giovedì 22 dicembre 2011

L’amore


Adottando un comportamento più dolce, addolcisci il mondo. Poiché tutto ha un inizio dallo stato della tua mente, addestrati alla dolcezza nei tuoi pensieri. Seguendo il filo della dolcezza, finirai per trovare l’amore. Se non si è conosciuto l’amore, è molto difficile distinguere l’amore dalla dipendenza. L’amore che fa male, dell’amore non ha che il nome. Sii presente! Senti! L’amore non promette. L’amore non fa aspettare. L’amore non soffia caldo o freddo. L’amore è buono subito e in ogni momento. L’amore è rigorosamente estraneo ai rapporti di forza, all’esercizio del potere, al perseguimento di interessi.

Vuoi distinguere l’amore dalla sua caricatura? L’amore è liberatore, sia per colui che ama sia per colui che viene amato. Si tratta di un sottile asservimento, di un gonfiarsi dell’ego, di un appesantirsi del fardello della vita? C’è una fattura da pagare? Allora non è amore. Amare senza essere amati, equivale a scegliere di non amarsi, fai entrare il non-amore nella propria vita. Amare qualcuno che vi fa del male equivale, senza giri di parole, a farsi del male.

Più si è in rapporto con l’altro, più si è in rapporto con se stessi. Altrimenti non si tratta di amore, ma di alienazione, di dipendenza, del contraccambio di favori tra ego. Amare non significa essere gentili, fare regali, fare ciò che l’altro domanda, imitare l’amore, volersi riflettere nell’altro, attaccarsi a qualcuno che nutre il nostro ego, voler salvare l’altro, etc,. E’ l’amore pieno, il cuore bruciante, e lui solo, che è la sorgente di ogni conoscenza.. Che sentimento straordinario quello di amare e di essere amati! Di essere in contatto , anima ad anima con qualcuno! Di non essere più soli!

Avere questa esperienza permette di incontrare e di amare se stessi. Avere questa esperienza con se stessi permette di incontrare l’altro su questa base. I bambini giocano. I bambini vivono nell’istante. I bambini partecipano alla danza cosmica. I bambini amano senza contropartita. Gli innamorati sono bambini. Qualunque sia la relazione nella quale investi, che la tua unica motivazione sia l’amore. Puoi sapere chi sei solo se sei stato amato.

Cosa significa “essere stato amato”? Significa che i tuoi genitori e le persone a te vicine si sono rivolti a te in qualità di anime. Ciò significa che sei stato iniziato alla danza cosmica. Significa che sei stato amato incondizionatamente (non esiste altra maniera di amare). Ciò significa che il tuo affetto spontaneo per le persone a te vicine non è stato utilizzato per nutrire il loro ego, per veicolare il loro narcisismo, o la loro paura, o la loro colpevolezza, o il loro dolore, etc,. In una parola, al bambino che eri è stato dato lo spazio necessario perché riconoscesse la luce nella sua anima? O forse i tuoi genitori ti hanno educato ad alimentare un ego complementare al loro?

Se pensi di non essere stato amato è inutile alimentare accuse senza fine, rinfacciare e nutrire risentimento. L’unico rimedio, il rimedio sovrano è che tu ami te stesso. Invece di condannarti, dai la migliore interpretazione dei tuoi pensieri, delle tue intenzioni, dei tuoi atti. Senti l’amore che avvolge tutti gli aspetti della tua soggettività. Smetti di odiarti. Sei buono. Smetti di giudicarti. Sei innocente. Amati per come sei, amati ora. Se tu non ti ami, come puoi domandare loro di amare qualcuno che tu non ami? Nessuna persona ragionevole potrebbe seguirti. Attireresti solo dei folli…

Non appena tu ti ami, hai molto meno bisogno dell’amore degli altri, poiché ormai sei amato (a)! Amandoti, essendo amato (a), non ti butterai più tra le braccia di chiunque per fuggire dalla tua solitudine. Dal momento che ti ami, sai fino a che punto sei prezioso (a) e vuoi il tuo bene. Solo allora potrai scegliere, scegliere veramente, scegliere qualcuno che ami e che ti ama. Chi non si ama utilizza gli altri per colmare i suoi deficit, cerca un ego complementare al suo. Si possono amare veramente gli altri soltanto se si ama se stessi.

Amarsi, amarsi veramente, non in maniera astratta, in generale, perché si deve, ma amarsi d’amore, come si è, con i dettagli del proprio corpo e del proprio carattere, non di un attaccamento narcisistico, ma di un amore dell’anima e che si rivolge alla scintilla. Amarsi non significa domandare al proprio specchio se siamo i più belli. Questo non è amare, amare con il cuore. Guardare la propria immagine equivale a vivere nel terrore del fallimento. L’amore non vuole che tu rispecchi un ideale, l’amore non è orgoglioso, non disprezza gli altri, l’amore è molto semplice: l’amore non vuole che tu soffra.

Quando capisci che tu combatti sempre contro te stesso, che è te che non ami quando detesti l’altro, allora abbi compassione di te stesso. Senti la sofferenza che si nasconde dietro alla tua collera, alla tua rivendicazione, al tuo risentimento. Senti la mancanza d’amore. E questo amore che tanto manca donalo. Capisciti, perdonati, amati. Poi dai questo amore anche all’altro. Colui o colei che si trova proprio di fronte a te. Ama il prossimo tuo come te stesso. “Amerai il prossimo tuo come te stesso.” Non sempre il senso di questa formula è stato capito, ovvero: amerai il tuo prossimo proprio nella misura in cui ami te stesso. Come te stesso. Non si tratta di un’esortazione autoritaria: “Amerai il prossimo tuo come te stesso!”

E’ l’enunciato di un rapporto immutabile, di una relazione quasi matematica tra l’amore di sé e l’amore del prossimo: “Amerai sempre il tuo prossimo esattamente come ami te stesso”. Se ti ami male, lo amerai male. Più sarai capace di amarti, più sarai felice e saprai amare meglio il tuo prossimo. Sei il più vicino di ogni tuo prossimo. L’osservazione microscopica dei nostri pensieri rivela che diamo costantemente , sebbene quasi inconsciamente, un giudizio negativo su noi stessi, le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri. E’ difficile smettere di giudicarsi, è difficile smettere di soffrire, è difficile amarsi, poiché la denigrazione di sé è un riflesso intimo della nostra mente. L’amore richiede un decondizionamento energico, intenso e prolungato. Dobbiamo anche abbandonare l’idea che ci è difficile amare.

L’ego vuole estendere l’ego in ogni direzione. La sofferenza genera sofferenza. L’amore risveglia l’amore. Solo l’amore comprende l’amore e rivela l’amore a se stesso. L’amore ama gli esseri per come sono. I moralisti hanno gioco facile nel sottolineare che l’amor proprio costituisca il motivo quasi esclusivo dei nostri pensieri, delle nostre parole e dei nostri atti. Ma dimenticano di segnalare che questo io, oggetto del nostro amore, può presentarsi sotto due aspetti, molto differenti tra loro. Il primo io è separato dal mondo, bugiardo, seduttore, aggressivo, narcisista, geloso, avido, impaurito o che prova vergogna. Il secondo io, più ampio e più vero, avvolge il mondo. Si può scegliere il proprio amor proprio.

La terra sostiene tutto ciò che vive, il sole rischiara senza distinzione l’infinita varietà di esseri. Quando ti sarai riconciliato con il tuo ego, con la tua sofferenza, con la tua insensibilità, potrai amare il mondo con amore universale. Amati e il Cielo ti amerà. Hai paura di rimanere sola, eppure sei con il divino in ogni istante. Temi la solitudine mentre potresti essere la tua migliore amica. Queste due frasi hanno esattamente lo stesso senso. La nostra felicità non dipende che da noi, poiché essere felici equivale ad amare se stessi. Amare se stessi, d’accordo, ma chi si intende con “se stessi”? Non ci si può amare se non ci si conosce! Ma ci si conosce solo se ci si ama.

Conoscersi significa distinguere l’io (la luce dell’istante che avvolge il mondo) dall’ego (l’immagine che copre i meccanismi della sofferenza e che si spaccia per noi). Non appena conosciamo noi stessi come scintilla del fuoco divino, ci amiamo. Non si può conoscere se stessi senza amarsi. L’amore è il sole delle anime. Amare l’altro significa riconoscere e volere che il mondo dell’altro sia bello. Ora, tutti i mondi si implicano reciprocamente. Poiché siamo il mondo, amare consiste nel vivere unicamente la vita dell’anima. Allo stesso modo, equivale a non aggredire noi stessi e a non aggredire l’altro: si tratta sempre del nostro mondo. Quando realizziamo l’unità dell’anima e del tutto nel presente, non possiamo non amare.

E’ impossibile comprendere qualcosa senza prima aver compreso la bellezza che gli appartiene. Se non vi è distinzione tra sé e il mondo, odiere qualcuno equivale a odiare se stessi. L’essere risvegliato ama assolutamente tutti perché è in pace con se stesso, con l’istante, perché tutto è bene esattamente come è, perché non spera niente di più né di meglio, perché non paragona ciò che esperisce a ciò che dovrebbe essere. Il suo amore e la sua compassione irradiano assolutamente su ognuno, perché non vi sono persone, ma solo l’istante. Sente la bellezza dell’istante. E’ l’istante. Non ci sono sforzi da fare per amare gli altri.

