martedì 24 settembre 2013

Ci siamo già conosciuti?



“Ci siamo già conosciuti? Certamente. Molto tempo fa, nei recessi dell’etere dove è stata creata la nostra anima, noi dormivamo avvolti dalla saggezza di Dio. Quando Egli ci ha destati, ci siamo allontanati da Lui, come il figliol prodigo della parabola evangelica, e abbiamo dimenticato i divini legami che ci uniscono gli uni agli altri, diventando così degli estranei. Dopo aver lasciato la nostra dimora in Dio, il destino ci ha trasformati in viaggiatori solitari su questa terra.

Vi rendete conto di quanto vi siete allontanati da Lui? Vi rendete conto che state vagabondando da infinite incarnazioni? È difficile dire quante siano. Eppure, di tanto in tanto, esperienze, luoghi o volti risvegliano in voi un’intima sensazione di familiarità che vi parla sommessamente di un passato conosciuto.

Ogni anima è onnisciente, ma la sua natura esteriore, che si è identificata con il corpo e con l’ego, è limitata dal nome, dalla famiglia e dall’ambiente. Il giorno in cui l’anima ricorderà la sua origine divina, la vostra coscienza vivrà nuovamente nell’immenso regno dello Spirito e voi riconoscerete tutte le cose che dimorano in Lui, proprio come ora conoscete la vostra piccola casa terrena e la vostra famiglia.

La più meravigliosa delle esperienze è incontrare e riconoscere qualcuno che avete già conosciuto, un compagno di viaggio con il quale avete percorso il sentiero della vita in precedenti incarnazioni. Ho conosciuto nelle vite passate tutti i miei familiari. Di tanto in tanto incontro altre persone che ho frequentato in incarnazioni precedenti, come ad esempio gli amici d’infanzia; sebbene non abbiano niente in comune con la mia attuale, sono anime che ho già conosciuto.

Anche prima di lasciare l’India per venire in America, e in seguito, quando arrivai a Boston, sapevo che avrei incontrato molti veri amici delle mie vite precedenti. Riconosco perfettamente coloro che ho già conosciuto quando li incontro in questa vita. Ad alcuni ho detto: “Finalmente ti ho ritrovato, siamo stati insieme un tempo. Perché ti sei fatto attendere così a lungo?” Io cerco coloro che dovevano trovarsi al mio fianco per lavorare con me nell’opera di Dio. Ogni giorno li chiamo:”Dove siete voi che un tempo eravate accanto a me?”

Improvvisamente mi appare un volto tra la folla e penso: “Ecco, uno di loro ha udito il mio richiamo.” Proprio ora, mentre guardo i vostri volti, non posso fare a meno di pensare che un tempo, nell’indistinto lontano passato, voi avete udito la mia voce e il mio richiamo vi ha portati qui. Per quale altro motivo, tra milioni di persone, siete stati spinti a venire, se non fosse stato Dio a scegliervi?

Alcune anime, non completamente uscite dal sonno dell’ignoranza che nasconde i ricordi delle vite passate, si soffermeranno a pensare: “Si, so di che cosa sta parlando. Non so dove, ma io ho già sentito questa voce, la conosco.” Non ho mai visto il mio Guru, lo Swami Sri Yukteswarji, che di solito era molto riservato, tanto eccitato come quando ci incontrammo per la prima volta. Si rese conto che io avevo capito istantaneamente chi era, ma lui sapeva tante cose che io non sapevo.

Anche Krisna disse al suo amato discepolo: “Molte sono le mie esistenze passate e molte le tue, o Arjuna; io le conosco tutte, ma tu non le ricordi.” Non potrò mai dimenticare la gioia che ho provato quando riconobbi il Maestro la prima volta in cui lo incontrai. Mai nella mia vita ho conosciuto una persona tanto straordinaria. Egli era l’espressione vivente dello spirito di Dio.

Sri Yukteswarji era molto umile. Gli amici non avevano motivo di sentirsi intimoriti da lui. Ma una volta diventati suoi discepoli, guai a coloro che non riuscivano a sopportare la sua ferrea disciplina! Egli non dava importanza alle parole, ma ai pensieri. Molti non erano in grado di accettare la sua severità.

Tuttavia, fui felice quando mi accorsi che stava cancellando dalla mia mente ogni pensiero sbagliato, permeandola di saggezza divina. Sri Yukteswarji era una meravigliosa fonte di saggezza poiché, quando amate sinceramente Dio, sapete tutto quello che Egli sa. Il Maestro amava veramente Dio.” (Paramahansa Yogananda)

venerdì 20 settembre 2013

La paura e l’istante



“Così non viviamo mai ma speriamo di vivere;
e disponendoci sempre a essere felici,
è inevitabile che non lo siamo.”
(Blaise Pascal)

“La paura ci intima l’ordine di fuggire un oggetto o una situazione. Ma è sempre la nostra sensazione, la nostra esperienza che vogliamo fuggire. Affrontare, sentire, essere presenti a se stessi è una vittoria sulla paura. Se avessimo accettato di sentire (noi stessi) non avremmo lasciato che le cose fossero andate tanto in là, ci sarebbe meno sofferenza, nel mondo.

Non lasciare che la tua attenzione si distolga dalla situazione di insieme, sorveglia la sua evoluzione globale, non perdere di vista la totalità, conserva la tua presenza di spirito, affronta tutta la realtà. La nobiltà nel comportamento – il “portamento” – viene dalla sincronia tra corpo e mente. Fisicamente presente, la persona nobile abita il suo corpo. Mette il peso della sua presenza in ogni suo gesto.

La tattica infallibile dell’avversario è renderti assente a te stesso, anche solo per un istante. Non appena la tua mente lascia il tuo corpo, sei perduto. La comunicazione tra le truppe e lo stato maggiore è interrotta. Ecco il panico.

