lunedì 29 novembre 2010

Come risveglirsi umani


“Per arrivare all‘alba non c‘è altra via che la notte”

(G. Kalhil Gibran)


Sebbene non sia facile descrivere cosa significa essere umani, diceva Erich Fromm, possiamo farlo se non ci limitiamo a descriverlo solo tramite la psicologia, ma facendo ricorso a tutte le scienze che sono rilevanti per la comprensione dell’essere umano. L’uomo è prevalentemente indotto a credere che la sua natura sia quella che la società gli indica come tale, seppure dell’essere umano siano state coniate molte definizioni.

Si dice che l’essere umano è Homo faber, poiché costruisce i suoi utensili, ma anche i nostri antenati antropoidi lo facevano. Si parla di Homo sapiens e, se questo termine vuole alludere alla conoscenza di ciò che è celato dietro l’apparenza perciò nella realtà dei fenomeni, allora è vero che l’uomo è sapiente. Si è scritto anche che l’uomo è Homo ludens, poiché l’uomo gioca svolgendo un’attività che è diversa dalla pura sopravvivenza, ma il gioco era presente anche nell’uomo primitivo.

Perciò dobbiamo trovare ancora altre definizioni per connotare l’essere umano, dice Fromm, infatti ne troviamo altre due che bene qualificano l’essenza umana. L’uomo è Homo negans, poiché è in grado di dire “no” anche quando altri dicono “si” poiché l’essere umano sa andare oltre ogni regola della società se deve affermare la sua verità, il suo amore e la sua integrità morale. L’uomo dovrebbe essere anche Homo esperans perciò un uomo che possiede la speranza, perché la speranza è una condizione essenziale per la vita dell’essere umano.

Se un uomo ha rinunciato ad ogni speranza, allora è un uomo che ha superato i cancelli dell’inferno per lasciarsi alle spalle ogni sua umanità. Cosa significa essere umani? Essere umani significa capire che nulla di ciò che costituisce la natura umana ci può essere estraneo, come diceva Terenzio, infatti il pensiero più profondo sulla condizione umana ci porta a valutare piuttosto su tutte le diversità personali che ci rendono umani.

Aldilà delle differenze personali, vi sono due condizioni umane da valutare: la prima ci fa notare che l’uomo non è obbligato a rispondere agl'istinti in modo totalmente condizionato come gli animali. In secondo luogo il nostro cervello ha subìto una evoluzione che gli permette delle facoltà molto raffinate come il linguaggio, la simbolizzazione e la capacità d’immaginare e di fare astrazioni, che ci rendono molto più perfezionati degli animali.

L’uomo non ha un contatto immediato con gl’istinti, perciò la parte istintiva non governa totalmente la vita umana, infatti l’uomo può prendere decisioni autonome. L’uomo può fare delle scelte e avere delle alternative, egli non ha un percorso fisso e definitivo, perciò corre il rischio dell’errore. Il prezzo della libertà umana, qualora sia esercitata con piena consapevolezza è l’insicurezza, infatti facciamo scelte nella speranza di non compiere degli errori: la vita umana non è esente da errori e rischi, infatti la vita offre l’unica certezza nel suo inizio e nella sua fine.

L’uomo sembra essere uno scherzo della natura, afferma Fromm, poiché fa parte della natura ma può anche trascenderla, infatti l’uomo deve cercare in modo autonomo da ogni istinto biologico un suo schema di orientamento che gli permetta di avere una immagine del mondo che sia coerente, e in cui esso si senta inserito in modo coerente. Nell’essere umano non vi è solo la paura di perdere la vita, come per gli animali, nell’uomo vi è anche il rischio di perdere la mente se non si trova a suo agio nel mondo e se lui si sente impotente a dominare il suo mondo.

L’uomo che resta privo di orientamento, si sente impotente e privo di progetto di vita, perciò diventa preda del più totale sradicamento, infatti non può vivere se non come un pazzo. Molti cercano delle soluzioni per restare sani di mente, perciò dei rimedi che possono essere più o meno buoni: essenziale è valutare che i mezzi che ci fanno migliorare sono quelli che ci forniscono forza, chiarezza, gioia e indipendenza interiore. I mezzi che forniscono le condizioni opposte sono assolutamente ostili alla vita, perciò ne peggiorano le condizioni: l’uomo dovrebbe sempre cercare delle soluzioni che accrescono la sua vitalità umana.

Sulla malleabilità della natura umana, molti dicono che l’uomo è malleabile all’infinito: la società può influire sulla struttura umana e non si può negare che l’uomo influisce sulla società, ma l’uomo può essere piegato e imprigionato come un animale in un circo, seppure l’uomo sia malleabile solo in parte. Molti uomini sanno ribellarsi se le condizioni sociali sono talmente oppressive da causargli uno squilibrio troppo insopportabile, perciò l’uomo è in grado di ribellarsi se le sue condizioni vitali diventano penose.

Nell’uomo esistono due necessità fondamentali che vanno oltre la soddisfazione delle sue necessità fisiologiche e materiali. La prima risposta è la necessità di uno schema di orientamento e questa si ritrova anche nell’animale nel cui istinto vi è la necessità di un leader, perché il capo conosce il bene del gruppo, egli decide, sa programmare e sa dare ordini che sono finalizzati al bene del gruppo, perciò il capo agisce per il bene di tutti. Nella specie umana spesso si scelgono dei leader a cui si attribuiscono delle qualità soprannaturali e di superiorità fisica: nell’antichità molti sovrani vennero considerati di origine divina, perciò onnipotenti e sacri.

Ancora oggi molte qualità vengono attribuite a coloro che eleggiamo come capi, e queste sono le qualità carismatiche in cui la società crede, perciò essa le attribuisce anche al suo capo. I capi usano sempre minacce o lusinghe per ottenere la sottomissione, e gli uomini sono perlopiù bisognosi di un padrone, e questo avviene finché l’essere umano non giunge ad un elevato grado di evoluzione in cui sa governarsi senza necessità di lusinghe o di minacce. Gli uomini amano essere subordinati, poiché la guida del padrone offre molta sicurezza e garantisce la soddisfazione delle necessità materiali primarie, quindi fornisce ogni comodità materiale.

Sono tutte le incertezze della condizione umana che ci rendono malleabili alle istruzioni che ci vengono impartite tramite l’educazione, e che ci rendono fragili al lavaggio del cervello che viene spacciato come libertà di pensiero in una società di consumismo che sfrutta tutto ciecamente, e che chiamiamo democrazia. Nell’uomo però non vi è l’obbligo di essere pecora, poiché l’uomo può osservare la realtà e può conoscerla consapevolmente infatti, dice Fromm, è la capacità di vedere chiaramente e totalmente la realtà, ed è il nostro essere calati totalmente nel mondo che ci rende forti.

Finché l’uomo viene manipolato da una società che lo convince di essere pecora, la sua realtà è una finzione e l’essere umano vive come uno schiavo, infatti egli è un uomo debole. L’uomo debole viene manipolato facilmente, perciò ogni trasformazione lui la vive come una fonte destabilizzante e colma d’insicurezza, perciò dal malessere l’uomo può impazzire. Il rapporto dell’uomo debole con la realtà è di tipo falso, poiché l’immagine del mondo che lui si crea viene fornita dalla società, e le sue sicurezze e il suo equilibrio interiore dipendono dall’ordine sociale costituito all'esterno.

Nell’uomo forte e libero non vi è legame con le opinioni del mondo, poiché l’immagine che lui si crea dipende dalla realtà effettiva, perciò da ciò che esiste e che si può osservare nella realtà, perché chi osserva attentamente il reale perviene alla verità. Diventare consapevoli, ricorda Fromm, significa svegliarsi per vedere ciò che abbiamo davanti agli occhi, perciò equivale ad una eliminazione delle illusioni, e all’inizio della nostra liberazione. Nel mondo odierno vi è un enorme squilibrio tra l’intelletto e la sensibilità, per cui l’evoluzione tecnologica non ha saputo eliminare il paraocchi dell’essere umano.

Il quesito fondamentale è capire se il potere distruttivo della conoscenza umana sarà più veloce della capacità umana di sapere elaborare una visione della realtà più equilibrata, se saprà sconfiggere le contraddizioni sociali che travagliano la condizione umana, perché l’irrazionalità e l’insensibilità umane ci impediscono di vivere in un mondo felice e libero. Ma l’uomo non è solo mente esso è anche un cuore ed un corpo che devono avere dei rapporti emozionali con il mondo e con i suoi simili, e con la natura e con gli animali.

L’uomo sarebbe più fragile di un granello di sabbia se non sapesse costruire dei rapporti con delle emozioni e dei sentimenti che lo tengano collegato al cosmo e ai suoi simili: è questa la soluzione, dice Fromm, che permette di avere dei rapporti in cui l’uomo possa definirsi “sano.” L’uomo può assurgere a queste mete sublimi sviluppando pienamente le sue potenzialità umane che sono la capacità di amare, di creare e di godere della bellezza, e la capacità di condividere le sue qualità migliori con i suoi simili.