La conoscenza suprema, quella che fa accedere alla conoscenza che la vita ha un senso, è l’esperienza dell’amore, della tenerezza e della compassione incondizionata. Un’anima salvata (amata, che ama e irradia) rappresenta la possibilità di svegliare altre anime. Questa catena d’amore, questo propagarsi della dolcezza tra gli esseri, è la sola vera religione. Onora in ogni essere l’amore che ti fa nascere in continuazione. L’amore è la conoscenza, perché senza amare né essere amati non vi è alcun modo di orientare la propria vita. L’amore è il polo magnetico e la bussola.

Chi ne è sprovvisto si trova completamente perduto. L’esperienza dell’amore è la luce e la vista. Chi ne è privato vive nelle tenebre. L’amore è la sorgente, il centro, il punto d’appoggio assoluto di ogni conoscenza, il riferimento ultimo. Sapere, nel senso più fondamentale, è avere sperimentato, incontrato, conosciuto il gusto e la struttura dell’amore. Si conosce solo se si ama. L’amore si sente, come la luce. Amare e conoscere sono esattamente la stessa dilatazione della luce.”

(Pierre Lévy – Il fuoco liberatore)

domenica 18 dicembre 2011

Un Sé più profondo


“Dichiaro che all’interno del corpo,
pur se mortale e lungo solo sei piedi,
risiedono il mondo e l’origine del mondo,
e il cammino che conduce a ogni fine.”
(Dhammapada)

Il mondo spirituale è qualcosa che l’anima percepisce come estraneo, perché possiede delle qualità e delle condizioni che nessuna esperienza sensoriale può fornire. L’anima vede il mondo spirituale come qualcosa di sconosciuto che gli risveglia un senso di vuoto, di desolazione e di abbandono. Gli uomini provano questi sentimenti quando si sentono impotenti, perchè crediamo essere vero solo ciò che ci appare familiare e tendiamo a fuggire davanti a quello che non conosciamo o che temiamo, e il resto non ci interessa.

Nella coscienza non può entrare qualcosa che sia percepito a sua insaputa, perciò cerchiamo delle prove che ci dimostrino la verità delle nostre concezioni, ma tale ricerca rivela il timore interiore che proviamo. Non si diventa scettici dell'aspetto spirituale se non ne abbiamo paura, perciò tutte le forme estreme di materialismo nascondono il timore che quelle idee possano diventare inquietanti, e lo stesso meccanismo di timore e di inadeguatezza a padroneggiare le cose si rivela in chi teme e rinnega totalmente il mondo fisico.

Per riconoscere che la realtà materiale sia il prodotto dello spirito dobbiamo avere grande equilibrio e convinzione interiore altrimenti è difficile che sappiamo ammettere che il corpo fisico sia il prodotto del corpo sottile soprasensibile cioè del corpo eterico, e che il corpo eterico sia contenuto nel corpo fisico apparendo come il suo nucleo denso. Dobbiamo avere uno sguardo molto profondo per percepire l’uomo come una nuvola con un punto denso nella parte centrale, perciò non è facile ammetterne la verità di un'idea così anomala, così come riesce difficile concepire, in modo simultaneo, la doppia prospettiva del soggetto che osserva e di essere l'oggetto dell’osservazione.

Non sappiamo stare nella coscienza unitaria se percepiamo delle distinte entità che vivono al nostro interno, infatti siamo spaventati e inquieti del fatto, perchè non sappiamo esaminare il fenomeno senza avere paura del risultato dell’osservazione. Se pensiamo al corpo eterico come a una parte esterna a noi stessi abbiamo una pari difficoltà a percepire lo spirito che ci abita, non sappiamo pensare che lo spirito non sia distinto dal corpo fisico, perciò fatichiamo a capire che la realtà esterna non è mai indipendente dalla realtà interna dell'osservatore.

La dimensione reale non è prodotta dalla lotta di realtà opposte, perchè la percezione è vedere come si manifestano i livelli di realtà, perciò nel saper vedere tutte le implicazioni delle cose esistenti nella realtà in cui viviamo. Nella coscienza ordinaria il concetto dell'io viene collegato al corpo concreto, perciò l’io si percepisce come l’entità solo se si sente racchiuso nel corpo fisico. L'esterno viene percepito come qualcosa che resta distinto da noi, perchè questo ci serve per sentirci un'entità autonoma che esiste percependosi come entità differenziata dal mondo.

Diventa difficile poter conoscere la nostra parte soprasensibile se si continua a pensarla in questo modo, infatti è difficile concepire che esista una parte eterica che possa essere in contatto con delle forze e degli esseri eterici che vivono nell’ambiente, e che il nostro corpo eterico possa avere dei contatti con questi esseri e con i loro processi energetici. Ma, per la parte eterica non ha senso pensare che possa esistere una differenza tra l’interno e l’esterno, perché l'eterico vive sempre in armonia con il suo ambiente, infatti gli esseri eterici esistono in un mondo libero e non hanno bisogno di essere limitati per essere integrati in loro stessi.

Sono gli uomini che hanno la sensazione di poter esistere solo se si pensano come tali nel loro pensiero, infatti abbiamo la necessità di essere contenuti in qualcosa per percepire l'Io. Gli uomini comunemente non sanno che, nella parte più intima della componente eterica, possono vivere degli esseri, delle forze e dei processi energetici che sanno agire come il pensiero agisce nella mente. Ma, a differenza del pensiero, questi esseri e le loro forze, non devono essere percepiti come degli estranei o dei nemici, ma devono essere ritenuti come ciò che fa parte della parte più intima della nostra anima.

Per conoscere la nostra parte soprasensibile più elevata dobbiamo avere una grande consapevolezza, perciò dobbiamo avere una forza interiore che è maggiore di quella che viene richiesta per riuscire ad affermarsi come individualità nel mondo fisico concreto. Penetrando nella parte più elevata del soprasensibile, all’anima viene richiesto uno sforzo maggiore di quello che è ritenuto necessario per potersi affermare come entità nel mondo materiale, perciò la preparazione alla visione più elevata richiede un duro lavoro di rafforzamento interno.

Il lavoro di rafforzamento deve portare l’anima a sentirsi un essere libero e autonomo nel suo modo di pensare, però deve anche rafforzare la certezza di poter ospitare nella coscienza delle forze e delle entità che fanno parte integrante dell'essere nostro più intimo. La quantità di forza che permette all’anima di potersi affermare nel mondo concreto è già presente internamente, anche se non sappiamo di averla, ma essa è sufficiente per avere la percezione di essere delle individualità diverse dal mondo.

Nell’anima possediamo una certa quantità di forza e la nostra riserva è sufficente solo per la nostra vita ordinaria, perciò per spingersi a vedere maggiormente è necessario uno sforzo maggiore, perché lo sforzo serve per comprendere il pensiero e ammettere l’esistenza di queste entità e forze spirituali interiori che siamo noi stessi, ma anche qualcosa di maggiore. La nostra preparazione avviene acquisendo una maggiore chiaroveggenza che insegna a vedere tutti i livelli e i modi che sono usati dallo spirito per manifestarsi nella materia.

Se non coltiviamo la certezza dello spirito non sapremo accettare che una concezione simile possa essere vera, perciò avremo il timore dello spirito sentendolo come un elemento destabilizzante, e conserveremo l’illusione che l’unica realtà vera sia quella concreta. L’illusione aiuta il corpo fisico a controllare la paura di essere divorato e annullato dal mondo spirituale, però ci impedisce di vedere il corpo eterico che c'è “dietro” il nostro corpo fisico, perciò non vedremo nemmeno il mondo soprasensibile che esiste “sopra” il mondo della materia.

Se arriviamo a vedere il mondo spirituale, la coscienza chiaroveggente può trovare “qualcosa di sostanziale, dotata di autonomia parziale, proprio come nel mondo dei sensi” perciò possiamo vedere che “la coscienza fisica trova pensieri che non hanno autonomia, né esistenza propria” come dice Steiner. L'entità superiore si può vedere nel suo contesto maggiore se viene pensato che essa possa sentire di essere se esiste correlata all'esterno come le varie membra sono correlate al corpo, perciò si riesce a pensare al rapporto che può creare un corpo maggiore come prodotto dell'assieme di tante parti semiautonome.

La coscienza soprasensibile deve saper vedere che esistono anche altri esseri spirituali che si sono differenziati in modo autonomo, e che essi fanno parte del mondo spirituale, perciò si deve credere che tutte queste forze sono funzionali per poter creare la struttura del corpo spirituale dell’umanità, che è il Corpo Vitale della terra. L’entità umana, nella sua parte eterica, deve sentirsi una parte del corpo vitale terrestre e deve sentire il fatto come un rafforzamento, infatti l’anima deve sentire che l’elemento spirituale della terra è fatto di tante entità di specie diversa e noi siamo affini a tutti loro, perché nel mondo c'è bisogno di tutto quello che esiste.

Nell'universo esistono delle forze e delle entità che sostengono il tutto, infatti esistono delle entità che governano la durata delle altre cose, esistono le entità che reggono le forme e la solidità materiale, esistono delle altre forze che governano la gravità, e poi ci sono anime elementari che governano la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco. Dobbiamo pensare che esistono anche delle sostanze eteriche che non hanno lo stesso livello di sviluppo degli elementi terrestri, perché possiedono una natura di qualità tanto elevata che la mente stenta a concepirle.

