martedì 31 maggio 2016

L’individualizzazione



“Sono morto come minerale e come pianta risorto.
Sono morto come pianta e ancora risorto come animale.
Sono morto come animale e risorto come uomo.
Perché temere allora di divenire meno morendo?
Ancora una volta morirò come uomo.
Per risorgere come un angelo perfetto dalla testa ai piedi.
E ancora quando da angelo soffrirò la dissoluzione
io muterò in ciò che supera l'umano concetto.”
(Jalāl al-Dīn Rūmī)

Secondo la concezione samkhya, uno dei sistemi filosofici più antichi dell’India, nel piano generale dell’evoluzione si compie una graduale e crescente differenziazione della grande corrente della Vita Divina. La differenziazione della vita prosegue finché si giunge alla differenziazione definitiva cioè si giunge all’essere umano. Infatti, oltre l’uomo non si può andare, perché l’uomo è un essere che non è divisibile perché l’uomo è un’anima singola.

In conseguenza a questo, è evidente che il concetto di “anima-gruppo” presente nel regno minerale, vegetale e minerale va considerato come un concetto riferito a uno stadio intermedio. In effetti, l’anima che non è in grado di vivere un’esistenza autonoma deve vivere dentro un’anima-gruppo che, va pensata come un blocco di vita che contiene molti frammenti di vita. La vita del regno minerale, vegetale e animale viene unita e garantita da un’anima-gruppo che si occupa di essa.

La vita che si aggrega nell’anima-gruppo può essere immaginata come un feto che cresce perché è accudito nel grembo materno finché il feto non è maturo per vivere nel mondo esterno. Come il feto è nutrito dalla madre, così l’involucro dell’anima-gruppo nutre e accresce tutta la vita che racchiude al suo interno. Il cambiamento più importante per l'evoluzione avviene quando l’animale raggiunge l’individualizzazione cioè quando l’animale diventa un essere umano. Questo importante passaggio evolutivo accade quando si forma il corpo causale.

Secondo i teosofi, il Logos emana 3 potenti Onde di Vita che si mostrano con tre aspetti. Il primo aspetto forma e anima la materia, il secondo aspetto le imprime le qualità e ne costruisce le forme, invece il terzo aspetto spinge la monade umana ad unirsi con le forme materiali create dal secondo aspetto. Prima di diventare un individuo, l'anima vive nell’anima-gruppo, perché non ha ancora sviluppato un corpo causale.

Il corpo causale diventa il veicolo animato della scintilla divina discesa dai mondi superiori. L'evento è richiamato simbolicamente nell’immagine della coppa del Graal che è divenuto il simbolo della formazione del calice in cui può essere versato il vino della vita divina. Con questo importante progresso vediamo che un frammento dell’anima-gruppo, è riuscito a formare un corpo che viene occupato dall’Ego ossia dall’anima individuale.

Da questo momento vediamo che tutto quello che l’Ego apprenderà con l’esperienza di molte vite non sarà più condiviso con altri membri della sua specie, ma sarà trasmesso al centro di vita che si "concentra" all'interno del corpo causale. Una volta che il corpo causale viene formato, è stato creato un veicolo permanente per l’evoluzione, e la coscienza individuale che si sviluppa, al suo interno, deve imparare a far funzionare il veicolo in cui è inserita.

All’inizio dello sviluppo, gli sforzi per controllare le nuove funzioni sono incerte, perché l’Ego appena nato si comporta come un neonato. È necessario del tempo affinché l'Ego maturi e impari a comporsi in modo meno infantile e immaturo. L’anima ossia l'Ego è l’individualizzazione dello spirito universale che si focalizza in un solo punto, perciò l’anima umana è il punto di vista particolare dello spirito manifestato. L’anima è il ricettacolo in cui si riversa lo spirito facendo in modo che, quello che è universale, possa mostrarsi come un essere particolare e separato dal resto dl mondo.

Ma è certo che, tutto quello che è identico nella sua essenza sembra separato ma in realtà non lo è, perciò la separazione è solo apparente. Lo scopo dell’evoluzione è aiutare lo sviluppo della vita su tutti i piani e tutti i livelli dell’universo. Lo scopo del processo evolutivo è che l’anima possa conoscere tutti i piani della vita - sia quelli materiali che spirituali - senza dover subire nessuna interruzione di coscienza. Lo scopo è che l’anima possa sviluppare una coscienza che sa trascendere ogni piano di consapevolezza e sa acquisire tutta la conoscenza.

L’individualizzazione dell’anima non avviene solo per costruire dei corpi ossia per avere delle forme dentro cui si può riversare qualcosa, perché la formazione dell’uomo segue lo stesso percorso della formazione di un sistema solare. All’inizio, le forme sono incerte e nebulose finché si forma un centro permanente che crea un sistema con un sole al centro e dei pianeti che gli ruotano intorno. Lo stesso fenomeno avviene con l’individualizzazione dello spirito che diventa un individuo che cresce con l’evoluzione.

L’Ego prende possesso del suo ricettacolo e vi lega lo spirito che l’ha creato e formato. Madame Blavatsky scrive che, nel triplice schema dell’evoluzione umana si richiede la formazione di tre Upadhi, ossia di tre veicoli o supporti periodici che - nel nostro sistema solare - sono collegati e connessi tra loro. Questi 3 corpi ci collegano alla Monade superiore, poiché ci uniscono al mondo intellettuale rappresentato dai Deva Solari che ci donano l'intelligenza e la coscienza.

Essi ci uniscono al corpo fisico che viene rappresentato dai Pitri Lunari, e dall’unione di queste due correnti opposte - afferma Madame Blavatsky ne “La Dottrina Segreta”- si forma quell’entità complessa che è l’essere umano. L’uomo viene definito l’essere che racchiude la spirito più alto e la materia più bassa che vengono unite dall’intelligenza. E si dice che l’uomo è un dio manifestato che continuerà ad evolvere all’infinito.

L’uomo vero è l’Ego che si reincarna perciò va pensato come il Pensatore cioè come entità individuale. La discesa dello spirito nella materia avviene in 7 stadi. Per i primi 3 stadi, lo Spirito scende e mentre fa la sua discesa, cova la materia definendone qualità, attributi e poteri. Quando lo Spirito giunge al 4° stadio che è quello più basso, vediamo che si trova davanti alla Materia, perciò affronta la lotta che viene descritta nella battaglia di Kurukshetra della Bhagavad Gita.