Buona erranza
Sharatan

venerdì 26 novembre 2010

Riscrivere la nostra vita


“Le opere d’arte sono sempre il frutto dell’essere stati in pericolo,
d’essersi spinti, in una esperienza, fino al limite estremo
oltre il quale nessuno può andare”

(Rainer Maria Rilke)


Dicono che l’uomo attraversa quattro fasi nella vita, e queste quattro fasi sono paragonate alle quattro stagioni che si susseguono nella natura che sono le fasi in cui si compie il ciclo di trasformazione della natura nel corso del tempo, perciò vi è un tempo in cui vi è la primavera seguito dalla piena fioritura, e vi è un tempo in cui vi è il degradare della maturazione fino all’arrivo dell’inverno che è l’età in cui sono rescissi i lacci che tengono avvinta l’anima all’ involucro materiale.

Secondo altri, queste quattro stagioni si susseguono lungo tutto il corso del nostro peregrinare di esseri racchiusi nell’involucro corporeo prima di ricominciare il nostro corso verso delle nuove reincarnazioni: perciò tutti devono conquistare questa saggezza sui vari aspetti della nostra esistenza. Accade, infatti, che le nostre quattro stagioni vengano vissute più volte nel corso della stessa vita: infatti nella vita umana vi sono primavere, estati, autunni e inverni, perciò bisogna imparare ad affrontare con dignità e con coraggio ogni stagione della nostra esistenza.

Vi sono persone che non riescono ad usare in modo costruttivo i loro pensieri negativi, perciò essi non elaborano adeguatamente i loro sensi di colpa, vi sono quelli che vivono con ipersensibilità emotiva, perciò si fanno ferire troppo profondamente dagli avvenimenti esteriori. Vi sono anche quelli che diventano le vittime dei loro stessi problemi perché non hanno sufficiente forza per affrontare e per risolvere i loro travagli, in quanto non hanno il coraggio di affrontare e di vincere il nemico.

Nessuno è un artista nel governo della mente e il pensiero umano può diventare folle e bizzarro, infatti il pensiero può divenire un agente disgregatore, qualcuno non riesce a diventare il padrone della sua vita e non riesce a sciogliere il filo della matassa troppo ingarbugliata, perciò non riesce a riscrivere la sua vita in modo creativo. Appare evidente che saper riscrivere la nostra storia è essenziale per risorgere quando cadiamo nella polvere, perciò comprendere questa verità è tanto essenziale per ricordare questa prerogativa umana che è conseguente alla nostra origine divina.

Essere in grado di risorgere dalle offese della vita è una prerogativa posseduta dalla persona forte e libera che è capace di risanarsi anche se viene gravemente ferito, infatti noi sappiamo risanarci da tutte le nostre ferite e dalle ingiurie subite dagli uomini e dagli avvenimenti della vita. Noi diventiamo grandi quando ci sentiamo liberi e forti in ogni momento della nostra vita, sebbene questo non sia facile, infatti vi è anche chi soccombe alla vita diventando i caduti gloriosi della guerra più dura.

Accade che, nella vita giungono dei momenti critici in cui subiamo sofferenze prodotte da problemi esterni o da difficoltà interiori perciò, in alcuni momenti attraversiamo dei periodi in cui è necessario affrontare delle intense sofferenze emotive che fiaccano l’animo umano. Per molti arriva il giorno in cui, al nostro risveglio, si deve indossare un’armatura fisica e muscolare, e un carapace emotivo che si conficca nella pelle, infatti i legacci vengono conficcati nella carne viva.

Nelle giornate in cui le cotte di maglia, che coprono l’essere umano non riescono a ridurre l’impatto con il metallo delle protezioni fisiche, mentali ed emotive, e il nostro carapace difensivo si aggancia alla nostra pelle che è marchiata dalle cicatrici di tutte le ferite che abbiamo subìto. Nel mondo vi sono molte persone che subiscono sofferenze fin dalla più tenera infanzia, vi è chi vive in paesi travagliati dalle carestie e dalle guerre, e vi è chi non conosce un solo giorno in cui sia vissuto libero dalla fame, dalla violenza e dalla paura.

Tutti costoro sono i veri combattenti della vita, poiché essi vivono nel più profondo e nel più buio dell'inverno per la maggioranza della loro vita. A noi tutti piacerebbe vivere perennemente nella primavera, perciò in una vita che possa trascorrere felice e beata sotto un sole luminoso di gratificazioni e di successi. In qualsiasi modo vada la nostra vita, non esiste alcun essere umano a cui non accade di attraversare più di un inverno nel corso della stessa esistenza. Chi non ha mai avuto una fragilità? Chi non ha dovuto superare dei momenti di crisi e di sconforto profondo?

Tutti siamo provati da periodi di tensione e di stress, perciò anche la vita ordinaria scorre con difficoltà, e la tensione prevale sulla nostra razionalità, perciò perdiamo la nostra serenità: molto spesso l’uomo diventa la vittima piuttosto che l’artefice del suo destino. Le persone che riescono a risorgere da tutte le sofferenze sono le persone più belle, poiché conquistano la saggezza essendo riusciti a risanarsi felicemente dagli avvenimenti della vita: in queste persone che hanno conosciuto tanta intensità di esperienze vi è una bellezza che si accresce nel corso del tempo.

In tutti coloro che hanno trovato la forza e il coraggio per rinascere, in quelli che hanno saputo vedere i profondi significati degli avvenimenti vi è lo sviluppo della saggezza di vita. Riscrivendo la vita in modo costruttivo si riesce a sviluppare la saggezza, l’amabilità, la tranquillità, la comprensione e il sentimento caritatevole verso il prossimo, perciò diventiamo dei veri vincitori. Molti credono che i vincitori devono conquistare delle medaglie oppure devono avere dei riconoscimenti tangibili, perciò si crede che vince colui che viene riconosciuto come tale dalla società.

Ma è solo in colui che sa cadere, e che riesce felicemente a rialzarsi ogni volta, è in costui che vi è la vera natura del vincitore, infatti egli manifesta la migliore tempra del combattente, in quanto possiede il coraggio, la determinazione e l'indomabilità d‘animo. E’ evidente che non sempre riusciamo ad uscire indenni dai fatti della vita, e che le nostre perdite possono essere anche molto dolorose, ma sapersi risollevare è sempre possibile, ed è questo pieno risanamento che sappiamo fare di noi stessi, che può trasformare in un'arte d’arte tutta la nostra vita.

Buona erranza
Sharatan

lunedì 22 novembre 2010

La storia della nostra vita


“ Gli stranieri siamo noi,
erranti alle porte della nostra mente”

(George Steiner)


La scuola in cui impariamo continuamente è la vita, che è una scuola che frequentiamo dalla nascita alla morte, perciò la vita è la testimone di ciò che siamo. E noi cosa siamo? Cosa siamo noi, se non le nostre storie, i nostri sogni, le nostre aspettative, i nostri progetti, le nostre frustrazioni, i nostri piaceri, le nostre insicurezze e tutti i momenti di massima gioia e di crisi? Noi siamo noi stessi in ogni momento di coraggio, e siamo noi in tutte le occasioni in cui diventiamo inadeguati a quello che viviamo, perciò siamo perfettamente veri anche nell’errore.

E’ nella trama della nostra vita che ci riconosciamo, perché i nostri pensieri e le nostre emozioni non sono racchiusi solo nei fatti, ma anche nel modo in cui viviamo perciò nelle caratteristiche con cui reagiamo agli eventi, perché sono i fatti quelli che contano nella vita delle persone. Nella scuola della vita si impara l’ascolto e la condivisione, infatti dialogare equivale a condividere la vita degli altri da cui si può imparare molto anche senza diretta esperienza.

Nel racconto siamo disposti a ritornare amorevolmente a casa, infatti facciamo il ritorno interiore, perché io sono l’attore principale della mia vita: noi conosciamo soltanto alcuni dei frammenti che formano ciò che siamo mentre, nella maggioranza delle persone, non vi è consapevolezza alcuna della propria intima natura. Molti credono che lasciare andare sia equivalente a dimenticare i fallimenti per conservare solo i ricordi migliori: certamente tutti vorremmo avere una vita densa di successi e di splendide realizzazioni.

La vera soluzione non può produrre la nostra disintegrazione poiché, in ogni parte della nostra vita, è racchiusa una parte di noi, nella storia personale vi è la traccia della nostra essenza e delle caratteristiche del nostro essere, perciò nessuna parte di noi può essere sbagliata, e nessun avvenimento che abbiamo vissuto è privo di senso, se sappiamo guardare con attenzione e con giusta prospettiva, all’interezza della nostra vita.

La cabala insegna che nessun frammento della nostra anima va lasciato andare, nessuna scintilla va dispersa perché dobbiamo diventare i cacciatori delle nostre scintille per ricostruire il fuoco che siamo: è nella caccia che facciamo la nostra ricostruzione, poiché ci reintegriamo alla situazione in cui eravamo prima di essere dispersi per divenire delle faville sfavillanti di fiamma e di luce che sono alla ricerca della loro integrità.

