martedì 29 settembre 2015

Esistere



“Se la nostra mente è affollata di parole
e pensieri, non c’è spazio per noi.”
(Thich Nhat Hanh)

“Trascorriamo parecchio tempo cercando la felicità quando il mondo intorno a noi trabocca di meraviglie. Essere vivi e camminare sulla terra è un miracolo, eppure la maggior parte di noi sta correndo come se esistesse un luogo migliore in cui andare. La bellezza ci chiama ogni giorno, ogni ora, ma raramente siamo nella posizione di ascoltare.

La condizione essenziale perché possiamo sentire il richiamo della bellezza e rispondervi è il silenzio. Se non abbiamo il silenzio dentro di noi - se la nostra mente, il nostro corpo, sono colmi di rumore - non possiamo udire quel richiamo.

Nella nostra testa c’è una radio accesa, la stazione radiofonica NST: Non-Stop Thinking (Incessante Pensare). La nostra mente è piena di rumore, ecco perché non riusciamo a udire il richiamo della vita, il richiamo dell’amore. Il nostro cuore ci sta chiamando ma non lo sentiamo. Non abbiamo il tempo di ascoltarlo.

La consapevolezza è la pratica che acquieta il rumore dentro di noi. Senza di essa possiamo essere distratti da diverse cose. Talvolta veniamo distratti dal rimpianto e dal dispiacere per il passato. Rivisitiamo vecchi ricordi ed esperienze solo per provare più e più volte il dolore che abbiamo già sperimentato. È facile finire rinchiusi nella prigione del passato.

Possiamo anche essere distrutti dal futuro. Una persona che provi ansia e timore per il futuro è in trappola tanto quanto quella vincolata al passato. Ansia, paura, incertezza relative a eventi futuri ci impediscono di sentire il richiamo della felicità. Così anche il futuro diviene una sorta di prigione.

Persino se cerchiamo di vivere nel momento presente molti di noi sono distratti e provano un senso di vuoto. Magari bramiamo qualcosa, ci aspettiamo qualcosa, attendiamo che giunga qualcosa a rendere leggermente più eccitante la nostra vita. Pregustiamo qualcosa che cambierà la situazione perché quella attuale ci appare noiosa: niente di speciale, niente di interessante.

La consapevolezza viene spesso descritta come una campana che ci rammenta di fermarci e ascoltare in silenzio. Possiamo utilizzare una vera e propria campana o qualsiasi altra cosa che ci aiuti a rammentare di non lasciarci trasportare dal rumore interno e dentro di noi. Quando sentiamo la campana ci fermiamo. Seguiamo il nostro inspirare ed espirare, facendo spazio al silenzio. Diciamo a noi stessi: “Inspirando so che sto inspirando.”

Respirando in maniera consapevole, prestando attenzione soltanto al respiro, possiamo acquietare tutto il rumore intorno a noi: il ciarlare del passato, il futuro e il bramare qualcosa di più. In soli due o tre secondi di respiro consapevole possiamo renderci conto che siamo vivi, che stiamo inspirando.

Siamo qui. Esistiamo. Il rumore all’interno scompare e si crea una profonda spaziosità: è molto potente, molto eloquente. Possiamo rispondere al richiamo della bellezza intorno a noi: “Sono qui. Libero. Ti sento.” Cosa significa: “Sono qui?” Significa: “Esisto. Sono davvero qui perché non sono perso nel passato, nel futuro, nel mio pensare, nel rumore interiore, nel rumore esterno. Sono qui.”

Per essere davvero devi essere libero dal pensare, libero dalle ansie, libero dalla paura, libero dal desiderio. “Sono libero” è una dichiarazione forte, perché la verità è che molti di noi non sono liberi. Non abbiamo la libertà che ci consente di udire e di vedere, e di essere semplicemente…

Praticare il silenzio per vuotarti di ogni genere di rumore dentro di te non è difficile. Con un po’ di esercizio puoi riuscirci. Nel nobile silenzio puoi camminare, stare seduto, goderti il pasto. Quando hai quel genere di silenzio vanti abbastanza libertà per goderti il fatto di essere vivo e apprezzare tutte le meraviglie della vita.

Con quel genere di silenzio sei maggiormente in grado di guarire te stesso, mentalmente e fisicamente. Hai la capacità di essere, di essere lì, vivo. Perché sei davvero libero, libero dai rimpianti e dalla sofferenza riguardanti il passato, libero dalla paura e dall’incertezza per il futuro, libero da ogni genere di chiacchiericcio mentale.” (Thich Nhat Hanh)

domenica 27 settembre 2015

Silenzio!



"Perché questa confusione,
come ristorare il corpo
devastato dal mondo?"
(Shinkiki Takahashi)

“A meno che tu viva da solo fra le montagne senza elettricità, molto probabilmente stai assorbendo per tutto il giorno, senza interruzioni, un flusso costante di rumore e informazioni. Persino se nessuno ti sta parlando e non stai ascoltando la radio o qualche altro impianto audio, ci sono cartelloni, telefonate, sms, social media monitor di computer, fatture, volantini e vari altri modi in cui parole e suoni ci raggiungono.

Può talvolta rivelarsi impossibile trovare, nella zona di imbarco di un aeroporto, un angolo privo di un televisore che strepita. Molti pendolari trascorrono il viaggio mattutino assorbendo tweet, sms, notizie, giochi e aggiornamenti sui rispettivi smartphone. Persino nei rari momenti in cui non vi sono suoni, sms e altre informazioni provenienti dall’esterno, la nostra testa è piena di un costante circolo di pensieri. Quanti minuti al giorno trascorri immerso nell’autentica quiete, se mai lo fai?

Il silenzio è essenziale. Abbiamo bisogno di silenzio tanto quanto abbiamo bisogno di aria, tanto quanto le piante hanno bisogno di luce. Se la nostra mente è affollata di parole e pensieri, non c’è spazio per me.

Le persone che vivono in un contesto urbano si abituano a un certo livello di rumore ambientale. C’è sempre qualcuno che urla, clacson che strombazzano o musica a tutto volume. In realtà, la costanza del rumore perenne può diventare rassicurante.

Conosco amici che vanno in campagna per un weekend o ad un ritiro meditativo e trovano il silenzio spaventoso e destabilizzante. Non lo percepiscono come sicuro o confortevole perché sono abituati a un sottofondo di rumore costante. Le piante non possono crescere senza luce, le persone non possono respirare senza aria.

Tutto ciò che vive ha bisogno di spazio per crescere e divenire. Ho l’impressione che molti di noi temano il silenzio. Stiamo sempre afferrando qualcosa - testo, musica, radio, televisione o pensieri - per riempire lo spazio. Se silenzio e spazio sono così importanti per la nostra felicità, perché non facciamo maggiormente posto per essi nella nostra vita?

Possiamo sentirci soli persino quando siamo circondati da molte persone. Siamo soli insieme. C’è un vuoto dentro di noi. Non ci sentiamo a nostro agio con quel vuoto, quindi tentiamo di riempirlo o scacciarlo. La tecnologia ci fornisce numerosi congegni che ci permettono di “rimanere connessi”.

Oggigiorno siamo sempre “connessi” ma continuiamo a sentirci soli. Controlliamo le email in entrata e i siti dei social media più volte al giorno. Spediamo per email o postiamo un messaggio dopo l’altro. Vogliamo condividere, vogliamo ricevere. Ci affaccendiamo tutto il giorno nel tentativo di connetterci. Di cosa abbiamo così paura?

Possiamo provare un senso di vuoto interiore, un senso di isolamento, di infelicità, di irrequietezza. Possiamo sentirci tristi e non amati. Possiamo avere l’impressione che ci manchi qualcosa di importante. Alcune di queste sensazioni sono molto antiche e sono sempre state con noi, sotto tutto il nostro fare e pensare.

Avere una miriade di stimoli ci rende facile distrarci da ciò che stiamo provando, ma quando c’è silenzio tutte queste cose si manifestano chiaramente. Tutti i suoni intorno a noi e tutti i pensieri che rivisitiamo senza sosta nella nostra mente possono essere considerati una sorta di cibo.