Per comprendere l'aspetto soprasensibile delle sublimi entità spirituali, dobbiamo sapere che la Terra si è evoluta dalla Luna, e che l’antica Luna è un pianeta ormai scomparso, perciò dobbiamo sapere che la metamorfosi continua perché siamo diretti verso un nuovo mondo spirituale futuro, ed esso simbolicamente è detto di Giove. La conoscenza antica dice che il nostro mondo è il frutto di tre successivi stati planetari e che il nostro mondo è la preparazione del mondo futuro, perciò l’uomo è calato nel corpo fisico per potersi conoscere come entità autonoma, ma ha pure la necessità del corpo eterico per potersi ricordare che fa parte del corpo vitale terrestre e che segue un'evoluzione, perciò evolve come evolve la terra.

Se l’anima non riconosce il fatto e se si oppone alla concezione è solo perché la teme, infatti è necessaria una coscienza molto robusta per poter credere e accogliere questa verità nell’anima sentendola come una cosa che fa parte dell'essere più intimo. Credendo questo, possiamo sentire nell’anima l’esistenza di un “nucleo interiore” che è autonomo e che resta tale anche nel tempo che c'è tra la morte e la nuova vita. Infatti la coscienza deve imparare a riconoscere nei suoi strati più profondi l’esistenza di un essere di cui essa si sente figlia, e di cui è figlio anche il corpo fisico con tutte le sue caratteristiche e le sue qualità, perché il corpo è il veicolo in cui questa coscienza ha scelto di essere custodita.

Solo con il corso di vite differenti l’anima può imparare a riconoscere e discriminare i processi di maturazione dell’entità spirituale che ospita, perciò l'anima con il tempo si sottrae al corso del suo tempo ordinario. Nel periodo che vive tra la nascita e la morte, l’anima impara a sentire che l’entità interiore diventa sempre più forte e più autonoma, infatti nel tempo si impara che l’entità si comporta come il seme e che essa diventa la gemma che si schiude. L’essenza interiore nel tempo si comporta come il germe da cui può originare la pianta, perchè essa stimola il nostro sviluppo e ci cura per farci fare una trasformazione evolutiva.

Il germe che vive interiormente è il seme dello spirito che dorme nel nostro nucleo interno, perciò nel corso delle esperienze di vite successive esso può costruire un pensiero che dimostra nella trama delle nostre vite successive. Dentro il nucleo dell’anima c'è un essere che resta relativamente autonomo dall’anima, e che può trasportare ciò che l’anima ha prodotto dalla vita presente alla successiva. Questo essere determina le condizioni spirituali che avremo nell’esistenza futura, e ci farà ripetere le esperienze a cui non siamo stati adeguati e tutto quello che non abbiamo saputo vivere quando eravamo nell’involucro carnale.

La vita attuale è il risultato di vite vissute in epoche passate, perché l’anima è riuscita a sviluppare un germe che può sopravvivere alla morte del corpo, infatti quello è l'elemento che, dopo la morte fisica, può ascendere allo spirito. Nel mondo spirituale il germe affronterà il lavoro preparatorio che è necessario per farlo diventare maturo per vivere un nuovo ciclo terreno, ma per farlo è necessario che il germe sia preparato creando delle condizioni diverse da quelle che aveva precedentemente vissuto sulla terra.

Solo una consapevolezza molto elevata può comprendere come avvenga il processo di formazione del senso autonomo del suo nucleo, e come il senso può essere riconosciuto per potersi trasferire dalla vita presente passando alla successiva. Se l’anima è preparata bene riesce a riconoscere l’immagine di qualcosa che vive nell’entità autonoma e che fluttua nella nostra anima, perciò riconosce l’emersione di un secondo Sé sentendolo come un essere indipendente e molto superiore a quello che aveva considerato essere il suo io, nell'epoca precedente.

Il nuovo Sé deve poter assumere il ruolo di ispiratore del sé precedente, perciò deve permettere la nascita di un nuovo personaggio in cui sentiamo che sono confluiti e che vivono entrambi, perciò dobbiamo sentire che il nostro essere si è completamente fuso con l’ispiratore e il superiore. La coscienza ordinaria trova strano il nuovo personaggio, perciò dobbiamo acquisire la coscienza che ha dei sensi nuovi che sanno vedere in modo più chiaro, perciò dobbiamo rafforzare l’anima che avanza in questa conoscenza restando ancorati all'esistenza concreta.

La forza per affrontare la realtà spirituale esiste nel substrato delle forze necessarie all’esistenza fisica, ma è necessario avere delle ulteriori risorse per affermarci nell’entità spirituale che è vivente in noi, e raggiungere il livello sublime in cui sentiamo la certezza interiore che la sua verità non è estranea al nostro essere. Comunemente l’anima non sa riconoscere l’ispirazione che sorge dalla sua profondità, ma l’influsso agisce anche se noi non lo riconosciamo e l’influenza non si manifesta a livello teorico nei pensieri, ma agisce concretamente usando gli eventi, i processi e le azioni che accadono nella vita concreta.

E’ questo Sé profondo che spinge l’anima umana verso gli eventi che fanno parte della sua vita e del suo destino, perciò lui adempie alla missione quando fa ridestare le nostre tendenze, le nostre capacità e le nostre disposizioni. Il Sé superiore vive tessendo la trama del nostro destino e procede camminando al fianco del nostro sé ordinario che è immerso nelle esigenze della vita comune. E' il Sé superiore che detta il passo della vita che affrontiamo definendone i successi, le sconfitte, le gioie e i dolori, perciò esso stabilisce il lavoro evolutivo che è necessario per farci crescere maggiormente.

La coscienza soprasensibile riconosce il Sé superiore come il vero Io che esiste da sempre e che tesse la nostra trama, perciò lo riconosce suo come l’uomo riconosce il suo volto allo specchio. Ciò che chiamiamo karma è la parte del Sé superiore che agisce nella vita ricordandoci le vite precedenti, perciò ciò che siamo è nella nostra vita. La vita viene ispirata dall’entità che ci accompagna perciò dobbiamo sentirla nostra e percepirla come uguale al nostro vero essere, ma questa evoluzione si raggiunge solo se sappiamo pensare nella sfera dello Spirito.

Buona erranza
Sharatan


mercoledì 14 dicembre 2011

La scala dell’essere


“Se un uomo, con intelligenza,
ti indica ciò che va evitato e i tuoi difetti,
seguilo come si segue uno scopritore di tesori.
Coltivando questo saggio fuggirai il male
e sarai raggiunto dal bene!”
(Dhammapada)

Se si resta allo stesso livello dell’essere la vita si ripete, perché le stesse forme di pensiero, gli stessi sentimenti e comportamenti attirano la stessa forma di vita, infatti uno stile di vita ripetitivo tende a far ripetere sempre le stesse esperienze. Gurdjieff dice che un’elevazione è necessaria per mutare le condizioni dell’essere, infatti il cambio dell’essere trasforma le condizioni della sua vita. Ognuno sta a un determinato livello di essere, perciò dobbiamo immaginare una scala che ascende dalla terra al cielo, e su ogni gradino dobbiamo immaginare che sia collocato un tipo di uomo, perché così è la scala che rappresenta il livello dell’umanità. Questo ci fa comprendere che la realtà di violenza, sopraffazione, ingiustizia e guerra è conseguente al livello dell’essere della maggioranza dell’umanità.

Ma esiste anche la scala interiore perché ogni cosa ha una corrispondenza, perciò il concetto di scala ci fa capire che il concetto di tempo che viviamo è molto diverso da quello che esiste nella realtà. Noi immaginiamo il tempo come se avesse una sola dimensione, infatti pensiamo al tempo come alla linea che nasce dal passato, che si snoda nel presente e che corre verso il futuro. Sulla linearità del tempo collochiamo la realtà dell’essere, infatti collochiamo le speranze dell'essere nel futuro e immaginiamo il futuro come il tempo in cui le cose saranno migliori, perciò ci immaginiamo migliorati nel futuro. Il livello dell’essere va pensato come l’ascesa della scala e non come la corsa sulla linea, perché la comprensione dell’essere non può avere il pensiero della linearità del tempo per ciò in cui l’uomo crede.

Il livello dell’essere si sposta sulla scala interiore, perchè anche interiormente abbiamo varie gradazioni se osserviamo i livelli bassi a cui l’essere può cadere e la condizione più elevata a cui vuole giungere: all’interno abbiamo i livelli superiori e inferiori, perché essi coesistono nell'uomo. Il lavoro interiore è sempre possibile, però il lavoro del controllo delle emozioni negative, del ricordo di sé, sulla non considerazione interiore delle molestie e delle pene, sulla risoluzione dei conti interni, e tutto ciò che possiamo migliorare deve avvenire nel presente. Le trasformazioni avvengono solo nel momento presente quando gli avvenimenti diventano lo shock che attiva la nuova comprensione.

La chiave risolutiva è nell’atteggiamento adeguato nei riguardi del tempo, infatti ciò che si rimanda corre verso l’infinito per diventare irrealizzabile: la soluzione è nella reazione alle circostanze esterne, perché lo scopo è quello di trasformare le reazioni automatiche in azioni coscienti. Ma questo è un fatto che non va pensato teoricamente, poiché è un atteggiamento concreto da attuare nell'istante presente. Dalla nuova consapevolezza si emerge con uno stato d’animo diverso, perché ci risvegliamo alla realtà per vedere di essere sviluppati a un livello basso, ma il negativo svanisce quando l’uomo comprende ciò che avviene. Questo è il concetto di Gurdjieff quando parla di scala interiore e della necessità del cambio dell’essere per modificare il livello della realtà.

