perché i bambini accettano tutti incondizionatamente, perché essi amano giocare con le persone e non entrare in conflitto, perché sono solidali e amano la concordia, perché essi non giudicano mai e amano incondizionatamente.

Un amore innocente ed incondizionato ci apre il regno dei cieli ma anche il cuore delle persone, perciò impariamo ad essere come bambini e capiremo anche le verità superiori.

Buona erranza
Sharatan


lunedì 2 novembre 2009

L’addio a un purosangue



Da oggi non avremo più Alda Merini, la poetessa dell’amore e della follia, della “follia come spazio d’amore e di ricerca” come disse l’amico Giorgio Manganelli. Per capire quale fosse la sensibilità di questa donna, è sufficiente leggere la prefazione al volume: ”L’altra verità: diario di una diversa” in cui racconta con lucidità la sua esperienza di 10 anni di manicomio, di cui scriverà a distanza di anni:

“La malattia mentale non esiste ma esistono gli esaurimenti nervosi, esistono le pene familiari, la responsabilità dei figli, la fatica di crescerli ed esiste la fatica di amare. Il manicomio che ho vissuto fuori e che sto vivendo non è paragonabile a quell’altro supplizio che però lasciava la speranza della parola. Il vero inferno è fuori, qui a contatto degli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano.”

Alda venne ricoverata in manicomio per volontà del marito, perché nel 1965 la moglie era soggetta alla piena autorità del coniuge. Era una giovane moglie e una poetessa promettente, sposata ad un uomo ordinario ed insensibile. Già fragile emotivamente ed esasperata dalle precarie condizioni economiche della famiglia, quando morì la madre a cui era legata da enorme amore, ebbe una crisi di nervi e venne internata a sua insaputa.

Nel Diario Alda scrive: “Dopo qualche giorno mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico ... e quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione.”

Solo questo documento basterebbe per capire come sappiamo divenire ciechi di fronte alle diversità degli altri e quali abissi di disperazione riesca a creare l’uomo per affliggere i suoi simili. Su questo Alda scrive: "Non c’è persona ingiustamente offesa o malata che non chieda a Dio il perché del dolore e quindi della propria morte.

Non c’è un Dio vero nella passione, ma spesso un catalogo di imposture e di colpe di cui si fa carico il prigioniero della vita. L’uomo è un prigioniero della vita ma è anche un prigioniero della morte e non c’è spazio creato dagli uomini che non possa cadere sotto l’accettazione che il dolore non solo è umano ma è giusto.

Manganelli ha esitato a lungo prima di mettere mano al Diario: inorridiva al solo pensiero che il suo amore potesse essere rinchiuso in un luogo di torture, in un lager maledetto che lui credeva luogo santo perché io non avevo disobbedito alla volontà di Dio. E’ ancora la domanda che mi rivolgo.

Dopo il mio abbandono Manganelli si è dedicato alle lettere, dalla “storia di un anima” io ho tratto “Il diario di una diversa” il che vuol dire che è vero che un grande dolore può fare un grande scrittore. Ma devo anche dire che solo Dio ha il potere di disarcionare un’anima, per il resto alcune anime camminano su traballanti ronzini e credono di essere dei purosangue.
Auguri a tutti i ronzini.

Alda Merini "

domenica 1 novembre 2009

Il vangelo perduto di Giuda


Quando troviamo una cosa strana possiamo scartarla subito considerandola come troppo disturbante, oppure accettare di ascoltarla e provare a trovare il motivo per il quale essa ci disturba. Quando ho trovato il vangelo di Giuda ho provato la sensazione che la sua venuta fosse un motivo di destabilizzante riflessione, e non potevo avere ragioni migliori: era il vangelo del traditore.

Credo che ognuno abbia il diritto di parlare, anche se poi non saremo disposti ad accettare le ragioni che ci presenterà, perciò ho sempre cercato di capire le ragioni degli altri. Perché rifiutare la parola proprio a quello, il solo, che poteva spiegare le ragioni della sua condotta inconcepibile? Come avrebbe potuto giustificare il tradimento dell’amicizia e il tradimento del discepolato?

Se il vangelo di Tommaso era ritenuto il testo più rilevante per la ricostruzione del cristianesimo primitivo, quello di Giuda Iscariota è sconvolgente, perché vi leggiamo una versione che equivale ad una capriola metafisica: per poterla fare senza rompersi qualcosa, bisogna leggere il testo poi elaborare un'interpretazione che possa allargare la nostra comprensione.

Il vangelo di Marco, dice apertamente il nome del traditore di Gesù: “Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù” ma esso non ci fornisce alcuna spiegazione del motivo del tradimento, piuttosto afferma che i sommi sacerdoti pagarono Giuda per quel tradimento. Nel testo si parla del tradimento come necessario perché si compisse la salvezza dell’umanità “ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”

Secondo gli accordi presi, narra Marco, un gruppo di soldati si recò al Getsemani, dove Gesù sta pregando con pochi fedelissimi, Giuda “allora gli si accostò dicendo: ’Rabbi’ e lo baciò. Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono.” Consegnato alla nostra memoria con questo racconto, di Giuda sappiamo che fu perseguitato dal rimorso finchè, travolto dalla disperazione, si impiccò ai rami di un albero.