Spesso ripercorriamo il nostro passato cedendo alla tentazione di farci belli dei successi e trascuriamo i danni e le esperienze dolorose. Pochi amano ammettere una vita difficile, perlopiù si amano i vincenti, coloro che non sono mai caduti, coloro che vincono tutte le competizioni: la competizione e il confronto sono gli strumenti con cui la società di rende schiavi delle opinioni vigenti, e ci nega la nostra importanza essenziale. L’unicità di una persona non equivale ad avere compiuto imprese eccezionali, la nostra unicità personale è racchiusa nel nostro modo di vivere, in quello che sentiamo, nel modo con cui il nostro carattere reagisce e nel modo con cui viviamo l‘ordinarietà.

Essere unici è racchiuso nel modo con cui dormiamo, e in tutte le nostre azioni, perché manifestiamo il nostro essere singolare e prezioso: tutto quello che siamo è frutto della nostra storia: ecco perché siamo il prodotto di ciò che abbiamo vissuto, e perché la nostra trama è in quello che stiamo vivendo. Nel passato abbiamo sperimentato delle emozioni, abbiamo compiuto delle azioni, e abbiamo avuto interazioni che hanno creato la luce che siamo, e la storia della nostra vita è l’origine, in essa vi è il flusso che alimenta la nostra fiammella.

Questa luce viene nutrita in ogni momento in cui viviamo e in cui respiriamo, perciò la vita è il momento presente che è in ogni giorno in cui siamo un modo di dormire, un modo di mangiare, un modo di studiare, un modo di discutere, un modo di soffrire e un modo di fare l’amore, e che sono sempre dei prototipi unici, e solo nostri. Noi siamo nel totale di tutte queste esperienze che ci hanno strutturato, e su cui noi ci rifondiamo, e a cui facciamo un ritorno alla ricerca di noi stessi. La nostra storia personale, il filo di ciò che ci ha strutturato, la sorgente della vita che siamo è un cammino esistenziale che dura per sempre: ecco la nostra storia che diventa l’epopea personale di cui dobbiamo sentirci eroi vittoriosi e mai vinti.

Nelle vite più semplici vi è un significato stupendo che nessuno conosce ma che esiste ugualmente, infatti negare le Galapagos non significa che le isole non esistono, ma è il segno che si viaggia troppo poco, e che il proprio pensare è troppo ristretto. Allora ammettiamo che, nel modo con cui le persone percorrono la loro vita vi è il loro stile personale, e le loro caratteristiche più uniche ed irripetibili: e se esiste il sommo peccato è nel rinnegare noi stessi, poiché facciamo il tradimento alla nostra più profonda natura.

Rinunciando al conformismo che vuole vite da gossip, possiamo apprezzare le vite di coloro che hanno avuto una strada dura e disagevole, che percorrono camminando su spine e su pietre, e saperli vedere come i veri combattenti della vita. Coloro che escono indenni dalle vite più dure vanno onorati, perché sono riusciti a cadere più volte e hanno saputo rialzarsi ogni volta con maggiore determinazione. Questo ci insegna il saper guardare la storia della nostra vita, e ugualmente impariamo se sappiamo ascoltare la storia degli altri che diventano degli specchi con il racconto della loro vita.

Evidentemente non possiamo credere di poter emulare le vite degli altri, come pure è impossibile imitarne lo stile, e la cabala lo considera un furto dell’impronta dell’anima, come pure viene severamente proibito diminuire il proprio valore personale, che è equivalente alla blasfemia, poiché si disprezza la divinità che siamo. Tutti devono essere e devono impersonare ciò che sono, infatti viene detto che ognuno ha un servizio a cui viene chiamato, perciò fa un percorso quando prende l’orientamento e conosce la sua direzione.

Molti confondono la loro storia con il borbottio mentale a cui siamo abituati, ma ricordare noi stessi è essenziale per ogni tradizione spirituale e consiste in una riconnessione, in un risanamento, ma anche in una riconciliazione con quello che siamo. Nel momento in cui ci ricordiamo ci concediamo al gusto della nostra considerazione, perché noi siamo il soggetto, mentre ci abituano a vederci tramite gli altri, ma il nostro sguardo diventa libero di vederci.

Molti non riescono a percepirsi come persone complesse e sfaccettate, e non sanno costruirsi come persone solide ed integre che sanno realizzarsi indipendentemente, e anche in virtù della qualità del loro vivere passato, perciò vivono la loro storia come un alibi, invece che come un punto di partenza. Per molti la vita equivale ad un fatto esteriore, un apparire e un inseguire delle conferme esterne, in quanto si è carenti di un solido senso di noi stessi, perciò non siamo in grado di esistere senza l’ausilio degli altri.

Quando ci ricordiamo a noi stessi è come se rimettessimo assieme il corpo, la mente e la nostra anima tramite i nostri sensi che vengono potenziati da questa percezione profonda che costruisce in noi una superiore sensibilità e una raffinatezza maggiore che è prodotta dallo sguardo interno ed esterno, che è sempre totale. Quello che ci connota in modo unico è la nostra storia personale in cui sono racchiusi i nostri drammi e le nostre tragedie, in cui vi sono i pensieri, le opinioni, le scelte: tutto quello che siamo è narrato dalla nostra storia, che è la trama che è tracciata sulla nostra pelle fisica, emotiva e mentale, e che plasma la nostra personale impronta dell’anima.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 18 novembre 2010

Oltre la mente


"Il miracolo non è camminare
sull’acqua o sul fuoco;
il miracolo è risvegliarsi.
Il resto sono sciocchezze"
(Osho)

Osho insegna che la vita può essere vissuta come poesia oppure come calcolo perché l’uomo possiede due polarità che lo governano, infatti possiede una parte calcolatrice che ha prodotto la scienza, la politica, l’economia, etc., poi possiede anche una parte che ha prodotto la poesia, la musica e le arti. Nel cervello umano vi sono due emisferi che lo governano: quello sinistro che sa gestire calcoli, che elabora prose, e che usa la matematica e le altre funzioni logiche, poi vi è l’emisfero destro con cui governiamo la sfera dell’amore e dell’armonia musicale, infatti esso produce il canto e la poesia.

E’ questa divisione del cervello umano che produce una discrepanza tra il nostro pensare e il nostro sentimento, infatti le due parti andrebbero bene sviluppate e messe in armonia. Per quanto riguarda quest’equilibrio dobbiamo sapere che, nel mondo esterno esiste una realtà di oggetti e di beni materiale, ma esiste anche un mondo in cui ci sono le persone ed i sentimenti. I due livelli non andrebbero mai confusi tra i due emisferi, infatti le funzioni logiche e calcolatrici ci servono solo con gli oggetti materiali e con le cose inanimate, mentre l’amore e l’armonia vanno usate con le persone e con tutto quello che possiede l'alito di vita.

Nell’uomo i due livelli spesso si confondono, perciò è bene sapere che dobbiamo essere scientifici e logici con gli oggetti materiali e con le cose inanimate, e non essere mai calcolatori con le persone. Se diventiamo logici con gli esseri viventi diventiamo inumani, poiché le persone non vanno mai confuse con degli oggetti immateriali: trattare le persone come degli oggetti è una delle più gravi mancanze che si possano fare a livello spirituale.

Osho afferma che, anche una moglie diventa una prostituta se la trattiamo come un semplice oggetto sessuale, e lo rimane se essa vede un marito come un semplice conto bancario, perciò anche una moglie diventa una mantenuta: la mercificazione delle persone è orribile, poiché una persona non può essere un mezzo o uno strumento. Nessuna persona può essere usata, infatti le persone sono un fine a sé stesse avendo l’importanza che gli viene conferita dalla divinità che è dormiente in loro.

Nessun abuso può essere fatto a spese del nostro prossimo, perciò agli altri si approccia con il rispetto e con l'amore. Nessuna persona può essere un possesso o un servo dell’altro, infatti ognuno nasce libero e tale deve restare anche nelle relazioni. Spesso si usa il ricatto dell’amore per asservire e per dominare le altre persone ma, nell’amore è implicita la volontà di lasciare liberi gli altri di amare e di essere disponibile: è evidente che non è bene farsi dominare o possedere poiché andiamo a creare o subire delle dipendenze che accendono la sofferenza.

Se vogliamo avere dei rapporti equilibrati con il mondo dobbiamo usare la mente scientifica con gli oggetti però, con le persone dobbiamo usare la dolcezza, l’affetto e il rispetto che sono la poesia e la musica che riesce a produrre l’animo umano quando si nobilita nel suo innalzamento. Se manteniamo equilibrati i due emisferi cerebrali accediamo ad una terza dimensione in cui oltrepassiamo i confini della mente, infatti le due dimensioni precedenti sono degli ambiti mentali, ma l’uomo non è fatto di due dimensioni.