Ma la fase è nella terza tappa dello sviluppo dell’uomo, infatti il primo livello di crescita inizia nell’essenza che è la conformazione con cui nasciamo ma che cresce fino a un certo punto, perché sa sviluppare solo fino a un certo livello. Il sistema di Gurdjieff insegna che l’essenza non può evolversi in modo autonomo, perciò si sviluppa fino all’infanzia ma poi si arresta, perché lo sviluppo umano non è rigidamente definito a livello genetico. Nell’uomo esistono delle potenzialità con cui nasciamo e che si formano parzialmente, perché è necessario che esista uno terreno su cui possa agire l’ambiente con le sue condizioni. E’ su questo terreno che avviene l’educazione che riceviamo e che forma la nostra personalità.

La personalità permette di adattarsi all’ambiente e definisce i limiti in cui l’essenza va racchiusa, perché l’ambiente si contrappone a ciò che l’essenza vuole, perciò diventa un elemento estraneo all’essenza. La personalità è il fattore che l’essenza percepisce come estranea a se stessa, perché la personalità è un ambito in cui sperimentiamo delle limitazioni al modo di vedere e percepire. Il centro di gravità interiore dei bambini è incentrato sull’essenza, però crescendo diventa necessario che il centro venga spostato sulla personalità che si sta strutturando, e questo avviene nella seconda tappa. In questa fase si impara a osservare tutto, da tutto si impara, e tutto si vuole sfruttare, perché prendiamo tutto ciò che offre l’ambiente.

La cosa evidente che si vede con difficoltà è il fatto che la qualità in cui l’uomo è superiore all'animale è che l’essenza non cresce se usa solo le forze racchiuse nel suo nucleo. L’essenza è più complessa della forza vitale dell’animale, perciò l’essenza ha bisogno di avere l’aiuto della personalità. Ma anche lo sviluppo della personalità va curato, perché più verrà arricchita e migliore sarà la condizione dell’uomo, infatti con una personalità sfaccettata abbiamo una migliore soddisfazione dei nostri bisogni di vita. Avere una buona condizione è molto appagante, perciò è la fase ottimale per gli uomini. Molti uomini vivono soddisfatti di essere nel loro modo, perché la vita gli offre tutto ciò che vogliono e non chiedono altro, infatti molti vivono con una personalità che gli offre un buon significato.

Molti non cercano perché non vedono il motivo per farlo, infatti non trovano la ragione per cercare una condizione diversa da quella che amano. Questa esigenza nasce solo nella tappa descritta da Gurdjieff quando la personalità diventa una fonte da cui l’essenza attinge per perfezionare il suo sviluppo. E questo è espresso anche nei concetti evangelici di “ricchezza” e “povertà,” perché sono concetti che non alludono alla necessità della penuria economica, ma sono insegnamenti psicologici e di enorme significato spirituale. L’uomo, dicono i vangeli, può essere ricco nella personalità ma avere un’essenza misera se tutto ciò che ama lo cerca solo per la considerazione esterna e se non vuole perdere l’onore e il prestigio sociale. Il vero povero è chi agisce senza avere volontà personale e che reagisce automaticamente obbedendo a ciò che vuole il mondo.

Questa persona può essere ricca, ma vive come il povero nella situazione più misera, perché la sua personalità è completamente dominata dal timore di perdere i beni esterni e tutta la vita e l'essere sono dominati dal timore di perdere ciò che hanno, perciò vivono schiavi del mondo. Tutto quello che credono è ciò che si può usare, perciò la loro vita è sterile e priva di senso. Solo chi è affamato di senso cerca la terza tappa, dice Gurdjieff, infatti deve avvenire lo spostamento del nostro centro interiore che deve ritirarsi dalla personalità per concentrarsi nell’essenza. L’essere deve essere privato di concezioni e sicurezze per crescere, infatti nell'essere ricco vi è l'influsso delle necessità e dei fattori esteriori, perciò va rivisto lo schema di vita a cui è abituato.

L’essere umano deve fare l’inversione interiore lasciando le “ricchezze esterne” perciò si deve spogliare delle idee, delle concezioni e dei valori precedenti e rendersi vuoti crea la ricezione dello spazio liberato, perciò si rinasce ai nuovi contenuti della terza tappa. Il concetto cristiano insegna che la trasformazione permette la nascita dell’uomo nuovo e avviene quando l’essenza si sviluppa dalla personalità ricca, perché il vino nuovo non è contenuto dal vecchio otre. L’uomo che ha vissuto molte esperienze, che ha avuto un’accurata educazione e che coltiva molti interessi può essere “molto ricco” però la sua essenza può restare povera e misera.

La vita sviluppa solo ciò che è necessario per l’adattamento, perciò l’educazione fa crescere, rende più intelligenti, insegna come comportarsi, come esprimersi e come agire per affrontare le situazioni, ma riceviamo solo la parte adattabile e la persona può vivere equilibrata a livello motorio, sensoriale e intellettivo se i tre centri sono sviluppati in modo adeguato. Se ammettiamo che i centri e le suddivisioni sono al livello adeguato di sviluppo arriva il momento in cui l’essere sente il “vuoto” che è l’impoverimento evangelico, perciò entra in scena il lavoro di Gurdjieff. Il lavoro è utile solo per chi si chiede se ha assolto ai suoi doveri nei confronti della vita e se la vita conserva il suo senso in ciò che sta facendo della vita.

Se la vita possiede un senso e se l’uomo si accontenta vive soddisfatto di ciò che ha, perciò non cerca altri significati e questo si dice nel passo in cui è detto che è più facile che il cammello passi nella cruna dell’ago piuttosto che il ricco vada in paradiso. Se siamo soddisfatti non vogliamo sapere che la personalità è l'involucro che racchiude l’essenza e che il destino è nell’involucro: solo chi cerca la sua potenzialità trova il modo di svilupparla. L'essenza si nutre della personalità e sviluppa le sue potenzialità, ma quest'evoluzione si cerca solo dopo aver assaggiato tutto ciò che offre la vita senza sentirsi sazi, perciò vogliamo "qualcosa" di ulteriore che ci possa completare.

Buona erranza
Sharatan

domenica 11 dicembre 2011

Il suonatore di cetra


La sala del Tesoro Reale era colma di ricchezze inestimabili e di opere d’arte stupende che i Figli del Drago avevano accumulato per molte generazioni, e tra i tesori imperiali vi era una preziosa cetra che nessuno poteva toccare senza il permesso dell’Imperatore. Di essa si diceva che fosse stata intagliata in legno di Kiri, l’albero più maestoso della foresta di Lungmen, che i maestri di Feng Shui credevano fosse un sacro luogo colmo di potenti energie. L’albero era il re della foresta e giungeva al cielo da cui attingeva energia, perciò parlava con le stelle mentre le sue chiome erano mosse dal vento e le sue radici affondavano nel terreno per nutrirsi del soffio del Drago della Terra.

Lo spirito che viveva nell’albero era molto potente e la cetra ricavata dai suoi rami era stata preziosamente intagliata da un grande liutaio dei tempi antichi, ma il magico strumento si era sempre dimostrato molto ostico e molto difficile da addomesticare. Solo pochi musicisti seppero accordarlo e ancora meno furono quelli che seppero suonarlo, perché dalla cetra si traevano solo dei suoni sgraziati e sgradevoli che colpivano crudelmente le orecchie degli ascoltatori. Si narrava che il primo suonatore della cetra fosse stato il mitico Imperatore Giallo, Huang Di, e che su quella cetra il Divino Imperatore avesse composto delle melodie che ammaliavano perché sapevano ridare la gioia al cuore, melodie che sapevano disperdere le nuvole e che richiamavano la pioggia nei periodi della siccità.

Nel corso dei secoli pochi musicisti l'avevano suonata, perché la cetra rispondeva solo al tocco dei migliori maestri, infatti sembrava riconoscere la qualità della mano che la toccava. L’imperatore pensò al prezioso strumento quando volle scegliere il suo nuovo maestro di musica, perciò stabilì che la destrezza del musicista fosse dimostrata con l'esecuzione sulla preziosa cetra. Il Figlio del Cielo era convinto che non fosse più il tempo dei grandi musicisti e che l’arte fosse dimenticata, ma voleva scoprire se fosse rimasta qualche traccia di magia e di talento in qualcuno che non si conosceva.

Il proclama del concorso fu emanato in tutto il regno e l’impiego promesso era molto prestigioso, ma tutti conoscevano la fama dello strumento, perciò pochi ebbero il coraggio di presentarsi a fare una figuraccia davanti all’imperatore. Alle porte del palazzo si presentarono pochi musicisti e anche i maestri di corte che fecero la prova non furono in grado di trarne null'altro che uno stridìo penoso. Al tocco dei musicisti lo strumento rispose sempre con tetri lamenti che divennero una tortura per le celesti orecchie e per quelle dei dignitari che ascoltavano.