La radice della vigliaccheria è la fuga fuori dal corpo, il tirarsi indietro davanti alla situazione. La mente del vero guerriero accompagna sempre il suo corpo. È lì all’erta, presente, calma, vigile. La bassezza è nella distrazione, la disattenzione verso di sé e gli altri. Un essere si abbassa quando il suo corpo non gli appartiene, quando la sua mente diserta.

Il coraggio risiede nella determinazione di far fronte, di assumere la propria presenza qui e ora, di non sottrarsi con la mente. Nelle arti marziali, perdere equivale a smettere, anche solo per un istante, di mantenere l’armonia tra corpo e mente. Si fallisce perché ci si assenta nei calcoli, nei piani, nei progetti invece di osservare e di affrontare ciò che è di fronte a noi.

La paura è una volontà di fuggire, un insopprimibile desiderio di non esserci. Il vigliacco non abita il suo corpo. L’avversario vuole “farti paura” ovvero vuole dissociare il tuo corpo e la tua mente. Cosa significa essere presenti? Abitare il proprio corpo e proteggere la propria mente.

Essere presenti è la disciplina più semplice e più difficile. Perché è così difficile? Perché, se sono presente, veramente presente, senza fuggire, divento vulnerabile. Fuggiamo l’istante presente perché ne abbiamo paura. Ma è proprio la paura a rendercelo insopportabile. Sei l’istante, nient’altro che questo.” (Pierre Lévy – Il fuoco liberatore – Sassella ed., 2006)

domenica 15 settembre 2013

Straniero a te stesso



Sii straniero a te stesso
Vedi la vita come un fiume che scorre nel tempo.
Resta sulla riva, né curioso né preoccupato.

Da' un'occhiata o osserva lo scorrere del passato
che fluttua tra i ricordi -
proprio come gli eventi di cui si legge sul giornale.

Distaccato e indifferente
ricorda che nulla importa.

Esisti soltanto -
allora ... l'esplosione!

Love!

(Osho)

giovedì 12 settembre 2013

I falsi sentieri



“Abbandonarsi vuol dire liberarsi.”
(Dugpa Rimpoce)

Percorrere un sentiero spirituale non è una cosa semplice da affrontare con superficialità, insegna il grande lama Chogyam Trungpa, perché il sentiero spirituale è sempre molto arduo e difficile. Sebbene molti aspirino a percorrerlo, non di meno, gli aspiranti ricercatori andrebbero avvertiti sui pericoli che si presentano lungo il percorso.

Ci sono molte deviazioni che portano alla confusione, perché la spiritualità si presta facilmente ad una visione egocentrica. Si può cadere facilmente in inganno e si può credere di essere sulla strada giusta, mentre invece stiamo solo rafforzando la visione egocentrica che usa le tecniche spirituali: a questa distorsione possiamo dare il nome di materialismo spirituale.

Sono molte le forme di inganno a cui possiamo andare incontro e in cui possiamo cadere, perciò il sentiero spirituale è considerato come il processo per cui riusciamo ad aprirci una strada attraverso la confusione e gli auto-inganni per scoprire il risveglio della mente. Questo risveglio viene ostacolato dal sonno della mente e dai suoi auto-inganni.

Non si tratta di ritardare il risveglio ma si tratta di bruciare gli inganni e la confusione, e la combustione costituisce l’illuminazione. Senza il processo di combustione, lo stato di risveglio non sarebbe un prodotto autentico dell'essere, ma sarebbe il risultato di cause e di effetti, perciò sarebbe uno stato mentale di dissoluzione.

L’illuminazione non è qualcosa che possiamo produrre ma qualcosa che dobbiamo scoprire, e la tradizione buddista usa l’immagine del sole sorgente per spiegarla. Con la meditazione possiamo eliminare la confusione dell’Ego per trovare lo stato di risveglio, perché l’assenza di ignoranza, di confusione e di paranoia spalanca l’orizzonte della vita e fa scoprire un nuovo modo di essere.

L’assenza di confusione comporta che l’uomo possa sentire il senso del suo sé in modo solido e stabile. Solitamente i pensieri e le emozioni forniscono un senso di sé che è molto precario e transitorio, perché tutto è legato a ciò che accade, perciò crediamo che quello sia il nostro vero essere e cerchiamo di conservarlo.

Siamo così immersi nella confusione che ci aggrappiamo all'illusorio senso di noi stessi sebbene sia precario e instabile, perché crediamo che quello sia il nostro vero mondo e la nostra vera realtà. Ci cristallizziamo nelle abitudini anche se esse sono realtà precarie e ingannevoli, e lo sforzo per mantenere l'inganno è il prodotto dell’azione dell’Ego.

L’Ego non è in grado di proteggerci dal dolore e dalla insoddisfazione che ci accompagnano, perciò il disagio è lo stimolo per esaminare ciò che stiamo facendo. Ci sono sempre delle brecce nella autocoscienza in cui è possibile penetrare, perciò il buddismo tibetano spiega il funzionamento dell’Ego con il simbolismo del dominio dei Tre Signori del Materialismo.

Il Signore della Forma si riferisce alla nevrotica ricerca dell’agio, della sicurezza e dei piaceri fisici. La nostra epoca pianificata e tanto tecnologica riflette la volontà umana di proteggersi dagli aspetti più crudi e più duri della vita. Usiamo i prodotti di massa e gli strumenti per fare il lavoro e cerchiamo di programmare persino i cicli della vita. Tutto questo dovrebbe creare un mondo sicuro e più prevedibile, più piacevole e divertente.

Il Signore della Forma crea delle situazioni sicure per nascondere l’ansia e la preoccupazione nevrotica, ma il meccanismo cela l’ambizione dell’Ego che vuole godersela e che odia i fastidi. Temiamo i cambiamenti oppure li forziamo in modo programmato, perciò cerchiamo il nido confortevole e sogniamo un mondo che assomiglia al Paese dei Balocchi.

Il Signore della Parola usa l’intelletto per creare i concetti e le categorie, e li usa come degli strumenti per maneggiare i fenomeni. Il suo prodotto sono le ideologie ed i sistemi di idee che razionalizzano, giustificano e santificano la vita per creare delle identità, delle norme di condotta e delle interpretazioni certe dei fenomeni.