Nell’essere umano vi è una percezione raffinata che è superiore al livello mentale, e questa realtà supersensibile è lo stato del mistico a cui si accede quando meditiamo. La dimensione matematica è il livello inferiore in cui l’uomo manipola la sua materia più densa, nell’ambito estetico e poetico la nostra natura diventa più pura per la sensazione dell'armonia del mondo. Per l’elevazione superiore si usa la meditazione con cui si raffina il nostro livello di consapevolezza facendo il tuffo dentro l'oceano che è dentro di noi: perciò a questo punto le 3 qualità percettive umane s’incontrano.

Osho racconta che vi è un punto in cui confluiscono tre fiumi, il luogo viene detto “sanghan” perchè è una confluenza di acque. In India il più grande “sanghan” è il Preyag in cui s’incontrano Gange, Jumna e Saraswati, di cui Gange e Jumna sono due fiumi veri e fisici mentre il Saraswati è un fiume invisibile perché è solo simbolico. Nella nostra vita dovremmo trovare il “sanghan” in cui riuniamo la Matematica, la Musica e la Meditazione, e in cui diventiamo lo scienziato, l’artista e il mistico, poiché il lavoro nostro è interiore ma anche esterno.

L’uomo può trasformarsi in un luogo sacro che gode della benedizione del cielo e della terra, quando nasce un Buddha nel nostro corpo, perciò viviamo in una terra che diventa il Paradiso del Loto: ecco tutta la sintesi di "tutto ciò che Dio è" infatti la sintesi di cuore, di mente e di anima ci fa accedere ad una suprema verità e alla somma conoscenza. Conoscere equivale a trasformare, e la conoscenza eleva sempre la nostra comprensione fino alla vetta suprema.

Conoscere non significa accumulare nozioni o letture, conoscere non equivale a ripetere le idee ripetute dagli altri, ma significa vivere sulla propria pelle quello che si sente nel cuore, conoscere significa pensare quello che si proclama, e saper vivere tutta la conoscenza acquisita, nell’azione a cui lo spirito ci chiama e ci attira come una calamita. In questo stato conosciamo l’allineamento di cuore, mente e anima che raggiungono lo spirito superiore: qui avviene l’incontro dello scienziato, del poeta e del mistico che rappresentano i tre volti divini che dormono in noi.

Dicono che, nella sintesi suprema, i tre volti divini si fondono, infatti sorge dall'interno la certezza che: “Ahman Brahmasmi!” cioè che “Io sono Dio!” e veramente diventiamo questa verità, poiché prima di quel momento non eravamo altro che un piccolo seme. Ma se il seme che noi siamo viene annaffiato, allora fiorisce diventando il Loto dei Mille petali, il nostro Fiore d’Oro che è eterno ed immortale, infatti è la verità che tutti i Buddha vengono ad insegnare sulla terra e che tornano a ricordarci, nel corso dei tempi.

Buona erranza
Sharatan

martedì 16 novembre 2010

Il cabalista e l’avaro


Shneur Tzalman di Lyady era il maestro di un gruppo di iniziati mistici, ed era amico del maestro Menachem Mendel e del maestro Levi Izhak: i tre erano membri del consiglio dei saggi della loro comunità. Un giorno si riunirono insieme per discutere su come trovare il denaro per dare la dote ad una giovane orfana, poiché la giovane non poteva sposarsi. I tre mistici cabalisti non erano affatto persone astruse dai problemi materiali della comunità e si presero molto a cuore questa causa caritatevole.

La dote era una necessità a cui non si poteva ovviare in alcuna maniera, e la questione sarebbe rimasta insoluta se loro non avessero trovato una soluzione: la problematica li assorbiva profondamente, perciò si riunirono a discutere su una possibile soluzione. Alla fine il maestro Shneur Tzalman disse di avere la soluzione: “Ho deciso. Nessuno tra quelli che conosciamo può fare una buona donazione, chiederò il denaro all’unico che ha una ricchezza sufficiente per aiutarci. Andrò dall’avaro che vive nell’enorme casa ai margini della città.”

I suoi amici rimasero sbalorditi, e Menachem Mendel gli disse: “Cosa dici? Non puoi andare dall’avaro, non ti darà nulla, e non si farà sfuggire l’occasione per umiliarti.” A quelle parole, anche il maestro Levi Izhak cercò di dissuaderlo: “Maestro, non puoi lasciare che il tuo onore sia umiliato da un individuo simile. Non andare, dovresti affrontare una umiliazione sicura.” Shneur Tzalman di Lyady era deciso, e non si lasciò persuadere affatto. Allora gli chiesero di poterlo almeno accompagnare per difenderlo dal peggio.

Quando i tre santi uomini furono giunti alla porta dell’avaro, e chiesero di essere ricevuti ebbero la felice sorpresa di essere ricevuti con tutti gli onori, infatti gli vennero servite delle bevande e del cibo di prima qualità. Furono fatti accomodare in una elegante sala da ricevimento, e furono intrattenuti dall’avaro con una conversazione amabile e cortese. Dopo essersi intrattenuti il tempo necessario richiesto dalla cortesia dell‘ospitalità, Shneur Tzalman fece la sua richiesta di contributo per la dote della giovane orfana.

Alla richiesta l’avaro diventò meno cordiale, la sua voce si fece dura e aspra, ma disse che avrebbe contribuito secondo le sue possibilità, quindi uscì dalla sala per tornare subito dopo. I mistici restarono attoniti quando videro che l'uomo tornava per lanciare sgarbatamente, a Shneur Tzalman, una piccola moneta di rame mentre diceva: “Questo è tutto quello che vi dono, e adesso andatevene!” A quella sgarbata maniera, gli amici di Shneur Tzalman arsero dallo sdegno, e volevano andare a picchiare l’uomo.

Il saggio maestro riuscì a trattenerli con un gesto della mano, poi raccolse a mani giunte la piccola moneta e fece un bel sorriso all‘uomo: “Grazie per il tuo contributo. Ne sono felice, te ne ringrazio, e lo apprezzo di vero cuore.” Dopo avere ringraziato con educazione, Shneur Tzalman si affrettò a lasciare la casa dell’avaro seguito dai suoi amici sempre più sorpresi per la mite reazione dell’amico, e i rabbini avrebbero ricominciato con le lamentele per non avergli permesso di vendicarlo, quando un rumore di passi e un richiamo, li fermò.

L’uomo avaro li aveva seguiti per lanciare ancora due monete a Shneur Tzalman, dicendo che voleva aggiungerle al suo contributo, e anche questa somma era veramente misera, ma Shneur Tzalman lo ringraziò con lo stesso calore, e fece per andare. Ancora una volta l’avaro lo fermò offrendo una somma maggiore che fu accolta con la gioia dal saggio rabbino, e dopo altri richiami seguiti dai gentili ringraziamenti del sant’uomo, finalmente l’avaro consegnò una borsa con una somma generosa che diventò il totale di una dote cospicua che permetteva il matrimonio della giovane orfana.

Mentre tornavano verso casa i due rabbini, Menachem Mendel e Levi Izhak, erano veramente esterrefatti dalla donazione generosa da parte di un uomo conosciuto come avaro senza cuore, e Menachem Mendel disse a Shneur Tzalman: “Veramente non possiamo crederlo. Ma come hai fatto?” Anche Levi Izhak non potè contenersi e disse: “Sicuramente hai usato una formula d’incantesimo. Hai usato una misteriosa magia per ottenere tanto denaro?” Shneur Tzalman di Lyady sorrise e disse:”Nessun incantesimo e nessuna magia. Non era affatto necessario, io sono un cabalista. Essere un cabalista significa essere pronti ad accogliere tutto ciò che l’altro vuole donarci, e saperlo apprezzare nel momento in cui l’altro ce lo offre.”

Questa storia della tradizione chassidica insegna che spesso non siamo in grado di accogliere gli altri, perché ci facciamo condizionare dal giudizio e dall’indifferenza per il modo di ragionare e di essere dell‘altro. Siamo talmente abituati a vedere solo il livello superficiale delle persone che non sappiamo eliminare le nostre preconcezioni e le aspettative che nutriamo per onoscerli pienamente. Nell’ascoltare non siamo recettivi perché non vogliamo accettare il fatto che le persone sono costituite da luci e da ombre, e che sono come sono: nell’accettazione piena non è previsto di cambiare gli altri per farli diventare come vorremmo fossero.

Se ci pensiamo anche noi siamo degli esseri imperfetti, perciò dobbiamo migliorare, ma questo non avviene per la volontà altrui: le persone sono come sono perciò vanno accolte e rispettate per il loro essere: spesso si cade nella recriminazione perché l’altro non si comporta come noi vorremmo, perciò nasce una scissione in cui l’uno chiede all’altro ciò che non gli può dare. Un atto di maturità e di rispetto prevede che una reciproca accettazione è possibile solo se sappiamo accettare ciò che viene per come gli altri ce lo sanno offrire: questa è una delle cose più difficile da imparare, infatti vorremmo ciò che il nostro egoismo reclama e siamo disinteressati al bene dell’altro.