Il cibo commestibile, quello che mastichiamo e deglutiamo fisicamente ci è familiare, ma non è l’unico tipo di cibo che noi esseri umani consumiamo, è solo uno dei tanti. Quello che leggiamo, le nostre conversazioni, gli spettacoli che guardiamo, i giochi online che facciamo, e le nostre preoccupazioni, pensieri e ansie sono tutti cibo.

Non stupisce che non abbiamo abbastanza posto per bellezza e silenzio nella nostra coscienza: ci stiamo riempiendo costantemente di moltissimi altri tipi di cibo. Ci sono quattro tipi di cibo che ogni persona consuma ogni giorno.

Nel buddhismo li chiamano i Quattro Nutrimenti. Sono cibo commestibile, impressioni sensoriali, volizione e coscienza, sia individuale che collettiva. Il cibo commestibile è naturalmente quello che mangi ogni giorno con la bocca. Il secondo cibo, le impressioni sensoriali, è costituito dalle esperienze che ricevi attraverso occhi, orecchie, naso, lingua, corpo e mente.

Comprende ciò che senti, ciò che leggi, ciò che odori e ciò che tocchi. Comprende i tuoi messaggi telefonici e gli sms, il suono dell’autobus fuori dalla tua finestra e il cartellone che leggi quando gli passi davanti. Benché tali cose non siano cibo commestibile sono informazioni e idee che entrano nella tua coscienza e che tu consumi ogni giorno.

La terza fonte di nutrimento è la volizione. La volizione è la tua volontà, la tua preoccupazione, il tuo desiderio. È cibo perché “nutre” le tue decisioni, le tue azioni, e i tuoi movimenti. Senza la volizione, senza l’intenzione di fare qualcosa, non ti muoveresti, appassiresti semplicemente.

Il quarto tipo di cibo è la coscienza. comprende la tua coscienza individuale e il modo in cui la tua mente nutre sé stessa e nutre i tuoi pensieri e le tue azioni. Include anche la coscienza collettiva e il modo in cui influisce su di te.

Tutti questi cibi possono essere salutari o non salutari, nutrienti o tossici, a seconda di cosa consumiamo, quanto consumiamo e quanto siamo consapevoli del nostro consumo. Per esempio, a volte, mangiamo cibo spazzatura che ci fa star male, o beviamo troppo quando siamo turbati per qualcosa, nella speranza di distrarci, anche se in seguito quel consumo ci fa star peggio.

Facciamo la stessa cosa con gli altri nutrimenti. Con il cibo sensoriale possiamo anche essere consapevoli di assumere messaggi che sono sani e illuminati o, d’altro canto, possiamo usare videogame, libri, riviste o persino dedicarci al pettegolezzo con lo scopo di distrarci dalla nostra sofferenza.

Anche la volizione può essere salutare (motivazione costruttiva) oppure non salutare (brame e ossessione). Parimenti, la coscienza collettiva può essere salutare o non salutare. Pensa a come se influenzato dallo stato d’animo o dalla coscienza di gruppo in cui ti trovi, dal fatto che esso sia solidale, felice, arrabbiato, pettegolo, competitivo o inquieto.

Visto che ogni nutrimento influisce a fondo su di noi, è importante essere consapevoli di cosa e quanto stiamo consumando. La nostra consapevolezza è la chiave della nostra protezione. Senza protezione assorbiamo di gran lunga troppe tossine. Senza rendercene conto ci riempiamo di suoni tossici e coscienza tossica che ci fanno stare male.

La consapevolezza mentale è come uno schermo solare che protegge la pelle sensibile di un neonato. Senza di esso la pelle si riempirebbe di vesciche e si ustionerebbe. Con la protezione della nostra consapevolezza siamo in grado di rimanere sani e al sicuro e di assumere solo i nutrimenti che ci aiutano a prosperare.” (Thich Nhat Hanh)

giovedì 24 settembre 2015

Perle di saggezza



“Non c’è peccato più grande dell’ignoranza.”
(Paramahansa Yogananda)

“Per sapere come è possibile vivere in armonia con se stessi è necessario conoscere una serie di regole pratiche. La prima: chiunque sia estremamente emotivo o irrequieto a causa di cattive abitudini non potrà vivere in armonia con se stesso. Se la vostra coscienza continua a dirvi che state agendo male, come potete aspettarvi di andare d’accordo con voi stessi? E quando frequenterete i vostri simili, scoprirete che essi non vi manifestano la loro fiducia e la loro disponibilità, perché chi tradisce la propria coscienza non ha fiducia in se stesso e questo stato d’animo si rifletterà sul vostro carattere.

La voce della coscienza parla sempre all’uomo e lo incita costantemente a cambiare e a comportarsi bene. In verità, voi potete far tacere la vostra coscienza che, tuttavia, non tacerà per sempre. Se non altro, le leggi dello stato disturberanno il senso di soddisfazione di chi ha soffocato la coscienza usando impropriamente il libero arbitrio. I criminali scoprono che non valeva la pena di compiere azioni irresponsabili. Quindi, ascoltate sempre la vostra coscienza, la voce del vostro sé interiore, che vi aiuterà a vivere in armonia con voi stessi.

La seconda regola da seguire è diventare equanimi. Qualunque esperienza dobbiate affrontare nella vita, fatelo con equanimità. Una mente e una disposizione d’animo equanimi rendono molto felici non soltanto voi, ma anche gli altri. questo non significa che dobbiate essere deboli o apatici, ma che dovete esercitare la calma. È giusto godere delle cose buone della vita, ma non dovete lasciarvi prendere dalla sovreccitazione. E quando sopraggiungono i dispiaceri accettateli coraggiosamente, e pensate a come superarli invece di perdere la calma interiore scivolando nell’angoscia e nell’irrequietezza.

Alcune persone sono sempre agitate; soltanto poche restano calme e serene malgrado le circostanze. Ma l’equilibrio deve essere costante, affinché possa costituire il presupposto della vostra esistenza. Questo è ciò che insegnava lo swami Shankara: “Sii sempre equanime se vuoi che l’equanime Signore adorni l’altare della tua anima.” Senza l’equanimità non si può trovare Dio. Fermatevi un momento a pensare in che modo meraviglioso Gesù viveva in armonia con se stesso. È per questo che riusciva a essere in armonia con migliaia di persone diverse. Egli si è comportato con la stessa equanimità nei confronti di tutti e, in ogni circostanza, anche durante la prova estrema della crocifissione. Noi dovremmo studiare la vita delle grandi anime e quando le capiremo, sapremo come conformare la nostra esistenza alla loro.

La terza regola che vi permette di andare d’accordo con voi stessi consiste nel controllare i vostri pensieri. Imparate a riflettere profondamente. Imparate l’arte della concentrazione così che quando vi soffermate su uno specifico pensiero, la vostra mente non si distragga saltando da un’idea all’altra. La maggior parte delle persone vive molto superficialmente. Tuttavia troverete le perle della conoscenza solo quando vi immergerete nell’oceano del pensiero. I profondi pensatori sono esseri felici perché riescono a isolarsi mentalmente dai fastidi dell’ambiente in cui vivono. Il comune mortale non ha scampo. Vive sempre in superficie come il pesce che diventa facile preda del pescatore.

Imparate a coltivare l’abitudine di riflettere profondamente. Scegliete un problema difficile ed esaminatelo con attenzione. Analizzate a fondo l’argomento per quanto vi è possibile. Se lo approfondite a sufficienza, troverete al più presto una soluzione. E in quello stato di intensa interiorizzazione, la vostra anima sarà inondata da un senso di pace. Perché? Perché la profondità del pensiero è una via che conduce al regno di Dio. Nessuno potrà trovare la strada che porta a Lui se non renderà più profondi i propri pensieri, se non riuscirà a concentrarsi.