Il Signore della Favella è diverso dal Signore della Parola, perché esprime la tendenza dell’Ego di interpretare le cose minacciose o fastidiose per neutralizzarne la minaccia e trasformarle in cose positive. I concetti sono usati come filtri che schermano le percezioni dirette e le scomodità della realtà. I concetti sono cristallizzati e sono usati come mezzi e strumenti utili per eliminare dubbi, incertezze e timori.

Il Signore della Mente usa lo sforzo della coscienza per restare consapevole di sé. Questo Signore ci domina quando usiamo le discipline spirituali e le teorie psicologiche come dei mezzi per conservare l’autocoscienza, e per aggrappandoci al nostro senso del sé. Le droghe, lo yoga, la preghiera, la meditazione, le psicoterapie varie e persino la spiritualità possono essere usate dall’Ego a suo vantaggio.

Ogni tecnica anche benefica viene esaminata dall’Ego, dapprima osservata come oggetto di fascinazione, poi studiata per essere imitata. Sebbene l’Ego possa sembrare molto solido, in realtà è in grado solo di imitare, perché non sa creare o assorbire nulla essendo pieno di se stesso, dice Chogyam.

L’Ego sa imitare solo le tecniche esteriori, perciò usa i trucchi e le cose esteriori della spiritualità, poiché non sa lasciarsi permeare e trasformare. L’Ego imita in modo automatico, dal momento che per coinvolgersi totalmente nel gioco spirituale bisogna sentire l’esigenza di eliminare l’Ego, e l’ultima cosa che l'Ego desidera è quella di essere eliminato.

Tuttavia è evidente che non possiamo sperimentare quello che cerchiamo di evitare, ma possiamo solo trovare ciò che assomiglia di più a quello che vorremmo imitare o essere. L’Ego traduce tutto il mondo in termini del suo stato di salute, delle sue qualità, delle sue simpatie e preferenze.

Imitando la spiritualità, l’Ego assapora una sensazione di splendore per quello che è riuscito a imitare, perché il senso di compiutezza e di splendore creano una struttura che diventa la prova tangibile della grandezza dell'individualità. L’Egoità completa e totale, dice Chogyam, è come uno stato demoniaco.

Il Signore della Mente è il più abile a manipolare la spiritualità, ma anche gli altri Signori sanno dominare la pratica spirituale. Nel ritirarsi nella natura e nell'isolarsi dalla gente vediamo le pratiche che proteggono dai fastidi, perciò esse sono le espressioni del dominio del Signore della Forma.

E lo stesso avviene se la religione diventa un modo per razionalizzare le incertezze, e lo stesso fenomeno avviene se vogliamo avere un nido comodo, una vita sicura, un compagno affettuoso e un lavoro facile. Anche il Signore della Favella influenza la vita spirituale quando ci illude che seguire un sentiero spirituale possa sostituire le vecchie abitudini offrendo la sicurezza di una nuova ideologia religiosa.

Quando vogliamo vivere senza stare a vedere se le nostre vecchie idee siano sublimi. Se prendiamo queste cose troppo sul serio stiamo conservando la struttura del nostro vecchio Io, perciò ci facciamo dominare dal Signore della Favella. Tutti dovremmo osservarci e saper ammettere che siamo dominati da uno dei Tre Signori.

Qualcuno potrebbe anche dire: “Ma che mi importa? Questa è una condizione umana normale. Quei Signori sono troppo potenti per poter venire sconfitti, e poi con cosa dovremmo rimpiazzarli?” Il Buddha fu il primo essere che esaminò il problema e che notò la forza del dominio.

Si chiese perché mai li seguiamo così ciecamente, e perché ci lasciamo dominare da loro. Egli scoprì che essi ci dominano perché ci fanno credere che siamo degli esseri solidi. Ma fondamentalmente, tutto questo mito è una fandonia, è una grande frode ed è la vera fonte della nostra infelicità.

Ma per fare la scoperta dovette aprire una breccia nelle poderose difese che essi usavano. Non possiamo liberarci se non sappiamo aprire anche noi un varco, e se non sappiamo togliere uno dopo l’altro, tutti gli schermi che usano. Le loro difese sono fatte con il materiale della nostra mente, e la materia mentale viene usata dai Signori per creare l’illusione della solidità.

Per osservare come il fatto avvenga dobbiamo osservare la nostra esperienza personale, e lo strumento migliore che possiamo usare è la meditazione. Il Buddha scoprì che era inutile fare degli sforzi per trovare le risposte, perché quando lo sforzo della mente cessava gli venivano delle visioni intuitive.

Egli scoprì che in noi c’è una qualità sana, sveglia e autentica che si rivela quando finiscono gli sforzi della mente. Perciò egli disse che la pratica della meditazione comporta il “lasciar essere.” La meditazione è molto fraintesa, perché qualcuno la considera uno stato simile alla trance, altri la vedono come un training o come una ginnastica mentale usata per rilassarsi.

Ma la meditazione non è nulla di tutto questo, sebbene comporti il confrontarsi con gli stati nevrotici della mente. Lo stato nevrotico della mente non è difficile o impossibile da trattare, perché esso possiede un’energia, una velocità e una struttura che gli è peculiare. La meditazione insegna a lasciar essere, insegna l’andare con l’energia, il fluire con la sua struttura e con la sua velocità.

In questo modo impariamo a conoscere tutti i fattori, impariamo a entrare in rapporto con essi. Ma non nel senso di lasciarli maturare come ci piace, ma nel senso di conoscerli per come essi sono, perciò ci insegna a lavorare con la loro struttura. C’è una storia che racconta che un giorno il Buddha insegnava a meditare a un famoso suonatore di sitar.

Il musicista gli chiese come dovesse controllare la sua mente. Il Buddha gli chiese: “Tu che sei un musico molto famoso, come accordi le corde del tuo sitar?” Il musicista gli rispose: “Le accordo in modo che non siano troppo tese, ma neppure troppo lente.” Allora il Buddha gli rispose: “Anche nella meditazione non devi tendere troppo la mente, ma neppure lasciarla troppo vagare.”