Per sapere accettare gli altri è necessario sapersi distaccare dall'egoismo, dobbiamo amare le cose che fanno felice l’altro e non imporre le scelte che gratificano il nostro egoismo, infatti se vogliamo ascoltare gli altri dobbiamo saper tacere. Se facciamo tacere la nostra personale gratificazione e il nostro egocentrismo ci accorgiamo che l’accettazione è la massima gioia e il maggior desiderio di ogni essere umano, poiché è così che l’uomo si sente divinamente amato.

Buona erranza
Sharatan

sabato 13 novembre 2010

La maturazione dell’anima


“Ognuno di noi è artista della sua vita:
che lo sappia o no, che lo voglia o no,
che gli piaccia o no”

(Zigmunt Bauman)



Ogni giorno indossiamo abiti fisici e mentali poiché non possiamo mostrare il nostro vero volto, però pensiamo di essere quello che dimostriamo all’esterno. Nella nostra infanzia abbiamo subito il tradimento della nostra vera natura per adeguarci a quello che vogliono gli altri, per questo abbiamo la presunzione di conoscerci bene. Se non ci fossimo adeguati ora saremmo abbandonati nella solitudine, perciò ci adeguiamo alle opinioni estranee e viviamo nell’impossibilità di sentirci autentici.

Abbiamo dimenticato la nostra essenza e la nostra natura poiché raramente veniamo educati da persone che ci aiutano a non dimenticarci di come siamo, raramente veniamo educati senza subire delle forzature violente sul nostro essere. E’ molto raro, ma è una benedizione, avere ricevuto una educazione in cui ci viene insegnato a pensare con la nostra testa, in cui ci viene detto di seguire le nostre intuizioni, in cui viene rispettata la nostra natura senza modificarla forzatamente, in cui ci viene detto che siamo adeguati e possiamo affrontare la vita con serenità.

Il messaggio educativo è spesso del senso opposto, altrimenti l’uomo non sarebbe tanto incapace e goffo come appare nella realtà. La personalità umana viene strutturata in modo da generare un pensiero paranoico, infatti si teme il cambiamento come una disgrazia, si mantiene rigido il modo di ragionare, si diventa malfidati di tutti. Si crede che la vicinanza umana sia pericolosa, poiché il contatto ravvicinato può procurarci troppo male se ci lasciamo coinvolgere, perchè diventiamo troppo fragili e indifesi.

Dobbiamo evitare di essere troppo evidenti, poiché brillare della nostra luce ci rende visibili e attaccabili nella nostra diversità: di conseguenza non abbiamo il coraggio e la voglia di essere autentici. Nella società massificata, il manifestare la propria essenza viene pagato con la solitudine e con l’isolamento, perciò ogni sincera manifestazione viene evitata. Erroneamente si crede che la solitudine sia lo stare da soli mentre, invece, la vera solitudine è il sentirsi vuoti e isolati restando in una compagnia che non ci dona alcuna gioia di vivere: la vera solitudine umana è il procedere isolati, mentre si procede insieme agli altri.

I cabalisti dicono che l’uomo non nasce con l’anima completa, ma nasce con una consapevolezza e uno sviluppo dell’anima che si ottiene con il tempo infatti, nella vita dell’individuo, vi sono 5 anime che si manifestano progressivamente, e che rappresentano i 5 stadi diversi di un viaggio spirituale che facciamo verso la realizzazione. Quindi, il nostro viaggio spirituale dura per tutta la vita, perché la nostra maturazione è il prodotto della volontà personale e delle caratteristiche della nostra impronta spirituale.

Al momento della nascita abbiamo l’anima “Nefesh” che è donata all’inizio della vita essendo degli organismi biofisici con delle qualità uniche, sia a livello vitale che energetico. Già nell’infanzia noi non ci sentiamo più fusi, perciò l'anima “Nefesh” va sostenuta da una presenza fisica ed emotiva che si prenda cura di noi, e che ci rende sicuri e soddisfatti: della qualità positiva di questo accudimento noi risentiamo nella nostra fiduciosa aspettativa futura nei riguardi della vita.

Nell’adolescenza sperimentiamo l’anima “Ruach” che è“vento” o “spirito” oppure “tempesta” perchè la sola soddisfazione fisica diventa insufficiente per renderci felici. In questa fase non siamo soddisfatti perchè vi è un sentimento che soffia nel vento del nostro scontento, perciò sentiamo questo soffio freddo e siamo privi di tranquillità: nell’adolescenza si vive tormentati e travagliati dai conflitti e dai dilemmi, perciò siamo in guerra con l’intero mondo.

Quando siamo travagliati viviamo incompresi ed infelici, ma siamo anche "chiamati" dalla nostra grandezza, perciò restiamo aperti alle esperienze spirituali profonde, in quanto ci rendiamo aperti e disponibili alla ribellione contro le nostre limitazioni. Noi sentiamo l’anima “Ruach” quando viviamo dei periodi di crisi perchè emerge quando ci sentiamo insoddisfatti da ciò che abbiamo, in quanto non avvertiamo più l’apprezzamento di ciò che possediamo: è in questi periodi che abbiamo la necessità di riscoprire la nostra individualità e la nostra unicità per sentirci vivi.

Nella terza fase nasce l’anima “Neshamah” in cui la nostra impronta animica diventa molto più profonda, poiché “Neshamah” significa “respiro” ed è il respiro del nostro spirito che ispira, la consapevolezza spirituale dell’impronta che ci rende unici, essendo degli esemplari che non hanno uguali. Le fasi di “Ruach” e Neshamah” spesso s’intrecciano per farci capire che i nostri caratteri distintivi sono irripetibili e preziosi, ma sono anche molto difficilmente comunicabili agli altri.

Non è facile comprendere che la condivisione inizia quando riusciamo a riconoscere reciprocamente le difficoltà e le carenze infatti, è solo quando l’altro ci accoglie nelle nostre limitazioni, nei nostri dolori e nelle nostre difficoltà che ci sentiamo colmi e pienamente appagati. E’ in quel momento che sappiamo di avere trovato delle persone che ci tengono così tanto alle nostra impronta d‘anima, da riuscire a condividere e amare il nostro essere, che è composto di ombra e di luce, perciò ci sentiamo accettati e amati pienamente.

Al quarto stato l’anima è “Chaya” cioè “energia vitale” in quanto siamo vivi e vibranti nella nostra risvegliata individualità: è quando siamo così vivi e vibranti di energia, è quando siamo tanto aperti e recettivi che qualcuno potrebbe approfittare della nostra vulnerabilità e tenerezza, perciò questo livello non viene tenuto per molto tempo, ma emerge solo in circostanze straordinarie. Tutti sanno ricordare le sensazioni di apertura e di tenerezza dei momenti di maggiore gioia e di maggiore dolore, che sono le vette e gli abissi della vita di ognuno: queste sono le sensazioni dell'anima “Chaya.”

Al quinto livello dell’anima giungono solo pochi individui eccezionali, infatti lo stadio “Yechida” viene dalla radice “yachad” che significa “singolare” o “speciale” oppure “solo” ma anche “insieme.” E’ questo il punto in cui l’individuo si sente fuso e incluso pienamente nelle braccia del Tutto pur restando consapevole delle sue caratteristiche personali, esso è pienamente incluso pur restando speciale ed unico, e ci sentiamo accolti e cullati dall'Anima Universale.

Nella cabala si afferma che il primo uomo, Adamo, non era ancora stato diviso quando poteva contemplare il viso di Dio perciò sappiamo che, all’apice di questa fusione, noi siamo consapevoli della nostra personalità unica mentre riposiamo nel Tutto. Nella evoluzione “Yechida” entriamo nel mondo spirituale più elevato, in cui vi è il silenzio in cui ci ritiriamo per conoscere cosa siamo, e per ascoltare pienamente noi stessi.

Nella vita pratica il misticismo cabalista ci suggerisce di saperci chiedere se le strade che intraprendiamo nella vita, sanno conciliarci veramente a noi stessi, se conciliano la nostra armonia interiore, se le sensazioni e le esperienze che facciamo sanno infonderci soddisfazione e piena realizzazione. Quale gusto ha la nostra vita? Sentiamo un sapore soddisfacente, e siamo appagati dalle nostre scelte? Viviamo delle scelte che ci lasciano con l'amaro in bocca?

La prova del nove con cui testiamo i rapporti è il modo con cui viviamo il silenzio nello stare insieme, poiché il silenzio può attestare sia l'assenza che la presenza dell'altro. Molte persone passano ore in compagnia restando in silenzio, ma si sentono felici ed appagati mentre, altri restano silenziosi poiché non hanno dei contenuti con cui colmare il vuoto della comunicazione, infatti vi è l’assenza di ogni condivisione e ognuno vive nel suo mondo, pur restando insieme.

E’ nel silenzio della presenza che noi siamo in totale condivisione d’anima, poiché il nostro silenzio è talmente denso e pieno di significato che non possiamo trovare delle parole per esprimere l’estasi del momento. Nessuna parola può essere inventata, nessun linguaggio umano può esprimere la gioia e la pienezza di cui si gode quando la reciproca impronta viene testimoniata, e quando l’altro riesce a comprenderla e ad accoglierla totalmente. D’altro lato cosa si potrebbe dire che l’altro già non sappia, cosa potremmo comunicare se la nostra unione ci rende un tutt’uno?