Solo quando lo Spirito ha trionfato sulla Materia può iniziare l’ascesa che viene compiuta con gli ultimi 3 stadi finali di risalita verso l'origine che rappresentano il percorso dell’ascesa spirituale. L’induismo chiama la discesa dello spirito, il Pavritti Marga cioè il Sentiero dell’Uscita; invece, l’ascesa dal punto più basso della manifestazione cioè la risalita dalla materia viene chiamato il Nivritti Marga cioè il Sentiero del Ritorno.

Nel momento del ritorno l’uomo riporta con sé una coscienza desta che gli sarà utile per il percorso futuro. Raggiungere l’individualizzazione è lo scopo finale dell’evoluzione animale perché il suo sviluppo consente al Logos di diffondersi tramite un “centro individuale.” Lo sforzo che rende possibile il percorso e il fatto che si possa realizzare l’individualizzazione deve provenire dal basso, perciò la volontà deve venire dall’animale.

Per questo motivo è naturale che delle tracce dell’egoismo del selvaggio siano ancora presenti nell’uomo. Senza l’egoismo dell'inizio non sarebbe potuto nascere un Io individuale cioè un centro solido e stabile. Ma, al giorno di oggi siamo arrivati ad una fase evolutiva in cui l’egoismo deve essere visto come un anacronismo. In questa fase storica, l'egoismo cieco va considerato come un residuo dello stato preistorico dell'uomo perciò va considerato come il segno che l'essere umano può arrenarsi nell'evoluzione.

Buona erranza
Sharatan

domenica 29 maggio 2016

Abbiamo bisogno di tempo



“Quando amo
sento di essere
il re del tempo
possiedo la terra
e tutto ciò
che è su di essa
e corro verso il sole
sul mio cavallo.”
(Nizār Tawfīq Gabbani)

“Il tempo, per noi, è molto importante, cronologicamente e psicologicamente. Noi dipendiamo moltissimo dal tempo psicologico. Il tempo è legato al movimento… per andare da qui a là, occorre tempo. Una distanza da coprire, per arrivare a una meta, per realizzare uno scopo, richiede tempo. Imparare una lingua richiede tempo. Questo è stato trasferito nel campo psicologico; noi abbiamo bisogno di tempo per diventare perfetti; abbiamo bisogno di tempo per superare qualcosa. Abbiamo bisogno di tempo per liberarci dalle nostre ansie; per liberarci dall’angoscia; per liberarci dalle paure, e così via.

Il tempo è necessario in cose pratiche, nel campo della tecnologia e via discorrendo, e questo bisogno di tempo è stato introdotto nella nostra vita psicologica e noi l’abbiamo accettato. Per eliminare le nostre nazionalità, per diventare fratelli, noi pensiamo di aver bisogno di tempo.Il tempo psicologico implica la speranza: il mondo è impazzito, speriamo che in futuro il mondo rinsavirà. Ora, noi ci chiediamo se il tempo psicologico esiste. Domandiamo: “Vi è un’azione in cui non sia coinvolto il tempo?”

L’azione che nasce da una causa, da un motivo, richiede tempo. L’azione basata su uno schema di memoria richiede tempo. Se avete un ideale, per quanto nobile, per quanto bello e romantico, per quanto assurdo, avete bisogno di tempo per arrivare a tale stato idealistico. E per arrivarci, distruggete il presente. Non importa ciò che vi accade ora; ciò che conta è il futuro. Per il futuro, sacrificatevi ora ... un futuro meraviglioso stabilito dagli ideologi, dai maestri religiosi in tutto il mondo. Noi lo contestiamo, e domandiamo se esiste un tempo psicologico, e quindi se c’è la speranza. “Cosa farò, se non ho speranza?”

La speranza è tanto importante perché vi dà soddisfazione, energia, slancio per conseguire qualcosa. Quando si osserva attentamente, non sentimentalmente, logicamente, il tempo psicologico esiste? Vi è il tempo psicologico solo quando ci si allontana da “ciò che è”. Vi è il tempo psicologico quando uno si rende conto di essere un violento e poi passa a domandarsi come può liberarsi; quel movimento di allontanamento da “ciò che è”, è il tempo.

Ma se uno è completamente e totalmente consapevole di “ciò che è” allora il tempo non esiste. Nella stragrande maggioranza, noi siamo violenti. Violenza non è soltanto percuotere fisicamente qualcuno, ma è anche la collera, la gelosia, l’accettazione dell’autorità, il conformismo, l’imitazione, l’accettazione degli editti di un altro. Gli esseri umani sono violenti; questo è il fatto... violenza. La parola stessa “violenza” la condanna.

Usando la parola “violenza”, avete già condannato la violenza. Notate le complicazioni. Essendo violenti ed essendo negligenti, pigri, noi ci allontaniamo da essa e inventiamo la “nonviolenza” ideologica. Questo è il tempo... il movimento da “ciò che è” verso “ciò che dovrebbe essere”. Quel tempo perviene a una fine, completamente, quando vi è soltanto “ciò che è”, una identificazione non verbale con “ciò che è.”

La collera è una forma di violenza; lo è l’odio, la gelosia. Le parole “collera”, “odio” e “gelosia” sono di condanna; sono verbalizzazioni che rafforzano la reazione. Quando io dico: “Sono in collera”, ho riconosciuto dalle collere passate la collera presente, e quindi uso la parola “collera” che appartiene al passato e la identifico con il presente. La parola è divenuta straordinariamente importante: eppure, se la parola non viene usata, e vi è soltanto il fatto, la reazione, allora non si ha il rafforzamento di quel sentimento.

È possibile, psicologicamente, vivere senza domani? Quando si dice: “Ti amo, ti vedrò domani,” quell’affetto viene proiettato nella memoria verso il domani. Esiste un’attività senza tempo? L’amore non è il tempo; non è un ricordo. Se lo è, non è amore, evidentemente. “Io ti amo perché mi hai dato piacere sessuale; oppure mi hai dato da mangiare, o mi hai adulato, oppure hai detto che avevi bisogno di compagnia; mi sento solo, perciò ho bisogno di te”: tutto questo non è amore, sicuramente.