La storia ci insegna che dobbiamo lasciar essere la mente senza forzarla troppo. Dobbiamo sentire il flusso dell’energia senza cercare di controllarla troppo e senza lasciarla senza controllo, perciò dobbiamo imparare come lasciar andare la struttura della mente. Questa è la giusta tecnica per meditare.

Questa è l’unica pratica utile perché il nostro modello di pensiero, il nostro modo di concettualizzare è diventato troppo incline alla manipolazione. Ci siamo abituati a imporci troppo sulla mente oppure siamo diventati eccessivamente sfrenati. La meditazione inizia dagli strati superficiali dell’Ego e dai discorsi ossessivi che occupano la mente con un chiacchiericcio continuo.

I Signori del Materialismo usano il pensiero discorsivo come una prima linea di difesa, avverte Chogyam, perciò usano i nostri pensieri come pedine che devono ingannare. E più generiamo i pensieri e più restiamo affaccendati a livello mentale, perciò diventiamo sempre più certi della nostra esistenza.

Così i Signori del Materialismo creano sempre dei nuovi pensieri e li attivano tutti assieme, perché le sovrapposizioni di piani non fanno vedere oltre quegli strati. La meditazione non deve stimolare e non deve sopprimere i pensieri, ma li deve lasciar fluire liberamente per sentire e per esprimere il fondamentale equilibrio che sorge dal risveglio della mente.

Se conosciamo la strategia dei Signori vediamo che essi suscitano i pensieri e le emozioni per distrarci dal nostro vero essere. I pensieri e le emozioni ci distraggono, ma la meditazione insegna come vedere chiaramente questo, e come lasciare che tutto sorga così come è. In questo modo i pensieri non sono più gli strumenti oppure i mezzi che sono usati per poterci ingannare o per farci divertire.

In questo modo possiamo attivare l’immensa energia non egoica. Ma se eliminiamo le emozioni, i Signori possono usare un’arma ancora più potente, cioè usano i concetti che trasformano i fenomeni in cose solide, perciò il mondo diventa una cosa solida e continua. Crediamo che il mondo inizia a esistere quando noi lo percepiamo. La meditazione insegna a vedere la trasparenza dei concetti, perciò il classificare non diventa più il modo per rendere solido il mondo.

Classificare è semplicemente l’atto della discriminazione, dice Chogyam, perché il Buddha ci ha insegnato che non abbiamo nessun bisogno di sforzarci per provare che esistiamo. Non abbiamo bisogno del dominio dei Tre Signori, non c’è alcun bisogno di sforzarci per essere liberi.

L’assenza di sforzo è già una libertà, e lo stato non egoico è il conseguimento della buddhità. Saper trasformare la materia mentale da espressione di ambizione egoica in espressione di vero equilibrio e di illuminazione diventa possibile con la meditazione, e questo è il vero sentiero spirituale.

Buona erranza
Sharatan

martedì 10 settembre 2013

Meditazione



La meditazione è la chiave universale. Può aprire le porte dell’infinito e può chiudere il mistero dell’ignoto. Ma non si realizza nulla, semplicemente possedendo questa chiave, la si deve anche usare. Idriesh Shah narra un racconto derviscio. C’era una volta un uomo saggio e molto ricco che aveva un figlio. Un giorno gli disse: “Figlio mio, eccoti un anello preziosissimo. Tienilo quale prova che tu sei il mio erede, e passalo ai posteri. È di grande valore, di finissimo aspetto, e in più possiede la capacità di aprire una porta particolare che conduce alla ricchezza.”

Qualche anno dopo il saggio ebbe un altro figlio. Quando fu cresciuto abbastanza il saggio dette anche a lui un altro anello con lo stesso consiglio. La stessa cosa accadde quando ebbe il suo terzo e ultimo figlio. Quando il vecchio morì e i figli furono cresciuti, ciascuno di loro dichiarò la propria supremazia dovuta al possesso dell’anello. Nessuno era in grado di stabilire in modo inconfutabile quale degli anelli avesse maggiore valore.

Ognuno dei figli aveva i propri sostenitori, e tutti dichiaravano il valore superiore e la maggiore bellezza del proprio anello. Ma la cosa curiosa era che la porta della ricchezza rimaneva chiusa ai possessori di quelle chiavi e anche ai loro più intimi sostenitori. Tutti erano occupati col problema della supremazia, del possesso dell’anello, del suo valore e del suo aspetto.

Solo in pochi si misero alla ricerca della soglia del tesoro del vecchio saggio. Gli anelli possedevano anche qualità magiche. Benché fossero delle chiavi non si potevano usare direttamente per aprire la porta del tesoro. Era sufficiente guardarli senza avidità o senza troppo attaccamento rispetto all’una o all’altra delle qualità che avevano.

Una volta fatto questo, le persone che li avessero guardati in quel modo erano in grado di scoprire dov’era il tesoro e aprire la porta semplicemente mostrando l’anello. E i tesori possedevano anche altre qualità: erano inesauribili. Nel frattempo i sostenitori dei fratelli, ripetevano storie dei propri antenati sui meriti degli anelli, ciascuno in maniera leggermente diversa. Il primo gruppo pensava di possedere già il tesoro per il semplice fatto di averne la chiave.

Il secondo gruppo pensava che tutto ciò era illogico e così si consolava. E il terzo gruppo rinviò la possibilità di aprire la porta a un futuro lontano, remoto e immaginario e in questo modo, per loro, nel presente non c’era nulla da fare.