Buona erranza
Sharatan

martedì 9 novembre 2010

Come il fiore del girasole


“Se c’è un peccato contro la vita, è forse non tanto disperarne,
quanto sperare in un’altra vita,
e sottrarsi all’implacabile grandezza di questa.”

(Albert Camus)


Appare evidente che l’uomo possiede infiniti modi per disintegrare sé stesso, ma non riesce con la stessa facilità a risanarsi. Dicono che l’uomo sia come uno straniero per sé, infatti non ci conosciamo se non per le immagini che il mondo ci rimanda. Di certo si vive nell’illusione di poter conseguire la felicità, ma questa gioia non ci è accessibile, poiché non sappiamo come fare la ricerca.

Thich Nhat Hanh dice che l’uomo non sa scendere nella sua intimità, poiché non siamo abbastanza intelligenti per identificare le nostre percezioni erronee e non sappiamo come rimuoverle, infatti anche il maestro Lin Chi affermava che, se abbiamo problemi, è perché non abbiamo abbastanza fiducia in noi stessi. Noi andiamo alla ricerca di maestri, di verità e di illuminazioni, ma non crediamo di avere già tutto quello che ci è necessario dentro di noi.

Se non ci comprendiamo non possiamo comprendere gli altri, perché siamo come un seme in cui dorme il girasole che sboccerà in futuro: in quel seme vi sono tutte le generazioni passate, c’è la nostra natura e vi sono contenute tutte le potenzialità, così come tutte le esperienze e tutti i talenti necessari, perciò non dobbiamo correre dietro ad altri semi per poter credere a questa verità.

Se non comprendiamo noi stessi, non possiamo neppure comprendere gli altri, perciò ci troviamo in una terra in cui viene parlata una lingua che non conosciamo, infatti diventiamo stranieri quando non possiamo comunicare con nessuno, perciò siamo soli e ci sentiamo isolati. Il problema è che, intorno all’uomo, è stata costruita una conchiglia che ci isola e che chiamiamo il “sé.”

E’ dentro la conchiglia che restiamo isolati, perciò non riusciamo a sentire che non siamo soli poiché, se guardiamo in profondità, vedremo che in ogni nostra cellula vi sono i nostri antenati, ma anche i nostri figli e i nostri nipoti, infatti in noi vi è l’intero passato, vi è il presente e vi è il futuro, ma noi non lo crediamo. Se sappiamo restare concentrati nel momento presente avvertiamo il seme migliore che sta maturando in noi, per farci divenire lo splendido girasole.

Se riusciamo a guardare in profondità vediamo che, al nostro interno, vi è un bambino a cui non lasciamo la voce per parlare, ma se lo facessimo il bambino ci chiederebbe la luce e l’amore, poiché la sua natura è quella del fiore che vuole bere, che vuole il sole, il calore e delle cure amorevoli per fiorire. Noi lasciamo rinchiuso il nostro bambino dentro quella conchiglia in cui è recluso come un rifugiato, dove gli viene offerta solo la possibilità di sopravvivere, senza alcun diritto alla felicità e alla libertà.

Quel bimbo prigioniero è un rifugiato che può venire ucciso dal nostro tipo di vita, poiché gli offriamo un ambiente che non è adatto a lui mentre gli dovremmo preparare un terreno in cui sia ascoltato. La nostra società è organizzata in un modo che è ostile alla gioia e alla vita, invece, i bambini hanno bisogno di accettazione, di ascolto e di amore: per questo dovremmo usare il nostro tempo per imparare a connetterci con la parte più profonda e più intima di noi.

Solo se siamo connessi a ciò che siamo veramente sappiamo udire la voce di quel bambino che aspetta solo di parlare per liberarci dalla sofferenza della separazione con quella parte intima di noi, e dal dolore della solitudine. Quando si ascolta in modo profondo una persona, dice Thich Nhat Hanh, noi gli offriamo l’opportunità di poterci rivelare ciò che racchiude nel cuore. L’altro può parlare delle sue esperienze e delle sue sensazioni, in modo che anche noi impariamo vedendo lo specchio dell’altro.

Se diventiamo ricettivi all’ascolto profondo possiamo diventare consapevoli anche dei nostri errori, così come possiamo aiutare gli altri a riconoscere i propri difetti. Nell’ascolto profondo dobbiamo usare gentilezza e delicatezza, dobbiamo offrire la nostra comprensione umana, dobbiamo confortare con una parola amorevole, poiché saper ascoltare gli altri significa saperli accogliere pienamente.

Quando ascoltiamo non dobbiamo farci trascinare dai nostri pensieri, ma dobbiamo restare calmi e obiettivi come se fossimo “testimoni” delle parole altrui: se impariamo ad aprirci e a condividere le nostre esperienze, le nostre gioie e le nostre sofferenze noi acquisiamo delle energie divine che ci salvano. Ma noi offriamo, a queste energie divine, l’opportunità di manifestarsi? Sappiamo offrirci questa opportunità?

L’energia della mente d’amore è sempre presente dentro di noi, e ci offre la sua protezione, poiché spesso veniamo distratti e ci dimentichiamo di ciò che siamo, infatti ci disperdiamo a fare altre cose e ci sfiniamo inutilmente. Dobbiamo sapere che, nell’uomo, è sempre attivo un processo di trasformazione e di guarigione, anche se non lo vogliamo, anche se non ne siamo consapevoli, e anche se non sappiamo come fare.

In noi esistono i semi dell’illuminazione, i semi della compassione e i semi della comprensione, perciò dobbiamo innaffiarli affinché il girasole fiorisca. Quando osserviamo la condizione umana vediamo che essa è piena di violenza, d’ingiustizia e di sofferenza, e questo ci sembra un fatto mostruoso; in realtà, se non ci fosse la sofferenza, l’uomo non potrebbe apprezzare né l’amore e neppure la compassione.

Secondo Thich Nhat Hanh, l’unico luogo in cui si può diventare dei girasoli è nella condizione umana, perciò è qui sulla Terra che possiamo imparare a comprendere e ad amare. Se non ci fosse la sofferenza, come potremmo imparare la compassione e come potremmo coltivare la comprensione? In quale altro luogo, altrove che qui, si può offrire un’accoglienza così piena e totale ad un altro essere umano?

Guardando in profondità scopriamo una terra pura in cui vi sono la concentrazione, la presenza, la comprensione e la compassione, e dove vi è la quiete e il riposo che placa ogni sofferenza. Se cerchiamo la nostra strada all’interno possiamo trovare un sentiero che “sentiamo” ci può portare verso casa, poiché conduce nella direzione giusta e, questo orientamento si rinforza con la fede in ciò che facciamo.

Con questa certezza noi restiamo sereni e fiduciosi, noi ci sentiamo pieni di forza vitale e di energie positive. Naturalmente dobbiamo sempre agire affinché la nostra trasformazione sia sempre più desiderata, e lo facciamo passando al setaccio i semi che giacciono al nostro interno: allora noi raffiniamo la qualità delle sementi che dormono in noi. La medesima cura va dedicata nell’eliminazione dei sentimenti negativi della violenza, della disperazione e della solitudine: solo i nostri migliori semi vanno nutriti e vanno innaffiati solo i semi che ci fanno diventare il fiore che segue il corso del sole.

Se la nostra mente diventa come un campo di battaglia in cui si discute su come combattere, se il nostro tempo viene impiegato ad affilare le armi, se usiamo la violenza e il giudizio, e se vogliamo il dominio, allora annaffiamo i semi della violenza, della disperazione e della solitudine. L’uomo deve vivere in modo consapevole, deve coltivare le qualità dell’ascolto profondo, della parola amorevole, della comprensione e della compassione, affinché il tocco delle sofferenze e delle difficoltà degli altri, riescano a far sbocciare il nostro magnifico girasole.

Buona erranza
Sharatan

sabato 6 novembre 2010

Dal soffio della sua bocca


“C’è una sola e medesima anima in molti corpi”

(Plotino)

Ognuno di noi è immortale perchè la nostra anima vive sempre. Ognuno di noi possiede un’anima che continua ad esistere dopo la morte del corpo fisico, e che ritorna più e più volte in altri corpi, sforzandosi di raggiungere un livello più elevato. Ci sono molte dimensioni, ci sono livelli diversi di consapevolezza in cui vi sono anime che compiono il loro lavoro di raffinamento: il nostro piano di realtà è uno dei piani possibili.

Uno degli scopi principali dell’anima è la guarigione, cioè l’avanzamento verso la guarigione. La nostra anima è vissuta prima e vivrà ancora: questa è la nostra immortalità. Moriamo fisicamente ma, questa parte immortale di noi è indistruttibile ed immortale, infatti l’anima è eterna: in definitiva è probabile che esista una sola anima, un’unica energia che molti chiamano Dio, mentre altri lo chiamano Amore cioè Armonia. Il suo nome non ha importanza poiché l’anima è una massa di energia che si fonde con l’Energia Universale, per poi separarsene di nuovo, pur restando intatta, qualora essa torna ad una nuova vita.