Quando vi è gelosia, quando vi è ansia o odio, non vi è amore. Allora, che cos’è l’amore? L’amore è ovviamente uno stato di mente in cui non vi è la verbalizzazione, non vi è ricordo, ma vi è qualcosa d’immediato. C’è un modo di vivere, nella vita quotidiana, in cui il tempo quale movimento da uno stato all’altro è scomparso. Che cosa avviene, quando fate questo? Avete una vitalità straordinaria, uno straordinario senso di chiarezza.

Allora avete a che fare con i fatti, non con le idee. Ma poiché moltissimi di noi sono prigionieri delle idee e hanno accettato quel modo di vivere, è molto difficile liberarsene. Ma basta averne l’intuizione perché questo finisca. Le nostre menti sono così ingombre di conoscenza, di preoccupazioni, di problemi, di questioni di denaro, di posizione e di prestigio; sono così sovraccariche che non vi è spazio; eppure, senza spazio, non c’è ordine.

Quando io guardo questa valle da un’altura, e c’è una direzione, perché io voglio vedere dove vivo, io perdo l’immensità dello spazio. Dove c’è direzione, lo spazio è limitato. Dove c’è uno scopo, una meta, qualcosa da conseguire, non c’è spazio. Se avete uno scopo nella vita per cui vivete e vi concentrate, dov’è lo spazio? Mentre, se non c’è concentrazione, c’è lo spazio. Quando vi è un centro da cui guardiamo, lo spazio è molto limitato.

Quando non vi è un centro, cioè una struttura dell’io che è stata messa insieme dal pensiero, c’è uno spazio immenso. Senza spazio non c’è ordine, non c’è chiarezza, non c’è compassione. Vivere dove non c’è sforzo, dove non c’è azione della volontà, dove c’è spazio immenso, fa parte della meditazione. Finora ci siamo occupati soltanto delle onde sulla superficie dell’oceano. Vi siete occupati soltanto della superficialità. Ora, se siete giunti fin qui, potete spingervi nelle profondità dell’oceano. Naturalmente, dovete sapere come immergervi in profondità; non siete voi a immergervi...“accade.”

C’è la concentrazione, la consapevolezza senza scelta e l’attenzione. La concentrazione implica resistenza. Concentrazione su una particolare cosa, sulla pagina che state leggendo, o sulla frase che cercate di comprendere: concentrarsi significa impegnare tutta la vostra energia in una particolare direzione. Nella concentrazione vi è resistenza, e perciò sforzo e divisione. Voi volete concentrarvi, il pensiero sfugge verso qualcosa d’altro, voi lo richiamate ... ecco la lotta.

Se siete interessati a qualcosa vi concentrate molto facilmente. È implicito nella parola “concentrarsi”, porre la mente su un particolare oggetto, un particolare quadro, un’azione particolare. La consapevolezza senza scelta è essere consapevoli esteriormente e interiormente, senza alcuna scelta. Essere consapevoli degli alberi, delle montagne, della natura ... solo essere consapevoli. Non scegliere dicendo: “Questo mi piace”, “quello non mi piace”, oppure “voglio questo”, “non voglio quello”.

È l’osservazione senza l’osservatore. L’osservatore è il passato, che è condizionato e guarda sempre dal punto di vista condizionato, e per questo vi sono simpatie e antipatie e così via. Essere consapevoli senza scelta comporta osservare l’intero ambiente circostante, le montagne, gli alberi, anche il mondo e le città; essere semplicemente consapevoli, osservare, senza che in quella osservazione vi sia decisione, volontà, scelta. Nell’attenzione non vi è un centro, non vi è un io.

Quando non vi è un io che limita l’attenzione, allora l’attenzione è senza limiti; l’attenzione ha spazio illimitato. Dopo aver compreso tutte le onde superficiali - la paura, l’autorità, tutte le piccole cose in confronto a ciò in cui ci stiamo addentrando - la mente ha svuotato la coscienza di tutto il suo contenuto. È vuota; non mediante l’azione della volontà, non mediante il desiderio, non mediante la scelta. La coscienza, allora, è totalmente diversa, ha una dimensione totalmente diversa.

Poiché vi è spazio, vi è il vuoto e il silenzio totale... non il silenzio indotto, non il silenzio forzato, che sono egualmente movimento del pensiero e quindi non valgono nulla. Quando voi siete passati attraverso tutto questo - ed è una grande delizia, è come giocare un gioco grandioso - allora in quel silenzio totale vi è un movimento atemporale, che non è misurato dal pensiero, il pensiero non vi ha posto. Allora vi è qualcosa di totalmente sacro e di atemporale.” (Jiddu Krishnamurti)

mercoledì 25 maggio 2016

Il corpo dell’anima



“In questo mondo mutevole
c’è frenesia anche
nella vita delle farfalle.”
(Kobayashi Issa)

Un giorno Gurdjeff chiese se qualcuno avesse mai riflettuto sul lato qualitativo e quantitativo, nell’universo. Notò che la matematica ci permette di calcolare l’aspetto quantitativo, ma se vivessimo in un universo fatto soltanto di aspetti quantitativi non sarebbe possibile nessun tipo di trasformazione. La trasformazione è una questione che riguarda la qualità, infatti la trasformazione consiste nel fatto che una cosa si possa trasformare in un’altra cosa. Il “Lavoro” insegna che viviamo in un mondo che ha delle grandi differenze qualitative perciò questa è la dimostrazione concreta del fatto che la trasformazione è insita nella natura delle cose.

In conseguenza di questo ragionamento, tutto quello che chiamiamo “vita” possiede il potere della trasformazione ovvero ha la capacità di “convertire” ciò che è inferiore in qualcosa che è superiore. Nel corpo fisico lo vediamo bene nell’Ottava del Nutrimento che trasforma i cibi in energia. Se non accettiamo il fatto che viviamo in un mondo mutevole in cui, in ogni istante, c’è qualcosa che muore, il nostro Centro emozionale non saprà ridestarsi. E dobbiamo accettare anche il fatto che, tutte le cose che non affrontano lo sviluppo producono una degenerazione, perciò il Lavoro vuole contrastare la degenerazione della vita.

Ma questo fine così elevato diventa molto difficile da perseguire se restiamo addormentati, perché la vita eserciterà il suo potere e avrà un corso contrario al nostro destino. Nel fenomeno della reincarnazione vediamo che la vita -per mezzo di esistenze successive- sviluppa migliori capacità di pensiero e di sentimento e una maggiore nobiltà d’animo. Nell’evoluzione che si compie tramite le reincarnazioni vediamo che le forme che la vita assume si perfezionano sempre più diventando delle strutture sempre più complesse.