Anche i più grandi pensatori che non conoscono Dio sono nondimeno felici interiormente perché, pur non essendone consapevoli, sono penetrati profondamente nella percezione intuitiva avvicinandosi a Lui. Coloro che sono capaci di riflettere con grande intensità su vari argomenti, ma non sono ancora uniti consciamente a Dio, possono non raggiungere la percezione divina perché si chiudono nel loro ristretto modo di pensare. Nessuno può trovare Dio se non lo cercherà consapevolmente. Ma i più grandi pensatori sono più vicini a Dio di coloro che vivono superficialmente nell’ignoranza.

Non c’è peccato più grande dell’ignoranza. Ecco perché vi dico di non trascorrere il tempo nell’ozio. Fate qualcosa di utile nella vita, qualcosa di degno e di costruttivo, qualcosa che renderà più intensa e più ampia la vostra consapevolezza, e vi avvicinerete maggiormente a Dio. Coloro che sanno riflettere profondamente vivono meglio con se stessi e con gli altri; poiché sono in grado di esplorare le profondità del pensiero, sanno come agire quando devono affrontare una circostanza difficile. La capacità di riflettere profondamente vi rende mentalmente pronti a superare le difficoltà in modo divino.” (Paramahansa Yogananda)

lunedì 21 settembre 2015

Isolamento



“Il problema è che la nostra vita è vuota, e non conosciamo l’amore. Conosciamo le sensazioni, conosciamo le immagini pubblicitarie, conosciamo gli stimoli sessuali, ma senza amore. Come trasformare questo vuoto, come produrre la fiamma senza il fumo? È questa la domanda, vero? Proviamo a esaminare assieme il problema. Perché la nostra vita è vuota?

Siamo attivissimi, scriviamo libri, andiamo al cinema, ci divertiamo, amiamo e lavoriamo, eppure la nostra vita è vuota, noiosa, semplice routine. Perché i nostri rapporti sono così sciatti, vuoti e insignificanti? Conosciamo la nostra vita abbastanza bene per sapere che la nostra esistenza ha davvero scarso significato: citiamo frasi e idee che abbiamo sentito da altri, che cosa ha detto questo e quello, che cosa hanno detto i mahatma, i santi contemporanei e i santi dell’antichità.

Se non seguiamo una guida religiosa, ne seguiamo una politica o intellettuale. Ci rifacciamo a Marx, ad Adler o a Cristo. Siamo come dischi incisi, e chiamiamo conoscenza quella che è semplice ripetizione. Impariamo qualcosa, lo ripetiamo, e la nostra vita rimane profondamente sciatta, vuota, squallida. Perché? Perché succede questo? Perché abbiamo assegnato tanta importanza al pensiero?

Perché la mente è diventata così preponderante (idee, pensieri, la capacità di razionalizzare, di soppesare, di paragonare, di calcolare)? Perché abbiamo dato alla mente una così enorme importanza? Non sto dicendo che dovremmo diventare degli irriflessivi, degli emotivi e sentimentali. Ma avvertiamo il vuoto della nostra vita, questo enorme senso di frustrazione.

Perché questa piattezza, questa superficialità? Potremo capirlo solo esaminando il nostro modo di agire nei rapporti. Che cosa accade realmente nei nostri rapporti? Più che rapporti, non sono isolamenti? Qualunque attività della mente non è forse rivolta alla propria salvaguardia, sicurezza e difesa? Il pensiero, che definiamo un processo collettivo, non è invece un processo di isolamento?

Ogni nostra azione non è forse un atto di auto-reclusione? Lo potete verificare quotidianamente. La famiglia è diventata un atto di isolamento, e come tale si regge sulla contrapposizione. Tutte le nostre azioni mirano all’isolamento, ed è questo che crea il senso di vuoto.

Sentendoci vuoti, cerchiamo di riempire il vuoto con la radio, il rumore, le chiacchiere, i pettegolezzi, la lettura, l’acquisizione di conoscenze, la rispettabilità, il denaro, la posizione sociale, e così via. Sono tutte componenti del processo di isolamento, e perciò non fanno altro che rafforzarlo.

Per quasi tutti gli uomini la vita vuol dire isolamento, chiusura, resistenza, conformità a un modello. È un processo senza vita, e di qui deriva il senso di vuoto, di frustrazione. Amare significa essere in comunione con l’altro, non solo in parte, ma totalmente, integralmente, generosamente. Ma noi non conosciamo questo amore.

Per noi, l’amore è solo una sensazione. la sensazione dei miei figli, di mia moglie, delle mie proprietà, delle mie nozioni, dei miei successi. Sempre lo stesso processo di isolamento. La vita è una serie di chiusure, è una spinta mentale ed emotiva all’isolamento, e solo occasionalmente entriamo in comunione con gli altri. Ecco da dove nasce l’enormità del problema.

Questa è la realtà della nostra vita (rispettabilità, proprietà e vuoto), da cui nasce la domanda: come andare oltre? Come superare questa solitudine, questo vuoto, questa pochezza, questa povertà interiore? Credo che la maggior parte di noi non voglia superarli. La maggioranza degli uomini è soddisfatta così. Cercare un altro modo di vivere è troppo faticoso, e così preferiamo rimanere come siamo: ecco il vero problema.

Ci siamo circondati di sicurezze, ci siamo circondati di muri che ci fanno sentire al sicuro. Ma, di tanto in tanto, cogliamo un sussurro al di là del muro: un terremoto, una rivoluzione, una scossa che soffochiamo subito. La maggior parte di noi non vuole andare al di là del processo di auto-reclusione, ed al massimo cerchiamo un sostituto, la stessa cosa in una forma diversa.

La nostra insoddisfazione è molto superficiale: vogliamo trovare soltanto una nuova soddisfazione, una nuova sicurezza, una nuova protezione, che è sempre il solito processo di isolamento. Ciò che in realtà vogliamo non è andare oltre l’isolamento, ma rafforzarlo per renderlo il più possibile custodito e protetto. Sono pochi quelli che vogliono aprire una breccia per vedere che cosa c’è al di là del nostro senso di vuoto, di solitudine.

Chi cerca soltanto un sostituto del vecchio troverà certamente qualcosa da cui far dipendere la sua nuova sicurezza, ma altri vorranno spingersi oltre, e noi andremo con loro. Per andare al di là della solitudine, del senso di vuoto, bisogna comprendere come funziona la mente. Che cos’è ciò che chiamiamo vuoto, solitudine? Perché lo chiamiamo vuoto o solitudine?

Con che strumento di misura diciamo che è questo e non quello? Qual è il punto di riferimento per definire qualcosa “vuoto” o “solo”? Il punto di riferimento è sempre il passato. Definendolo vuoto, gli applicate un nome e perciò credete di conoscerlo. Ma denominare una cosa non è un ostacolo alla sua comprensione? Molti di noi avvertono questa solitudine da cui vogliamo fuggire.

Molti di noi sono consapevoli della povertà interiore, della manchevolezza interiore. Non è una reazione vana, è una realtà, e applicargli un nome non lo risolve. Continua a esserci. Come fare per conoscerne la natura, il senso? Dovete forse dare un nome a qualcosa per conoscerlo? Mi conoscete solo perché sapete come mi chiamo?

Mi conoscerete solo guardandomi, entrando in comunione con me; ma applicarmi un nome, incollarmi una definizione, mette fine alla nostra comunione. Per conoscere la natura di ciò che chiamiamo solitudine dobbiamo entrare in comunione con essa, e la comunione è impedita non appena applichiamo un nome. Se vogliamo comprendere qualcosa, dobbiamo in primo luogo smettere di denominarlo.

Se volete comprendere pienamente vostro figlio, cosa di cui dubito, che cosa fate? Lo guardate, osservate come gioca, lo studiate. In altre parole, dovete amare ciò che volete comprendere. Se amate una cosa, entrate naturalmente in comunione con essa. Ma l’amore non è una parola, né un nome e né un pensiero.