È più che probabile che tu appartenga a una di queste tre comunità, perché tutti coloro che iniziano la ricerca cadono inevitabilmente in una di queste tre trappole. In realtà, questi sono i tre trucchi fondamentali che la mente può giocare per salvare se stessa dalla meditazione. Fa’ dunque attenzione a questi tre trucchi. Love!(Osho)

giovedì 5 settembre 2013

Oceano di beatitudine



“Un oceano di beatitudine
può piovere su di te dal paradiso,
ma se non hai che un ditale,
quello è tutto ciò che otterrai.”
(Ramakrishna)

Se un uomo rifugge lo stress, le rigidità fisiche, i blocchi emotivi e le limitazioni della mente diventa capace di rigenerarsi e può ritrovare l’entusiasmo e la gioia di vivere, perciò sente la compassione e la comunione con tutti gli altri esseri viventi. Chi vive nell'armonia ritrova l'equilibrio interiore, perciò mostra la bontà fondamentale della natura umana. Ogni uomo è una sorgente di amore e di appagamento, perciò tutti gli esseri equilibrati sentono un amore spontaneo per le altre forme viventi e amano la bellezza della natura.

L’uomo equilibrato è un essere sano che conosce la vita e se stesso, perciò acquisisce una saggezza che riesce a farlo vivere in modo armonioso e coerente, e in questo modo diventa un vero essere realizzato. L’ignoranza e l’incapacità di mantenere la giusta quantità e la giusta dose di energia nella gestione delle emozioni negative sono causa dell’indebolimento della bontà umana.

Accumulando tensioni, stanchezza e traumi emotivi entriamo nello smarrimento della paura. L’odio, l’invidia e le emozioni negative creano quei blocchi di dolore, quelle distruzioni e quelle lotte che rendono penosa la vita. Ma per sentire la verità profonda di questi concetti è necessario avere dei requisiti interni.

La verità va assorbita con tutto l'essere, perciò se non sentiamo queste cose nel midollo dell'essere, nulla di ciò che avremo potrà essere apprezzato. La conoscenza va unita alla sua pertinenza in relazione ai casi della vita, perché se manchiamo di tale maturità nulla potrà migliorare. Questo ragionamento diventa ancora più profondo se riflettiamo sugli insegnamenti che i maestri ci hanno lasciato.

Chi cerca la conoscenza deve amare la vita, ma deve anche sottomettersi alla disciplina interna che fa sviluppare le qualità che sono necessarie allo scopo. Il concetto di disciplina viene troppo spesso associato all'onere sgradevole della limitazione di esigenze personali oppure alla mortificazione della nostra individualità.

L’impegno e il sacrificio sono la prima cosa a cui si pensa, perciò facciamo resistenza alla costrizione di qualcosa che non vogliamo. Siamo ossessionati dalle nostre abitudini al punto di non rinunciarvi, perciò preferiamo rovinare la mente e il corpo piuttosto che accettare qualcosa di diverso da quello che preferiamo, e al quale siamo abituati.

Preferiamo uccidere l’elasticità della vita interiore, perciò riduciamo la nostra potenzialità evolutiva. Lo stesso meccanismo interviene quando entra in gioco la nostra capacità di adattamento a delle nuove condizioni, anche se sappiamo che potrebbero offrire delle occasioni migliori di quelle precedenti.

Molti si arrabbiano se qualcuno gli chiede di cambiare, e di sottoporsi alla disciplina che facilita il cambiamento. E questo avviene molto più spesso di quanto pensiamo. Molti non accettano di avere sbagliato l’atteggiamento e di doversi modificare, perciò costoro non amano le discipline spirituali in cui l’elasticità mentale è la condizione primaria.

L’altra sensazione è quella di provare ostilità verso chi viene a criticare i nostri comportamenti, perciò diventiamo ostili. Se la persona comprende che è necessario purificare il suo corpo e la sua mente non potrà essere ostile con chi lo aiuta a crescere. E questi sono i primi requisiti interni per tentare l’evoluzione spirituale.

La pratica del silenzio fu introdotta nelle scuole misteriche per rendere consapevoli i discepoli dell’enorme potere che è racchiuso nel linguaggio, perciò quando si dice che la lingua è più potente della spada si insegna la riflessione. Dobbiamo essere più consapevoli di ciò che siamo, perché studiare ma non saper fare ciò che predichiamo diventa una ostentazione presuntuosa.

Dobbiamo saper progredire sia nella teoria che nella pratica, come in tutte le arti. Perciò non sia penoso applicare la disciplina per primi a se stessi, e impegnarsi molto per imparare a nutrire la nostra vita. Il nutrimento giusto non riguarda solo il corpo, ma riguarda anche il pensiero e la qualità dell’ambiente in cui viviamo, perciò non dobbiamo sentirci inadeguati se non siamo perfetti.

Non dobbiamo sentirci persone sbagliate o cattive, perché questo atteggiamento boicotta tutti gli sforzi che facciamo. La tolleranza delle nostre imperfezioni non è l'indulgenza, perché se ogni giorno facciamo un piccolo passo saremo sul giusto percorso. Spesso comprendiamo i concetti ma non sappiamo come applicarli, perciò ogni piccolo passo deve rinforzare la nostra gratificazione.

Nella vita tutto è questione di prospettiva, perciò se vediamo che siamo esseri imperfetti dobbiamo sentirci felici. C’è chi non riesce neppure ad ammettere di sbagliare, ma noi lottiamo per migliorare e lo sforzo è un fatto meraviglioso. Provare un piccolo passo è molto meglio che non muoversi affatto. Se vediamo le imperfezioni è segno che siamo avanzati nella comprensione.

Ma cos’è la libertà spirituale che ricerchiamo? La libertà spirituale è l’affrancamento dagli schemi ossessivi del vivere. Facciamo sempre gli stessi sentieri, perciò si fanno sempre i medesimi errori senza vedere la schiavitù degli schemi meccanici. C’è un detto cinese che insegna come i saggi sanno imparare dagli errori, mentre gli sciocchi non fanno che ripeterli.

La ripetizione meccanica è una caratteristica animale, perché gli animali ripetono i comportamenti senza annoiarsi. Essi non possono mutare gli schemi che l'istinto li spinge ad usare. Sentire la noia della ripetizione è una benedizione per gli uomini, perché la noia ci avverte che vanno fatte delle trasformazioni.