L’aspetto qualitativo e quantitativo coesistono e scorrono insieme, perché l’universo è in grado di svilupparsi rispettando entrambi gli aspetti; in effetti questi aspetti sono complementari e avanzano di pari passo. Questo fatto si nota poco perché - di solito - si pensa che la reincarnazione valga solo per le anime umane. Ma, in realtà, il fenomeno della rinascita riguarda tutte le forme di vita e tutti gli organismi. Ad esempio, la morte di una rosa, vede l’anima della rosa che ritorna all’interno dell’anima di gruppo delle rose, e la sua rinascita avviene come rosa. La morte del gatto vede l’anima del gatto ritornare nell’anima di gruppo dei gatti, e lo vede rinascere come gatto.

Nell’uomo avviene una cosa diversa, perché l’uomo che muore non ritorna a fondersi con l’anima di gruppo perché l’uomo è dotato di una coscienza individuale che resta separata. Per questo, nel momento in cui l’uomo si reincarna, ritorna a vivere avendo a sua disposizione le qualità che ha acquisito nelle sue vite passate. E ritrova che le sue qualità non sono diminuite, perché non sono state condivise con altri individui. Solitamente non si notano tutti gli aspetti di questo fenomeno, perché questa dottrina è interpretata in modo diverso da varie concezioni che spiegano diversamente le successive nascite dell’anima.

Nella prima dottrina si dice che, alla nascita di un individuo, Dio non lo crea in quell’istante, perché l’anima esiste fin dall’origine e aspetta di incarnarsi. Quando l’anima vive nel corpo fisico dicono che nasce per la prima volta e l’unica volta. Questo è detto nella dottrina che crede nella pre-esistenza dell’anima. E c’è anche una dottrina in cui si dice che l’anima umana è già vissuta in forma di pianta, di animale e di uomo, e che torna a rivivere molte volte in forma di pianta, animale o umana. E anche dopo che l’anima si è individualizzata può rinascere come animale, che pianta o come essere umano. Questo fenomeno è chiamato trasmigrazione o metempsicosi.

Poi c’è una dottrina in cui si insegna che l’anima prima di diventare umana è vissuta in forma di pianta oppure di animale. Ma, una volta che l’anima è diventata un’entità individuale permanente cosciente non rinasce più in forma vegetale o animale, ma rinasce sempre come essere umano. Dopo la morte, l’anima vive il tempo che passa tra le sue incarnazioni, in una dimensione spirituale. Quando rinasce ritorna come uomo o donna, ma non ritorna mai più a rinascere come pianta o animale. Questo viene insegnato nella “Dottrina Segreta” di Madame Blavatsky.

Per capire che sia l'aspetto qualitativo che quello quantitativo sono presenti nell’universo è necessario sapere cos’è quello che si evolve e si reincarna. In effetti bisogna sapere cos’è l’anima umana e quali sono gli strumenti di coscienza di cui l'anima umana dispone. Nella dottrina teosofica si dice che l’anima è una coscienza individuale permanente” che vive in un corpo o in una forma fatta di materia invisibile. Il corpo dell’anima è fatto di materia mentale superiore e viene detto corpo causale. La sua forma è umana, ma appare priva di caratteristiche maschili o femminili, e viene detto “augoide.”

L’augoide è circondato da un alone di materia calda, luminosa e delicata che forma la veste permanente dell’anima. Questo veicolo è chiamato corpo causale perché è il principale impulso del pensiero, del sentimento e dell’azione in tutti i livelli su cui agisce l’anima. Tutte le tendenze più profonde dell’anima provengono dagli impulsi del corpo causale. Perciò l’anima vive nel corpo causale mentre viene accrescendo la sua capacità di amare, di pensare, di sentire e di agire sviluppandosi nel corso di varie esistenze.

Così accade per millenni, mentre l’anima si rende efficiente e maggiormente abile per qualche capacità. E nel corso delle varie vite vissute nel mondo fisico, l’anima usa alcuni veicoli temporanei. In effetti, quando l’anima sta per rinascere, raduna la materia del piano mentale inferiore e plasma un corpo mentale con cui può percepire pensieri e leggi. L’anima raduna anche la materia astrale per plasmare il corpo astrale con cui potrà percepire desideri, emozioni e sentimenti. Il corpo fisico ci viene attribuito dalle entità spirituali che ci soprintendono che decidono il corpo fisico adatto per vivere le esperienze utili all'evoluzione dell'anima.

L’anima assume degli involucri temporanei per vivere una vita durante la quale ogni vibrazione che percepirà il suo sistema sensoriale avrà un effetto sul sistema nervoso producendo una reazione nel suo cervello. La reazione viene prodotta dalla reazione del corpo astrale che riconosce la realtà solo se la percepisce in termini di “piacevole” o “spiacevole.” Il corpo mentale accetta la classificazione che viene attribuita a quella esperienza e trasformerà quella impressione sensoriale in un pensiero.

L’anima acquisisce il pensiero tramite il corpo causale e risponde al mondo fisico per mezzo del corpo mentale cioè tramite il corpo mentale. E, tramite esso comunica con il cervello fisico. Ogni volta che pensiamo si attivano questi scambi tra i diversi involucri usati dall’anima. L’anima distilla le informazioni, i pensieri, i sentimenti che vive nel mondo dei fenomeni, e li trasforma in idee che entrano a far parte di se stessa. Il ritorno cioè la morte non è un fatto importante per l’entità che vive nel corpo causale, perché lasciando i corpi temporanei, l’anima si ritrova nel corpo causale perciò la morte la libera dai veicoli inferiori.

L’anima è ritornata a casa dopo avere usato tre involucri che esistono per una sola incarnazione perciò questi corpi sono transitori e mortali. Invece il corpo causale è immortale, perché vive per tutte le incarnazioni perciò questo corpo va considerato “relativamente” immortale. E l’aspetto relativo della sua immortalità va messo in evidenza, perché anche il corpo causale scomparirà quando l’entità trascenderà l’evoluzione umana “normale” e ascenderà all’evoluzione “super-normale” perché il corpo causale occupa un livello che è superiore a quello della personalità.