Tutti quelli che suonarono non ebbero successo, finché giunse un povero musicista errante vestito in modo dimesso che chiese di provare anche lui. Era un tipo vestito di stracci che viveva girando per le feste di paese e che suonava per la strada, perciò era apprezzato solo da qualche bifolco di provincia, dagli uccelli del cielo e dai pesci delle acque. Quando prese la cetra, il musico ne accarezzò con delicatezza la cassa di risonanza e si comportò come se volesse ammaestrare un cavallo selvaggio.

La sua voce si fece flebile e dolce mentre le sue dita accarezzavano il prezioso legno intarsiato, poi iniziò a saggiarne le corde una ad una, e mentre delicatamente le faceva vibrare il suo viso risplendeva del sorriso interiore di chi sta accarezzando la sua amata. Quando la sua mano sfiorò le corde per eseguire la musica, si levò un suono argentino che salì e che poi ricadde come una cascata. Nell’aria si levò la melodia di note cristalline che andavano e tornavano con il ritmo della risacca sulla spiaggia, e sebbene fossero in autunno si alzò un vento tiepido profumato con l’aroma dei fiori di ciliegio.

Sul volto dei presenti affiorò un bel sorriso tranquillo mentre i musici di corte riconoscevano una melodia eseguita al modo Jiao, che è quello della primavera. La musica cambiò il ritmo e le sue note divennero più veloci, perché assunsero il tono Zhi, che è quello dell’estate, infatti si diffuse un bel vento caldo in cui risuonò il canto dei grilli. I polsi dei presenti accelerarono per il caldo che penetrò nella sala e i loro corpo divennero ardenti e vennero rigenerati dal vigore. I dignitari imperiali iniziarono a seguire il ritmo facendo dondolare il capo e il corpo, e ci fu anche qualcuno che perse ogni ritegno e che si alzò per danzare nel salone.

La musica tornò a rallentare per adattarsi al modo Yu dell’inverno, mentre un vento gelido penetrava ululando nel salone e dei fiocchi di neve vennero portati dal vento. Tutti i presenti furono catturati da una profonda malinconia, e molte lacrime di nostalgia sgorgarono dai loro occhi per la tristezza che freddava il loro cuore. La cetra suonò le ultime note, poi ogni suono tacque e nel salone delle udienze restò solo un profondo silenzio che fu interrotto dell’imperatore. La voce di sua maestà strappò i presenti dal profondo torpore in cui tutti si sentivano immersi: “Complimenti! Direi che la vostra prova è perfettamente riuscita. Voi siete riuscito dove molti altri hanno fallito, perciò sarete il mio nuovo maestro di musica. Diteci il vostro nome e fateci sapere qual’è il segreto della vostra arte.”

Il musicista fece un sorriso timido poi rispose: “ Mi chiamo Peiwoh, Maestà. Se volete sapere la mia modesta opinione, credo che gli altri abbiano fallito perché volevano imporre alla cetra di suonare le loro musiche. Io ho voluto che la cetra cantasse solo le musiche che desiderava suonare, perciò non so se è stato Peiwoh che ha suonato la cetra oppure se è stata la cetra che ha suonato Peiwoh. Con la vostra cetra io ho realizzato il mio sogno di musicista, ma non voglio altro. Adesso non ho più bisogno di nulla.”

Peiwoh depositò lo strumento ai piedi del trono imperiale poi varcò la porta del Salone delle Udienze. L’imperatore era restato immobile qualche momento per lo stupore, ma si riscosse per ordinare alle guardie di prendere e riportare indietro il suo nuovo maestro di corte, ma le guardie non furono in grado di trovarlo anche facendo le ricerche più accurate, infatti il musicista era scomparso nella nebbia della sera.

Buona erranza
Sharatan


mercoledì 7 dicembre 2011

All’incrocio degli influssi


“La verità è dentro di noi, non nasce
da eventi esterni, qualunque cosa ne pensiate.
Esiste un centro interiore in tutti noi,
dove la verità dimora nella pienezza; e intorno a lei
muro dopo muro, la grossolana carne la rinchiude.
Questa perfetta, chiara concezione che è verità.”

(Robert Browning – Paracelso)

Gurdjieff diceva che quando le persone ascoltano i discorsi altrui non comprendono le parole che sentono, infatti le orecchie lavorano da sole mentre la mente divaga, perciò difficilmente si comprende il vero senso del linguaggio, quindi parlare diventa una perdita di tempo. Perlopiù si presta attenzione solo alle chiacchiere e alle sciocchezze quotidiane, perciò non siamo in grado di comprendere il vero significato delle cose, perché la nostra comprensione è legata alle nostre abitudini del pensare.

Il vero significato è molto lontano dalle parole, perché il vero senso del linguaggio è ad un livello molto superiore del parlare quotidiano, come è dimostrato dall’apprendimento delle lingue dove impariamo a chiamare le stesse cose con dei termini diversi, perché le varie lingue usano delle parole diverse per indicare gli stessi oggetti. Le parole dovrebbero avere sempre un significato preciso, perché le parole sono ricordate e registrate, perciò un linguaggio preciso non va degradato al livello della ciarla.

Un linguaggio inadeguato degrada il valore delle cose, perché le parole che trascurano il vero senso dei termini non valorizzano il contenuto di ciò che si dice. Le cose sono degradate dalle parole inadatte, perché le parole sono degradanti quando sono usate con la disinvoltura del giocoliere, perciò usando delle parole scadenti si rende scadente anche il pensiero che viene da quelle parole. Il pensare deve avere una densità, perché il pensare deve penetrare profondamente nelle cose, perciò le parole devono avere un significato preciso che si conserva e che si deve accrescere.

Le parole devono avere una profondità di senso e devono avere dei livelli crescenti di comprensione, come avviene nei testi sacri che diventano sempre più profondi quando abbiamo compreso ciò che ci vogliono comunicare. Quando iniziamo a capire l’insensatezza delle chiacchiere inutili entriamo nel vero senso delle cose, e il senso delle parole che esprimono queste cose si accresce sempre più, perciò le parole assumono sempre più un maggior valore, e il loro senso diventa sempre più profondo.

Le parole avranno un crescente valore, perciò avranno una maggiore precisione e non dovremo parlare per capire, perché sarà sufficiente osservare per comprendere. Nessuno è mai riuscito a modificare nulla di se stesso usando la forza delle parole, perché la nostra struttura si modifica solo quando penetra internamente il vero senso delle cose di cui si parla, e non quando un suono colpisce le orecchie. La capacità di usare un giusto linguaggio va applicata prima nei confronti di noi stessi, perché va compreso che alcune nostre caratteristiche sono utili in alcuni contesti, ma sono dannose in altri casi, ma per capirlo dobbiamo avere un Centro Magnetico.

Avere un Centro Magnetico interno, dice Gurdjieff, significa saper distinguere il tipo di influenze che modificano la vita, infatti l’uomo è sottoposto a due tipi di influssi, e il primo tipo lo osserviamo nelle forze che sono nella vita e che sono prodotte dalla vita stessa. Il condizionamento è nell’influsso della razza, della famiglia, della società, dell’educazione, delle maniere e dei costumi, e dalla condizione economica e sociale, etc. Poi abbiamo gli influssi di secondo tipo che provengono da forze che sono “al di fuori di questa vita” e che provengono dal “centro interiore dell’umanità,” perché furono prodotte da uomini che vollero crearle per scopi determinati: queste forze sono contenute nelle concezioni filosofiche, in alcune forme di pensiero e nelle opere d’arte.

Gli influssi del primo tipo sono collegati al commercio, alla politica, all’economia, alla guerra, alla conquista del prestigio sociale, all’intrigo e alla maldicenza, a cui uniamo le esigenze del mangiare, del bere, etc., fino ad arrivare al desiderio di essere famosi e acclamati, perché queste forze vengono dalla vita e sono usate per far muovere l’umanità. Gli uomini sono spinti da forze che li fanno reagire in modo automatico, infatti queste forze creano l’illusione di andare da qualche parte mentre invece si corre per non arrivare in nessun luogo.

La vita mette degli specchi in luoghi strategici, infatti gli specchi riflettono dei viottoli contorti facendoli apparire come una via chiara e dritta, mentre invece si gira in tondo restando sempre nel medesimo luogo: questa illusione è usata dalle forze della vita ed è un’illusione geniale, perché è un meccanismo semplice ma efficiente. Tutte le forze esercitano un forte influsso, perché gli uomini non si vogliono guardare internamente, ma anche se lo facessero non ricorderebbero neppure chi sono, dice Gurdjieff. Le forze diventano potenti perché non ci fermiamo a pensare sulla nostra vita, infatti se siamo afferrati dal “vortice generale della vita” non abbiamo il tempo di riflettere e restiamo fagocitati dalle cose, perciò agiamo in modo meccanico.

Se non ci fermiamo a pensare ripetiamo sempre gli stessi comportamenti, perché ci illudiamo di avere uno scopo e una direzione, infatti crediamo che la nostra vita abbia una meta chiara e definita. Se non osserviamo noi stessi e le cose siamo incoscienti del tipo di influsso cui siamo sottoposti, infatti le cose hanno un potere su di noi finché non diventiamo consapevoli del loro potere. Se cerchiamo delle scuse ai nostri comportamenti tutto ripiomba nell’oscurità e tutto resta come prima, per questo nessuno ammette di avere illusioni e di nutrire menzogne verso la vita: e la maggiore menzogna è quella di proclamare di non avere più illusioni.