Nella versione di Giuda, si narra che un giorno Gesù trovò i suoi discepoli che facevano delle pratiche di devozione e rendevano grazie con il pane. Allora Gesù rise di loro, e quanto quelli gli chiesero perché si facesse beffa di loro, egli rispose che non rideva di loro, ma del falso dio a cui essi recavano omaggio. E quando essi dissero: “Maestro, tu sei il Figlio del nostro dio.” egli rispose loro: “Credete veramente di conoscermi? In che modo? In verità vi dico, nessuna stirpe fra voi mi conoscerà mai.”

Allora i discepoli furono dispiaciuti e adirati da quelle parole e Gesù “percependone la stoltezza, disse loro: ‘Perché vi lasciate turbare dall’ira? Il vostro Dio, che è dentro di voi, e i suoi sono dispiaciuti insieme alle vostre anime. Chi fra voi è forte faccia emergere in sé l’umano perfetto e si alzi e si ponga di fronte a me.’ E tutti dissero: ‘Siamo forti!’ ma i loro spiriti non ebbero il coraggio di levarsi per sostenere il confronto, tranne Giuda Iscariota.

Egli ebbe la forza di alzarsi e porsi di fronte a lui, anche se non riuscì a reggerne lo sguardo, ma si girò di lato. Giuda gli disse: ‘So chi sei e da dove vieni, vieni dal regno dell’immortale Barbelo, ma io non sono degno di promunciare il nome di colui che ti ha mandato.”

Allora Gesù vedendo che Giuda comprendeva cose elevate, gli disse che gli avrebbe rivelato i misteri del regno, ma a prezzo di grande dolore, e che un altro avrebbe preso il suo posto perché i dodici “fossero di nuovo completi nel loro Dio.”

Un altro giorno Gesù venne, e i discepoli gli dissero che avevano avuto una notte piena di sogni ingosciosi in cui vedevano uomini che sacrificavano ai tabernacoli dei templi, altri uomini che uccidevano le loro mogli e i loro figli, uomini che sacrificavano animali, e tanti altri commettere ogni sorta di peccato e di ingiustizie. E c’erano uomini davanti ad un altare che invocavano il suo nome prima di squartare degli animali.

Gesù spiega che gli uomini che vedevano fare quegli immondi sacrifici erano loro stessi, e che avrebbero condotto al sacrificio una serie di moltitudini che hanno sviato da quell’altare. Essi avrebbero portato al dominio del signore del caos e “questo è il modo in cui farà uso del mio nome” creando una stirpe che avrebbe prosperato “con ogni sorta di impurità, sregolatezza ed errore” dimenticando che il Signore dell’universo ha stabilito che “essi siano svergognati alla fine dei tempi.”

Gesù aggiunse che avrebbero invocato il suo nome, ma che hanno scritto “su stirpi delle stelle attraverso le stirpi umane,” ed hanno piantato degli alberi privi di frutto. Quindi Gesù disse loro: “Smettete di combattere contro di me. Ognuno ha la sua stella", e se la segue, egli andrà “a irrorare il paradiso di Dio” ed esisterà nella stirpe santa per tutta l’eternità: costui sarà salvo.

Allora “Giuda disse: ‘Maestro, come hai ascoltato tutti loro, ascolta anche me. Perché ho avuto una grande visione.” A quelle parole Gesù rise. E gli disse: ‘Perchè ti agiti tanto tredicesimo spirito? Ma parla anche tu e io ti sosterrò.’ Giuda gli disse: ‘Nella visione ho visto me stesso. I dodici discepoli mi stavano lapidando e mi perseguitavano con violenza’.”

Giuda rivelò, che era giunto in una casa, entro cui erano riuniti dei vecchi autorevoli di grande statura insieme ad una grande folla. Allora “Gesù rispose e disse: ‘La tua stella ti svia Giuda, perché nessun figlio di mortali è degno di entrare nella casa che hai visto. Quello è infatti il luogo riservato ai beati … dove essi dimoreranno insieme agli angeli santi’.”

Gesù rivela a Giuda che anche lui proviene dai cieli. “Udite queste cose, Giuda disse lui: ‘Quale beneficio ho ottenuto dall’essere separato da quella stirpe?’ Gesù gli rispose e disse: ‘Diventerai il tredicesimo e sarai maledetto da tutti gli altri, ma li sovrasterai … e tu salirai fra la stirpe dei beati.’ Poi Gesù spiega a Giuda il ciclo della creazione che nel testo è molto frammentaria, ma che viene espressa in forma completa nel Libro segreto di Giovanni, affinchè comprenda il senso profondo di ciò che gli chiederà come prova della sua fedeltà.