Il corpo causale è collocato ad un livello che trascende la personalità. Se vediamo la questione dal livello superiore vediamo che l’entità usa i veicoli della personalità, e sa che usa dei strumenti temporanei. Quei veicoli verranno scartati e abbandonati nel momento in cui diverranno inutili. Il corpo causale fu creato all’inizio e avrà una fine, infatti esisterà finché non avverrà lo sviluppo di uno stato di coscienza più elevato. Questo tipo di coscienza saprà usare il corpo causale come fa l’ego del corpo causale quando usa la personalità: questo è lo sviluppo attua la monade umana.

Buona erranza
Sharatan

domenica 22 maggio 2016

Noi e il mondo




“L'uomo è dove è il suo cuore,
non dove è il suo corpo.”
(Mahatma Gandhi)

“La mancanza d’amore costituisce uno stato di ottusità spirituale, poiché l’amore è la perfezione della coscienza. Noi non amiamo perché non comprendiamo, piuttosto non comprendiamo, perchè non amiamo. Giacché l’amore è lo scopo ultimo di tutte le cose intorno a noi; non è un semplice sentimento, ma è la verità, la gioia posta a base di tutta la creazione, la splendida luce della coscienza pura che emana da Brahma.

Quindi per divenire una cosa sola con questo Sarvanubhuh, questo Essere Onnisenziente che risiede nel cielo esterno come nell’intimo dell’anima nostra, dobbiamo raggiungere la suprema altezza della coscienza che è l’amore. “Chi avrebbe avuto respiro e moto se il cielo non fosse ricolmo di gioia e di amore?” innalzando la nostra coscienza fino all’amore, ed estendendo questo all’intero universo, noi possiamo conseguire Brahma-vihara, la comunione con l’infinita gioia.

L’amore largisce se stesso spontaneamente in infinito numero di doni; ma questi doni perdono il loro più alto significato se noi non raggiungiamo per mezzo loro quell’amore che è il donatore. E, per ottenere ciò, bisogna che l’amore riempia il nostro cuore. Chi non nutre amore apprezzerà i doni di un amante solo in quanto possono essergli utili; ma l’utilità è cosa temporanea e limitata, non può mai prendere tutto l’essere nostro.

Le cose che ci sono utili interessano solo quella parte di noi che è soggetta a qualche bisogno. E quando questo bisogno è soddisfatto, l’oggetto che era utile diviene fastidioso. Al contrario il più tenue ricordo ci è di gran valore quando il nostro cuore ama, perché esso non ci serve a un qualsiasi uso, ma è fine in se stesso, riguarda tutto l’essere nostro e perciò non ci stancherà mai. Ora si domanda: in che modo ci comportiamo noi al riguardo del mondo che è un perfetto dono della gioia?

Abbiamo saputo accoglierlo nel nostro cuore insieme alle cose di infinito valore che vi conserviamo religiosamente? Noi ci adoperiamo con ardore a sfruttare tutte le forze dell’universo per aumentare sempre di più la nostra potenza; ricaviamo dai suoi prodotti il nutrimento e i mezzi per coprirci. Ci azzuffiamo per le sue ricchezze; lo trasformiamo in un campo di feroci pretese. Ma eravamo nati per questo, per badare solo ad accrescere i nostri diritti di proprietà sul mondo e ridurlo ad una mercanzia posta in vendita?

Quando la mente nostra si rivolge tutta solo a utilizzare le cose del mondo, questo perde il suo vero valore per noi. Ciò che si dice dell’uomo vale anche per l’universo. Quando guardiamo questo mondo attraverso il velo dei nostri desideri, lo rendiamo piccolo e meschino, e non riusciamo quindi a comprenderne la piena verità. Certamente è naturale che noi ci serviamo delle cose del mondo ogni volta che ci siano necessarie, ma i nostri rapporti con esso non devono arrestarsi qui.

Noi siamo congiunti all’universo con vincoli più reali e più intimi che quello della sola necessità. L’anima nostra è attratta verso di esso; infatti il nostro amore per la vita non è che il desiderio di mantenere durevoli i nostri rapporti con l’universo; e questi rapporti devono essere d’amore. Noi siamo felici di trovarci al mondo, e vi siamo attaccati per innumerevoli fili che si estendono da questa terra fino alle stelle.

L’uomo cerca vanamente di provare la sua superiorità pretendendo di essere sostanzialmente distinto da quello che egli chiama "il mondo fisico" e nella sua cieca esaltazione egli arriva fino a ignorarlo addirittura, o a ritenerlo il suo peggior nemico. Tuttavia, più la scienza progredisce più si rende difficile all’uomo stabilire tale distinzione, e tutti i confini immaginari che egli ha elevato intorno a sé vanno cadendo uno dopo l’altro. 

Quindi ogni volta che noi perdiamo qualcuno di quei segni di assoluta distinzione per i quali avevamo dato alla nostra umanità il diritto di ritenersi diversa dalle cose d’intorno è una grave umiliazione che ci viene inflitta; pure ci è necessario sopportarla. Se noi eleviamo lungo il cammino della conoscenza di noi stessi la nostra superbia, per stabilire separazioni e disunione, prima o poi quella superbia dovrà andare travolta sotto le ruote della verità e ridursi in polvere. 

No, noi non siamo sotto l’oppressione di questa mostruosa superiorità, che sarebbe priva di senso nel suo strano isolamento. Sarebbe la nostra degradazione il dover vivere in un mondo immensamente inferiore a noi per valore spirituale nello stesso modo che ci ripugnerebbe e avvilirebbe essere circondati e serviti da uno stuolo di schiavi, giorno e notte, dalla nascita fino alla morte. Al contrario, il mondo è nostro pari, anzi, noi siamo una sola cosa con esso.” (Rabindranath Tagore)

giovedì 19 maggio 2016

Qual'è il futuro del genere umano?



“Che epoca terribile quella in cui
degli idioti governeranno dei ciechi.”
(William Shakespeare)

“Ci si domanda quale sia il futuro del genere umano, il futuro di tutti quei bambini che si vedono gridare, giocare - i volti così felici, dolci, belli - qual è il loro futuro? Il futuro è ciò che noi siamo ora. Storicamente è così da molte migliaia di anni – il vivere e il morire e tutto il travaglio delle nostre esistenze. A quanto pare non si presta molta attenzione al futuro. Alla televisione si vedono continui spettacoli, dal mattino sino a tarda notte - a eccezione di uno o due canali - ma sono molto brevi e non troppo seri. 