Vedere in modo lucido che siamo chiusi come pecore in un recinto è il fatto con cui si riconosce il possesso di un saldo centro magnetico interiore. Se pensiamo con attenzione sappiamo riconoscere la sfera d’azione di due tipi di forze a cui siamo sottoposti, infatti vediamo delle influenze che derivano dal nostro usuale modo di vivere, dalle nostre abitudini e dalle consuetudini. Poi vediamo che ci sono forze che provengono da una sorgente che è al di fuori della vita, però vedere questo dipende dal nostro livello di comprensione, perché tutto dipende dal livello di comprensione che l’essere ha raggiunto.

L’inizio della via è situato all’inizio della comprensione, perché l’inizio avviene con la discriminazione e con il raggiungimento della consapevolezza del tipo di influssi che subiamo, perciò dal riconoscimento della loro qualità. Chiaramente saper fare una ripartizione precisa delle due qualità di influsso non è possibile in modo preciso, e questo è naturale, però è necessario sapere che ognuno riceve diversamente la forma e la forza dell’una e dell’altra: questo fatto è inevitabile, dice Gurdjieff, perché su questo fatto agisce il destino del singolo.

Un uomo si sente più assonante con la qualità delle forze che provengono dalla vita e qualche altro riceve meglio ciò che è al di fuori dalla prima sfera, poi ci sono coloro che non ricevono influssi da nessuna delle due parti e sono il terzo tipo di tendenza umana. In condizioni normali e in uomini normali le difficoltà e le opportunità di poter discernere le qualità delle influenze è uguale per tutti, perciò vi è per tutti la medesima difficoltà di separare la qualità delle influenze.

Se l’uomo che viene influenzato non è in grado di riconoscere, di separare e di differenziare il tipo di percezione, perciò se non differenzia il tipo di azione che le due forze esercitano su di lui, esse agiranno allo stesso modo sull’individuo e producono sempre gli stessi effetti. Ma se l’uomo quando riceve l’influsso delle due forze, riesce a vederle, a riconoscerle, a percepirle, a differenziarle e a separarle in modo adeguato sentendo la differenza, egli riesce a fare la discriminazione, perciò riesce a tenere da parte ciò che non proviene dalla vita, così che le riesce a tener separate e non le confonde con quelle che provengono dalle ordinarie influenze del vivere.

Il risultato delle influenze che provengono dalla sorgente che è esterna alla vita è un’assommarsi di forze che si raccolgono all’interno dell’uomo, perciò lui riesce a ricordarle e a sentirle tutte insieme, finché queste forze formano un assieme che si accumula. Non si può descrivere il senso di quello che si è formato, e non si sa descrivere “il perché e il per come” di quello che è avvenuto, perciò non si può dare una spiegazione perché ogni spiegazione sarebbe sbagliata.

L’essenziale non è riuscire a spiegare come la cosa sia avvenuta, perché l’essenziale è che il risultato delle influenze accumulate sono riuscite a formare un Centro Magnetico che saprà attrarre tutte le forze che gli sono affini e che riuscirà ad accrescersi sempre di più. Se il Centro Magnetico riesce ad avere una nutrizione sufficiente, e se la personalità dell’uomo non fa resistenza a questo tipo di sviluppo, il Centro Magnetico riesce a stabilire l’orientamento dell’uomo e lo obbliga a fare un capovolgimento di vita e di direzione.

Quando il Centro Magnetico sarà sviluppato a sufficienza potrà contare sulla sua forza interiore, perciò l’uomo riuscirà a comprendere l’idea della via e comincerà a cercarla. La ricerca della via può durare per anni e potrebbe non condurre a nulla, perché tutto dipende dalle condizioni, dalle circostanze, dal potere e dalla direzione delle tendenze interiori che non sono affatto interessate a faticare per percorrere la via. Molte delle nostre tendenze interiori non sono interessate a lavorare, perché non vogliono faticare per cercare ciò che non conoscono, perciò tentano di distogliere il ricercatore dal suo scopo, soprattutto quando arrivano le opportunità di trovare la via.

Se il Centro Magnetico è forte e sa lavorare bene, e se l’uomo è veramente intenzionato alla ricerca perché è stanco delle cose precedenti, perciò se sente in modo giusto, allora lui può incontrare un altro uomo che già conosce il percorso. Se avviene che incontra chi conosce la via o chi conosce qualcuno che è in collegamento diretto o indiretto “con un centro la cui esistenza sfugge alla legge dell’accidente e dal quale provengono le idee che hanno formato il Centro Magnetico,” e se costui è disposto ad aiutarlo, allora l’influenza di questo uomo lo raggiungerà tramite il proprio Centro Magnetico.

Da quel momento l’individuo è libero dalla legge dell’accidente e dalle influenze interne alla vita. L’influenza che può esercitare un uomo che conosce la via è una qualità speciale di influenza che è diversa dalle influenze ordinarie che l’uomo subisce normalmente, infatti la differenza è duplice, in quanto l’influsso di terzo tipo è diretto e cosciente. Le influenze che sono fuori dalla vita sono delle influenze esterne all'uomo, ma poi sono gettate nel calderone interno delle cose che viviamo, perciò anche le influenze del secondo tipo si confondono con quelle del primo tipo collegate alla legge dell’accidentalità.

Le influenze di terzo tipo sono diverse, infatti sono subite in un modo che è libero dall'accidentalità, perché la loro azione è ricercata in modo libero e volontario. Le influenze di secondo tipo ci vengono infuse in forma indiretta, perché sono contenute nei libri, nei sistemi filosofici e nei rituali religiosi, mentre gli influssi del terzo tipo sono trasmesse da una persona all’altra per mezzo della parola, perciò esse sono trasmesse “da bocca a orecchio.” Quando incontra l’uomo che conosce la via, il ricercatore ha varcato la prima soglia e sale il primo gradino, perché da questo gradino inizia la scala, infatti tra la vita e la via esiste una scala.

E’ solo tramite la scala che l’uomo si avvia sulla via, però la scala si sale solo se veniamo aiutati, infatti non si può salire facendo conto solo sulle proprie forze. La via inizia quando si è giunti in cima alla scala, perciò quando si è varcata l’ultima soglia che è sull’ultimo gradino, ma questo è un livello molto superiore a quello ordinario. Adesso, dice Gurdjieff, dovrebbe nascere spontanea la domanda: “Dove ha origine la via?” Alla domanda si deve rispondere che la via inizia fuori dalla vita ordinaria. Ma se la via non nasce dalla vita, allora non possiamo dire qual’è la sua origine precisa.

Si dice che l’uomo che ascende la scala non è mai sicuro di nulla, che riesce a dubitare di tutto, che teme per l’insufficienza delle sue forze, che dubita della giustezza di ciò che cerca e di tutto quello che fa. Egli dubita della sua stessa guida, perciò dubita del suo sapere e del potere della guida, infatti è consapevole che tutto quello che si raggiunge è molto instabile. L’uomo sa che può raggiungere un punto molto alto e può salire fino in cima alla scala, ma sa che dalla cima si può cadere e che poi sarà necessario ricominciare la scalata.

L’unica cosa certa è che, una volta oltrepassata l’ultima soglia si può vedere il cammino della via che si sta percorrendo, perciò per l'uomo tutto cambia. Per prima cosa ogni dubbio che nutriva sulla sua guida si dissolve, e nel medesimo istante, anche la guida non è più necessaria, perché egli è diventato indipendente essendo divenuto consapevole della sua meta. A questo punto, non gli è più possibile ritornare indietro, perciò non può più perdere il frutto del suo lavoro, e anche se dovesse allontanarsi per qualche tempo dalla via non gli è possibile ricadere indietro e non potrà tornare alla vita che viveva prima.

Tutto questo, dice Gurdjieff, è quello che si può dire della via e della scala che conduce alla via, anche se esistono diverse regole da rispettare per giungere alla meta, infatti nell’ascendere la scala con la quarta via, è necessario che ogni gradino abbia un uomo che ha duramente lavorato per raggiungerlo, perciò avviene che tutta la cordata dipenda dal lavoro di coloro che sono inferiori che premono i superiori per farli ascendere.

Accade che, anche se un uomo abbia raggiunto dei poteri molto speciali lui voglia sacrificarli per permettere agli altri di ascendere, però per elevare delle persone deve rivolgersi a gente del suo stesso livello. Infatti se le persone riescono a raggiungere qualcosa di maggiore, colui che si è sacrificato si vedrà restituito tutto quello a cui aveva fatto rinuncia, ma se le persone per cui si è sacrificato non riescono a elevare la loro posizione, e se non lo raggiungono, anche lui dovrà perdere tutto quello che aveva raggiunto.

Buona erranza
Sharatan


sabato 3 dicembre 2011

Pensare nella realtà


“Ci sono delle realtà che non sono quantificabili.
L’universo non è nei miei numeri: è tutto pervaso dal mistero.
Chi non ha il senso del mistero è un uomo morto”
(Albert Einstein)

Se guardiamo la realtà con il puro raziocinio e con la prospettiva intellettuale è difficile vedere nel mondo l’aspetto spirituale, perciò è ancora più difficile mantenere uno stato d’animo che sia fiducioso della componente spirituale dell’universo. Da questa componente vengono le forze che ci rendono forti e adatti per affrontare la vita pratica, infatti davanti alle vicissitudini del vivere possiamo perdere facilmente la sicurezza, la tranquillità e la pace interiore, ma queste certezze interiori sono necessarie per affrontare la vita. Il mondo si può vedere in due modi e con due punti di vista opposti, perciò si può guardare come se tutto avesse un senso razionale e come se tutto fosse concreto, oppure si può vedere un “qualcosa” che sottintende alle cose materiali e alle vicende umane.