Se restiamo chiusi nei circoli viziosi delle abitudini entriamo in entropia, e il sistema finisce per implodere verso l’interno per carenza di apporto energetico. Le abitudini non procurano la gioia ma aumentano la sofferenza, infatti la carenza di ciò che causa assuefazione comporta un disagio. Le abitudini sono come un prurito causato dalle punture di zanzare, perciò più ci grattiamo e più il prurito aumenta.

Se sentiamo il disagio della ripetizione dobbiamo sentirci degli uomini sani, ragionevoli e fortunati. Molti vivono annoiandosi senza neppure vederlo, soffrono senza sapere il motivo, perciò non sanno neppure come cambiare. Molti vivono come criceti che corrono sulla ruota, e muoiono miseramente come avviene ai topi nei laboratori.

Essendo incoscienti vivono in modo ottuso, perciò vengono strumentalizzati dalla realtà in cui vivono. Sentire l'oppressione della ripetizione consente di tentare la fuga dalla condizione penosa. I sensi vengono ipnotizzati dalle abitudini, perciò il gusto si lega ai cibi, mentre l’olfatto si inebria del profumo fino a rendersi ottuso, e così fanno anche gli altri sensi con gli stimoli specifici. Se tutto ci diventa indifferente non fuggiamo più neppure dalle cose che ci disturbano.

Che la cosa ci piaccia o meno, tutto ci diventa indifferente, perché l'odio e l'amore usano lo stesso magnete. Se siamo a favore o contro qualcosa quel fatto si equivale, perché solo l’indifferenza permette di essere neutrale davanti a tutte le questioni.

Ma come trovare la via? La natura umana cerca sempre le condizioni per migliorare, perciò dobbiamo assecondare le condizioni ottimali per vivere una vita migliore. La vita umana è stata creata per migliorare, perciò dobbiamo vedere come un veleno tutto quello che ci impedisce la crescita e il progresso.

I nemici dell’uomo sono gli ostacoli che il buddismo insegna, perciò il primo passo è perdonare. Il perdono è come nettare per l’anima di colui che lo dona. Ma il perdono va offerto prima a noi stessi, perciò smettiamo di pensare al passato e agli errori fatti, perché se non abbandoniamo il passato restiamo suoi prigionieri. Ma dobbiamo anche essere sinceri con noi stessi, e vedere con sincerità le cose sbagliate per sapere come rimediare.

La sincerità è la cosa meravigliosa che aumenta la consapevolezza, ma il perdono è più facile se sappiamo eliminare le cause dell’errore. Non dobbiamo essere troppo duri con chi sbaglia, perché la compassione e la dolcezza si aiutano reciprocamente. Se non abbiamo compassione per gli errori non siamo evoluti, perciò molti non potendo punire gli altri si accaniscono su loro stessi maturando il masochismo.

Riconoscere sinceramente l’errore, cambiare atteggiamento, e sforzarsi per non cadere negli errori è la via dell'intelligenza matura, perciò il perdono ci permette di tornare a vivere. La compassione possiede una natura positiva che riesce ad aumentare le capacità di recupero dopo una vita molto difficile.

Per incrementare la gioia di vivere dobbiamo sviluppare la capacità di sentire l’appagamento per quello che abbiamo. Anche l'appagamento è collegato con la compassione, perché se una persona non si sente appagata non può diventare un essere compassionevole. L'essere inappagato si comporta come un cane rabbioso che morde tutti quelli che incontra.

Anche le disillusioni impediscono di sentire l'appagamento, perché l’amarezza riesce a inquinare l’anima e avvelena tutti quello con cui entra in contatto. Se siamo degli esseri disillusi e molto amareggiati non possiamo sentirci tolleranti e compassionevoli con il mondo.

Il Dalai Lama dice che l’ira e l’odio danno un illusorio surplus di energia, perché queste emozioni potenti sanno dominare la mente. Ma l’ira e l’odio sono anche forme di energia distruttiva che impediscono la nascita di una mente amorevole. La compassione usa l’energia controllata della ragione e della pazienza. L'odio e l'ira rendono le persone insicure, instabili e distruttive, perché impediscono di sviluppare una natura gentile, pacifica, tollerante e dolce.

Possiamo rimanere esseri gentili pur usando dei comportamenti decisi, perciò questo diventa possibile senza mostrarsi aggressivi. Dobbiamo essere certi che nulla può offendere, perché le offese più feroci diventano delle azioni distruttive che distruggono solo chi le commette. È molto più facile diventare persone compassionevoli e sentirsi molto appagati se riflettiamo che la vita può concludersi in ogni istante.

Se ricordiamo che potremmo vivere solo pochi giorni, cosa è importante di quelle sciocchezze su cui ci affanniamo? Ci dimentichiamo il senso del tempo, perciò trascuriamo le cose veramente importanti. Roviniamo la gioia della vita per inseguire le persone, per costruire le relazioni e per conquistare le situazioni più insignificanti.

Soffriamo per le sciocchezze, piangiamo se qualcuno ci pesta un piede, perché il nostro dolore viene dalla nostra stupidità. Siamo infelici per delle inezie che crediamo importanti, e passiamo del tempo prezioso a sbirciare nei fatti degli altri. Gli esseri intelligenti badano a vivere bene la loro vita nei limiti di quello che possono fare.

Se fossimo degli esseri illuminati non vedremmo gli errori altrui, ma avremmo cura dei nostri comportamenti. Se fossimo appagati di ciò che siamo non andremmo nel mondo degli altri, ma saremmo focalizzati su noi stessi. Dobbiamo sentire che la verità del mondo, e l’unica verità profonda è ciò che accade nel momento presente.

La verità del mondo è che tutto cambia, perciò l’unica verità è migliorare il presente. Il mondo cambia e le cose mutano, perciò non restiamo aggrappati a ciò che muore continuamente: la salvezza è credere nella realtà. L’appagamento nasce e resta immutabile solo nel mondo interno: questa è la sola verità che libera, e l'unica verità che rende solidi e stabili.