S’intrattengono i bambini. Tutta la pubblicità prolunga la sensazione d’essere intrattenuti. E ciò, in pratica, sta accadendo in tutto il mondo. Quale sarà il futuro di questi bambini? C’è l’intrattenimento dello sport – in trenta, quarantamila seguono poche persone nel campo di gara e urlano fino a diventare rauchi. E si va anche ad assistere a certe cerimonie che si tengono in una grande cattedrale, a certi riti, e anche questa è una forma di intrattenimento, solo che ciò viene definito santo, religioso, pur restando, comunque, un intrattenimento – un’esperienza sentimentale, romantica, un’impressione di religiosità.

Nell’osservare tutto ciò in parti diverse del mondo, nell’osservare che la mente si tiene occupata con il divertimento, con l’intrattenimento, con lo sport, ci si deve inevitabilmente domandare, se si è in qualche modo interessati: qual è il futuro? La stessa cosa in forme diverse? Una molteplicità di divertimenti? Se siete, dunque, del tutto consapevoli di ciò che vi sta accadendo, dovete riflettere sul modo in cui i mondi dell’intrattenimento e dello sport attirano la vostra mente, dirigendo la vostra vita. 

Dove sta portando tutto ciò? O forse la cosa non vi preoccupa affatto? Probabilmente non vi importa del futuro. Probabilmente non ci avete pensato o, se lo avete fatto, potreste dire che è troppo complesso, troppo spaventoso, troppo pericoloso pensare agli anni a venire – non alla vostra vecchiaia personale, ma al destino, se è lecito usare questa parola, all’effetto del nostro attuale modo di vivere, pieno d’ogni sorta di sensazioni e attività romantiche, emozionanti, sentimentali, e a tutto il mondo dell’intrattenimento che interferisce sulla vostra mente. 

Se siete minimamente consapevoli di tutto ciò, qual è il futuro del genere umano? Come si diceva prima, il futuro è ciò che siamo ora. Se non c’è un cambiamento - non un adattamento superficiale, un superficiale conformarsi a un qualche modello politico, religioso o sociale, ma il cambiamento che è ben più profondo e che esige la vostra attenzione, la vostra responsabilità, il vostro affetto – se non c’è un cambiamento fondamentale, allora il futuro è ciò che stiamo facendo, ogni giorno della nostra vita, nel presente.

Cambiamento è veramente una parola difficile. Cambiamento verso che cosa? Cambiamento verso un altro modello? Verso un altro concetto? Verso un altro sistema politico o religioso? Cambiamento da questo a quello? Quello è sempre nel regno o nella sfera del "ciò che è". Il cambiamento verso quello è proiettato dal pensiero, formulato da esso, materialisticamente determinato. Si deve, dunque, indagare attentamente su questa parola "cambiamento". 

C’è un cambiamento se c’è un motivo? C’è un cambiamento se c’è una direzione particolare, uno scopo particolare, una conclusione che sembra sensata, razionale? O forse una frase migliore è "la fine di ciò che è". La fine, non il movimento di "ciò che è" verso "ciò che dovrebbe essere". Quello non è cambiamento. Ma la fine, la cessazione, la – qual è la parola giusta? Penso che "fine" sia una bella parola; atteniamoci, dunque, a essa - la fine...

Ma se la fine ha un motivo, uno scopo, se è materia di decisione, si tratta, allora, solamente di cambiamento da questo a quello. La parola "decisione" implica l’azione della volontà. "Farò questo"; "Non farò quello". Quando il desiderio penetra nell’atto della fine, quel desiderio diviene la causa di essa. Dove c’è una causa, c’è un motivo e, così, non c’è affatto un’autentica fine. Il ventesimo secolo ha conosciuto un’enorme quantità di cambiamenti, prodotti da due guerre sconvolgenti; il materialismo dialettico e lo scetticismo circa le credenze, le attività, i riti religiosi e via dicendo. 

Senza contare il mondo tecnologico, che ha determinato un gran numero di cambiamenti, e ve ne saranno di ulteriori allorquando il computer si svilupperà pienamente dal momento che si è appena ai suoi inizi. Allora, quando subentrerà il computer, che ne sarà della nostra mente umana? Questo è un problema diverso, in cui addentrarsi un’altra volta. Quando subentra l’industria dell’intrattenimento, come sta gradualmente avvenendo adesso, quando i giovani, gli studenti,i bambini sono costantemente istigati al piacere, al capriccio, alla sensualità romantica, le parole "freno" e "austerità" vengono respinte, senza neanche darsene pensiero.

L’austerità dei monaci, i samnyasin, che negano il mondo, che coprono i loro corpi con qualche sorta di uniforme o solamente con uno straccio – questo rifiuto del mondo materiale non è certamente austerità. Probabilmente voi neanche darete ascolto a ciò, a quali siano le implicazioni dell’austerità. Quando si viene educati fin dall’infanzia a divertirsi e a sfuggire a se stessi mediante l’intrattenimento religioso o d’altro tipo. E quando la maggior parte degli psicologi sostiene che si debba esprimere tutto ciò che si sente e che qualsiasi forma di dissimulazione o inibizione sia dannosa, perché porta a varie forme di nevrosi, ovviamente si prende sempre più parte al mondo dello sport, del divertimento, dell’intrattenimento, a tutto ciò che aiuta a sfuggire a se stessi, a ciò che si è.

La comprensione della natura di ciò che siete, senza alcun travisamento, alcun pregiudizio, senza alcuna reazione a ciò che scoprite di essere, è il principio dell’austerità. L’osservazione, la consapevolezza di ogni pensiero, ogni sensazione, non per reprimerli, per controllarli, ma per osservarli, come si osserva un uccello in volo, senza nessuno dei vostri pregiudizi e travisamenti. Quell’osservazione cagiona uno straordinario senso di austerità che va al di là di tutti i freni, di tutto il perder tempo con se stessi e di tutta quest’idea del miglioramento e della realizzazione di sé. 

Tutto ciò è veramente puerile. In questa osservazione c’è una grande libertà e in quella libertà c’è il senso della dignità dell’austerità. Ma se diceste tutto questo a un moderno gruppo di studenti o di bambini, essi probabilmente guarderebbero fuori dalla finestra, annoiati, perché questo mondo è volto al proprio perseguimento del piacere... Sembra che l’uomo sia sempre fuggito da se stesso, da ciò che egli è, da dove sta andando, da tutto ciò di cui si parla – l’universo, la nostra vita quotidiana, il morire e il cominciare.