Possiamo avere degli occhi che vedono le meraviglie del mondo e che percepiscono l’universo come uno arazzo splendidamente tessuto, come dicono i cabalisti, perciò possiamo vedere un disegno nel mondo in cui si rispecchia il vivere dell’uomo, oppure possiamo vedere l’essere umano come il tubo digerente di un organismo che consuma, sfrutta, inquina e che fa la guerra per attuare una strategia suicida. Nella prospettiva spirituale si deve vedere il cosmo come l'organismo che vive, che respira e che si muove con le sue regole, e l’uomo come la risultante di forze cosmiche, perciò che partecipa al cosmo e alla vita usando i sensi.

L’uomo vede il mondo materiale e riflette su esso, perché possiede le afferenze sensoriali che lo mettono in rapporto con il mondo, e il mondo entra nell’uomo con le sue forze materiali. L’uomo è posto al centro dell’universo perché è il frutto del lavoro di elevate entità divino-spirituali che lo crearono con la volontà creatrice. L’uomo è il frutto del desiderio di creare da parte degli Dei, perciò questo è l’atteggiamento mentale da usare per guardare la creazione e l‘uomo, e il nostro animo dovrebbe sentire l'ammirazione e la meraviglia di questa verità.

La capacità di saper guardare spiritualmente la vita non è naturale, ma va sviluppata facendo la meditazione sulle nostre origini, e il senso di essere parte del cosmo deve nobilitare il sentimento per ciò che diverremo. Se non siamo disponibili alla meraviglia davanti all’universo non saremo disponibili alla conoscenza, perché anche l’intelligenza più brillante è solo un gioco di logica che sa intessere dei concetti che sembrano veri o attendibili. Il pensiero non è dannoso o pericoloso, ma a condizione che il pensiero sia sano e che sia disponibile ad accrescersi, infatti avere la prospettiva che la realtà usa degli aspetti ingannevoli e che mostra delle apparenze che possano simulare, fa sviluppare la nostra acutezza mentale e le qualità di astrazione, perciò aiuta la plasticità mentale.

Gli uomini si creano delle teorie per poter dominare meglio la realtà e questo fatto è normale, essi amano costruire delle teorie che credono verità, ma la verità è quella che si crede e si sente interiormente, ma non è detto che essa sia la verità della realtà. Una mente che indaga deve ricercare le cose come se fosse alla continua scoperta, perché la mente deve essere disposta ad apprendere maggiormente, perché il desiderio di conoscere aumenta la ricerca della conoscenza, e il sapere accresce la venerazione per ciò che si conosce. La venerazione è una disposizione interiore, perciò è uno stato animico che va unito alla convinzione che l’esperienza spirituale non possa essere compresa con la sfera mentale, anche se la prospettiva spirituale aumenta la qualità della nostra logica concreta.

Se il pensiero non è unito alla venerazione per ciò che si va a conoscere, perciò alla venerazione per il mistero a cui la mente vuole accedere, non si saprà vedere fino in fondo alle cose, perciò la realtà potrà essere scomposta e ricomposta nei suoi singoli elementi, ma non sarà mai completamente compresa. La venerazione è un sentimento fuori moda, perciò sembra un sentimento da pazzi, infatti non si crede che possa essere il requisito dello scienziato. Per conoscere è necessaria la venerazione per ciò che si vuole indagare, perché la venerazione è il rispetto che si nutre dal più profondo del cuore per determinate idee o persone.

Solo se sentiamo profondamente l’ammirazione e la venerazione per l’universo possiamo sentirci “in saggia armonia con le leggi del mondo,” ma l’armonia si prova soltanto pensando che l’analisi logica della realtà valuta solo ciò che è evidente, ma nulla si può teorizzare di ciò che non si conosce, perciò la “giustezza del pensare” si costruisce solo se il pensiero è in armonia con la realtà. Raggiungere l’armonia con la realtà del mondo non è così semplice come sembra, dice Steiner, perché la tentazione luciferina introdusse un difetto nel mondo, infatti dalle divinità creatrici era previsto che l’uomo avesse la conoscenza solo dopo essere diventato maturo per poterla correttamente usare.

L’uomo fu creato per conoscere il bene e il male, e per poter mangiare il frutto della conoscenza, ma questo doveva avvenire in un’epoca più tarda. La colpa dell’uomo fu quella di avere acquisito la conoscenza in un’epoca prematura, perciò la tentazione di Lucifero ci fa sperimentare una conoscenza che è insufficiente. La nostra civiltà è poco incline a imparare, perché è più facile a giudicare, a criticare e a sentenziare su tutto, ma se la critica è unita al giudizio consapevole è stata in grado di creare i migliori progressi della civiltà. Non si può pensare che bisogna venerare gli uomini e che bisogna sottomettersi in modo acritico alle idee altrui, ma si dice che dobbiamo venerare la conoscenza che si accompagna alla verità, perciò non dobbiamo saper accettare solo ciò che ci piace e rifiutare ciò che odiamo.

Il peccato originale viene continuamente ripetuto quanto vogliamo raggiungere velocemente la verità senza curarci di avere conquistato la maturità necessaria per comprendere la verità. E’ necessario sapere che dobbiamo superare delle esperienze determinate per poter comprendere il problema, così che la coscienza possa riconoscere la realtà da cui partire per avere un giudizio adeguato. Non dobbiamo affannarci per raggiungere ad ogni costo un giudizio, ma dobbiamo fare lo sforzo di diventare più maturi perché le rivelazioni possano giungere, perché il giudizio sorge dalle cose stesse se noi abbiamo raggiunto la maturità necessaria per saper riconoscere la verità che giunge.

Perciò diventa saggio chi ha saputo maturare usando in modo giusto le esperienze della vita, anche se l‘esperienza da sola non è sufficiente per infondere una giustezza generale, infatti la saggezza assoluta non significa nulla, perché è importante conquistare la saggezza che sa vedere in ogni cosa la possibilità di comprendere. Perciò il saggio lascia in sospeso il giudizio personale per far parlare le cose, infatti le cose possiedono la verità, e la verità nasce direttamente dalle cose stesse. Chi è saggio è riservato nel giudizio, anche se vede che il suo giudizio è ben fondato e anche se ha la consapevolezza di avere ragione, perciò sospende il giudizio come prova che saranno i fatti a dargli ragione: ma la saggezza giunge quando sappiamo usare ciò che la vita offre. Il giudizio non viene dall’uomo, ma viene dal mondo, perché il giudizio è un fattore esterno, infatti solo dopo aver conosciuto un fenomeno lo possiamo giudicare.

Non possiamo pensare di poter spremere la verità dall’anima, ma possiamo maturare per saper vedere ciò che sorge dalle cose e nella realtà, perché questo è il modo giusto per educare il pensiero. Ma il pensiero non è il supremo giudice del mondo, infatti esso è solo uno strumento da usare per poter vedere come le cose si esprimono: è così che entriamo in armonia con il mondo. Coltivare la meraviglia e la venerazione per la struttura spirituale del cosmo, e saper vedere l’armonia che esiste nel mondo sono le qualità essenziali per costruire il pensiero che è predisposto alla saggezza, infatti la meraviglia e la venerazione sono le qualità che ci fanno accedere ai misteri del cosmo.

Buona erranza
Sharatan

domenica 27 novembre 2011

Un punto intermedio


“L’intima natura delle cose ama nascondersi”
(Eraclito di Efeso)

Quando vogliamo conoscere le massime estensioni è come se pensassimo di vedere tutto ciò che esiste camminando da paese a paese, attraversando boschi e prati, vedendo cieli, villaggi e strade diverse, senza pensare che così vedremmo solo delle porzioni limitate di territorio. Possiamo credere di poter salire sulla vetta del monte per abbracciare un orizzonte molto più vasto, ma così otteniamo una vista completa del panorama, ma è una panoramica troppo generale che difetta dell‘esame dei particolari. Questa è la metafora usata da Steiner per illustrare i limiti della conoscenza e per spiegare i difetti della scienza che studia l’uomo, cioè l’antropologia.

Nella conoscenza ci si può muovere dal particolare al generale, così come nel mondo si può scendere negli abissi ed elevarsi fino alle vette delle conoscenze più elevate, perché l'orizzonte mentale si può allargare a dismisura se usiamo i mezzi adatti per indagare. L’uomo ha la capacità di scendere nel particolare o di ascendere alle cose più eccelse, però c'è anche una posizione intermedia che corrisponde alla prospettiva che si gode guardando dalla metà della montagna. Se osserviamo dal basso non possiamo avere il punto di vista che considera il quadro generale, ma se guardiamo dall'alto della montagna si vede ciò che è in basso come qualcosa che è troppo distante, perciò si vede solo il cielo.