Non potete amare ciò che chiamate solitudine perché non ne fate totalmente l’esperienza, ma l’avvicinate con paura, e non con paura della solitudine, ma di qualcos’altro. Non avete mai riflettuto sulla solitudine perché non sapete che cosa sia in realtà. Non ridete, non è una battuta. Sperimentate la solitudine mentre stiamo parlando, e ne coglierete il significato.

Ciò che chiamiamo senso di vuoto è un processo di isolamento prodotto dal nostro modo quotidiano di entrare in rapporto perché, consciamente o inconsciamente, nel rapporto cerchiamo soltanto l’esclusione. Volete essere gli esclusivi proprietari delle vostre ricchezze, di vostra moglie o di vostro marito, dei vostri bambini.

Applicate ad una persona o ad una cosa la definizione mio, che vuol dire proprietà esclusiva. È questo processo di esclusione che porta inevitabilmente all’isolamento, e poiché nulla può esistere in isolamento si crea un conflitto, dal quale vorremmo fuggire. Tutte le possibili forme di fuga (attività sociali, l’alcol, la ricerca di Dio, la puja, le cerimonie, le danze e altre divagazioni) sono sullo stesso livello.

Se, nella vita quotidiana, vediamo questo continuo tentativo di fuga dal conflitto, e se vogliamo superarlo, dobbiamo comprendere il nostro modo di rapportarci. Solo quando la mente non fugge più, qualunque sia la forma di fuga, è possibile essere in comunione diretta con quella cosa che chiamiamo solitudine, essere soli.

Per rimanere in comunione con essa, dobbiamo diventarle amici, dobbiamo provare amore. Per comprendere qualcosa dovete amarlo. L’amore è l’unica rivoluzione e l’amore non è una teoria, un’idea astratta. Non si impara sui libri, non dipende da modelli sociali prestabiliti.

La soluzione non va cercata nelle teorie, che non fanno che creare ulteriore isolamento. Si trova solo quando la mente, che è pensiero, non vorrà più fuggire dalla solitudine. La fuga alimenta il processo di isolamento, mentre la verità è che ci può essere comunicazione solo dove c’è amore. Solo allora il problema della solitudine verrà risolto.” (Jiddu Krishnamurti)

mercoledì 16 settembre 2015

I veri sogni dell’umanità



“Anche le molecole, le stelle e le galassie sono vive,
e non solo i microbi, le piante e gli animali.”
(Rupert Sheldrake)

“Molti esseri umani credono che gli oggetti che compongono l’universo, come la Terra, il sole e il sistema solare, siano ‘morti’. Li considerano oggetti inerti, pezzi di roccia che si muovono nel tempo e nello spazio, seguendo percorsi messi in moto da un esplosione primaria, il cosiddetto big Bang. Questa è un’illusione e l’unico modo per voi per entrare in rapporto con tali oggetti ‘morti’ è quello di sfruttarli per ‘vivere meglio’.

Se invece riuscite a considerarli come parte di un organismo vivente, la vostra idea del rapporto tra voi stessi e tali oggetti cambia. Ora voi siete consapevoli di essere vivi, ma se riuscirete a percepire come vivo anche tutto il resto, vi renderete conto di essere parte di un Tutto più Grande, un pacchetto di energia, una Forma di Vita all’interno di una Forma di Vita più Grande, un Piccolo Sé che fa parte di un Sé Superiore.

Questo è il Messaggio mancante che la teologia odierna non contiene. Questo è il punto in cui la Vecchia Spiritualità e la nuova, il Dio di Ieri e il Dio di Domani si incrociano. È il punto di intersezione tra Esperienza e Saggezza. Avete conosciuto voi stessi in un determinato modo, e ora la saggezza vi invita a cambiare direzione, a percorrere un cammino diverso.

Perché la Vecchia Spiritualità sostiene che il Dio di Ieri ha creato i cieli e la terra, mentre la Nuova Spiritualità dice che il Dio di Domani È il cielo e la terra. La Vecchia Spiritualità afferma che Dio è separato dalla propria creazione, che ha soffiato la Vita nell’Uomo, dandogli il dominio su tutte le cose. La Nuova Spiritualità dice che Dio è uno con tutte le cose, e soffia la Vita non negli umani, ma SOTTO FORMA di esseri umani.

Sostiene che gli umani possono esprimersi e conoscersi come una manifestazione di Dio, e possono sapere che anche tutto ciò che toccano, vedono e sentono è Dio che si Manifesta. La Vecchia Spiritualità vi chiede di servire Dio, e la Nuova Spiritualità vi chiede di servire la Vita, il che è la stessa cosa.

Tuttavia la Vecchia Spiritualità vi permetteva di immaginare di poter servire Dio distruggendo la Vita, mentre con la Nuova Spiritualità, immaginare una cosa del genere è impossibile. Gli insegnamenti della Vecchia Spiritualità sono così ambigui, e in certi casi così aperti alle interpretazioni più assurde, da permettervi di uccidervi l’un l’altro a sangue freddo, sostenendo che Dio è con voi, e che addirittura vi chiede di farlo. Il messaggio e l’invito del Dio di Domani è molto meno ambiguo.

Non ci saranno più sacre scritture in cui Dio uccide migliaia di persone come castigo per la loro ‘disubbidienza’. Non ci saranno più libri sacri in cui Dio è descritto come esigente e autoritario, come un essere che chiede ai suoi fedeli di ‘difendere’ il Suo ‘onore’ massacrando gli infedeli. Servi prima la Vita. Questo sarà il motto della nuova Spiritualità, il suo credo.

È vero che i cicli della Vita a volte causano dei cambiamenti nelle Forme di Vita, per poter servire il programma generale di un Sistema di Energia. L’universo stesso ne è un esempio. Tali eventi riflettono il fatto che l’intero universo è un Organismo Vivente, in tutti i suoi aspetti ed elementi, che sono interdipendenti tra loro. Si tratta di una matrice gigante di onde di energia interconnesse, di vibrazioni che creano la Materia e la Forma, e ciò che non è né materia e né forma.

Solo di rado, tuttavia, è necessario interferire con i cicli normali della Vita, regolati dalla Vita stessa. È un fatto che le Forme di Vita che diventano più consapevoli di sé sono in grado di influenzare i cicli vitali di altre Forme di Vita. Questo è ciò che rende le Forme di Vita Più Elevate, allo stesso tempo, la benedizione e la maledizione dell’universo. Le loro attività spesso costringono la Vita stessa ad adattarsi, per poter continuare a sostenersi. Individui, famiglie, nazioni, culture e società si comportano in questo modo: e i loro adattamenti sono definiti ‘guerre’.

Per sostenersi, cioè per mantenere la loro vita così com’è, questi gruppi pensano di ucciderne altri. Sì. È un ciclo che si muove nel verso sbagliato. Tali cicli autodistruttivi, una volta partiti all’interno di un sistema di energia, sono spesso difficili da rovesciare. Intere civiltà sono scomparse a causa dell’equivalente di una ‘esplosione stellare’.

Quando forze massicce cominciano ad accumularsi nel sistema (in questo caso la società umana) e raggiungono una massa critica, qualcosa deve cedere. Tuttavia, se la Vita è considerata il Valore Primario dalla maggior parte della società, tali cicli autodistruttivi raramente hanno la possibilità di raggiungere la massa critica, perché qualcuno da qualche parte interviene e ne cambia il corso. Può trattarsi di un individuo, di un gruppo o di un corpo collettivo. E questo può essere ora il lavoro del Team dell’Umanità.

Certo. Così diffonderete nuove idee su Dio, sulla Vita e su come funziona il tutto. Il Team potrebbe iniziare spiegando alla gente che l’universo è un Organismo Vivente, e voi siete una parte minuscola di tutto ciò. E dentro di Voi vi sono particelle che, rispetto al complesso del vostro essere, sono a loro volta minuscole. Eppure, nessuna di esse è priva di importanza per l’organismo. Eppure, nessuna di esse è priva di importanza per l’organismo. Lo stesso vale per il rapporto tra Voi e l’Organismo Vivente noto come il Tutto, che è la Vita stessa.