È strano che non ci si renda mai conto che, per quanto si fugga da se stessi, per quanto ci si smarrisca, consapevolmente, intenzionalmente o inconsapevolmente, sottilmente, il conflitto, il piacere, il dolore, la paura e via dicendo sono sempre là. In definitiva prevalgono. Potete cercare di eliminarli, di respingerli intenzionalmente con un atto di volontà, ma essi riaffiorano. E il piacere è uno dei fattori che predominano, anch’esso ha gli stessi conflitti, lo stesso dolore, lo stesso tedio.

La noia del piacere e il cruccio fanno parte di questo tumulto della nostra vita. Non puoi fuggire a ciò, amico mio. Non puoi sottrarti a questo profondo, misterioso tumulto, salvo che tu non te ne dia veramente pensiero; non solo pensare, ma vedere con attenzione accurata, con assidua osservazione, l’intero movimento del pensiero e del sé. Puoi dire che tutto ciò è troppo fastidioso, forse non necessario. 

Ma se non gli dedichi attenzione, se non te ne curi, il futuro non solo sarà più distruttivo, più insopportabile, ma anche non molto significativo.Tutto ciò non è un punto di vista scoraggiante, avvilente; è realmente così. Ciò che sei adesso è ciò che sarai nei giorni a venire. Non lo puoi evitare. È sicuro come il sorgere e il tramontare del sole. Questo è ciò che spetta a ogni uomo, a tutta l’umanità, a meno che non cambiamo – ciascuno di noi – a meno che non ci trasformiamo in qualcosa che non è proiettato dal pensiero.” (Jiddu Krishnamurti)

mercoledì 18 maggio 2016

Vasana



“Ciascuno vede ciò che si porta nel cuore.”
(Johann Wolfgang Goethe)

Gli antichi indù erano grandi conoscitori dell’animo umano infatti avevano scoperto la complessa struttura psicologica dell’essere umano perciò conoscevano anche l’inconscio. I maestri dell'antica India usavano il termine “vasana” per indicare ciò che risiede a livello latente nel subconscio dell’uomo. Vasana è un termine molto usato nel Vedanta per indicare le impressioni mentali che nascono dal subcosciente essendo indotte dalle esperienze e dai pensieri che derivano dal karma accumulato in passato.

Le vasana sono dei “semi” che producono dei pensieri, delle pulsioni e delle espressioni che agiscono a livello latente, e che spingono l’individuo ad agire in un certo qual modo. Le vasana sono come dei solchi che si sono tracciati nella sostanza mentale, e che hanno creato delle “impronte” mentali. Le vasana sono i segni delle disposizioni che abbiamo acquisito, perciò sono dei tratti che ci caratterizzano ma sono anche delle caratteristiche che limitano la mente dell’individuo.

Per gli antichi indù, le vasana rappresentano tendenze che ci dominano, perché sono potenti tendenze interiori che ci spingono a fare ciò che abbiamo fatto in passato. Le vasana ci impongono una dimensione interiore che emerge prepotentemente dal subconscio, e questo è stato osservato anche dalla psicologia moderna che ha evidenziato una pulsione ossessiva a ripetere forzatamente le esperienze del passato.

I maestri del Vedanta dicono che le vasana fanno parte dell’insegnamento sulla paura, e affermano che nell'uomo esiste una tendenza innata a ritrovare le situazioni conosciute. Naturalmente questo atteggiamento non viene messo in pratica in modo consapevole, perché la parte subconscia è più forte di quella cosciente. In effetti vediamo che quello di cui abbiamo maggiore paura è la cosa che più ci attrae.

Il concetto delle vasana che emergono dal subconscio riveste un forte valore psicologico, e ci fa capire il meccanismo che agisce su chi sembra ricercare il fallimento. E questo ci fa comprendere meglio anche l'origine della tendenza distruttiva che predomina in molte persone. I maestri indù conoscevano bene queste cose, infatti avevano distinto 4 aspetti dell’essere umano: la Buddhi, la Chitta, il Manas e l’Ahamkar.

Essi dicono che l’Ahamkar è il senso dell’io, perché è il principio d’individualizzazione che crea il senso dell’ego e forma l’esperienza particolare dell’io. L’Ahamkar viene associato alla Chitta che è il deposito dei semi ossia “il serbatoio” delle tendenze che esistono nel subconscio, mentre il Manas è la mente analitica che ci consente di distinguere la prospettiva dell’individuo particolare.

L’Ahamkar è la coscienza individuale che produce l’io, perciò rappresenta tutto quello che agisce in funzione dell’io. La coscienza individuale ricava i frutti dalle esperienze dell’io, e produce azioni positive o negative che esprimono la natura dell’ego ossia il tratto caratteristico del jiva individualizzato.

Buddhi è l’intelligenza oggettiva che vede e percepisce la realtà così come è realmente, perciò Buddhi è la mente che vede la realtà in modo non limitato. Manas è il pensiero e lo psichismo, in quanto è quello che reagisce interiormente al mondo esterno producendo emozioni e pensieri soggettivi. Manas conserva i pensieri e le emozioni, ma sono emozioni e pensieri che vengono deformati dalla prospettiva personale del soggetto che esperisce.

Chitta è la memoria perciò è la parte dello psichismo che dipende dai condizionamenti del passato. Chitta indica la memoria che è sepolta nell’inconscio perciò rappresenta la memoria presente a livello latente. Chitta è il deposito della memoria di tutto quello che ci condiziona. Chitta è l’inconscio perciò è il deposito delle impressioni mentali che devono essere conservate. Chitta è il deposito delle vasana, perché è il luogo in cui conserviamo le tendenze a ripetere il passato.

La conoscenza psicologica del Vedanta è poco conosciuta perché, in genere, il Vedanta è più conosciuto per la metafisica dell’atman e del brahaman. Ma nessuno ha spiegato meglio la paura dei maestri del Vedanta, infatti essi la inquadrarono come una tendenza a mettersi sempre in situazioni del passato, a prescindere dal fatto che si desideri o meno ripetere l'esperienza. Nel Vedanta si mette in evidenza il concetto che non avremmo paura se non desiderassimo ciò che diciamo di temere e di non desiderare.