Restando a metà possiamo vedere bene sia ciò che è sotto, così come il "qualcosa" che è al di sopra, perciò possiamo avere i vantaggi di entrambi le prospettive. Il paragone forse non è molto calzante, dice Steiner, però è utile per capire che salire oltre la visione umana cioè ascendere oltre la vetta fa salire al Sé superiore, ma dobbiamo avere uno sguardo che sia adeguato alla visione. Salire sulla vetta che è oltre l’uomo diventa una meta molto ambiziosa, ma anche vedere solo quello che è al di sotto diventa una visuale troppo parziale, perciò entrambi le vie non indicano la giusta direzione.

La conoscenza ordinaria è situata nello spazio che è sotto all’uomo, mentre il vedere dal punto intermedio ci fa vedere l’uomo, perché l’uomo è situato tra la natura e lo spirito. L’uomo è alla metà, perché ciò che è al di sopra dell’uomo penetra in lui ed è lo Spirito, però l’uomo contempla anche il mondo sensibile e lo vede con occhi umani, perciò egli non può prendere come punto di partenza la vetta a cui deve tendere. L’uomo può vedere lo Spirito e deve vederlo come qualcosa che gli è superiore, perché lo percepisce come qualcosa che scende in lui, ma contemporaneamente l’uomo sente premere ciò che gli sta sotto, perciò sente quello che entra salendo e penetrandolo interiormente, infatti ai suoi piedi l'uomo vede la realtà materiale.

Nella ricerca della conoscenza vi è il pericolo che l’uomo possa sorvolare la sua struttura, perciò c'è il pericolo che l’uomo possa perdere l'opportunità di conoscere qualcosa di utile, infatti si corre il rischio di perdere il contatto con la realtà. La giusta misura, dice Steiner, è nel restare collocati a metà tra Dio e la natura e far parlare “l’uomo che è in te […] su ciò che sta al di sopra di te e su ciò che sta al di sotto” e allora otteniamo “la saggezza enunciata dall’uomo,” che è lo scopo della ricerca antroposofica. Questo punto è il punto di partenza che ci fornisce la saggezza per trovare la quantità di conoscenza che apporta il meglio di ciò che possiamo ottenere partendo da un punto di vista che è centrale.

Molte scienze analizzano ciò che appartiene all’uomo, ma lo vedono solo dal punto di vista della sua natura e di quello che si può vedere al microscopio, perciò esse vedono l’uomo valutandone anche il particolare infinitesimale, ma non tengono conto di ciò che si potrebbe fare e comprendere maggiormente. Queste scienze vedono solo le facoltà al di sotto dell’uomo, perciò vedono l’uomo come una natura che è ancorata al suolo e lo vedono come un organismo che non sa sciogliere gli enigmi della sua natura, perciò una conoscenza così riduttiva non può sciogliere i nodi problematici dell’esistenza.

Dall’altro lato abbiamo le concezioni che si elevano alle altezze più sublimi cercando di trovare una soluzione ai più astrusi quesiti sull’esistenza umana, perciò vediamo delle architetture metafisiche che non hanno le basi concrete, perciò abbiamo delle ambiziose concezioni campate in aria. Queste filosofie non valutano il passo dell’uomo e non vedono che l'essere umano non riesce a seguirle, perciò non sanno fornire il modo di ascendere alle vette da cui tutto l’insieme diventa evidente con il rapido scorrere dello sguardo. L’uomo, nella sua ascesa, non riesce ad essere adeguatamente sostenuto dall’immaginazione, dall’ispirazione e dall’intuizione, perciò egli non sa vedere la sua meta finale.

Anche chi vuole risalire non possiede i mezzi con cui poter fare la scalata, perché i nostri concetti sono diventati dei concetti “dissanguati e sfruttati dal pensiero umano,” perciò è come avere asceso il monte per accorgersi di aver dimenticato il binocolo, dice Steiner, perciò è come aver faticato senza ottenere nulla. Il binocolo è l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione, perché nel trascorrere dei secoli la capacità umana di poter ascendere alla vetta è sempre più diminuita. Anche oggi abbiamo questa incapacità, sebbene non la si voglia ammettere, perché nei tempi antichi c'era una chiaroveggenza naturale che sapeva vedere all'interno delle cose, però questa capacità è divenuta più rigida, perciò non è facile che oggi si possa manifestare nell’anima: ecco perché la vita moderna ricerca dei significati usando dei mezzi falsi e inadeguati.

Se osserviamo la storia conosciamo dei fatti, però dovremmo studiare la filosofia della storia, cioè dovremmo saper vedere il divenire storico vedendo le tendenze che sono insite nelle cose, però questa capacità di analizzare ci sfugge totalmente. Nei tempi antichi, nel tempio di Diana in Efeso, dei maestri indagavano i misteri e aiutavano i loro discepoli a salire fino ai regni spirituali, perciò quello che era indagato veniva comunicato all’esterno e veniva proclamato pubblicamente, sebbene anche allora non tutti gli uomini riuscissero a capire il vero senso dei misteri. Ai tempi di Eraclito già non ricordavano più gli insegnamenti, infatti Eraclito era detto “l’Oscuro” o “il Tenebroso” per la complessità dei suoi insegnamenti.

Ancora oggi leggendo i frammenti di Eraclito, si possono intuire le tracce dei misteri di cui il filosofo ebbe la diretta esperienza, perciò la sua conoscenza delle regioni spirituali superiori. Ciò che resta delle conoscenze filosofie è stato ridotto al fantasma di un pensiero da cui tutta la forza vitale è stata spremuta e sfruttata, perché i concetti sono studiati come fossero uno “scheletro concettuale.” Oggi ci sono tanti filosofi che credono che lo scheletro di aridi concetti possa essere qualcosa di vivo, ma la vera conoscenza parte da un punto intermedio che non corrisponde al livello subumano e le teorie spirituali non sono delle bolle ideologiche, infatti sarebbe come ammettere di voler raggiungere una vetta da cui non si può vedere nulla.

Tutto il pensiero è divenuto il tessere di concetti mentali intessuti al telaio mentale, ma nulla riesce a fornire una visione spirituale che sia piena di vita, infatti l’uomo non può vivere credendo in concetti astratti, perché la realtà umana è intessuta sia di materie concrete che di energie spirituali. Anche i concetti mentali devono fornire una forza interiore, perciò devono illuminare sia il basso che l’alto, perché non dobbiamo dimenticato che il vero oggetto dell’osservazione resta l'uomo, perciò dobbiamo partire dal corpo fisico, perché il corpo materiale è il frutto di una complessa evoluzione dell‘attività delle forze spirituali.

Il corpo umano è molto complesso perché proviene da una evoluzione che inizia ai tempi dell’antico Saturno e che si è protratta nell’antico Sole, fino all’epoca della Luna e quella della terra, infatti nei tempi solari fu formato il corpo eterico, nell‘epoca lunare fu formato il corpo astrale, perciò tutte le nostre componenti furono formate per produrre il divenire dell‘uomo. Per comprendere il nostro corpo non è necessario conoscere nel dettaglio tutto il corso evolutivo, però è necessario conoscere i suoi organi e saperli vedere negli aspetti materiali e spirituali conoscendo il livello evolutivo a cui l’organo è pervenuto per poterlo comprendere, perciò facciamo l’esempio del cuore.

Il cuore umano, dice Steiner, per come è conformato oggi, dimostra di essere un organo che si è evoluto recentemente, anche se il germe della sua formazione è molto più antico. Nell’epoca solare il cuore dipendeva dalle forze solari, ma quando il sole si separò dalla luna a cui era unito, il cuore ebbe l'evoluzione in cui le forze solari iniziarono ad agire dall’esterno, perciò il cuore si differenziò in una parte solare e in una parte lunare. Quando il sole, la luna e la terra erano unite seppero elaborare le strutture per ospitare il cuore, ma dopo il ciclo cosmico in cui la terra si distaccò dal sole, vi fu il distacco simultaneo del sole, della luna e della terra, perciò iniziò l'influsso dell’epoca terrestre presente.

Se le forze cosmiche del sole, della luna e della terra vivono in armonia nel nostro cuore, allora il nostro cuore è sano, ma se alcune parti diventano preponderanti, allora il cuore è malato, perché la malattia dipende dal fatto che ciò che è in armonia nel cosmo resti in armonia anche nell’uomo. Ogni guarigione si poggia sul fatto che la parte che ha il difetto sia rinforzata e che la parte troppo preponderante venga ridimensionata per ristabilire l’armonia, dice Steiner. Però non è sufficiente parlare di armonia per avere la certezza di poterla avere, perché è necessario saper penetrare nella saggezza del mondo e bisogna conoscere la vera fisiologia ossia l’armonia occulta che esiste nell’uomo per avere la completa comprensione dell’uomo.

Ciò che vediamo è il fatto che lo Spirito ci parla e che ci rivela la sua singolare particolarità, e la sua particolarità parla alla parte solare e alla parte lunare del cuore, perché lo Spirito si esprime usando il corpo e gli organi che agiscono all’interno dell’uomo, perciò possiamo vedere che alcune parti dell’uomo hanno arrestato il loro progresso. Vedendo nell’uomo valutiamo le sue componenti, perciò vediamo l’aspetto eterico, l’astrale, il lato senziente, il lato razionale e la parte cosciente, e scopriamo la realtà dell’uomo: e questo è il vedere in modo antroposofico. Ma per avere la visuale corretta dobbiamo partire dal basso di ciò che vive nel mondo fisico, perché la conoscenza sorge dal basso dei sensi fisici mentre lo spirituale agisce, da sopra, dentro l'uomo.

Buona erranza
Sharatan