Questa comprensione può essere trasmessa ai bambini durante i primi anni di sviluppo. La vostra società ha perso il rispetto per la Vita perché i suoi membri non hanno ricevuto queste informazioni da piccoli. Sono pochissimi i bambini cui viene insegnato che l’universo è un Organismo Vivente, che la Terra stessa è viva, e che loro stessi fanno parte di tale Organismo. Bisogna spiegare loro che sono Uno con Dio e con tutti gli altri esseri umani. Persino nelle scuole religiose questa verità non viene insegnata.

In futuro, quando accoglierete il Dio di Domani, le scuole insegneranno questi punti di vista ai giovani che potranno applicarli nella loro vita adulta. Tali concetti, profondamente radicati nel subconscio, vi permetteranno di creare un Nuova Società, costituita da Nuovi Esseri Umani, il cui Valore Primario sarà la Vita, in tutte le sue manifestazioni, tra cui anche le stelle.

Potete iniziare a creare delle comunità di studio, in modo che i figli dei loro rappresentanti (gli adulti di domani) non trovino difficoltà nell’abbandonare le vecchie idee. Oggi stesso potete cambiare le vostre credenze, abbandonando quelle che causano problemi nella vostra e accoglierne altre che potrebbero produrre una nuova realtà, un nuovo mondo. Questo potrebbe realizzarsi nel giro di trent’anni.

Trent’anni o meno, a seconda dell’impegno che dedicherete a svegliarvi dall’incubo in cui vivete per tornare a creare i veri sogni dell’umanità. Questo accadrà senza dubbio. La questione è solo quale domani vedrà emergere questo sviluppo. Le vostre idee sul Dio di Domani emergeranno prima della distruzione quasi totale della vita come la conoscete ora, oppure come risultato di tale distruzione?

Vi ripeto di nuovo che la risposta a questa domanda dipende da voi, da quanto vi interessa vivere sulla terra come in paradiso, e da quanto vi interessa riuscire a vedere la vostra vita come un’opportunità senza limiti. Se non vi impegnerete a realizzare questo, nel prossimo futuro il vostro pianeta potrà diventare un posto davvero spiacevole, e la vostra vita si esprimerà in modo molto limitato.

Se volete cambiare la situazione, se volete scongiurare il collasso del sistema che ha prodotto tale iniquità, dovrete esplorare la possibilità di portare nel vostro pianeta una Nuova Spiritualità, prima che sia troppo tardi. Perché il problema è spirituale, non economico o politico. E, definitivamente, non è militare. Ha a che vedere con quello che le persone credono riguardo agli altri, a Dio e alla vita… Quali sono le vostre più grandi falsità su Dio e sulla vita che contribuiscono a creare crisi, violenze e guerre?

Le vostre più grandi falsità riguardanti Dio sono:
1.Dio ha bisogno di qualcosa
2.Dio può non ottenere ciò di cui ha bisogno
3.Dio vi ha separati da Sé, perché non Gli avete dato ciò di cui aveva bisogno
4.Dio ha tanto bisogno di quelle determinate cose, da esigere che Gliele diate, dalla vostra posizione separata
5.Dio vi distruggerà se non riuscirete a soddisfare le sue richieste

Tali falsità su Dio sono già abbastanza distruttive, ma diventano schiaccianti se combinate con quella sulla Vita da esse generate. La maggior parte degli esseri umani crede che:

1.Gli umani siano separati gli uni dagli altri
2.Non ci sia abbastanza di ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno per essere felici
3.Per procurarsi ciò di cui scarseggiano, gli esseri umani debbano competere tra loro
4.Alcuni esseri umani siano migliori di altri
5.Sia corretto risolvere le forti differenze di opinioni create dalle altre quattro falsità, uccidendosi tra loro.

Le più grandi falsità riguardo a Dio e la Vita costituiscono una letale catena di errori che ha creato e continua a generare un mondo di rabbia profonda, violenza brutale, terribili perdite, sofferenza e terrore. Voi credete che siano gli altri a terrorizzarvi, ma in realtà siete terrorizzati dalle vostre stesse credenze. Sono queste che dovete cambiare, se volete realizzare il vostro sogno di vivere in un mondo di pace, armonia e felicità.

Se desiderate sostenere la vita come la conoscete, se volete avere qualcosa da lasciare ai vostri figli, dovrete creare un nuovo sistema di credenze, una nuova tecnologia, una Nuova Spiritualità… Le credenze creano i comportamenti, e questo è vero, che crediate in ‘Dio’ oppure no.

Il vostro mondo aspetta in silenziosa apprensione la prossima devastazione, la prossima guerra, il prossimo virus letale, il prossimo disastro ecologico, il prossimo attentato terroristico, la prossima rivoluzione… come se la difficoltà di sopravvivere un giorno dopo l’altro non fosse già abbastanza.” (Neale Donald Walsch, Il Dio di Domani, Sperling & Kupfer)

martedì 15 settembre 2015

Dov'è la crisi?



“La crisi non è nella politica, non è nei governi, che siano totalitari o cosiddetti democratici; la crisi non è nemmeno tra gli scienziati o nelle rispettabili e affermate religioni. La crisi è nelle nostre coscienze, che significa nella nostra mente, nei nostri cuori, nei nostri comportamenti e nelle nostre relazioni. E questa crisi non può essere capita nella sua interezza, e forse non può essere affrontata totalmente, fin quando non comprendiamo la natura e la struttura della coscienza, che è tenuta assieme dal pensiero.

In questo modo noi stiamo conoscendo o osservando i nostri stati mentali: qui è dove comincia la vera educazione, l’auto-educazione. Abbiamo sempre imparato molto dagli altri su noi stessi, siamo sempre alla ricerca di qualcuno che ci guidi, non solo nel mondo esterno, ma soprattutto a livello psicologico, interiormente. Non appena si verifica un problema, un disturbo, corriamo appresso a qualcuno che ci aiuterà a fare chiarezza.

Siamo assuefatti alle istituzioni e alle organizzazioni, nella speranza che risolvano i nostri problemi, o che facciano chiarezza nelle nostre menti. In questo modo noi dipendiamo sempre da qualcuno e questa dipendenza, inevitabilmente, genererà corruzione. Quindi, eccoci qua, senza dipendere da nessuno, neanche da chi sta parlando adesso, anzi, in modo particolare da chi vi sta parlando, perché non c’è alcuna intenzione di convincervi a pensare in una direzione piuttosto che un’altra o di stimolarvi con parole o teorie curiose.

Piuttosto, osservate ciò che accade nel mondo, e tutta la confusione interiore, e, nell’osservare, non formulate alcuna astrazione, non trasformate ciò che osservate in un’idea. Per favore, dobbiamo essere molto chiari su questo punto. Quando osserviamo un albero, la parola albero è un’astrazione, non è l’albero: spero che questo sia chiaro. La parola, la spiegazione, la descrizione, non è la realtà della cosa, non è “ciò che è”.

Perciò dobbiamo essere chiari fin dall’inizio in proposito. Quando siamo immersi nell’osservazione di ciò che accade nel mondo e nelle profondità della nostra coscienza, quell’osservazione può rimanere pura, diretta, chiara senza astrazione alcuna, senza che l’oggetto dell’osservazione venga trasformato in un’idea. Molti di noi vivono con le idee, che non sono fatti.

Allora le idee diventano molto importanti, più importanti del reale. I filosofi usano le idee in vari modi, ma noi non ci stiamo occupando di idee. Noi siamo solamente interessati all’osservazione di ciò che sta accadendo nella realtà, effettivamente, non teoricamente, senza dipendere da particolari modelli del pensiero, ma intenti a osservare ciò che è; e nell’osservazione di ciò che è, fare grande chiarezza. L’astrazione di ciò che è, la sua trasformazione in un’idea, non può che generare altra confusione.