E questo punto è molto importante, perché ci spiega il meccanismo dei condizionamenti alcuni millenni prima degli psicologi occidentali. I maestri induisti e buddhisti studiarono la struttura psicologica umana per contribuire al sollievo e alla salute degli esseri umani. In queste tradizioni si insegnava che il cammino della conoscenza di sé include di essere consapevoli delle dimensioni interiori da cui è necessario trovare una via di uscita per ottenere la liberazione. Ma quali sono le grandi paure umane?

La paura più grande è quella che riguarda la propria vita perciò la prima forma di paura è connessa con l’istinto di conservazione. E poi c’è la paura legata a circostanze particolari, ed è il tipo di paura in cui tendiamo a negare che la situazione è quella che è. La paura mostra una forte attrazione verso qualcosa che si vuole, ma questo viene negato. Mentre invece si dovrebbe sapere che può venire attratti non positivamente, e che veniamo attratti soprattutto da quello che ci portiamo dentro.

I maestri indù e quelli buddhisti insegnano che tutto quello che diciamo di non volere, in realtà, è quello che maggiormente vogliamo. Questo fatto è scomodo da ammettere, ma è la pura e semplice verità. Ma questa è la verità che non sappiamo vedere in noi stessi, perché è una verità che non vogliamo capire perciò è una verità che rifiutiamo. Per questo motivo la vita è fatta di un miscuglio di reale e irreale, di vero e di falso: quindi anche la nostra coscienza è fatta con un simile miscuglio .

Shankara dice che l’uomo è un vaso di terracotta colmo di nettare che, una volta che viene infranto, continua comunque a esistere; ma non esiste più nella medesima forma che aveva quando era il vaso. In realtà, ciò che è scomparso con la morte è la limitazione di forma che subiva l’individualità. Il corpo fisico possiede la realtà solo quando la coscienza percepisce i momenti successivi che vengono sostenuti dalla sua consapevolezza. E la coscienza dell’essere è condizionata dalla forma che contiene l’essere individuale.

Buona erranza
Sharatan

martedì 3 maggio 2016

Liberarsi dalla programmazione



“Quello che non esprime niente, a volte rivela tutto.”
(Oscar Wilde)

“Pensa a qualche momento in cui ti sei sentito rifiutato, trascurato e umiliato. Cerca di comprendere la situazione con realismo, guardandola con sincerità e in profondità; se, per esempio, tu non avessi fatto l’offeso, non credi che non ci sarebbe stato nessun rifiuto e nessuna umiliazione? Potresti renderti conto che non c’è stato un atteggiamento di rifiuto o di disapprovazione, ma che cosa ha a che vedere l’atteggiamento altrui con il tuo essere?

Tu non sei quello che sei indipendentemente da ciò che dicono o pensano gli altri. I modi fare, i comportamenti, i pensieri e i sentimenti mutano e tu continui a essere te stesso. Similmente cambiano i pensieri, i comportamenti e i sentimenti delle altre persone, ma queste ultime continuano a essere ciò che sono. Allora, che cosa c’è che ti offende, la persona o il suo modo di fare?

Il modo di fare non può offenderti perché è mutevole e privo di una sua esistenza. I giudizi che le persone danno di te, esprimono molte più cose circa il loro modo di fare e la loro programmazione che non riguardo a te. Non ha senso che tu ti offenda e, in ogni caso, ricordati per esempio il Buddha che, pur essendo ingiuriato, rimase inalterato. Anzi, disse che non poteva essere influenzato dalle offese e spiegò con una domanda: “Quando qualcuno ci porta un regalo e noi non l’accettiamo, di chi è il regalo?”

Della persona che l’ha portato, giusto? Quindi se non vuoi andare in collera, non accettare né l’insulto, né il regalo. Cosa suscita la mia collera? Il fatto che tu non sia conforme alle esigenze della mia programmazione e che non ti vada il mio modo di agire, cosa che trovo priva di logica. Può darsi che io sia animato da buone intenzioni, ma non posso modellare l’altro in base alla mia volontà. Se guardiamo con chiarezza ciò che avviene, ne coglieremo l’assurdità: se qualcuno si comporta male, è all’altro che sale la pressione. Capire bene questo meccanismo è una liberazione. […]

Siamo soliti reagire davanti alle immagini che ci riflettono gli altri. vediamo nell’altro ciò che desideriamo vedere (lo idealizziamo) o proiettiamo su di lui la nostra paura (lo rifiutiamo) e così non riusciamo a conoscerlo nella sua realtà. Che cos’è il peccato? Maggiore è il libero arbitrio di cui disponi, minore è la possibilità di peccare.

Il peccato è una malattia della schiavitù; pecchi se sei schiavo della legge; ma se sei cosciente che Cristo ti ha liberato, sei libero e la libertà di cui parla Gesù Cristo è quella che consiste nello stare svegli: essere responsabili dei propri atti. Prima di cambiare gli altri, cambia te stesso. Pulisci la tua finestra per vedere meglio. Concentra la tua attenzione sulla causa negativa che ti ha fatto soffrire, non su colui che ti ha offeso.

La causa è la programmazione; questa programmazione ti è stata imposta sin dall’infanzia e tu non ne hai colpa e nemmeno l’altro. Quando raggiungerai questo stato, vedrai che tutto quello che accade è positivo, come l’agricoltore che ha dei pozzi d’acqua ed è tranquillo perché non dipende dal fatto che piova o no. Vedrai tutto bene e con tranquillità quando farai conto su te stesso rifiutando la programmazione.

Se non conosci l’origine della tua malattia, non la curi, ma la reprimi e soffrirai sempre per causa sua. Se, invece, ne conosci l’origine, hai già la cura in mano. Qualsiasi vero cambiamento si verifica senza alcun sforzo. La persona umana ha delle favolose energie di riserva per i momenti in cui ha bisogno di attivarle. L’importante è scoprire quanto sta avvenendo in te e intorno a te.

Per sapere che cosa c’è che va male e conoscerne le cause, è importante essere sveglio. Bisogna svegliarsi. È possibile annullare la paura solo cercandone l’origine. Quando qualcuno si comporta bene per paura, significa che è stato addomesticato, ma non ha mutato la causa dei suoi problemi. Continua a dormire.” (Anthony De Mello)