Prima di fondersi con l’Uno, l’anima guarda giù verso il corpo che ha appena lasciato, e compie quella che si può definire una “ricapitolazione” della vita che si è appena conclusa, e lo fa con amorevole benevolenza, non per punirsi o per umiliarsi, ma per imparare. L’anima registra l’esperienze e prova tutte le sensazioni positive e negative della vita appena conclusa; è questo il modo con cui l’anima impara a non commettere atti violenti, ma ad essere compassionevole: terminata la ricapitolazione, l’anima si allontana dal corpo richiamata da una luce meravigliosa.

A volte vengono sulla terra delle anime molto avanzate che si presentano come guru e maestri, e aiutano altre anime a raggiungere più velocemente l’Uno. Ad un determinato livello, l’anima si fonde con la luce, ma conserva ancora la propria consapevolezza, così da imparare anche nell’al di là: si tratta di una fusione simultanea con una luce più grande in cui l’anima prova una beatitudine ed una gioia indescrivibile, pur mantenendo la propria consapevolezza individuale, e sapendo di avere ancora delle lezioni d’apprendere, sia sulla terra che nell’al di là.

Alla fine, secondo i tempi giusti, l’anima decide di tornare in un altro corpo e, nella reincarnazione perde il senso di fusione: noi siamo umani limitati, ma siamo anche immortali, noi siamo connessi a tutte le altre anime e, in una dimensione superiore noi siamo tutti una sola anima. Nella vita terrena siamo animali sociali, e chi non sperimenta tutte le gioie della fisicità, tutti i piaceri dei sensi e della carne non impara per intero quello che la vita ci deve insegnare.

Poiché non possiamo imparare tutto in una sola vita siamo costretti a ritornare molte volte e vivere numerose vite, e ogni volta che ritorniamo lo facciamo per essere guariti dalla violenza, dal pregiudizio e dall’odio, poiché tutta la serie delle nostre vite non sono altro che i gradini di questa scala evolutiva. La Terra è stata creata come un luogo in cui si sperimentano emozioni, sensazioni e relazioni: qui possiamo innamorarci e provare il massimo del piacere e della gioia che la materia densa possa offrire.

Le anime sono tutte senza età, ma alcune progrediscono molto più in fretta, infatti se facciamo la scelta di fare delle esperienze ispirate dall’amore, allora la nostra anima aumenta la corsa nel suo progresso, in quanto possiamo scegliere di accrescere la nostra capacità di amare e di essere compassionevoli. Noi possiamo scegliere la gentilezza, la generosità e il rispetto per fare evolvere velocemente la nostra anima, ed essa evolverà sicuramente poiché siamo immortali, noi siamo eterni e questa immortalità è la nostra benedizione.

In questa vita impariamo ad avere delle relazioni migliori, ad essere più amorevoli, più compassionevoli, e più sani da un punto di vista fisico, emotivo e spirituale. Impariamo ad aiutare gli altri, a godere delle bellezze del mondo, e ad accellerare l’evoluzione e la guarigione: preparandoci all’immortalità futura placheremo le paure presenti, avremo una opinione migliore di noi e cresceremo spiritualmente.

Nel contempo guariremo le nostre vite future, infatti accellerare il corso e ricercare la guarigione nel processo evolutivo è l’azione più terapeutica che possiamo intraprendere, è la cosa migliore che possiamo fare, non solo per la nostra anima ma anche per sanare tutto il pianeta. L’anima impara anche quando è nel mondo spirituale come energia, infatti noi esercitiamo continuamente i nostri talenti e sviluppiamo sempre delle nuove capacità: la nostra evoluzione è un processo che fluisce in tutte le dimensioni.

La mente influisce sulla salute del corpo, e il corpo sulla salute della mente, mentre l’anima è sempre sana, perciò è sempre perfetta: se noi crediamo che l’anima debba guarire è perché non siamo centrati su di essa. La cattiva salute ci rende narcisisti, e il narcisismo ci rende ciechi alla compassione, alla gestione della rabbia e alla tolleranza. Tutti questi elementi, cioè la compassione, l’empatia, la gestione della rabbia e la tolleranza sono le qualità che ci porteranno sempre più in alto nella scala evolutiva.

Anche l’anima prigioniera di un circolo vizioso si può liberare tramite l’amore e la compassione, e con l’uso dell’empatia che è la capacità di mettersi nei panni degli altri, di sentirsi completamente nella loro situazione. Se siamo capaci di provare empatia possiamo stabilire un legame con coloro che soffrono, possiamo gioire dell’amore di una persone, possiamo provare piacere per il successo degli altri, possiamo capire cosa sia la rabbia di un amico e il dolore dell’estraneo.

Usata correttamente, l’empatia aiuta all’evoluzione spirituale, infatti dicono che lo sguardo di Gesù fosse un pozzo senza fondo d‘infinita compassione. L’empatia insegna questa lezione, ed è uno dei sentimenti che siamo venuti ad imparare sulla terra: è una lezione di cui dobbiamo fare esperienza non solo nella mente, ma anche nel nostro corpo fisico, poiché è nella mente e nel corpo che noi proviamo la sofferenza, i sentimenti negativi, le relazioni difficili, i nemici, le perdite e i dolori, e tutte le condizioni in cui ci dimentichiamo degli altri per concentraci solo su noi stessi.

Ma, nella mente e nel corpo, noi abbiamo anche l’amore, la bellezza, la musica, l’arte, la danza, la natura, il sole e l’aria, e desideriamo condividere tutta questa bellezza e gioia di vita ma, senza l’empatia non possiamo trasformare le negatività in cose positive. La nostra coscienza è separata dal corpo, infatti procede per stadi di evoluzione poiché prima è sospesa nel corpo fisico, poi compie la ricapitolazione della vita emotiva, solo dopo può elevarsi.

Quando la coscienza si è elevata lascia indietro il suo corpo emotivo e diventa molto più leggera: in questo stadio diventiamo il corpo mentale per separarci anche da esso, fino ad accedere ad una dimensione in cui siamo liberi di sintonizzare la nostra naturale vibrazione sulle sfere celesti: è in questo modo che raggiungiamo gli stadi più sublimi.

Quando comprendiamo che questi 4 stadi interagiscono e s’influenzano reciprocamente si possono scoprire alcuni indizi, perciò analizzandoli e applicando le conclusioni a cui siamo pervenuti avviamo la guarigione psicologica e mentale insieme a quella fisica e corporea: questa è la guarigione multidimensionale di tutti i corpi energetici.

L’empatia è la chiave per capire e per perdonare gli altri, perché attraverso l’empatia possiamo comprendere le loro paure, le loro convinzioni e i loro bisogni: spesso vediamo che sono simili ai nostri, perciò possiamo capirli anche se non ne condividiamo le convinzioni e le idee. E’ così che sapremo, ad un livello emotivo profondo, da dove nascono i sogni e gl’incubi, e conosceremo l’origine dell’anima nostra e degli altri.

Odiare gli altri equivale a odiare noi stessi, amarli equivale ad amare noi stessi: l’unica via sensata è liberarsi dall’odio. L’empatia guarisce l’individuo e libera dalla malattia il mondo intero, infatti l’empatia è sorella della compassione e figlia dell’amore incondizionato, e l‘amore incondizionato è il soffio della bocca di Dio.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 4 novembre 2010

I figli unici di Dio


“Un individuo non raggiunge l’illuminazione
inventando immagini di luce,
ma portando alla luce l’oscurità.”

(Carl Gustav Jung)


I cabalisti credono che ogni essere umano abbia una indole e un’anima particolari, poiché abbiamo dei tratti che caratterizzano soltanto noi, e che ci definiscono come entità esclusive in tutto l’universo. Le nostre caratteristiche personali sono esteriori ma anche interiori, perciò devono essere riconosciute nella nostra indole, ma anche manifestate esternamente come dei comportamenti e come delle scelte che vengono attuate nel mondo in cui viviamo.

Se facciamo una indagine sui tratti della nostra personalità e sulle tendenze del nostro temperamento facciamo chiarezza sul cammino che percorriamo e sulle impronte che lasciamo nella vita. Mentre viviamo non possiamo fare a meno di cercare quello che la nostra anima, e la nostra vocazione ci invita a riconoscere come prerogative nostre, così che possiamo raggiungere la gioia e la realizzazione nel mondo: l’essere umano, secondo la cabala, è stato creato per ottenere il sommo Bene.

Riconoscere la vocazione della nostra anima equivale a godere e attingere al maggior Bene che ci è stato riservato: è questo che noi dobbiamo sempre credere fermamente, affinché tale realtà si possa realizzare nella nostra vita. Nella cabala non vi è alcun interesse ad analizzare l’aspetto storico delle Scritture poiché, nei cabalisti mistici, vi è la volontà di dare una interpretazione in chiave psicologica e spirituale che possa aiutarci a conoscerci più profondamente.