Come abbiamo già detto, la crisi è nella nostra coscienza, e questa coscienza è il terreno comune a tutta l’umanità, non si tratta di una particolare coscienza, non è la tua o la mia coscienza, è la coscienza dell’uomo, dell’essere umano, perché, ovunque voi andiate, in Estremo Oriente, in Medio Oriente, in Occidente, in tutto il mondo gli esseri umani soffrono, provano dolore, vivono nell’incertezza, nella solitudine, nella disperazione, catturati da concetti religiosi più o meno bizzarri che non hanno alcun significato nella realtà. Quindi, questo è il terreno comune all’umanità.

Vi prego di percepire questo punto con chiarezza. Non si tratta della vostra coscienza, è la coscienza di tutta l’umanità che è sottoposta a sofferenza, conflitto, miseria, che vuole identificarsi con qualcosa, con la nazione, con un simbolo religioso o con un concetto. Per favore afferrate il significato di questa realtà. È di grande importanza comprendere perché ci siamo separati dal resto, percependoci come individui, cosa che in realtà non siamo.

Noi siamo il risultato di milioni di anni e siamo stati incoraggiati ad accettare l’idea dell’individuo. Ma quando osservate da vicino, voi non siete degli individui, psicologicamente siete come il resto dell’umanità. Questa è una cosa molto difficile da percepire, in quanto la grande maggioranza di noi è attaccata all’idea, a questa idea che siamo tutti individui separati con le nostre ambizioni personali, con la nostra ingordigia, con l’invidia, la sofferenza, la solitudine.

Ma quando osservate, vi rendete conto che è ciò che capita a ognuno di noi, e il concetto di individuo ci rende ancora più egoisti, egocentrati, nevrotici e competitivi: e la competizione sta distruggendo l’uomo. Dunque, il mondo siete voi e voi siete il mondo. Se realmente lo comprenderete, proverete una sensazione meravigliosa, in essa c’è una grande vitalità e percezione, una immensa bellezza.

Non mi riferisco alla bellezza di una pittura, di un poema o di un piacevole volto. Noi siamo il mondo e quel mondo è voi, è me. In questa parte di mondo la libertà è usata in modo improprio, come nel resto del mondo, d’altronde, perché ognuno di noi vuole raggiungere, vuole essere, vuole divenire. Di conseguenza il contenuto della nostra coscienza risulta essere un costante sforzo, una battaglia continua per essere, per diventare, aver successo, ottenere potere, posizione sociale, status; e questo potete raggiungerlo solo se avete denaro, talento o capacità in una particolare direzione.

Quindi, capacità, talento, tutto ciò incoraggia l’individualità; ma se guardate con attenzione, quell’individualità è costruita dal pensiero. Quindi, osservando tutto ciò, si capisce che la crisi è nella natura stessa del pensiero. Il mondo esterno e quello interiore sono messi assieme dal pensiero. Il pensiero è un processo materiale; il pensiero ha costruito la bomba atomica, le navicelle spaziali, il computer, il robot, e tutti i vari strumenti di guerra.

Il pensiero ha anche costruito meravigliose cattedrali e chiese, e tutto ciò che esse contengono. Allo stesso tempo non c’è nulla di sacro nel movimento del pensiero. Ciò che il pensiero ha generato come simbolo che voi venerate, non è sacro, è semplicemente messo lì dal pensiero. I rituali, tutte le divisioni religiose e nazionali, sono tutti risultato del pensiero.

Per favore pensateci con molta attenzione, non stiamo cercando di persuadere nessuno, né di condannare o di incoraggiare, stiamo solo osservando: questo è un fatto, una realtà. Quindi, la crisi è nella natura stessa del pensiero, e, come abbiamo detto, il pensiero è il risultato delle origini dei sensi, delle risposte sensoriali, delle esperienze, dell’incontro con qualcosa che viene registrato come conoscenza, come memoria, e da quella memoria sorge il pensiero.

Questo è il processo e la natura del pensiero, è stato così per innumerevoli anni. Tutte le culture, dall’antico Egitto e da prima ancora, sono basate sul pensiero, e il pensiero ha creato questa confusione esterna e interiore. Per favore, osservatelo da voi stessi, non ve lo sto insegnando io, non sto dando spiegazioni, chi parla sta solo trovando le parole per comunicare ciò che ha osservato. Noi, assieme, stiamo osservando la natura e la struttura del pensiero.

Cioè reazioni sensoriali, quando vi imbattete in qualcosa che è definibile come esperienza, quella stessa esperienza viene registrata come conoscenza, e quella conoscenza diventa memoria, e quella memoria agisce in forma di pensiero. Quindi da quell’azione voi imparate di più, accumulate più conoscenza. Così l’uomo ha vissuto per milioni di anni in questo processo: esperienza, conoscenza, memoria, pensiero, azione, in questa sequenza. Mi chiedo se ciò è chiaro.

La nostra crisi, quindi, è nella natura stessa del pensiero. Voi direte: “Come possiamo agire senza conoscenza, senza pensiero?”. Non è questo il punto. Prima di tutto osservate la natura del pensiero, con molta chiarezza; senza alcun pregiudizio, senza alcuna direzione preposta, e vedrete che è come ho detto. Il nostro cervello, che vive in questo cerchio fatto d’esperienza, di conoscenza, di azione, memoria, d’ulteriore conoscenza, ha problemi perché la conoscenza è sempre limitata.

In questo modo il nostro cervello è addestrato per risolvere problemi; si tratta di un cervello-risolvi-problemi, non è mai libero da problemi. Spero che capirete la differenza. Il nostro cervello è stato addestrato per risolvere problemi sia nel mondo scientifico che in quello psicologico, nel mondo delle relazioni.

Sorgono i problemi, e noi cerchiamo di risolverli, la soluzione è sempre cercata nel campo della conoscenza. Come abbiamo detto, la conoscenza è sempre incompleta, questo è un fatto. Si tratta di un punto molto importante da osservare, con sensibile consapevolezza: quella conoscenza in nessuna circostanza sarà mai completa. Guardiamo a qualcosa di diverso, per esempio: che cos’è la bellezza?

Perché c’è così poca bellezza nel mondo? Fatta eccezione per la natura, per le colline, i boschi, i fiumi, gli uccelli e le cose della terra, per quale motivo c’è così poca bellezza nelle nostre vite? Andiamo al museo ad ammirare pitture, sculture e le opere straordinarie che l’uomo ha creato, poemi, letterature, architetture meravigliose; ma quando guardiamo al nostro interno troviamo così poca bellezza.

Desideriamo bei volti, vogliamo dipingerli, ma nel profondo, (stiamo di nuovo osservando, non negando o accettando), troviamo così poco senso della bellezza, della quiete, della dignità. Perché? Perché l’uomo è diventato questo?

Per quale motivo gli esseri umani, che sono così brillanti, eruditi in tutti i campi, che vanno sulla luna a piantarci un pezzo di stoffa, che creano macchine straordinarie, perché tutti noi siamo diventati quello che siamo: volgari, chiassosi, mediocri, pieni di vanità per le nostre piccole carriere, arroganti nelle nostre piccole conoscenze. Perché? Che cosa è accaduto all’umanità? Che cosa vi è accaduto? E questa, credo, è la crisi. E noi la evitiamo, non vogliamo osservarci con chiarezza.

L’auto-educazione è l’inizio della saggezza, non quella dei libri, o che risiede in qualcun altro, ma quella che ci fa comprendere le nostre attività egoiste, meschine, distorte, che proseguono giorno dopo giorno, giorno dopo giorno. La crisi è nei nostri cuori, nelle nostre menti, nel nostro cervello. E così come la conoscenza è sempre limitata, e noi siamo sempre attivi in quel contesto, ci troviamo in eterno conflitto. Questo deve essere compreso con grande chiarezza.” (Jiddu Krishnamurti, 3 maggio 1981)

domenica 13 settembre 2015

Molti riflessi



“Quello che è il Brahman supremo
l'atman di tutto, il grande fondamento
di questo intero universo, più sottile
del sottile, eterno, questo sei tu!
Tu sei questo!”
(Kaivalya Upanishad, 16)

L’universo è un fenomeno, un riflesso, una proiezione del Seme principio che resta non manifesto perché è trascendente ad ogni manifestazione. Visto così, l’universo risulta composto da quello che si manifesta diventando oggettivo e da quello che è immanifesto e soggettivo. Nell’universo abbiamo, dunque, una parte che appare e una parte che resta velata, perciò abbiamo quello che è il fenomeno e quello che è il noumeno.