Se osserviamo la vita, vediamo che riserva cose belle e brutte per tutti, perciò il disagio e l'infelicità racchiudono dei momenti di profondo appagamento. Dobbiamo imparare a dilatare gli attimi di felicità, e farli crescere per aumentarli e accumularli all'interno.

Queste riserve di gioia potremmo usarle quando non avremo nulla di esterno che accresce la gioia di vivere. Se non sapremo fare questo, la vita diventa impossibile. La gioia e il dolore sono le realtà della vita. Ma l'appagamento, la verità, la compassione, la sincerità e il perdono sono il sale della vita, perciò essi sono la via che conduce alla beatitudine.

Buona erranza
Sharatan

domenica 1 settembre 2013

Fare anima



“Chiamate, vi prego, il mondo ‘la valle del fare anima’
e allora scoprirete a cosa serve il mondo.”
(John Keats)

Secondo i maestri del Vedanta, la verità assoluta si presenta in molteplici forme, infatti i saggi dei Rg-Veda usavano diversi nomi per indicare la medesima cosa. Essi dicevano che Brahman è l’unica realtà dell’universo e che si manifesta in modi innumerevoli, perciò Brahman è il comune substrato delle forme molteplici dai molti nomi.

L'universo è composto da innumerevoli particelle che galleggiano nello spazio, ma anche l’universo con tutti i suoi soli e tutti i sistemi solari non sono altro che dei granelli di sabbia sulla spiaggia del Tempo e dello Spazio. Gli uomini sono la parte ancor più infinitesimale di quella apparenza dalla forma molteplice che è vicendevolmente essenziale per tutte le sue parti.

Un antico filosofo arabo diceva che l’eternità va pensata come una pietra immutabile. Hendrik Willem Van Loon per spiegare il concetto del tempo, nel suo magnifico libro “La storia dell’umanità” usa una metafora e dice: “Lassù, a settentrione, nel paese che si chiama Svithjod, c’è un macigno alto cento chilometri e largo altrettanto. Ogni mille anni, un uccellino va ad affilarsi il becco contro la sua cresta. Quando il macigno, così consumato, sarà raso al suolo, allora sarà tramontato un solo giorno di eternità.”

L'esempio è utile per capire, e andrebbe ricordato se cerchiamo di rappresentare l’eternità che è il concetto più difficile con cui il pensiero si può misurare. L’uomo è un nulla davanti allo scenario magnifico che gli antichi maestri tracciano per farci capire il senso dell’Uno Infinito che alcuni chiamano il Padre. Colui di cui si è scritto che ha tenuto conto di ogni capello della nostra testa, e che conosce ogni goccia del sangue che scorre nelle nostre vene è incommensurabile.

L’uomo è l'essere intessuto di ignoranza e di presunzione che non crede che la Conoscenza sia Amore, e che la Creazione sia la fonte di ogni beatitudine. L’illusione cosmica è Maya che avviluppa la mente per impedirci di vedere la Verità o Satya e che nascondere la realtà, perciò siamo spinti verso il sentiero della perdizione. La filosofia indiana, come tante filosofie, dice che Maya non è Satya, infatti l’apparenza luccica come l'oro, ma non tutto quello che brilla è fatto di oro.

L’uomo terrestre vede solo ciò che i suoi sensi percepiscono, perciò egli crede solo nel mondo sensoriale. L’uomo si nutre dell’illusione che il mangiare, il bere, il divertirsi oppure il soffrire siano i soli aspetti per cui valga la pena di vivere. La Katha Upanishad dice che l’uomo è l’essere estroverso che vede solo l’esteriorità, infatti dice: “Ma pochi, mossi dal desiderio dell’immortalità, rivolsero lo sguardo all’interno e trovarono l’io.”

La Katha Upanishad avverte che restando imprigionati nell’Io empirico non possiamo sviluppare l’Io Cosmico. L’estroversione, per gli induisti, è una strada che ci rinchiude sempre più nell’inganno di Maya, mentre l’introversione porta alla Verità o Satya, perciò Satya ci conduce verso l’immortalità.

I sensi non possono discernere, perché nascono e sono alimentati dal mondo dell’illusione, infatti essi lottano contro la mente discernente o intuizione che conosce il modo per penetrare nel nucleo profondo delle cose. È Maya e l’apparenza che esalta la storia umana riempiendola di lotte, di agitazioni, di conflitti e di sommosse, perciò gli imperi vengono fondati per glorificare le personalità dissonanti.

Satya esiste dove regna la pace, l’armonia, perciò essa vive al fianco dell’Eterno. Il Regno degli dei è il luogo impersonale dove l’io e il mio sono stati completamente eliminati. L’illusione muore quando l’illuminazione dona la conoscenza, infatti Shankara pone la discriminazione tra ciò che dura in eterno e ciò che è effimero, e la considera come la condizione primaria per raggiungere l’emancipazione e l’auto-realizzazione.

Il mondo che è percepito dai sensi può essere amato, odiato o temuto ma, pur tuttavia, esso resta un mondo effimero. Il mondo invisibile ai sensi che è percepito dalla mente che è stata purificata è il mondo vero cioè è Satya. Ma la realtà di Maya è un mondo che possiede anche un aspetto positivo, infatti esso ci mostra tutte le forme variegate che Brahman sa manifestare, perciò si può vivere in modo giusto senza disprezzare il mondo dei sensi.

Il mondo tecnologico in cui stiamo vivendo ha mortificato la nostra gioia di vivere, perché ci fa disprezzato il mondo della natura, del sole, del mare definendolo come un mondo troppo semplice. I nostri occhi sono accecati perché non sanno apprezzare più i colori delle stagioni che passano: siamo disinteressati ai fiori, alla musica, agli insetti e alle meraviglie molteplici che sono create dalla Danza Cosmica.

Tutte le minime cose che rendono bella la vita hanno perduto il loro fascino, perciò non sappiamo più vedere l’incanto e il mistero della vita. Tutte le cose che non ridestano più la meraviglia del nostro cuore sono perse, e la nostra mente è completamente accecata dalla meccanizzazione dei sensi.