Secondo i cabalisti l’uomo è stato creato “Bezelem Elohim,” quindi ad immagine e somiglianza di Dio ma, nel mito biblico, si dettaglia molto di più su come viene vissuta la condizione umana, poiché la consapevolezza deve divenire una visione psicologica e morale assai profonda, e una mappa etica interiore che ci possa orientare. Molte persone riescono ad ottenere dei successi nella vita, ma non sono felici, mentre altre persone vivono in condizioni molto meno eccezionali, ma riescono a vivere in modo soddisfacente, poiché ripongono la loro fiducia e la loro stima in sé stessi sapendo apprezzare il proprio valore personale e la propria unicità come anima.

Secondo la cabala è l’impronta della nostra anima che può infondere una luce particolare al mondo, poiché noi e solo noi stessi possiamo impersonare una qualità unica ed irripetibile, perciò diversa da tutte le altre anime. Noi siamo una divinità unica nel mondo e possiamo esprimere questa nostra essenza tramite la nostra impronta animica personale: in questo senso tutti siamo i figli unici di Dio, poiché come noi ci siamo solo noi.

Secondo il rabbino David Gafni, “l’impronta dell’anima è la luce che voi, e voi soltanto siete destinati a far risplendere in questo mondo” infatti non possiamo conoscere il nostro cammino se questa impronta non viene riconosciuta, affinché la nostra Via sia illuminata con una fiaccola che illumina il sentiero che stiamo percorrendo. Ma noi conosciamo veramente noi stessi? Noi conosciamo il senso che stiamo dando alla nostra vita?

Ognuno si costruisce delle filosofie in cui riesce a credere, anche se sono delle verità costruite con dei conglomerati di pensieri che ereditiamo dagli altri: è in queste idealità fittizie che incanaliamo tutta la vita, poiché un orientamento è giusto e necessario per l’essere umano che voglia sentirsi saldo e sicuro. Non è importante se crediamo in degli obiettivi materiali o spirituali, poiché ognuno cerca di dare un senso alla sua vita, infatti tutti devono sapere in quale direzione poter camminare.

Dicono che sapersi porre delle domande sia già un obiettivo encomiabile, in quanto dimostriamo il coraggio di voler conoscere il significato dell’esistenza umana. Victor Frankl diceva che, nell’uomo, c’è la naturale pulsione a cercare il suo significato e il suo valore esistenziale perciò, aldilà del significato che troviamo per vivere la vita, è questa pulsione alla conoscenza profonda che ci guida nel cammino. Ritrovare il nostro originario e autentico significato equivale a conoscere il posto che ci è stato riservato, perciò il posto che è solo nostro nel mondo: ecco l’obiettivo che dobbiamo realizzare!

Nell’uomo vive un forte senso d’isolamento, e ogni sforzo che facciamo equivale al tentativo di ritrovare un senso di fusione con il mondo, perciò ogni nostra azione è rivolta alla ricerca di fusione e di contatti per trovare l’amore e la gioia. Nell’uomo c’è sempre fame di relazioni profonde, perché esse ci tolgono dalla nostra alienazione esistenziale e dalla nostra infelicità essendoci una naturale costituzione umana che è intessuta di unicità.

Nel mito della creazione l’uomo viene condannato all’esilio sulla terra però, nell’interpretazione cabalistica, l’esilio non avviene in un luogo fisico, ma è lo stato emozionale con cui l’uomo vive il suo soggiorno nel veicolo carnale. L’esilio a cui l’uomo viene condannato è la perdita del nostro posto nel mondo, e la solitudine che accompagna questa esperienza è la conseguenza emozionale, perciò viviamo colmi di significati personali che non sappiamo comunicare agli altri.

Nella creazione del mondo, tutte le cose che vennero create furono considerate buone dal loro Creatore, infatti tutte le cose sono poste nel contesto migliore tranne la condizione dell’Adamo originario che era solo: questa è l’unica cosa non buona, poiché l’uomo non è stato creato per vivere isolato. In tutta la realtà materiale vi è una bontà fondamentale ma, nella condizione umana, non vi è alcuna bontà nel vivere soli, infatti gli esseri umani non devono vivere estranei agli altri umani: per superare la sensazione di solitudine, e di mancanza di senso è necessario trovare la connessione e l’unione che ci possa realizzare.

L’essere umano deve procedere verso un “divenire come Essere” in cui si percepisce l’estasi del ricongiungimento con la nostra impronta personale e unica. L’uomo si sente estraniato, poiché è separato e svuotato del suo senso e vive nell’isolamento psicologico e sociale, infatti il nostro mondo riesce a comunicare lasciandoci chiusi e isolati nella nostra solitudine, infatti veniamo dilaniati dalla solitudine degli altri. Nella cabala si crede che la solitudine umana sia l’immagine della solitudine provata da Dio quando si accinse all’opera della sua Creazione perciò, quando ci sentiamo isolati da Dio anche la nostra forza divina si affievolisce.

La solitudine umana è la causa per cui cerchiamo sempre più beni materiali, infatti c’insegnano che l’avere riempie il senso di vuoto che ci rende infelici. L’essere umano anestetizza le sue angosce con la corsa all’accaparramento di cose futili, poiché nell’avere tanto dimentichiamo di ricercare il nostro senso, perciò il nostro “essere.” In tante persone “la fuga dall’essere” diventa una corsa al successo, perciò s’impazzisce qualora ci sentiamo tagliati fuori dal godimento di maggiori quantità di beni materiali, infatti vi è una enorme ingordigia umana che sta fagocitando tutte le nostre risorse.

Il Mahatma Gandhi diceva che il mondo contiene il necessario per tutti i bisogni umani, ma non possiede le risorse necessarie per soddisfare l’avidità di ciascuno, infatti oggi viviamo fagocitando la terra per dimostrare la saggezza di questa verità e la follia della condizione umana. Se “l’essere” è associato ai beni materiali e al successo, allora tutti cercano di avere uno status sociale esteriore che possa suscitare l’ammirazione altrui, tutti cercano un crescente potere con cui affermare il proprio valore personale.

Ma queste sono delle strategie che non soffocano la nostra solitudine, e che non accrescono il senso del nostro valore personale: nessuna di queste strategie illusorie riesce a togliere la nostra sensazione di separatezza. Il problema è che l’uomo ha paura di ammettere e di vivere la solitudine, infatti egli ricerca il successo che lo mette al sicuro dalle sue ansie e dalle sue debolezze: secondo la cabala l’uomo deve saper vivere la solitudine per essere capace di vivere una totale fusione d’amore.

La solitudine umana non è una dannazione, ma è il segno della nostra unicità e della grandezza a cui può giungere l’essere umano, infatti siamo creati per essere entità uniche ed irripetibili, noi tutti siamo degli esseri speciali perché in tutto il mondo non esiste nessun altro come noi, e la nostra impronta d’anima è unica. La finalità dell’essere umano è il godere della gioia e dell’amore, che è il nostro Bene assoluto, perciò dobbiamo sapere che tutti siamo degli esseri unici.

Tutti vogliamo delle cose meravigliose, ma siamo limitati dai condizionamenti e dai sensi di colpa, perciò accettiamo una normalizzazione forzata e accettiamo di sentirci uguali come fotocopie, e così crediamo di poter vivere felici nel soffocamento delle nostre tendenze naturali. E’ nella normalizzazione forzata che perdiamo lo splendore dell’unicità personale, e per paura di scoprire la nostra essenza viviamo la solitudine come una sconfitta e non come conquista.

Per la cabala, la solitudine non è affatto una cosa penosa, ma è il punto di partenza per raggiungere l’amore e la fusione con l’Altro, poiché solo se sappiamo apprezzare la nostra unicità sappiamo apprezzare e rispettare anche l’unicità degli altri. La maggioranza delle relazioni vengono cercate per sfuggire alla solitudine, così ci stordiamo con il denaro, il successo, la droga, la religione, e ogni altro contesto in cui si possa consumare per non pensare: così noi diventiamo bulimici di tutto ciò che desideriamo possedere.

Molti restano soli in mezzo alla folla fingendo di divertirsi mentre sono sempre più insoddisfatti, degli altri cercano delle intimità senza comprendere che saper vivere la solitudine esistenziale e la propria unicità ci fa divenire amici e amanti di noi stessi, perciò noi diventiamo buoni amici e buoni amanti anche dell’Altro. Molti vivono da soli mentre sono nelle braccia dell’Altro perché la solitudine non significa stare da soli, infatti possiamo sentirci soli e abbandonati anche nelle braccia degli altri.

E’ solo quando amiamo il senso della nostra unicità d’anima che la solitudine diventa una eccellenza di condizione, poiché abbiamo acquisito il concetto e il convincimento interno che noi tutti siamo i figli unici di Dio, perciò ci sono state destinate tutte le condizioni di sommo Bene e di gioia: ed è con questa ferma convinzione che possiamo godere e attingere al maggior Bene che ci è stato riservato e che è nostro per diritto.

Buona erranza
Sharatan