Se consideriamo il Principio seme universale vediamo che, a sua volta, anch'esso è solo uno degli infiniti riflessi di Brahman Nirguna che è completamente trascendente sia al Principio seme che a tutto quello che si produce in conseguenza del successivo sviluppo proiettivo.

Vediamo che c'è una forma formale cioè che abbiamo un Principio seme in cui si mostra sia il fenomeno che il noumeno, e che dà la forma ad entrambi. Vediamo che c'è una Costante Assoluta, in quanto c’è quello che dà la forma, la vita e la morte essendo la radice di entrambi gli aspetti e che viene chiamato Brahman Saguna. Però non dobbiamo confondere i tre livelli di Braman Nirguna, di Brahman Saguna con il livello del mondo dei nomi e dei fenomeni ossia con la realtà della materia.

L’universo non è uscito fuori da Brahman perché l’universo o sogno cosmico è solo una modificazione ideale della mente di Brahman Saguna o Isvara. Isvara, con la sua mente compie un movimento pensativo che è simile al sogno notturno del sognatore. Così come il ghiaccio è solo una modificazione dell’acqua, il sogno non è altro che un’idea che si è fatta oggetto nella mente del sognatore.

Sappiamo che nessun principio può uscire dai principi che sono insiti alla sua stessa natura principale. La mente universale o prakriti costituisce il polo negativo della diade di cui il purusha è il polo positivo, perciò prakriti simboleggia la Madre universale mentre purusha è il suo stimolatore. Per questo, essi sono il Padre-Madre della creazione da cui deriva tutto il mondo empirico.

Nel sogno, la mente proietta un soggetto, jiva, ed esso s'identifica con il mondo di sogni che si è reso oggettivo. Ogni universo nasce da istanze o samskara, non risolte degli innumerevoli jiva, anime individualizzate, che sono come dei semi che premono per uscire, per esprimersi e per fiorire. Il jiva si identifica con le sue proiezioni, con il suo corpo, con i suoi sensi o con gli oggetti e così via, fino a dimenticare di essere la costante e la radice della sua stessa essenza.

Maya si sovrappone alla Pura Essenza Costante perciò la realizzazione consiste nel ritrovare la propria natura di Essere. Il messaggio è quello di ricordare che siamo della stessa natura della Costante Assoluta. Noi siamo Beatitudine, Coscienza ed Esistenza assolute ma le nostre identificazioni con tutto ciò che non siamo ci porta al conflitto e alla sofferenza.

L’uomo si pensa come corpo, come desiderio, come intelletto e come molte cose e altri aspetti di Maya. Ma, dietro tutte le immagini deformate si nasconde il vero Essere, quello che non è mai nato e che non potrà mai morire. Il Saguna-seme è un riflesso che si staglia sullo schermo dell’infinito, Brahman, che è la sola e unica realtà, l’Uno senza secondo, la vera Costante Assoluta.

L’anima vivente è il jiva ma non è altro che un riflesso dell’Anima Universale e, quest’ultima, non è altro che un riflesso cangiante di Brahman Nirguna. L’io è incompletezza perché le sue espressioni non sono realtà ma sono solo un riflesso, sono Maya. L’intuizione o illuminazione del Sé fa comprendere che l’unica realtà è il Sé: è il Sé che ci fa ritornare alla realtà dell’Assoluto.

Ma la nostra ricerca inizia dal punto esistenziale in cui ci troviamo, perciò dobbiamo accettare l’esistenza di un nostro sistema di coordinate, e capire che esso non è un dato assoluto. Dobbiamo riconoscere che è un semplice dato relativo del mondo dei fenomeni perciò, di fronte ad altri sistemi, riveste ben poca importanza e, in prospettive superiori, qualche volta, può scomparire completamente.

Certamente anche un miraggio possiede una sua verità come la possiede anche il sogno del sognatore. Il mondo dei nomi e delle forme non va negato, ma va dato il giusto valore al contesto delle cose. Ogni jiva esprime delle qualificazioni: egli sente, esperisce, percepisce, prova l'odio, l'amore, l'ambizione, la coscienza dell'accumulo, perché ogni jiva si esprime secondo la sua propria natura.

Nel Vedanta si parla di idee cristallizzate quando si vuole alludere ad un mondo che è superato, che è invecchiato, che si è cristallizzato e coagulato in un determinato modo e con una certa struttura. Quando si arriva a questo, quello che occore è far morire le idee coagulate riguardo a quello che siamo. Noi siamo Quello, cioè l’atman eternamente risplendente e la Quintessenza di ogni possibile Quintessenza.

Ma ci conosciamo solo per mezzo dei guna ossia ci conosciamo solo per mezzo delle nostre qualità energetiche. E poi, credendo solo in queste identificazioni, non ci consideriamo per quello che siamo veramente perciò siamo alienati da noi stessi. Abbiamo dimenticato che siamo un riflesso della Coscienza incarnata, ma la consapevolezza ci deve fare riconoscere come enti che hanno assunto un nome e una forma, e che sono collocati in uno spazio e in un tempo definiti.

Ritrovare la fonte significa riconoscersi come l'atman la cui vera natura è la pienezza. Ma poiché questo stato non può essere descritto con le parole, poiché non abbiamo nessuno schema concettuale che può definire questo stato, ne consegue che, l'Essere vada realizzato compiutamente. La realizzazione è la presa di consapevolezza totale della nostra vera Realtà.

La nostra coscienza non deve muoversi più verso altre proiezioni della mente, ma deve riprendere il suo proprio stato d'Essere. Dobbiamo riconoscere che siamo un riflesso dell’Essere che si è incarnato, perciò dobbiamo riconoscere la nostra immortalità e dobbiamo riconoscerci come degli esseri immortali. Ma tutto questo deve essere creduto nell’immediatezza e con un’integrale comprensione.

La nostra consapevolezza deve afferrare, comprendere e riconoscere che tutto questo è verità. Diciamo che ritrovare Brahman non dipende da specifiche tecniche o da alcuni metodi più importanti di altri per loro natura e grado. Ma è anche vero che l’individuo può servirsi dei mezzi e dei metodi che riconosce come i più adatti a favorire una completa presa di consapevolezza della sua vera Essenza.

Un vero maestro cerca di dare a ognuno quello che gli necessita, perché lui stesso è andato oltre la tecnica, oltre l'insegnamento, oltre il metodo e il pensiero. Una dottrina o una filosofia che vuole offrire la salvezza non può essere considerata un tesoro esclusivo di una singola individualità, ma va considerata patrimonio dell’umanità. Nell’universo non c’è nulla che possa essere accettato o rifiutato in assoluto, perché l’unica cosa che può renderci schiavi è avere un errato accostamento alle cose.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 10 settembre 2015

Continuum



“I saggi trovarono la connessione
dell’essere nel non-essere cercando
con riflessione nel loro cuore.”
(Nasadiyasukta 129, 1,4)

I filosofi delle Upanishad sapevano molte cose sull’origine degli dei, del cosmo e degli uomini perché le avevano imparate dagli antichi Ari che erano discesi dal nord e avevano conquistato l’India. Le Upanishad, i Brahmana e gli Aranyaka fanno parte del corpus di dottrine che sono conosciute con il nome di Veda. Il termine “veda” significa “ciò che è stato visto e realizzato dai saggi“ cioè “Conoscenza Suprema” ovvero “Scienza sacra.”

Nei testi vedici si tramandano le concezioni della sruti ossia le rivelazioni che furono ispirate direttamente ai sacri Veggenti da parte del mondo divino. L’asse centrale del loro insegnamento è la “rta” ossia l’esistenza di un grande ordine cosmico che si riflette a tutti i livelli dell’esistente. Essi appresero che l’universo, il moto degli astri, il mondo degli dei e il mondo degli uomini, lo scorrere del tempo e delle stagioni dimostra l’esistenza di un Ordine sacro che è ovunque valido.