Nell’apocrifo di Giovanni si rivela che lo Spirito-Padre, circondato di “pura acqua della sua luce” e nel suo primo raddoppiarsi della divinità risultante dalla emanazione del suo Pensiero, creò la Prima Ennoia. Essa è anche il “Primo Uomo” o “maschio-femmina” ed è chiamata Barbelo, da cui discese la generazione del Pleroma. Barbelo chiese a Lui di darle la “Prima conoscenza” e Lui gliela concesse. Dopo che l’ebbe ottenuta, essa divenne manifesta e così vennero prodotti gli Eoni finchè il Pleroma fu completo; eccetto l’Unigenito Figlio di Dio, il Cristo, che è nato in modo sessuale dall’Ennoia.

Ma la sorella minore degli Eoni, Sophia, concepì un pensiero da se stessa pensando allo Spirito Padre e alla Prima Conoscenza: a causa di questa trasgressione partorì uno spirito deforme e di aspetto orrendo, poiché aveva concepito senza il suo compagno. Essa lo scacciò lontano da se perché era generato nell’ignoranza, lo coprì con una nube di luce affinchè nessuno lo vedesse e lo chiamò Yaldabaoth detto Nebro “il ribelle,” che fu il Primo Arconte.

Yaldabaoth si unì all’Irragionevolezza che era con lui, e generò angeli ed eoni incorruttibili come manifestazione del loro Progenitore, il primo Arconte delle Tenebre e prodotti dalla sua ignoranza. Questa coorte è quella dei progenitori del mondo materiale, ed il loro padre e signore è Yaldabaoth, una divinità inferiore irriverente e millantatrice, ignara che esiste una divinità più elevata di lui. Ma Yaldabaoth “il ribelle” si specchiò nell’acqua ed ebbe desiderio di creare un ordine di luminari perciò con Saklas “lo stolto” creò il primo uomo, e lo fece a sua immagine e somiglianza.

Ma il dolore di Sophia per avere generato quell’aberrazione, produsse la misericordia del Dio-Luce che mandò Set che è Gesù il Cristo, come strumento del Potere della Madre, affinchè potesse sconfiggere gli arconti, e facesse trionfare la luce sulle tenebre. E' la stirpe di Set, originata da Adamo e Eva dopo la morte di Abele, che fece continuare il genere umano, ma queste stirpi ebbero una vita limitata.

Perciò Dio ordinò a Michele di dare lo spirito in prestito agli esseri umani, perché potessero venerarlo. Poi il Sommo diede ordine a Gabriele di concedere uno spirito con anima, agli spiriti di coloro che non sono dominati dal signore del mondo inferiore.

E’ per questa ragione che gli uomini devono “ricercare lo spirito dentro di voi che voi fate dimorare in questa carne fra le stirpi degli angeli. Dio volle che fosse data la conoscenza ad Adamo e a quelli con lui affinchè i dominatori del caos e dell’oblio non regnassero su di loro.” (Giuda 14,15-16)

Giuda chiese al suo maestro cosa ne sarebbe stato di quelle stirpi, e Gesù rispose che “sono le stelle che portano a compimento tutte le cose” perciò il falso dio sarà sconfitto e nel tutto sarà ristabilito l'ordine originario. Quindi Gesù irride alle pratiche di sacrificio, perchè coloro che compiono dei sacrifici a Saklas sono dei malvagi, essi sono schiavi della sua dominazione.

Infine Gesù rivela a Giuda: “Quanto a te li supererai tutti. Perché tu sacrificherai l’uomo che mi riveste. Il tuo corno è già levato, la tua collera è colma, la tua stella si è affacciata e il tuo cuore ha prevalso. E allora la posizione della grande stirpe di Adamo sarà innalzata, perché essa esiste da prima del cielo e della terra e degli angeli, per tutti i regni.

Ecco, ora ogni cosa ti è stata detta. Alza gli occhi e guarda la nube e la luce che è in essa e le stelle che la circondano. E la stella che indica il cammino, quella è la tua stella.’ E allora Giuda levò lo sguardo. Vide la nube radiosa ed entrò in essa.” Più tardi Gesù si ritirò in solitudine in una stanza per pregare, mentre gli scribi lo spiavano per catturarlo mentre era solo. Giuda allora si avvicinò a loro e offrì quello essi volevano: essi gli dettero delle monete di rame, e Giuda lo consegnò a loro obbedendo fedelmente all'ordine del suo maestro.

Perciò possiamo rovesciare il nostro punto di vista anche rispetto al bacio di Giuda, e pensare che quando Giuda si avvicinò a Gesù, mentre i soldati aspettavano di arrestarlo, egli veramente lo riconobbe come suo maestro dicendo: “Rabbi” quindi gli passò il bacio gnostico e accettò la reciproca morte, ma solo perché questo era quello che il suo Rabbi gli chiedeva, e che usò il bacio gnostico perchè è lo strumento dei vasi comunicanti.

Buona erranza
Sharatan