La gioia, la beatitudine e la felicità sono collocate al di fuori dalla portata degli uomini, infatti non crediamo che gioia, beatitudine e felicità siano degli stati mentali. La consapevolezza di noi stessi è la più appagante conquista che possiamo avere, perché essa ci dona un appagamento maggiore del possesso di tutti di oggetti che si comprano.

Tutto il mondo è una realtà che pulsa di vita gioiosa, perché l’oceano della vita è unico. La vita possiede un corpo che è fatto di natura e di Coscienza Cosmica è la nostra mente è la base che offre la vita al Corpo Cosmico. Non esiste altra vita al di fuori dell’infinito, e non esiste altra certezza sicura che la realizzazione interiore di questa verità.

Lo sviluppo dei mezzi infiniti della consapevolezza umana ci fa raggiungere la vetta suprema da cui vediamo che il pellegrinaggio dell’uomo ha l’obiettivo di raggiungere l’infinito, e quando avremo raggiunto la vetta ritroviamo il paradiso perduto. La maggiore conquista è la riscoperta che l’uomo è il fanciullo che fu creato per essere l’erede della divinità. Siamo nati dall’Amore e dal soffio di Vita dell’Eterno.

Realizzare il senso interiore della Divinità e credere nella realizzazione infinita della Coscienza sono i due mezzi per trasformare il corso degli eventi senza senso che è chiamato “vita” in un percorso pieno di senso e colmo di beatitudine. Quando il Cristo disse che non dobbiamo temere perché Lui era venuto nel mondo per restare con noi, e che sarebbe restato con noi fino alla fine dei tempi, in realtà voleva dire questo.

Non esiste alcuna poesia nella vita, non esiste nessuna vita che possa essere vissuta in modo gioioso e positivo, non esiste alcuna poesia, non esiste bellezza, non esiste armonia. Non esiste nessun amore per la vita se non sappiamo vedere e vivere questa verità con tutto il nostro essere.

La vita diventa come un deserto, ogni vita diventa esistenza monotona, priva di interessi e terribilmente penosa senza la luce che viene a dare luce. La vita diventa un labirinto privo di uscita se non vediamo una luce che illumina il misero percorso degli uomini. Per vedere la luce, agli uomini è stata donata la frazione di luce e di gioia divina che vive al nostro interno, cioè ci è stata donata la scintilla dell’anima.

Se non ci fosse la luce e l’amore che ci illuminano, la vita dell’uomo sarebbe senza scopo, perciò non avremmo nessuna esistenza degna di questo nome. Coloro che sanno amare possono sprofondare, per un breve lasso di tempo nel buio, infatti l’oscurità dell’inconscio umano può dare corpo ad una esistenza misera e penosa.

Ma l’amore che lega gli uomini fra di loro può diventare una forza gioiosa e rigenerante se il richiamo dell’amore che abbiamo all’interno viene ridestato dalle emozioni e dall’armonia che esistono nell’uomo, e che vengono per ricordarci di essere una creatura assennata e consapevole che deve vivere come un’increspatura dell’onda del grande Oceano dell’Infinito. Se crediamo di essere Amore e Armonia crediamo che l’Amore proviene dall’Essenza divina, perciò crediamo che Essa è l’unica realtà, l’unico amore e l’unica vita.

Sebbene siamo la medesima cosa con l’Infinito, la verità è occultata dal velo di Maya, perciò una illusione cosmica separa l’uomo dalla Divinità, e lo separa dal resto della creazione. Il nostro egocentrismo è la vera causa di questa vita di miserie e di sofferenze che vediamo nel mondo, perciò non sappiamo come eliminare la paura, la sofferenza e la morte.

Sopportiamo tutte le pene infinite causate dall’ignoranza umana, e quando proviamo delle gioie illusorie ed effimere esse sono scambiate per la vera beatitudine e la vera felicità. La saggezza dei maestri ci insegna come raggiungere una vera gioia e beatitudine, infatti essi insegnano che il mistero della vita è comprendere che essa va vissuta nel suo più profondo significato per diventare infinita.

Il corpo umano è composta da milioni di milioni di cellule, così come l’universo è composto da infiniti esseri umani, sub-umani e sovra-umani, perciò tutti gli esseri sono il corpo della vita cosmica. Se ci rapportiamo alla vita senza sapere che noi siamo una parte di questo grande organismo perdiamo il contatto con una parte di noi stessi, perciò ci separiamo dall’Amore vibrante dell’Infinito, e avremo il destino di restare da soli ad affrontare il biasimo e la miseria dell’esistenza.

Il nostro destino sarà quello di rinnegare il nostro Dio e di morire. Cristo disse: “se un grano di frumento non cade sulla terra e muore, rimarrà solo, ma se muore darà molti frutti” e disse anche: ”Colui che mi segue non camminerà nel buio, ma riceverà la luce della Vita.” Le parole di Cristo ci invitavano a morire alle menzogne inventate su noi stessi per rinascere come esseri rinnovati nell’armonia della mente.

Per avere la Luce della Vita, secondo l’insegnamento di Cristo, dobbiamo ritrovare la Vita dell’Infinito ossia dobbiamo credere che la Vita venne dal Padre, perciò l’armonia divina può vivere nella mente che sa morire al vecchio modo di pensare per rinascere vivendo in armonia con la natura e con l’amore degli uomini che è il riflesso dell’Amore divino.

Soltanto l’uomo che sa vedere questo e che vive in armonia con la vita che esiste oltre il velo della separazione, della sofferenza e della morte può vivere oltre i limiti dell’esistenza umana vibrando in armonia con l’Infinito. Nell'induismo vediamo Nataraja che danza per creare il cosmo estraendolo dal caos delle potenzialità infinite. Nataraja è il Signore che danza per creare la gioia e la beatitudine che vengono dall’emancipazione e dall’illuminazione.

Buona erranza
Sharatan