La loro concezione dell’universo e dell’esistenza possiede una coerenza e un rigore che viene raffigurato dalla trama di uno splendido tessuto. Perciò le verità che vengono tramandate dai Veda vanno considerate il più grande dono che gli antichi Ari potessero lasciarci. Quei maestri dissero che tutto ciò che esiste, a partire dall’umile filo di erba fino alla più elevata divinità obbedisce alla grande coerenza e alla corrispondenza armoniosa del cosmo definita Sanatana Dharma, ossia Legge Eterna che dimostra le più elevate Verità.

Questi insegnamenti furono rivelati a 7 grandi Veggenti che parlavano con 7 voci sacre. Ad essi gli dei rivelarono un immenso tesoro di saggezza che fu trasmesso sul piano spirituale e che venne tramandato in modo orale per molti secoli. Quei saggi si resero consapevoli - attraverso l’introspezione - che, nel cuore dell’uomo, si nasconde un vuoto profondo, un’immobilità indescrivibile, uno stato che supera il pensiero, il sogno, la percezione e la conoscenza: questo stato dell’essere non è condizionato dallo spazio e dal tempo.

Perciò essi arrivarono alla sorgente di ogni aspetto dell’esistenza e videro che al di là di ogni forma di apparenza esiste uno stato causale, un continuum, uno stato indifferenziato di cui ogni aspetto percepibile è solo uno sviluppo visibile. Tutto l’universo è la realizzazione di un piano divino, perciò il cosmo è la materializzazione di un sogno organizzato.

Tutto il mondo visibile è percepito come la cristallizzazione del pensiero del Creatore. Tutto il cosmo è un meccanismo conscio, è la manifestazione di una volontà e non certo un meccanismo inconscio o insensato. I filosofi delle Upanishad dissero che, al di là dei substrati apparenti esiste un continuum percettibile sottinteso a ogni aspetto della realtà.

Dissero che il supporto di tutte le forme percettibili è uno spazio vuoto e assoluto che descrissero come un continuum senza limiti indifferenziato e invisibile che chiamarono etere, akasha, in cui vengono costruite tutte le suddivisioni immaginarie dello spazio relativo. Il movimento degli astri del cielo ci appare come reale perché le percezioni sensoriali sono illusorie, e non perché quel movimento sia reale.

È il movimento che crea l’apparenza della polarizzazione e del ritmo, ma tutto questo è inesistente perciò è illusorio. Il carattere del movimento è un prodotto di Maya, perciò è frutto dell'illusione. Questa interpretazione spiega la natura dell’universo che sembra esistere sebbene esso sia composto solo di energia. L’esempio classico che viene fatto è quello dello spazio interno di una giara che non è mai separato dallo spazio esterno alla giara anche se viene percepito come tale, perché non riusciamo a vedere la continuità dello spazio.

Il tempo viene paragonato ad un bastone invisibile perciò il tempo assoluto è l’eternità sempre presente e inseparabile dallo spazio. Il tempo ci appare come relativo perché il ritmo del cosmo lo fa percepire in questo modo sebbene anche il tempo sia un continuum. Anche il pensiero non viene percepito come un continuum perché non vediamo oltre l'apparenza. Ovunque esiste una continuità che non viene percepita, perché si nasconde oltre l’apparenza della realtà materiale.

I saggi veggenti dissero che il substrato dello spazio è l’esistenza, sat. Che il substrato del tempo è l’esperienza o beatitudine, ananda, e che il substrato del pensiero è la coscienza, cit. Dissero pure che, affinché qualcosa possa esistere è necessaria una forma di esistenza perciò l’esistenza precede lo spazio. Anche il tempo esiste solo in rapporto alla percezione perciò conclusero che la percezione precede il tempo.

Rivelarono che la percezione primaria, potenziale e indifferenziata è il primo principio dell’esperienza e che corrisponde alla beatitudine perfetta cioè alla gioia pura e assoluta che è la natura ultima dell’esperienza. La beatitudine assoluta venne chiamata brahman, la sorgente da cui nascono gli esseri, perché nella beatitudine assoluta gli esseri vivono e nella beatitudine assoluta gli esseri ritornano quando hanno cessato di esistere.

Poi insegnarono che non esiste esperienza senza esistenza e che non esiste esperienza senza esistenza. Perciò la beatitudine è un’esperienza che si illumina da se stessa sebbene la beatitudine sia diversa dalla sensazione. L’esistenza è una forma di beatitudine perché è uno stato liberato dall’inerzia.

E siccome la beatitudine è una forma di esistenza anch’essa è un continuum, perciò la base dell’esperienza è conosciuta come sensazione o come emozione. L’esperienza della beatitudine implica la realizzazione del tempo assoluto che è l’eternità cioè l’attimo sempre presente. L’essere che raggiunge questo stadio è liberato da ogni legame con l’azione ossia è libero dal karma perciò conosce la beatitudine di Brahma.

Il substrato del pensiero è la coscienza, perché il pensiero può esistere solo in uno spirito consapevole. Non esiste pensiero senza pensatore così come non esiste pensiero senza una qualche forma di individualità che non sia cosciente della sua esistenza. Perciò essi dissero che la coscienza è il substrato del pensiero e che la coscienza è inseparabile dalla nozione di esistenza individuale di un sé personale e durevole.

La coscienza è sempre legata all’individualità e la coscienza universale è rappresentata dal Sé, atman. L’immensità senza forma è il substrato ultimo della coscienza e viene sperimentato come vuoto, come silenzio, come un’oscurità totale della ragione che spazia oltre lo spirito e oltre l’intelligenza. Essa viene percepita dall’uomo nell’interiorità del suo essere come un vuoto che rappresenta il suo “io” più profondo.

Questo “io” è condiviso con tutti gli altri esseri ed è l’Oceano senza forma del Sé da cui emergono tutti gli esseri: è la creatura molteplice di ogni individuo. Il Sé o anima individuale è minuscolo come un piccolo granello di seme ma è vasto anche come l’intero universo. Il Sé elude ogni limite dello spazio e del tempo e forma il continuum di tutti gli esseri che compaiono come entità individuali.

L’anima è il continuum che esiste all’interno e all’esterno di tutte le cose, perciò l’io ossia l’individualità è solo un modo temporaneo, è solo un punto particolare della coscienza. L’anima individuale è un centro specifico di un punto del Sé indefinito che è costituito dal confluire di diverse correnti così come l’oggetto è solo un gruppo di energie che sono intrecciate insieme in un punto localizzato dello spazio infinito.

Il Sé può esistere indipendentemente da ogni pensiero, mentre l’io è il centro della vibrazione che costituisce il pensiero. Il Sé è il substrato di cui l’uomo può avere coscienza perché è il substrato della coscienza individuale. I saggi delle Upanishad rivelarono l’esistenza dei tre continuum di spazio, di tempo e di coscienza.

Ma ammisero che questo non potrà mai essere dimostrato, perché il substrato dei 3 elementi è un substrato causale ancora più sottile che supera ogni mezzo di percezione e si sottrae a tutti i metodi di ragionamento. Dissero che è impossibile usare i metodi del ragionamento logico in un campo che supera tutti i campi in cui si può usare la logica.

L’Immensità è un continuum di spazio-tempo-coscienza ed è lo stato ultimo e assoluto in cui vengono riunite l’Esistenza che sorge dalle forme spaziali, la Conoscenza o Coscienza che trascende il pensiero e il tempo senza limiti cioè l’Eternità che è alla base dell’esistenza e della beatitudine. Brahman fu visto come l’unità individuale di Esistenza, di Coscienza e di Eternità. E dissero che questa immensità, questo vuoto, questo sconosciuto, questo assoluto non-esistente possiede la natura più profonda di ogni cosa.

Buona erranza
Sharatan